di Valeria Giannotta
Scrivere la storia recente della Turchia sarebbe impossibile senza il diretto riferimento all’Adalet ve Kalkınma Partisi (Akp) la cui fondazione e i tre consecutivi successi elettorali (nel 2002, nel 2007 e nel 2011) sono da considerarsi un vero e proprio spartiacque nella gestione politica del paese. Facendo capolino sulla scena politica il 3 novembre 2002 con un’importante maggioranza del 34,28%, la nuova formazione Akp è stata nella posizione di formare un governo a partito unico e creare una forte asimmetria con l’establishment kemalista e l’opposizione che si è trovata da subito in posizione marginale. Nel riuscito tentativo di interpretare i problemi della società e fornire valide soluzioni in termini di servizi, l’Akp ha avviato una sorta di rivoluzione conservatrice volta a creare una cornice morale per le istituzioni e i network politici. La popolarità di Erdoğan, abile a stabilire un forte senso di identità con le persone comuni, ha rappresentato un valore aggiunto, spingendo il partito in una posizione sempre più dominante all’interno del sistema. La seconda vittoria nazionale nel 2007 (46,7% dei voti) è stata particolarmente significativa soprattutto perché più che su cleavages ideologici, il successo si é basato sulla performance del governo e sul supporto proveniente dai settori curdi come esito del tentativo di normalizzazione delle relazioni tra l’est anatolico e il resto del paese. L’esito favorevole del referendum del 12 settembre 2010 ha poi legittimato le modifiche nella composizione della Corte Costituzionale e del Consiglio della magistratura, polarizzando però l’opinione pubblica e accrescendo i timori di infiltrazioni ideologiche all’interno degli organi preposti a salvaguardare il kemalismo. La natura pragmatica del sostegno elettorale, basato principalmente su valutazioni economiche e aspettative di innalzamento del benessere (nel 2011 la crescita economica ha raggiunto picchi del 9%) è stato il motore del risultato plebiscitario del 12 giugno 2011 che, con il 50% dei voti, ha riconfermato l’Akp alla guida del paese fino al 2015. La percezione pressoché positiva della classe dirigente è stata confermata anche in politica estera. ‘Zero problemi con i vicini’ è il motto che ha guidato l’attività diplomatica, con il chiaro intento di innalzare la Turchia a leader regionale e modello di ispirazione per i contesti investiti dalla Primavera araba. Sin dall’inizio del terzo mandato è divenuto sempre più evidente che l’incontrastato favore del pubblico verso l’Akp riflette l’importanza accordata all’aspetto religioso nell’elaborazione delle politiche, e tale componente è diventata il fulcro delle tensioni con quella parte di società che non si rispecchia nella retorica morale del governo. Nonostante gli scontri di piazza iniziati a Gezi Park, si é mantenuta una salda stabilità politica, anzi il consenso intorno al programma dell’Akp si è addirittura rafforzato - come è stato provato dalla vittoria della maggior parte dei distretti locali nel marzo 2014. Cinque mesi dopo Recep Tayyip Erdoğan è diventato il dodicesimo presidente della Repubblica, il primo eletto direttamente dal popolo. Con Ahmet Davutoğlu primo ministro in vista della prossima chiamata alle urne di giugno 2015, il principale obiettivo della Yeni Türkiye è la redazione di una nuova Costituzione che modifichi formalmente l’attuale sistema parlamentare in uno semi-presidenziale, garantendo al presidente maggior controllo del ramo legislativo e giudiziario. Non vi è dubbio che quella di oggi sia una nuova Turchia, i cui i rigidi cliché imposti dal sistema kemalista sono stati compromessi e l’influenza militare è stata eliminata. La cosiddetta ‘apertura democratica’ nei confronti dei curdi e il processo negoziale intavolato con il leader del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) Abdullah Öcalan è il caposaldo delle recenti dinamiche del paese. Tuttavia, mentre il processo di pace ha coinciso con una serie di misure volte a rafforzare la fiducia reciproca, tra cui il lancio di un pacchetto di riforme del sistema giudiziario, oggi le opzioni per risolvere realisticamente la questione sono ancora sul tavolo. A complicare il quadro interviene la geopardizzazione del contesto regionale. Il precipitare della situazione in Siria e la conseguente avanzata della minaccia terroristica ha infatti generato un effetto di spillover all’interno dei confini turchi, infiammando gli animi curdi. E verosimilmente sarà lo spessore di questa fault line – cartina tornasole della abilità di Ankara a superare l’empasse tutelando gli interessi del processo negoziale in corso – il vero banco di prova dell’incontrastabile tenuta dell’Akp. Se a tale criticità si aggiungono le sfide poste dalla congiuntura economica e finanziaria, dalla stasi del cammino di adesione all’Unione Europea e dalla vacillante credibilità che purtroppo la Turchia ha agli occhi occidentali, il futuro non si prospetta particolarmente roseo. Comunque, il dato certamente inequivocabile é che la parabola dei successi degli ultimi 13 anni é la grande prerogativa del pragmatismo dell’Akp, mentre i gruppi all’opposizione, trincerandosi da tempo dietro il vicolo cieco della contestazione per de fault, confermano la propria incapacità a porsi come valida alternativa.