2001: A Space Odyssey
(USA/GB 1965-68, 1968, 2001: Odissea nello spazio, colore, 141m); regia: Stanley Kubrick; produzione: Stanley Kubrick per MGM; soggetto: dal racconto The Sentinel di Arthur C. Clarke; sceneggiatura: Arthur C. Clarke, Stanley Kubrick; fotografia: Geoffrey Unsworth; effetti speciali: Stanley Kubrick, Douglas Trumbull, Wally Veevers, Con Pederson, Tom Howard; montaggio: Ray Lovejoy; scenografia: Ernest Archer, Harry Lange, Anthony Masters; costumi: Hardy Amies.
L'alba dell'uomo. In una landa desolata, circondata da rocce aride, pantere feroci e placidi tapiri, sopravvive a stento una tribù di scimmie. L'unica fonte d'acqua è oggetto di continue scaramucce con un gruppo rivale. Un mattino, la scimmia dominante sveglia gli altri con grugniti ansiosi. Davanti alla grotta si erge un perfetto parallelepipedo, opaco e senza asperità. Tra timore e curiosità, il branco si avvicina al monolito e lo sfiora con le dita. Poi (dopo un'ora, un giorno, un anno) il capotribù è accovacciato davanti alla carcassa di un tapiro. Guarda il monolito. Afferra un osso. E vede: tapiri schiantarsi, crani fracassati, distruzione. Vede: l'osso. Vede: l'arma. La pantera che ogni giorno esigeva il suo macabro pasto sarà abbattuta, è abbattuta. La tribù che rivendicava il dominio dell'acqua sarà sgominata, è sgominata. Il monolito è scomparso, e molto resta da compiere con quell'osso che la scimmia ‒ l'uomo ‒ scaraventa in cielo, accompagnando il volo con un urlo di conquista. L'osso sale, sale; poi inizia la lenta discesa di un vascello spaziale. Tutt'intorno, nel cosmo che circonda la Terra, volteggiano astronavi e satelliti: un valzer. È il 1999. Il vascello trasporta il dottor Floyd, in missione segreta. Un artefatto alieno è stato rinvenuto in un cratere lunare. Un parallelepipedo, opaco e regolare. Floyd e i suoi colleghi si avvicinano, curiosi e stupefatti; e con i loro rozzi guanti d'astronauta toccano il monolito. Che emette un sibilo acuto. Verso Giove.
Missione Giove. 18 mesi dopo. Il Discovery solca lo spazio infinito. All'interno, sei passeggeri, diretti verso Giove. L'obiettivo della missione è noto solo ai tre scienziati in ibernazione. La navigazione è supervisionata da Frank Poole e da Dave Bowman. Ma in realtà l'equipaggio è sotto il controllo del sesto passeggero, HAL 9000. Un computer. L'ultima creazione dell'uomo, la più perfetta. A Dave e Frank non resta che giocare a scacchi, poltrire sotto gli ultravioletti, fare ginnastica, e dormire. Un giorno, HAL annuncia un guasto imminente dell'antenna radio. È necessaria un'escursione nello spazio. Bowman esce dal Discovery per sostituire il pezzo sospetto. Le analisi non mostrano alcun difetto: HAL si è sbagliato. Dave e Frank si appartano in una capsula spaziale, per prendere gravi decisioni: Frank compirà una nuova escursione, per ricollocare il pezzo; poi i due disconnetteranno HAL, conservando solo i circuiti essenziali. Nella capsula, HAL non può sentirli. Ma il suo occhio scarlatto può vederli. E vede: i movimenti delle loro labbra. Nel silenzio dello spazio, Frank esce dalla capsula e si libra sull'antenna. La capsula ‒ teleguidata da HAL ‒ apre le tenaglie e si avventa su di lui. Dave esce a sua volta per recuperarlo. Troppo tardi; in assenza di Dave, HAL interrompe le funzioni vitali dei tre scienziati, e blocca gli accessi del Discovery. Dave riesce comunque a rientrare, penetra nella stanza di HAL e ne sconnette, uno alla volta, i circuiti. Il Discovery è un relitto alla deriva. Ma ormai Giove è vicino, e la capsula individuale è ancora funzionante.
Giove e oltre l'infinito. Nello spazio appare il monolito. E davanti alla capsula si apre un varco. Dave viene risucchiato. I suoi occhi grigioazzurri vedono: caleidoscopi di forme, luci e colori. Galassie, nebulose, esplosioni di supernova. Vedono: canyon blu, oceani rossi, deserti. Vedono: una stanza. Arredata con gusto settecentesco, illuminata come un ospedale, funzionale come la suite di un albergo. Dave vede: sé stesso, senza scafandro. Il quale vede: sé stesso, invecchiato, intento a cenare. Lascia cadere il calice di vino. Quando rialza il capo, l'anziano Dave vede: sé stesso, vecchissimo, steso sul letto, agonizzante. Prima di morire, ritto dinanzi a sé, Dave vede: il monolito. Tende la mano artritica. Forse è il monolito a vedere, raggomitolato sul letto: un feto. Il feto entra nel monolito. Ed esce nello spazio. E nello spazio, mentre ruota lentamente su sé stesso, i suoi grandi occhi grigioazzurri vedono: noi, e la Terra.
Il progetto di 2001: A Space Odyssey fu annunciato fin dal 21 febbraio 1965, destando curiosità proporzionali alla segretezza assoluta che ammantava l'impresa. Il potere di Stanley Kubrick si era consolidato grazie al successo di Dr. Strangelove, or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb (Dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba, 1964), e ora il regista poteva permettersi di realizzare un sogno che risaliva al 1957: rivoluzionare un genere apprezzato dal pubblico ma disprezzato dalla critica, fare il primo film di fantascienza per adulti. Lo stesso regista riassunse l'ambizione dell'opera: "2001 è un'esperienza di tipo non verbale. Ho cercato di creare un'esperienza visiva che trascendesse i limiti del linguaggio e penetrasse direttamente nel subconscio con la sua carica emotiva e filosofica". Quel che colpisce guardando 2001 è la ieratica lentezza (sebbene la durata del film non sia così anomala, e comunque meno delle due ore e quaranta della prima versione presentata ai critici), i tempi morti, i lunghi silenzi (pochissimi i dialoghi e puramente informativi, compitati con tono gelido e pause sterminate tra le battute, nelle sequenze del prologo e dell'epilogo non si sente una parola), l'azione in senso tradizionale quasi inesistente (ridotta alla suspense della 'follia' del computer), l'assenza di espressioni sentimentali (molti sostengono che l'unica scena davvero commovente sia la 'morte' del computer). Effetti speciali insuperati, precisione assoluta nella costruzione dei modellini, cura meticolosa nella descrizione dei minimi dettagli (talvolta volontariamente ridicoli) della vita nello spazio: l'intenzione di Kubrick era di dare la sensazione di assistere a un documentario sul futuro, un trattato antropologico sull'uomo a venire, in cui la ricerca di verosimiglianza scientifica fosse perlomeno altrettanto importante che il suo fascino fantastico. E restituisse al termine di fantascienza il suo significato letterale, come dichiarò l'autore: "Credo che qualsiasi forma di design ponesse due problemi. Uno era: vi sarà qualcosa che possa apparire inverosimile rispetto a quel che la gente immagina del futuro? L'altro era: sarà interessante?".
Trovandosi ad affrontare un oggetto così insolito, molti critici reagirono con sbadigli e ostilità; l'opera ne risentì commercialmente per alcune settimane, prima di risalire la china grazie al passaparola delle controculture che se ne appropriarono, forse indebitamente. Oggi è uno dei film che conta il maggior numero di interpretazioni (filosofiche, scientifiche, cinematografiche), e un capolavoro della cultura occidentale.
Interpreti e personaggi: Keir Dullea (David Bowman), Gary Lockwood (Frank Poole), William Sylvester (Dr. Heywood Floyd), Douglas Rain (voce di HAL), Daniel Richter ('Moonwatcher', il capo delle scimmie), Leonard Rossiter (Andrei Smyslov).
M. Kozloff, 2001, in "Film Culture", n. 48-49, winter-spring 1970.
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The making of '2001: A Space Odyssey', a cura di S. Schwam, New York 2000.
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Sceneggiatura: 2001: A Space Odyssey, New York 1993.