A ciascun'alma presa e gentil core
. Primo sonetto della Vita Nuova (III 10-12). A D., passati nove anni dal giorno fatidico del suo incontro con Beatrice, la quale gli era apparsa vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno (II 3), avvenne di essere salutato nuovamente dalla gentilissima, e il suono di quelle parole di saluto pronunciate soltanto dalla cortesia ineffabile di lei ebbero effetto inebriante e meraviglioso; fuggendo allora la gente, si rifugiò in luogo solitario e appartato per poter pensare in raccoglimento a colei che così cortese si era mostrata. Pensandola, gli sopraggiunse un sonno soave nel quale apparve una meravigliosa ed enigmatica visione che, quando si destò, formulò il proposito di fissare in poesia per farla conoscere ad alcuni famosi poeti affinché potessero esplicarla e scioglierne l'enigma. Scrisse così il sonetto, nel quale manca tuttavia qualsiasi accenno al saluto, manca la nebula colore di fuoco, non è detto che Amore parlasse e che le sue parole fossero oscure così che il suo fedele non intendea se non poche, né che il drappo in cui madonna era avvolta fosse sanguigno, né che per l'amoroso sognatore essa fosse la donna de la salute; cose tutte codeste che si leggono nel racconto in prosa (cap. III). Infine nel sonetto non appare evidente che Amore andasse con madonna verso il cielo, come lascia intendere invece chiaramente la prosa. E se nelle loro risposte i fedeli d'Amore, Guido Cavalcanti (Vedeste, al mio parere, onne valore) e Cino o Terino da Castelfiorentino (Naturalmente chere ogni amadore), non furono capaci di interpretarlo, e se, d'altra parte, come il poeta dice, ora è manifestissimo a li più semplici, ciò significa ché la prosa è un posteriore adattamento e un'amplificazione interpretativa della visione. D., dopo la morte di Beatrice, legge l'ambiguo verso quattordicesimo appresso gir ne lo vedea piangendo come se fosse una premonizione visionaria della morte della gentilissima; " troppo dovè piacergli cominciare l'amoroso libretto - bene osserva il Barbi - con una poesia che preannunziasse quel terribile avvenimento che è ora il pernio di tutto il racconto ".
È necessario dunque sciogliere la rima dalla prosa che lo precede e tener presente che tra il sonetto e la prosa intercorre una decina di anni e ricostruire così il significato che il sonetto aveva in origine al di fuori dell'ordinamento a posteriori. Ora, tralasciando le interpretazioni realistico-romanzesche di taluni critici, quali il Todeschini (Scritti su D., I, Vicenza 1872, 328-330), il Lamma (Questioni dantesche, Bologna 1902, 63-116) e il Melodia (" Giorn. d. " III [1895] 275-286, e Vita Nuova, pp. 38-40), è assai verosimile che in quella visione " non c'entrasse originariamente né la morte di Beatrice, né il suo matrimonio, né il suo saluto, anzi nemmeno Beatrice stessa " (Barbi-Maggini, pp. 8-9). Il sonetto all'origine fu probabilmente composto come prova difficile e preziosa ed enigmatica da dare a interpretare ai fedeli d'Amore: infatti tutta la figurazione del dio, ambiguo nella sua gaia terribilità tuttavia mesta, che si allontana piangendo dopo il pasto del cuore ardente, rende l'invenzione estremamente sottile e misteriosa. Dante da Maiano può essere un precedente con Provedi, saggio, ad esta visione, e saranno da ricordare, anche se posteriori, le visioni di Cino Vinta e lassa era già l'anima mia, e di Francesco da Barberino I' son sì fatto d'una visione. Anche il cuore mangiato è un topos assai frequente,e se sono da tralasciare i numerosi e lontani precedenti, bisognerà invece tener presente il cavalcantiano Perché non fuoro a me gli occhi dispenti, dove similmente si vede Amore con in mano il cuore del poeta. Che il sonetto sia stato scritto da D. diciottenne non si ha altra testimonianza se non quella della Vita Nuova, ma tutti i caratteri, e figurativi e stilistici, lo assegnano alla prima giovinezza, vicino alla tenzone con Dante da Maiano.
Com'è noto, l'ultimo responditore fu il D'Annunzio che, all'inizio della Francesca da Rimini, espone in nome di Paolo Malatesta un sonetto di risposta in cui il pianto d'Amore viene interpretato come presentimento della morte di Beatrice: " Poscia sen giva lacrime spargendo / per sùbita pietate che 'l strignea / ascosa morte in ella conoscendo ".
Bibl. - E.V. .Zappia, Studi sulla Vita Nuova di D., Roma 1904,175-189; Barbi-Maggini, Rime, 6-14; K. Foster - P. Boyde, Dante's Lyric Poetry, Oxford 1967, II 22-25; F. Montanari, L'esperienza poetica di D., Firenze 19682, 54-59.