À bout de souffle
(Francia 1959, 1960, Fino all'ultimo respiro, bianco e nero, 89m); regia: Jean-Luc Godard; produzione: Georges De Beauregard per La Société Nouvelle de Cinéma; soggetto: François Truffaut; sceneggiatura: Jean-Luc Godard; fotografia: Raoul Coutard; montaggio: Cécile Decugis; musica: Martial Solal.
Michel Poiccard è un piccolo delinquente di Marsiglia, strafottente e nevrotico. Ruba una macchina sportiva, parla e guarda nella macchina da presa, fa un sorpasso vietato e si fa beccare dalla polizia. Allora tira fuori una pistola, uccide uno dei due poliziotti e fugge verso Parigi. Sugli Champs Élysées incontra Patricia, studentessa americana e aspirante giornalista, che per tirare avanti vende l'"Herald Tribune" per la strada. Il rapporto tra i due è fatto di continue schermaglie, discussioni e indecisioni amorose: Michel vorrebbe che la ragazza lo seguisse in Italia, Patricia tentenna. La polizia, nel frattempo, ha identificato Michel. La sua foto appare sui giornali con la notizia dell'omicidio. Dopo aver recuperato del denaro che gli era dovuto, Michel, davanti a un poster di Humphrey Bogart, si accarezza le labbra lentamente con un dito, imitando il divo americano. Incontra di nuovo Patricia, che non ha tempo per lui: deve andare a un incontro di lavoro con un giornalista americano che si è offerto di aiutarla. Michel fa buon viso a cattivo gioco, segue Patricia e la spia mentre è con l'uomo. La ragazza passa la notte con il giornalista, ma quando il mattino seguente torna in albergo, trova nel suo letto Michel ad attenderla. I due parlano, scherzano, amoreggiano, poi escono. Indeciso tra la fuga e Patricia, Michel ruba un'altra automobile per accompagnare la ragazza a Orly, dove deve svolgere il suo primo incarico da giornalista: la conferenza stampa di uno scrittore. Intanto un passante riconosce Michel e avverte la polizia. Dopo essere scampato alla trappola di un concessionario di automobili che avrebbe voluto truffare, Michel sfugge per poco a un pedinamento da parte della polizia. Michel e Patricia passano un'ultima notte d'amore nello studio di un amico fotografo. Di mattina presto Patricia sgattaiola via e va a denunciarlo. Al ritorno, confessa a Michel quel che ha fatto: questi, con indolenza, le dice di essere stanco di lottare. Poco dopo, in strada, dopo un goffo tentativo di fuga, colpito alle spalle dai proiettili della polizia, Michel crolla a terra. Patricia accorre angosciata, mentre Michel, moribondo, la insulta: "Sei una schifosa". Patricia dice di non capire le ultime parole di Michel.
Film d'esordio nel lungometraggio di Jean-Luc Godard, già critico dei "Cahiers du cinéma", sulla base di un vecchio soggetto di Truffaut, À bout de souffle è allo stesso tempo un saggio di estetica della nascente Nouvelle vague, un gesto cinéphile di amore per il cinema classico e uno dei tasselli più importanti del rinnovamento linguistico del cinema degli anni Sessanta. Con esso ha inizio il percorso radicale del regista nella trasgressione sistematica delle regole base della narrazione cinematografica: dal montaggio (la cui continuità logica è rotta da infrazioni all'epoca vistose, come i raccordi fuori asse e le ellissi cronologiche in una stessa scena) alla giustezza dell'inquadratura (sono frequenti gli sguardi in macchina, scene dove chi parla o il suo controcampo sono decentrati rispetto all'asse di visione, ecc.), il film effettua una serie di scelte stilistiche che permettono al regista un recupero della casualità e dei tempi morti in funzione espressiva che ha poche pietre di paragone, a parte il contemporaneo lavoro di Michelangelo Antonioni in Italia, e genera una sorta di effetto straniante continuo. Il gioco colto e provocatorio della citazione di codici e stilemi del cinema classico (dall'imitazione di divi come Bogart, intravisti su poster di film, al recupero della chiusura a iris come raccordo), insieme all'atteggiamento disincantato e scimmiottante dei personaggi che riflette lo sguardo anarcoide del regista-autore, cui va ad aggiungersi la suggestione del recupero della norma neorealista delle riprese effettuate in strada, fanno da griglia espressiva a un'accattivante non-storia fondata sull'incontenibile umoralità dell'amore, giocata in un'atmosfera che occhieggia al film poliziesco di serie B americano (come testimonia la dedica alla casa di produzione statunitense Monogram). La 'scorrettezza' dei personaggi nelle loro ambigue scelte di vita e nell'assoluta mancanza di lealtà reciproca si riflette con irriverenza nella sconnessione e apparente spontaneità dei loro lunghi dialoghi e nei gesti incoerenti, che sottraggono importanza alla trama narrativa e creano una tensione di racconto situazionale, in gran parte basata sulla forza espressiva di Jean-Paul Belmondo e di Jean Seberg e sulla messa in gioco dei loro tic e delle loro manie. Anche il finale, drammatico e al contempo così calcato da diventare ironico, con l'esplicita allusione all'incomunicabilità e all'estraneità tra i due amanti, che va ben oltre il problema dell'incomprensione linguistica, è un segno del tempo (si pensi al finale, perfettamente coevo, di La dolce vita).
Altro aspetto sostanziale della 'rivoluzione' intentata da À bout de souffle fu quello della scommessa produttiva: girato a bassissimo costo, in diversi casi senza l'autorizzazione per le riprese in strada e in tempi ridottissimi, il film divenne di fatto una denuncia politica della retorica del cinema come gigantesca e irrinunciabile gabbia industriale. La novità nell'uso prepotente della colonna musicale, la nitida e movimentata fotografia di Raoul Coutard e le continue trovate di regia di Godard fruttarono al film immediati riconoscimenti da parte della giovane critica militante, contro cui poco poterono le vaghe accuse di anarchismo della critica ufficiale più paludata. Premiato al Festival di Berlino con l'Orso d'oro alla migliore regia, il film conta anche un remake hollywoodiano: Breathless (All'ultimo respiro, 1983), diretto da Jim McBride e interpretato dal divo Richard Gere e da Valérie Kaprisky.
Interpreti e personaggi: Jean-Paul Belmondo (Michel Poiccard, alias Laszlo Kovacs), Jean Seberg (Patricia Franchini), Henri-Jacques Huet (Antonio Berruti), Van Doude (giornalista), Claude Mansard (rivenditore d'au-to), Daniel Boulanger (ispettore Vital), Liliane Robin (Liliane), Michel Fabre (secondo ispettore di polizia), Jean-Luc Godard (la spia), Jean-Pierre Melville (Parvulesco), Richard Balducci (Tolmatchoff), Roger Hanin (Carl Zombach), Jean Domarchi (ubriaco aggredito), Jean-Louis Richard (un giornalista), André S. Labarthe (giornalista a Orly), Jean Herman (soldato che chiede da accendere), Jean Douchet (passante nella scena dell'incidente), Gérard Brach (fotografo dello studio), Jacques Siclier, Michel Mourlet, Philippe de Broca, Guido Orlando, Jacques Serguine, Virginie Ullmann, Émile Villon, José Bénazéraf, Madame Paul, Raymond Ravanbaz, François Moreuil.
L. Moullet, Jean-Luc Godard, in "Cahiers du cinéma", n. 106, avril 1960.
M. Morandini, Fino all'ultimo respiro, in "Schermi", n. 27, novembre 1960.
J. Collet, Jean-Luc Godard, Paris 1963.
D. Andrew, Au début du souffle: le culte et la culture d''À bout de souffle', in "Revue belge du cinéma", n. 16, été 1986.
M. Marie, 'À bout de souffle': une tragédie du langage et de la communication impossible, in "CinémAction", n. 52, juillet 1989.
A. Farassino, Jean-Luc Godard, Milano 1997.
Sceneggiatura: in "L'avant-scène du cinéma", n. 79, mars 1968 (trad. it. in J.-L. Godard, Cinque film, Torino 1972).