A PRIORI
. Termine filosofico, significante in generale tutto ciò che non ha bisogno, per essere conosciuto, di fondarsi sull'esperienza, non dipendendone, ma anzi costituendo un presupposto essenziale per la stessa possibilità di essa; e opposto quindi a quello di a posteriori, con cui si denomina ogni conoscenza empirica, ottenuta mediante l'esperienza, o direttamente o per mezzo della elaborazione induttiva del suo contenuto. Storicamente, nella sua formulazione latina, tanto l'uno quanto l'altro termine risale al linguaggio filosofico dei pensatori medievali, intenti, da Boezio in poi, alla sistemazione e chiarificazione delle dottrine logiche e gnoseologiche di Aristotele. Il quale aveva propriamente distinto il πρότερον πρός ἡμᾶς ("primo per noi") dal πρότερον ϕύσει ("primo per natura") come il particolare della percezione dall'universale dell'intelletto; e i filosofi medievali, assumendo il termine in questo suo secondo e più reale valore, lo usarono per indicare la forma superiore della dimostrazione, procedente dalla causa all'effetto (demonstratio per quid), rispetto a quella, inferiore, risalente dall'effetto alla causa (demonstratio quia): opponendo cioè - al disotto della trasformazione che le esigenze del problema della causalità avevano operato sulle primitive posizioni gnoseologiche di Aristotele - il processo deduttivo dell'apodissi (a priori anche nei suoi risultati, per l'apriorità delle prime premesse intuite dall'intelletto) a quello induttivo dell'epagoge, elaborazione e schematizzazione dei dati dell'esperienza. In Alberto di Sassonia, occamista del sec. XIV, tale formulazione si presenta per la prima volta nettamente: Demonstratio quaedam est procedens ex causis ad effectum et vocatur demonstratio a priori et demonstratio propter quid et potissima;... alia est demonstratio procedens ab effectibus ad causas et talis vocatur demonstratio a posteriori et demonstratio quia et demonstratio non potissima (cfr. Prantl, Geschichte der Logik im Abendlande, IV, Lipsia 1870, p. 78).
Il pieno superamento di questa semplice dualità e antitesi dei due concetti, nel senso di una valorizzazione dell'a priori tale che riuscisse a risolvere in sé lo stesso contenuto dell'a posteriori, si effettuò poi, nella seconda metà del sec. XVIII, con Kant, che fece così acquistare al primo di quei termini la grande importanza non più perduta in tutto lo sviluppo del pensiero moderno. Distinti i giudizî, in cui si esprimono i singoli contenuti di coscienza, in analitici e sintetici, a seconda che in essi il concetto del predicato si trovi o no implicito in quello del soggetto, e rilevata la naturale apriorità dei primi (nel senso della loro immediata e deduttiva possibilità di affermazione) e aposteriorità dei secondi, Kant si pose il problema della possibilità di giudizî sintetici a priori. E poté risolverlo in base a tutta la sua costruzione gnoseologica, per cui, riconosciute nell'atto dell'esperienza le attività trascendentali delle pure forme dell'intuizione (spazializzatrici e temporalizzatrici dei meri dati sensibili) e delle categorie dell'intelletto (sintetizzatrici delle intuizioni nelle forme predicative), veniva scoperto in ogni giudizio il carattere assolutamente aprioristico dei suoi aspetti formali, e soprattutto di quello su cui, in ultima analisi, ogni altro si basava: cioè l'appercezione trascendentale, altrimenti significata da Kant con la formula dell'"Io penso", come l'invalicabile soggettività della coscienza, a cui ogni altro sapere è legato. Tale profondo carattere è stato poi sempre meglio affermato e chiarito in tutto lo sviluppo dell'idealismo moderno, tedesco e italiano, che, abbandonando a poco a poco le costruzioni intellettualistiche ancora rimaste nella concezione kantiana (quali, tipicamente, il presupposto oggettivistico dell'esistenza della "cosa in sé" e la distinzione delle singole categorie, riecheggiante quella aristotelica delle forme del giudizio), ha teso alla totale identificazione dell'a priori con la pura funzione del pensiero in atto.
Bibl.: Per una copiosa raccolta di dati eruditi e bibliografici sulla storia e sulla fortuna del termine v. R. Eisler, Wörterbuch der philosophischen Begriffe, 4ª ed., Berlino 1927, pp. 85-96.