À nous la liberté
(Francia 1931, A me la libertà, bianco e nero, 97m); regia: René Clair; produzione: Frank Clifford per Tobis; sceneggiatura: René Clair; fotografia: Georges Périnal, Georges Raulet; montaggio: René Le Hénaff; scenografia: Lazare Meerson; costumi: René Hubert; musica: Georges Auric.
Due amici, Émile e Louis, sono detenuti in una prigione ove i carcerati debbono fabbricare cavallini di legno, costretti a ripetere gli stessi gesti dalla spietata monotonia di una catena di montaggio. I due decidono di evadere e Louis, con la complicità di Émile che distrae una guardia, riesce a nascondere in una calza una piccola lima. Di notte Émile sega le sbarre della cella e Louis lo regge sulle spalle. Mentre Émile lavora i due amici, rispettando la struttura da musical 'saltuario' che Clair ha dato all'opera, intonano la prima delle canzoni che punteggeranno via via l'intero film. Nella versione italiana risulta così: "La libertà significa godere/goder la vita fuori di prigione/senza pensieri di nessun dovere.../A noi, a noi la libertà". Poi fuggono entrambi. Ma mentre Louis riesce a saltare al di là del muro di cinta, Émile viene scoperto dalle guardie e riportato in prigione. Nella notte Louis in fuga si toglie pantaloni e casacca da carcerato, corre in maglietta e mutande, strappa una bicicletta al suo proprietario, pedala disperatamente incoraggiato dai tifosi (non sa di essere piombato in testa a una corsa ciclistica notturna), e arriva primo. Durante i festeggiamenti, rivestito da capo a piedi, fugge non appena scorge due gendarmi. Il giorno dopo deruba un rigattiere, con quel denaro inizia un piccolo commercio di dischi usati, gli affari gli vanno bene; apre un negozio e poi addirittura una fabbrica di grammofoni che rapidamente si ingrandisce. Dopo qualche tempo è a capo di grandi stabilimenti dove gli operai entrano marciando, lavorano come soldati alle catene di montaggio, vanno inquadrati al refettorio in cui i cibi scorrono anch'essi su catene di montaggio. Nel frattempo Émile, tornato in libertà, conduce una beata vita da vagabondo, fino a quando non viene condotto di nuovo in prigione per vagabondaggio. Prova allora a impiccarsi alle sbarre della cella, ma il suo peso le fa cadere; si ritrova libero, fugge, vede una ragazza, Jeanne, che gli è piaciuta da quando l'ha vista a una finestra e che lavora in una fabbrica di dischi, la segue, si trova a far parte di una fila (di persone in attesa di lavoro) e viene assunto come operaio. I due amici si ritrovano alle due estremità della scala sociale fino a quando Louis, 'rinsavito', non farà dono agli operai della fabbrica completamente automatizzata. E i due amici potranno fuggire felici cantando couplets che inneggiano alla libertà.
René Clair viveva ancora la parte iniziale della sua lunga carriera di regista (carriera inaugurata nel 1923 con Paris qui dort e terminata poi nel 1966 con Les fêtes galantes ‒ Per il re, per la patria e per Susanna!) quando scrisse e diresse À nous la liberté. In effetti vi si avvertono ancora, seppure rifratti da un esplicito impegno ammonitorio, gli umori e gli stimoli delle sue prime esperienze. Quelle che lo hanno sedotto dall'inizio, fra ironici postumi surrealisti, invenzioni fantascientifiche e recuperi pochadistici, per sfociare poi con incursioni nel garbatissimo populismo parisiense e crepuscolare. Qui in particolare le sollecitazioni son parecchie: la satira sociale, l'invenzione parodistica, la concitazione allegra e trasognata del musical alternato e casalingo, la tentazione di una stilizzazione allegra ma polemica. E al tempo stesso le tentazioni politiche o, almeno, parapolitiche, evidenti nell'opera, e in fondo rare in un autore sostanzialmente più portato alla predicazione moraleggiante per quanto stilizzata, all'invenzione paradossale, alla finezza ironica del tratto, alla sapiente costruzione della sceneggiatura di ferro, al sorridente alambicco visuale, alla intricata e risolutrice eleganza delle immagini.
"Quella" ‒ ha dichiarato René Clair ‒ "era l'epoca in cui mi sentivo più vicino all'estrema sinistra e in cui desideravo combattere la macchina quando diventa una servitù per l'uomo invece di contribuire, come dovrebbe fare, alla sua felicità". Per quel che riguarda la stesura del film Clair ha anche precisato: "Dove invece mi sono sbagliato è stato nel fatto che, per evitare di far rassomigliare À nous la liberté a un film a tesi, ho utilizzato ancora la formula dell'operetta. Pensavo che personaggi che si esprimessero cantando avrebbero fatto capire meglio il carattere satirico che volevo dare all'opera" (testo riportato da Charensol e Régent e ripreso da Jean Mitry; la "formula dell'operetta" a cui Clair fa allusione è evidentemente quella di Le million ‒ Il milione,1931, film immediatamente anteriore ad À nous la liberté). In certo senso qui c'è tutto il buono e il meno buono del film: vale a dire la costruzione minuta e 'didattica' insieme dell'universo prima carcerario poi industriale, l'uno omologato all'altro, l'uno ricollegato all'altro dalla stessa logica della lavorazione a catena, motivo polemico che all'epoca era nell'aria (quando nel 1936 apparve Modern Times, la produzione Tobis volle promuovere una causa giudiziaria contro Chaplin; con grande signorilità Clair disse che per quel che lo concerneva se plagio v'era stato lo considerava un onore, visto che tutti i cineasti avevano tanto imparato da Chaplin). Sono gli elementi che nel corso dei decenni hanno diviso storici e critici del cinema, compresi quelli più appassionati dell'opera di René Clair. Il film resta ancor oggi uno spartiacque di gusto e di gusti.
Interpreti e personaggi: Raymond Cordy (Louis), Henri Marchand (Émile), Rolla France (Jeanne), Paul Olivier (Paul Imaque, suo zio), André Michaud (caporeparto, innamorato di Jeanne), Germaine Aussey (Maud, amica di Louis), Alexandre D'Arcy (gigolo), William Burke (capo dei malfattori), Jacques Shelly (Paul), Léon Lorin (vecchio gagà), Vincent Hyspa (personaggio sul palco), Marguerite De Morlaye, Maximilienne, Ritou Lancyle, Léon Courtois, Albert Broquin, Eugène Stuber, Robert Charlet.
G. Charensol, R. Régent, Un maître du cinéma. René Clair, Paris 1952 (trad. it. Milano-Roma 1955).
J. Mitry, René Clair, Paris 1960.
B. Amengual, René Clair, Paris 1963.
E. Comuzio, A me la libertà, Padova 1969.
G. Grignaffini, René Clair, Firenze 1979.
René Clair, a cura di E. Bruno, Venezia 1983.
M. Echegoyen, Fiche filmographique de l'Idhec, n. 104.
Sceneggiatura: in "L'avant-scène du cinéma", n. 86, novembre 1968.