A Cancun un accordo al ribasso sul clima
La conclusione della sessione annuale della conferenza ONU sul clima tenutasi a Cancun, in Messico, è stata salutata da un lungo applauso da parte dei rappresentanti dei 193 paesi che hanno partecipato ai lavori. Con essa, infatti, è svanito il pericolo di rivivere il fallimento registrato lo scorso anno alla conclusione della precedente sessione tenutasi a Copenhagen. In quell’occasione Cina e Stati Uniti fecero capire sin dall’inizio che avrebbero tentato di raggiungere un accordo puramente politico e non vincolante. E così puntualmente avvenne: le parti si limitarono a prendere nota di una proposta avanzata da USA, Brasile, Cina, India e Sudafrica che chiedeva ai paesi di impegnarsi a limitare l’innalzamento delle temperature entro i 2 gradi Celsius rispetto ai livelli precedenti l’industrializzazione senza però dare indicazioni precise su tempi e modi attraverso cui realizzare questo obiettivo.
Stavolta al termine della sedicesima ‘Conferenza delle Parti’, i commentatori si sono equamente divisi su due fronti. Quelli ottimisti, che hanno esaltato il bicchiere mezzo pieno di un accordo che, a loro dire, spiana la strada a un prossimo trattato internazionale finalmente vincolante, da raggiungere nell’appuntamento negoziale previsto a fine 2011 a Durban, in Sudafrica. Quelli pessimisti che invece hanno messo in risalto il fatto che il testo approvato resta ancora una volta troppo vago sulle modalità per raggiungere i vari obiettivi in esso declinati, soprattutto relativamente alla questione centrale e più spinosa, ovvero gli impegni dei singoli paesi per ridurre le proprie emissioni di gas serra entro il 2020: una sostanziale mancanza di vincoli che induce a considerare le decisioni prese come dei semplici buoni propositi.
I termini generali dell’accordo
La conferenza è così faticosamente giunta a sottoscrivere un accordo basato sull’adozione di un ‘pacchetto bilanciato’ di decisioni che dovrebbero spingere i governi a percorrere con maggiore convinzione la strada verso una riduzione dei gas serra con una rinnovata azione di contrasto al cambiamento climatico in atto.
I delegati intervenuti alla conferenza avevano di fronte un compito che sembrava quasi impossibile: da un lato si avevano la prossima scadenza, nel 2012, del Protocollo di Kyoto e l’esigenza di ottenere l’adesione a impegni vincolanti da parte di Stati poco propensi a farlo, primi fra tutti Cina e Stati Uniti. Dall’altra c’erano i paesi più direttamente minacciati dal riscaldamento climatico.
L’accordo raggiunto è un capolavoro di diplomazia che riesce a tenere assieme l’obiettivo di limitare la crescita della temperatura da un lato e gli interessi dei vari Stati dall’altro.
A un prezzo non trascurabile: quello di rinviare la definizione degli impegni vincolanti di taglio delle emissioni per ciascun paese, un traguardo che dovrebbe essere raggiunto il prossimo anno, ultimo momento utile per approvare e ratificare un piano globale a difesa del clima nel periodo successivo al 2012. Sarà infatti nella conferenza del 2011 di Durban che i numeri oggi inseriti nel testo finale come quadro di riferimento scientifico dovranno assumere la forma di un impegno vincolante.
L’accordo nel dettaglio
Viene creato un Fondo verde per il clima, per dare impulso nel mondo all’economia ambientalista con un budget di 100 miliardi di dollari all’anno gestito per tre anni dalla Banca mondiale e da 40 paesi membri (25 in via di sviluppo e 15 industrializzati).
Si prevedono investimenti, pari a 30 miliardi di dollari entro il 2012 e a 100 entro il 2020, dai paesi industrializzati verso i paesi in via di sviluppo per promuovere iniziative di contrasto al riscaldamento globale.
Mediante trasferimenti tecnologici e finanziari, si decide di rafforzare l’azione per arrestare la deforestazione nei paesi tropicali, che contribuisce considerevolmente al riscaldamento planetario perché le foglie degli alberi sono in grado di assorbire naturalmente l’anidride carbonica.
Viene istituito un Comitato tecnologico per migliorare sviluppo e trasferimento di tecnologie a sostegno di azioni di contenimento delle emissioni e di adattamento ai mutamenti climatici. Nasce anche un Centro per la tecnologia climatica che cercherà di coordinare un network planetario, dove incrociare domanda e offerta di soluzioni avanzate per il controllo delle emissioni.
Viene promossa un’azione urgente per evitare che le temperature globali salgano più di 2 °Celsius senza però specificare obiettivi precisi e vincolanti della riduzione di gas serra per tenere sotto controllo le temperature. Si chiede anche agli scienziati di verificare se si dovrà abbassare l’obiettivo sulle temperature a 1,5 °Celsius, accogliendo le preoccupazioni delle piccole isole (vedi Maldive) che temono letteralmente di sparire per l’innalzamento delle acque degli oceani causato dallo scioglimento dei ghiacci.
Si afferma che il Protocollo di Kyoto deve continuare dopo la sua scadenza naturale, il 2012, e che i paesi che vi aderiscono dovranno tagliare le loro emissioni di CO2 da un minimo del 25 a un massimo del 40%.
Si sottolinea l’importanza di coinvolgere il settore privato nelle azioni di riduzione dei gas serra e di adattamento ai mutamenti climatici, con un esteso invito agli stakeholders (portatori di interessi).
Le Conferenze di Cancun
Le riunioni tenutesi a Cancun dal 29 novembre al 10 dicembre hanno visto al lavoro due commissioni: la sedicesima Con;ferenza delle Parti (COP 16) e la sesta Conferenza delle Parti aderenti al Protocollo di Kyoto (CMP 6). La COP 16 raggruppa le 193 nazioni che nel 1992 firmarono un trattato internazionale – la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) – per iniziare a mettere in campo strategie per ridurre il riscaldamento globale del pianeta e far fronte agli aumenti di temperatura inevitabili. Della CMP 6 fanno parte paesi industrializzati che hanno sottoscritto il cosiddetto Protocollo di Kyoto, entrato in vigore nel 2005, che contiene misure vincolanti per i paesi aderenti, atte a favorire la riduzione di emissioni dei gas a effetto serra.