ALKAMENES, 1° (v. vol. I, p. 255)
Gli studi più recenti sullo scultore non hanno ampliato la prospettiva delle ricerche sull'argomento. Mentre restano oscuri i particolari biografici e lacunosi i dati relativi alle sue opere, risulta d'altra parte inevitabile la ripetizione di un'opinione formatasi e consolidatasi per convenzione: che Α., come del resto tutti i più importanti artisti attivi ad Atene nella seconda metà del V sec. a.C., fosse allievo di Fidia. Accolta in maniera acritica, tale opinione - che trae la sua origine da un passo di Plinio (Nat. hist., XXXVI, 17) e sopravvive nei lavori di sintesi di B. Schlörb, L. Capuis e W.-H. Schuchhardt - contribuisce a perpetuare una situazione di confusione, non solo in merito alla scansione cronologica dell'opera di Α., ma anche riguardo ai limiti entro i quali risulti possibile estendere e ricercare la sua attività. Il tentativo della Schlörb di attingere da Plinio argomenti a conferma dell'ipotesi di un antagonismo tra A. e Agorakritos (v.) dopo l'allontanamento di Fidia da Atene, è appoggiato da G. Despinis, in pubblicazioni successive relative alla statua di culto della Nemesi di Ramnunte. Quantunque non siano ignoti antagonismi artistici nell'antichità classica, una testimonianza di tale contrasto sarebbe accettabile, e con un certo scetticismo, solo se si fosse riconosciuto un tipo statuario dell'Afrodite contemporaneo alla Nemesi, con un incontestabile carattere alcamenico e analoghe dimensioni colossali, elemento, questo, che certamente non caratterizza l'Afrodite dei Giardini. Da un processo analogo dovrebbe scaturire anche la notizia di Tzetzes (Chil, VIII, 340-343) circa il coinvolgimento di A. nelle vicende giudiziarie di Fidia. La tradizione, tramandata dallo stesso autore, circa la contrapposizione dei due artisti in un altro «agone» per la realizzazione di due statue di Atena destinate a esser collocate su alte colonne (Chil, VIII, 353-369), pur nel sospetto di una sua origine bizantina, non è escluso possa contenere qualche traccia di un nucleo storico, forse non senza connessioni con i gruppi frontonali del Partenone.
Dal donario dedicato da Trasibulo nel Santuario di Eracle a Tebe dopo la caduta della tirannide dei Trenta (Paus., IX, 2, 6), raffigurante Atena assieme a Eracle e scolpito in marmo pentelico, si deduce che A. continuasse a lavorare fino al 403 a.C. Per quanto riguarda la problematica forma di quest'opera, E.G. Pemberton continua a sostenere che doveva trattarsi di un rilievo, anche se, a giudizio di W.-H. Schuchhardt, alle sue colossali dimensioni sarebbe stato più consono un gruppo di due statue. Questa notizia è preziosa anche come testimonianza dei rapporti dell'artista con lo schieramento democratico di Atene, resi evidenti, peraltro, dalle numerose commissioni pubbliche da questo ottenute. A giudicare dunque dalla ispirata concezione e dalla qualità delle opere di A. che ci sono note con qualche certezza, difficilmente si potrebbe dar credito all'illecito trattamento di favore attestato contro di lui da Plinio.
La dedica del 403 a.C. è l'ultima opera di A. di cui abbiamo testimonianza. D'altra parte continua a rimanere ignota la sua produzione artistica giovanile, benché la tanto discussa testimonianza di Pausania (V, 10, 8) circa la partecipazione di A. alla decorazione scultorea del Tempio di Zeus a Olimpia - al di là della posizione categoricamente negativa di H. -V. Herrmann - incontri la moderata condiscendenza di W. H. -Schuchhardt e la consenziente tolleranza di M. Robertson.
A. doveva essere già un artista noto prima della metà del V sec. a.C., come si deduce dalle testimonianze di Plinio (Nat. hist., XXXIV, 49) e di Pausania (V, 10, 8) che lo ricordano come coetaneo di Fidia, in relazione con le sue due discusse creazioni «arcaistiche», che gli studi più recenti fanno dipendere più immediatamente dal tardo stile severo: l'Hermes Propylaios sull'Acropoli di Atene che Pausania (I, 22, 8) descrive senza far menzione del nome del suo autore è rintracciato da D. Willers non nel tipo con iscrizione di Pergamo, ma nell'altro, pure con iscrizione, di Efeso. Il prototipo può così datarsi con sicurezza, grazie alla ben conservata replica Simonetti di Monaco, subito dopo la metà del V sec. a.C., forse nel 448 a.C.
La statua della tricorpore Ecate Epipyrgìdia sul bastione di Atena Nike (Paus., II, 30, 2) - malgrado le opinioni assai diverse circa problemi di dettaglio, in prevalenza cronologici - viene generalmente messa in relazione con l’Hekatèion della Scuola Britannica di Atene. La scoperta tuttavia, da parte di W. Fuchs, di un esemplare, finora unico, di un tipo diverso, a Villa Adriana, benché sia affrontata con incertezza, pone tutta la problematica su un altro terreno: con l'impressionante originalità della composizione e con la sua evidente dipendenza dagli stili pre-partenonici della metà del V sec. a.C., si ampliano le prospettive della ricerca per rintracciare l'attività dell'artista in precedenti fasi cronologiche.
La serie delle opere alcameniche è basata, oltre il dovuto, sul noto gruppo marmoreo del Museo dell'Acropoli di Atene raffigurante Procne e Itys, e menzionato da Pausania (I, 24, 3) solo come dedica dell'artista. Il risultato dei tentativi in questa direzione non appare tuttavia particolarmente affidabile, in quanto provoca l'ingannevole impressione che la produzione di A. sia appesantita dalla tormentosa e monotona reiterazione della stessa idea tematica, quella della peplophòros. Ciò risulta percepibile principalmente nella monografia dello Schuchhardt, dove la Procne è considerata una replica di età romana da un originale bronzeo, perduto, in accordo alla visione che in passato aveva coinvolto anche altri studiosi. Altri giudizî, benché più moderati, giungono però, frequentemente, ad accreditare una contraddizione tra la concezione e l'esecuzione dell'opera, contraddizione posta tuttavia in discussione da altre analisi egualmente valide, incentrate sull'interesse stilistico di questa creazione, sul suo valore artistico, sull'intensità drammatica della composizione e sulla datazione intorno al 440 a.C. Il gruppo di Procne e Itys pone in evidenza due caratteristiche per eccellenza alcameniche: la sospensione del tempo dell'evento rappresentato tra due momenti di passaggio e l'appoggio delle figure su elementi accessori, con lo spostamento, di effetto spettacolare, del centro di gravità al di fuori degli assi verticali dei corpi.
La Procne è stata ripetutamente posta in relazione con la peplophòros del frontone orientale del Partenone come pure con i frammenti, affini per ispirazione, della statua di culto colossale del tempio sul lato SE dell'agorà, costruito dopo l’86 a.C. con materiale architettonico trasportato dal Tempio di Demetra di Thorikos. In questa monumentale opera del decennio 430-420 a.C., E.B. Harrison ha individuato l'originale della Demetra o Hera Capitolina, in cui la comprovata discendenza alcamenica fa vacillare recenti ipotesi, principalmente la sua attribuzione ad Agorakritos da parte di G. Despinis.
Dagli argomenti di quanti hanno difeso l'identificazione si potrebbe pensare di riconoscere nel tipo la statua di Hera che Pausania (I, 1, 5; X, 35, 2) aveva visto nel tempio del Falero, a suo tempo parzialmente incendiato dai Persiani. La Capuis ha collocato questa enigmatica e sfuggente creazione di A. nel novero delle sue opere arcaistiche; la Schlörb la ricercava nel tipo della Demetra Boboli-Berlino, ed E. Tamajo - seguendo una vecchia idea di E. Petersen - nel rilievo del decreto del 403-402 a.C. Viceversa H. v. Steuben, sviluppando un'ipotesi di G. Lippold, ne confortava l'identificazione con il tipo della peplophòros Castelgandolfo-Palazzo Sacchetti, la cui «alcamenicità» è accettata da E. La Rocca, che tuttavia preferisce l'interpretazione come Musa proposta da M.G. Picozzi.
Alla Hera del Falero, ma anche a tutte le peplophòroì menzionate, si aggiunge ancora un'altra opera, che viene ad accrescere la generale confusione, la Hera o Afrodite di Pergamo, nella quale alcuni indicano una creazione autonoma dell'artista della Procne e altri una rielaborazione ellenistica. Il giuoco delle attribuzioni continua, accrescendo il caos delle valutazioni stilistiche, con il riconoscimento della Hera del Falero nelle repliche della «Hestia» Giustiniani.
Il superamento di contrapposti giudizî e interpretazioni potrebbe essere garantito solo dal definitivo riconoscimento della statua di culto dell'Afrodite dei Giardini che, con le concordi testimonianze di Plinio (Nat. hist., XXXVI, 16), Pausania (I, 19, 2) e Luciano (Imag., 4 e 6), si rivela, nel consapevole giudizio dei contemporanei, come l'opera più significativa di Alkamenes. Dopo le prime avventurose ricerche e la raccolta apparentemente persuasiva del Langlotz in relazione al tipo seduto della Afrodite-Olimpiade, G. Guidi, G. Gullini e G. Becatti individuarono la forma originaria dell'opera nell'erma dell'Afrodite dal Mercato di Leptis Magna. Nella stessa direzione si è orientata la Capuis, nel suo tentativo di concepirla come un'erma arcaizzante o arcaistica, trascurando però le argomentazioni di M.J. Milne. Attualmente si ritiene valida l'intuitiva convinzione di E. Reisch che l'Afrodite dei Giardini sia riprodotta dalle copie romane della c.d. Afrodite appoggiata, un punto di vista sostenuto da H. Schräder e B. Schlörb, in contrapposizione con l'idea, allora ancora dominante, che questo tipo tramandasse la statua di culto dell'Afrodite di Daphni.
La scoperta di un frammento proprio della statua dell'Afrodite di Daphni è da ritenersi assai utile a conferma della definitiva interpretazione di quest'opera che, per ragioni connesse con l'affine natura cultuale dei due santuarî, intorno al 420 a.C. ripropone, con varianti, il tipo con appoggio laterale dell'Afrodite dei Giardini dall'Ilisso. I primi riflessi dell'opera nella ceramica a figure rosse assicurano, come ha dimostrato G. Neumann, la cronologia della sua creazione intorno al 435 a.C. Il pilastrino - trasformato in un tronco d'albero nella versione di Daphni - che costituisce l'appoggio della figura divina rappresenta, come ha sottolineato anche S. Hiller, una reminiscenza degli antichissimi fondamenti aniconico-vegetali del suo culto. Il riconoscimento dell'Afrodite dei Giardini, oltre al consenso della ricerca più recente, ha incontrato diverse obiezioni: da parte di D. Arnold che ritiene il tipo agoracriteo, di B. Sismondo Ridgway che dubita dell'interpretazione, ma anche dell'attribuzione all'officina di Α., di W.-H. Schuchhardt, che evita di affrontare tutta la relativa problematica, e di M. Andronikos, che risuscita le teorie,, da tempo dimenticate, di A. Furtwängler circa l'Afrodite del Fréjus.
Il tipo con appoggio laterale dell'Afrodite dei Giardini è una delle opere più movimentate della scultura attica del periodo partenonico, non solo per la melodica articolazione degli assi obliqui che caratterizza la sua struttura, né soltanto per l'espressivo fluire della polifonia delle pieghe nelle fantasiose soluzioni del panneggio. L'immagine originaria dell'opera non è ancora chiara perché restano aperti i problemi relativi al tipo della testa; è stato tuttavia possibile recuperare la posizione di entrambe le mani cogliendo, così, il significato della scultura: la dea è raffigurata in una epifania presso il suo antichissimo idolo aniconico, che le serve da appoggio; sorregge nella mano destra uno specchio verso il quale era diretto il suo sguardo, e stringe tra le dita della sinistra l'orlo del chitone che scivola sopra il seno. Con un simile peso concettuale sono eseguite anche le mani di Artemide e di Afrodite nel fregio orientale del Partenone, come si può constatare dopo la sorprendente integrazione operata da G. Despinis.
L'attribuzione dell'Afrodite appoggiata ad A. e la sua verosimile identificazione con l'Afrodite dei Giardini, trovano conferma, tanto per la concezione plastica, quanto per l'esecuzione, nel gruppo dell'Ephedrismòs dalla decorazione frontonale del c.d. Thesèion. Questa stupenda opera cristallizza, secondo il giudizio di E. La Rocca, le tendenze dell'officina di A. intorno al 430 a.C., sviluppando principi e idee già insiti nel gruppo di Procne, e autorizza uno spostamento del giudizio critico dalla fredda elaborazione delle repliche della dea con appoggio laterale verso la calda originalità della scultura del prototipo perduto.
Il gruppo dell'Ephedrismòs conferma, al di là di ogni dubbio, la presenza dell'officina di A. nella decorazione del tempio che, con l'eccezione di E.B. Harrison, per generale ammissione si identifica con l'Hephaistèion. Parallelamente trova conferma anche il rapporto del maestro con il «gruppo» delle statue di culto del tempio, ricordate dalla testimonianza epigrafica del 421/20-416/15 a.C. (IG, XIII, 472) e da Pausania (I, 14, 6), ma senza una menzione dello stesso come loro creatore. Questo indiretto, ma solido legame, ha un significato fondamentale per lo svolgimento di un giudizio critico, benché da qualche elemento inconcusso non derivi necessariamente che l'Efesto di Α., di cui parlano Cicerone (Nat. deor., I, 30) e Valerio Massimo (VIII, 2, 3), fosse con altrettanta sicurezza una delle due statue di culto di quel tempio. In merito infine alle conclusioni di E.B. Harrison circa le ipotizzate proporzioni colossali dell'opera, sarà necessario segnalare sia i fattori di indeterminatezza, sia le numerose lacune nelle nostre effettive conoscenze, quali si deducono dallo studio di A. Linfert, indipendentemente dal fatto che gli elementi struttivi di piccola dimensione in pietra di Eleusi, posti in rapporto con il basamento delle statue da W.B. Dinsmoor, secondo F.A. Cooper dovrebbero provenire da qualche altro tempio. Alla decorazione della base S. Karouzou aveva attribuito il rilievo neoattico del Vaticano con la nascita di Erittonio, incontrando un concorde assenso, raro negli studi di archeologia classica. Più di qualsiasi affinità stilistica nei motivi delle pieghe,; in questa splendida creazione si ritrovano le due personali invenzioni già individuate in altre opere di Α.: la sospensione dell'elemento centrale della composizione - l'eroe locale nel nostro caso - tra i due diversi momenti temporali della sua nascita da Ghe e del suo affidamento ad Atena, così come l'appoggio che caratterizza la stasi di Efesto. La raffigurazione non era completata dai mitici re di Atene, come giustamente osserva G. Neumann, e neppure dalle Aglauridi con le Horai proposte da E.B. Harrison, ma da una «agorà degli dei». Da questa dovrebbero probabilmente derivare i cc.dd. Paride e Elena nel mal integrato rilievo neoattico del Vaticano, nel quale si riferiscono altri frammenti da Tivoli, che consentono la ricostruzione con le figure di Ares, di Hermes e di Afrodite. Sulla base di quanto è noto del rito delle Arrhephòroi e del ruolo del Santuario di Afrodite dei Giardini sulle pendici settentrionali dell'Acropoli, si comprende perché nell'ufficiale raffigurazione ateniese della nascita di Erittonio sia presente anche la dea dell'amore, certamente in una nuova variante del tipo della dea con appoggio laterale, che immediatamente deriva dall'Afrodite di Daphni, confermando così l'attribuzione ad A. del gruppo delle statue di culto dell'Hephaistèion.
Un'identificazione delle statue di Efesto e di Atena appare difficoltosa, restando impreciso e problematico il loro rapporto gerarchico nella composizione al di sopra del comune basamento. Come appare chiaramente dalle diverse ricostruzioni di B. Sauer, G. P. Stevens, S. Karouzou, E. Diehl, E.B. Harrison e F. Brommer, il problema è accresciuto anche dalla difficoltà di scelta di una figura di Efesto del penultimo decennio del V sec. a.C. che sia senza alcun dubbio alcamenica. Un vasto consenso ha certamente incontrato la proposta di S. Karouzou, che collegando la raffigurazione su una lucerna fittile con l'erma del Vaticano, ha restituito la figura del dio in seconda posizione nella scala gerarchica. Difficoltà presenta anche l'utilizzazione a questo scopo del torso maschile con exomìs, scoperto da N. Pharaklas nel Museo Nazionale di Atene, non tanto per le obiezioni di natura iconografica espresse da F. Brommer, il quale ha controproposto il tipo di Ostia, quanto per gli aspetti cronologici e compositivi dell'opera. Nulla impedisce, tra l'altro, l'esistenza di più statue dello stesso dio, forse anche del medesimo artista, nella città dove questo era particolarmente venerato.
Come già osservava G. Lippold, difficilmente il dio sarebbe stato raffigurato in abiti da lavoro nella sua immagine ateniese dal carattere più rigorosamente ufficiale. Recentemente è stato proposto da M. D'Abruzzo di identificare l'immagine dell'Efesto di A. in una statua di marmo della Galleria degli Uffizi, a Firenze, già identificata con Asklepios. Presupposto per una futura soluzione dei problemi relativi a quest'opera è la precisazione del luogo, del tempo e del contenuto dell'intero complesso, nella sua connessione con le raffigurazioni del basamento. Relative difficoltà presenta anche l'individuazione della statua di Atena che, a quanto sembra, doveva occupare come pàredros di Efesto il secondo posto nell'ordine gerarchico sopra il basamento del gruppo. Per le stesse ragioni - ma non per le obiezioni di ordine stilistico opposte da B. Vierneisel Schlörb - non si può concordare con la candidatura dell'Atena di Velletri proposta da E.B. Harrison, e neppure con la vecchia ipotesi del tipo Cherchel-Ostia, già sostenuta da E. Reisch, che ancora sopravvive in diversi contributi. La Atena del gruppo cultuale dell'Hephaistèion doveva essere raffigurata come una giovane vergine, nel momento in cui si avvicina a Efesto per prendere lo scudo da questo eseguito per lei, quale è tramandata dal tipo «Ince». L'essenza particolarmente umana della figura spiega, d'altra parte, anche la risonanza che ebbe questo tipo iconografico, subito dopo la dedica dell'opera, in un gran numero di sculture contemporanee che in diversa misura ne costituiscono un riflesso.
Per quanto riguarda le altre creazioni dell'artista di cui esiste una testimonianza, si continua a sostenere l'identificazione proposta da A. Conze dell’Ares Borghese con la statua di culto di Ares nel tempio dell'agorà (Paus., I, 8, 4), nonostante le obiezioni di E. Langlotz e di J. Dörig. La statua di Atena Arèia che era posta vicino ad Ares nel tempio dell'agorà, opera di Lokros, uno scultore pario altrimenti ignoto, seguendo B. Schlörb, veniva identificata in un torso di Atena con egida obliqua dall'agorà di Atene.
La scoperta relativamente recente di una copia in buono stato di conservazione nel tempio della divinità guerriera Allat a Palmira, sembra confermare questa ipotesi, come anche la datazione dell'opera in epoca non posteriore al 431 a.C. Per la ricomposizione del gruppo certamente costituisce un problema la posizione preminente di Atena, che dipende piuttosto da alcune concrete ragioni di ordine mitologico o politico. In questo caso non sarebbe forse priva di qualche nesso l'interpretazione, sempre incerta, del puntello sulla gamba sinistra dell'Ares Borghese. Rimane problematica anche l'interpretazione dei rilievi rinvenuti in frantumi nell'area circostante, a parte la relazione con la decorazione della base, già sostenuta dal Delivorrias e la recente attribuzione di E.B. Harrison all'altare di Atena Parthènos.
Secondo Plinio le statue di culto opera di A. in santuarî ateniesi erano molte (complura). La tradizione manteneva il ricordo di un Dioniso criselefantino in uno dei due templi della zona del Teatro di Dioniso (Paus., I, 10, 3). Quest'opera, riconosciuta con sorprendente acume da E. Langlotz nel torso dell'ex Museo Lateranense, dovrebbe essere stata concepita, come giustamente ha sottolineato G. Neumann, prima del 431 a.C. e con una dipendenza non ancora rintracciabile dal Santuario di Dioniso en Lìmnais.
Diversi problemi relativi alla sua originaria collocazione, alle ragioni del suo probabile trasferimento, se non anche di una sua possibile riproduzione, restano tra i desiderata delle ricerche future. Lo stesso vale tanto per l'Asklepios di Mantinea che per ragioni storiche si colloca prima del 418 a.C. (Paus., VIII, 9, 1) quanto per la statua di culto dell'Asklepièion di Atene, per la quale è generalmente accettata la teoria che si tratti di una creazione dello stesso artista. Circa queste due opere continuano a formularsi ipotesi tra loro contrastanti con spunti per i più svariati approcci interpretativi dei tipi statuarî Berlino K211, Poggio Imperiale, Giustini e dello Zeus di Dresda. Ancora più oscura è l'immagine che continuiamo ad avere della statua in bronzo dell'atleta vincitore del pentathlon, che secondo l'ambigua, se non corrotta, testimonianza pliniana (Nat. hist., XXXIV, 72) era raffigurato come encrinòmenos.
Con l'officina di A. sono connessi diversi complessi di sculture architettoniche, come p.es. il frontone dell'Amazzonomachia dal Tempio di Apollo Sosiano, recentemente ricomposto da E. La Rocca. La sua presenza nella decorazione scultorea del Partenone non è stata ancora pienamente messa in luce, come d'altra parte anche il suo rapporto con la loggetta delle Kòrai dell'Eretteo. Molti sono peraltro i rilievi votivi e anche funerarî che possono attribuirsi al più vasto ciclo della sua produzione. Grazie ai primi si ricompone il tipo di Bendis che, con successo, S. Karouzou ha ritenuto di attribuire alla statua di culto del tempio della dea al Pireo. Con gli altri è collegata la base monumentale di una loutrophòros o lèkythos marmorea alla quale E. Langlotz attribuì i prototipi dei rilievi a tre figure, che riprendono una serie di tipi iconografici accertati come creazione del maestro.
Le opere di A. che si riconoscono con qualche sicurezza rilevano un'impressionante consequenzialità verso l'assimilazione e il mutamento della sostanza dell'ideale classico. Alimentate dall'irripetibile spirito dell'arte del Partenone e dall'insegnamento della tradizione attica, si distaccano da altre creazioni coeve per i principi che governano la struttura, le ponderazioni e il ritmo dei corpi con la stupefacente eleganza delle composizioni e con l'elaborazione tenuemente sensibile delle forme plastiche. L'invenzione assolutamente personale dell'appoggio riguarda soprattutto gli ulteriori sviluppi della scultura greca, da Cefisodoto a Prassitele fino al periodo ellenistico.
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Partenone: F. Brommer, Die Skulpturen der Parthenon-Giebel, Magonza 1963, p.97, n. 7; E. Berger, Zur Rekonstruktion der Peplosstatue aus dem Parthenon-Ostgiebel, in AntK, XV, 1972, p. 138 ss.; Β. Vierneisel-Schlörb, op. cit., pp. 96, nota 29, 110, 184; G. Despinis, Παρθενωνεια, Atene 1982, p. 44 ss.; per la testa pertinente cfr. A. Delivorrias, Zum Problem des Zeus im Ostgiebel des Parthenon, in Praestant Interna. Festschrift U. Hausmann, Tubinga 1982, p. 41 ss.; A. Mantis, Un nouveau fragment de la 10 métope sud du Parthenon, in BCH, CX, 1986, p. 231 ss. - Peplophòros dell 'agorà - Demetra di Thorikòs'. E.B. Harrison, New Sculpture from the Athenian Agorà 1954, in Hesperia, XXIX, i960, p. 371 ss.; H.A. Thompson, Activities in the Athenian Agora I9S9, ibid., p. 334 ss.; H.A. Thompson, R.E. Wycherley, The Athenian Agora, XIV. The Agora of Athens, Princeton (N.J.) 1972, p. 167 s.; A.Peschlow- Bindokat, Demeter und Persephone in der attischen Kunst des 6.-4. Jahrhunderts, in Jdl, LXXXVII, 1972, p. 130 s., nota 286; L. Beschi, in LIMC, IV, 1988, p. 825, n. 51, s.v. Demeter. - Demetra Capitolina: Β. Schlörb, op. cit., p. 38; H. von Steuben, in Heibig4, II, 1966, n. 1387; G. I. Despinis, Συμβολή..., cit., p. 178 ss.; A. Peschlow-Bindokat, loc.cit. D. Willers, ree. a W.H. Schuchhardt (ed.), AntPl, VIII, 1968 e IX, 1969, in Gnomon, XLVII, 1975, p. 501; H. Lauter, art.cit., p. 42 ss.; E. La Rocca, Sulle statuette Grimant, in ArchCl, XXVIII, 1976, p. 228 ss.; H. Knell, art.cit., p. 16 s.; B. Vierneisel- Schlörb, op. cit., p. 170 s., nota 10; G. Neumann, Probleme des griechischen Weihreliefs (Tübinger Studien zur Archäologie und Kunstgeschichte, 3), Tubinga 1979, p. 58 s.; v., contra, W. Fuchs, ree. a G.I. Despinis, Συμβολή..., cit., in Gnomon, LIV, 1982, p. 790 s.; E.B. Harrison, A Classical Maiden from the Athenian Agora, in Studies in Athenian Architecture, Sculpture and Topography Presented to H.A. Thompson (Hesperia, Suppl. 20), Princeton 1982, p. 50, nota 47; L. Beschi, art.cit., n. 55. - Hera del Falero: M.S. Brouskari, loc.cit.·, A. Kossatz-Deissmann, in LIMC, IV, 1988, p. 672, n. 103, s.v. Hera. - Peplophèros di Castelgandolfo: H. von Steuben, in Helbig4, IH, 1969, n. 2211; W.-H. Schuchhardt, op. cit., p. 22 ss.; H. Knell, art.cit., p. 16; Β. Vierneisel-Schlörb, op. cit., p. 170, nota 10; E. La Rocca, Amazzonomachia ..., cit., p. 69; E. Paribeni, in A. Giuliano (ed.), Museo Nazionale Romano, I. Le Sculture, I, Roma 1979, p. 35 s., n. 33; M.G. Picozzi, La peplophèros di Palazzo Sacchetti, in BdA, XXV, 1984, ρ. 1 ss. - Peplophèros di Pergamo: M. Garnand, Hellenistische Peplosfigùren nach klassischen Vorbildern, in AM, XC, 1975, pp. 6 ss., 23 ss., 32 ss., 42 ss., 46; A. Delivorrias, in LIMC, II, 1984, p. 22, n. 141, s.v. Aphrodite·, J.P. Niemeier, Kopien und Nachahmungen im Hellenismus. Ein Beitrag zum Klassizismus des 2. und 1. Jhr. v. Chr. (diss.), Bonn 1985, p. III ss.; Α. Kossatz-Deissmann, voce cit., p. 672, n. 105. - Hestia Giustiniani: A. Delivorrias, voce cit., p. 22, n. 139; R. Tölle- Kastenbein, Frühklassische Peplosfigùren. Typen und Repliken (AntPl, XX), Berlino 1986, p. 41; Α. Kossatz-Deissmann, art.cit., p. 671, n. 99. - Afrodite Olimpiade: E. Langlotz, Aphrodite in den Gärten (Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, 1953-54), Heidelberg 1954 (ree. M.J. Milne, in AJA, LX, 1956, p. 201-205); G. Becatti, Restauro dell'Afrodite seduta fidiaca, in Omaggio a R. Bianchi Bandinelli (StMisc, XV, 1969-70), Roma 1970, pp. 35-44; A. Delivorrias, Das Original der sitzenden «Aphrodite-Olympias», in AM, XCIII, 1978, ρ. 1 ss.; id., voce cit., p. 90 ss., nn. 819-841; G. Despinis, Η ικετιδα Barberini, in Πρακτικα του XII Διεθνούς Συνεδρίου Κλασικής Αρχαιολογίας, Αθήνα 1983, III, Atene 1988, p. 69. - Afrodite del Mercato: A. Delivorrias, art.cit., p. 31, nn. 197-199. - Afrodite dei Giardini - Afrodite di Daphni: B. Schlörb, op. cit., p. 17 ss.; A. Delivorrias, in AntPl, Vili, 1968, p. 19 ss. (trad, it., La statua di culto dell'Afrodite di Daphni, in E. La Rocca (ed.) L'esperimento della perfezione. Arte e società nell'Atene di Pericle, Milano 1988, p. 258 ss.); G. Neumann, Zur Würzburger Schale des Kodrosmalers, in AA, 1969, p. 242 ss.; D. Arnold, Die Polykletnachfolge (Jdl, Suppl. 25), Berlino 1969, in part. p. 59, nota 249; M. Robertson, op. cit., pp. 141, 285, nota 228; B.S. Ridgway, op. cit., p. 175; M. Andronikos, H Αφροδίτη της Θεσσαλονίκης, in AEphem, CXXIV, 1985, p. 1 ss. - Lastra del fregio orientale del Partenone: G. Despinis, Eva νεο θραύσμα απο την ανατολική πλευρά της ζωφορου του Παρθενώνα, in Κερνος. Τιμητικη προσφορά στον καθηγητη Γ. Μπακαλακη, Salonicco 1972, p. 35 ss.; - Gruppo dell'Ephedrismès: Α. Delivorrias, Attische Giebelskulpturen und Akrotere des 5. Jhs, Tubinga 1974, p. 33 ss.; E. La Rocca, Amazzonomachia..., cit., p. 69. - Gruppo cultuale dell'Hephaistèion: Sul tempio e la sua ornamentazione: J. Travlos, Bildlexikon zur Topographie des Antiken Athen, Tubinga 1971, p. 261 ss.; H.A. Thompson, R. Whycherley, op. cit., p. 145 s.; A. Delivorrias, Giebelskulpturen..., cit. p. 16 ss.; F. Feiten, Griechische tektonische Friese archaischer und klassischer Zeit, Waldsassen 1984, pp. 45 ss., 57 ss.; J. Dörig, La frise est de l'Héphaisteion, Magonza 1985. - Per le statue e la loro base: S. Papaspyridi-Karusu, art.cit., p. 72 ss.; E. Diehl, Ein klassisches Bild des Hephaistos, in AA, 1963, c. 753; N. Pharaklas, Αντίγραφο κλασσικού έργου, in ADelt, XXI, A'Mel., 1966, p. 112 ss.; S. Karouzou, Statuette d'Héphaistos en bronze, in RA, 1968, 1, p. 131 ss.; G. Neumann, Zur Würzburger Schale..., cit., p. 247 s.; W.-H. Schuchhardt, op. cit., p. 37 ss.; W. Fuchs, art.cit., p. 34, nota 13; F. Brommer, Hephaistos, Magonza 1978, p. 75 ss.; B. Vierneisel-Schlörb, op. cit., p. 142 s., appendice, p. 183, nota 12 a; M. D'Abruzzo, Il gruppo di Efesto e Atena, opera di Alcamene (Istituto veneto di scienze, lettere e arti. Memorie, XXXVIII, 1), Venezia 1981, pp. 7-36; A. Delivorrias, Sparagmata. Aus der klassischen Ikonographie der Athena, in H. Kyrieleis (ed.), Archaische und klassische griechische Plastik 2, Akten des Internationalen Kolloquiums 1985 in Athen, Magonza 1986, p. 149 ss.; A. Linfert, Quellenprobleme ..., cit., p. 33 ss. - Per il rilievo «di Paride e Elena» al Vaticano: Th. Stephanidou-Tiveriou, Νεοαττικα, Οι αναγλυφοι πίνακες απο το λιμάνι του Πειραια, Atene 1979, p. 57, nota 3; - Statue di culto di Ares e Atena: per il Tempio di Ares: J. Travlos, op. cit., p. 104 s.; H.A. Thompson, R. Wycherley, op. cit., p. 162 ss. - Per il tipo dell'Ares Borghese: B. Freyer-Schauenburg, Zum Kultbild und zum Skulpturenschmuck des Ares Tempels auf der Agora in Athen, in Jdl, LXXVII, 1962, p. 211 ss.; J. Inan, Roman Copies of Some Famous Greek Statues from Side, in AntPl, XII, 1972, p. 69 ss.; W.-H. Schuchhardt, op. cit., p. 33 ss.; Β. Vierneisel-Schlörb, op. cit., p. 178 ss.; Ph. Bruneau, L'«Arès Borghese» et l'Arès d'Alcamène ou De l'opinion et du raisonnement, in Rayonnement Grec..., cit., pp. 177-199. - Per giudizi diversi cfr. E. Langlotz, Alkamenes..., cit., p. 14, n. 27; E.E. Schmidt, Die Mars- Venus-Gruppe in Museo Capitolino, in AntPl, VIII, 1968, p. 85 ss.; J. Dörig, Lykios fils de Myron, in Akten des XIII. Internationalen Kongresses für Klassische Archäologie, Berlin 1988, Magonza 1990, p. 300 ss. (con attribuzione a Lykios). - Per l'Atena Arèia: B. Schlörb, op. cit., p. 35 (con attribuzione ad Agorakritos); G. Despinis, Συμβολή..., cit., p. 187 ss.; A. Delivorrias, Giebelskulpturen..., cit., p. 95 ss.; id., Sparagmata ..., cit., p. 153 s. (con indicazioni relative all'Atena di Palmira). - Per i rilievi: E.B. Harrison, The Classical High-Relief Frieze from the Athenian Agora, ibid., p. 109 ss.; A. Delivorrias, To βάθρο της Αθήνας Παρθένου και ο γλυπτικός του διάκοσμος, in Πρακτικα XII Διεθνούς Συνεδρίου..., cit., ρ. 59 s., nota 34- Cfr. anche Β. Vierneisel-Schlörb, op. cit., p. 181 s.; W.-H. Schuchhardt. op. cit., pp. 15 s., 37; E. La Rocca, Amazzonomachia ..., cit.,p. 69. - Statua di culto di Dioniso: E. Langlotz, Alkamenes..., cit., p. 3 ss.; G. Neumann, Διόνυσος εν λιμναις, in Στηλη. Τόμος εις μνημην Ν. Κοντολεοντος, Atene 1980, ρ. 615 ss.; C. Gasparri, in LIMC, III, 1986, p. 431, n. 83, s.v. Dionysos. - Tipi statuari classici di Asklepios: B. Schlörb, op. cit., p. 31; G. Heiderich, Asklepios (diss.), Friburgo 1966, p. 36 ss.; P. Mingazzini, Lo Zeus di Dresda, lo Zeus di Cirene, lo Zeus di Faleri e lo Zeus di Fidia, in ASA tene, XLVII-XLVIII, n.s. XXXI-XXXII, 1969-1970, pp. 71-84; L. Beschi, Rilievi votivi attici ricomposti, ibid., pp. 85-132; G. Despinis, Συμβολή..., cit., p. 133 ss.; B. Vierneisel-Schlörb, op. cit., pp. 151, nota 3, 216 ss.; E. Berger, Zwei neue Skulpturenfragmente im Basler Ludwig-Museum. Zum Problem des «Asklepios Giustini», in Praestant Interna..., cit., p. 63 ss.; E.B. Harrison, A Classical Maiden ..., cit., pp. 44 s., 47; B. Holtzmann, in LIMC, II, 1984, p. 890 ss., s.v. Asklepios. - Frontone del Tempio di Apollo Sosiano: E. La Rocca, Amazzonomachia..., cit., passim. - Kbrai dell'Eretteo: E.E. Schmidt, Die Kopien der Erechtheion Koren (AntPl, XIII), Berlino 1973, p. 7 ss.; H. Lauter, Die Koren des Erechtheion (AntPl, XVI), Berlino 1976, in part. p. 42 ss. - Statua di culto di Bendis del Pireo: S. Papaspyridi- Karouzou, art.cit., p. 75 s.; B. Schlörb, op. cit., p. 29, nota 18; Ζ. Goceva, D. Popov, in LIMC, III, 1986, p. 95 s., s.v. Bendis. - Rilievi a tre figure: E. Langlotz, Das Hesperiden-Relief Albani, in Bonner Festgabe J. Straub, Bonn 1977, p. 91 ss.; B. Vierneisel-Schlörb, op. cit., p. 182; B.S. Ridgway, op. cit., p. 208; J. Starcky, in LIMC, I, 1981, p. 566 s., n. 28, s.v. Allath; E. Di Filippo Balestrazzi, Il rilievo di Ares ed Afrodite nel Museo Archeologico di Venezia, in Venezia e l'archeologia. Un importante capitolo nella storia del gusto dell'antico nella cultura artistica veneziana, Venezia 1988 (RdA, Suppl. 7), Venezia 1989, pp. 237-246.
(A Delivorrias)