A Woman under the Influence
(USA 1974, Una moglie, colore, 147m); regia: John Cassavetes; produzione: Sam Shaw per Faces International Films; sceneggiatura: John Cassavetes; fotografia: John Cassavetes, Caleb Deschanel, Tim Ferris; montaggio: David Armstrong, Elizabeth Bergeron, Tom Cornwell, Sheila Viseltean; scenografia: Phedon Papamichael; musica: Bo Harwood.
Nick Longhetti è operaio di professione, costretto a lavorare spesso ben oltre l'orario ufficiale e per questo poco abituato a stare vicino alla famiglia. Sua moglie Mabel fa la casalinga; oltre a soffrire della lontananza del marito, sembra avere problemi psicologici e fragilità emotive. Per Nick, Mabel è semplicemente bizzarra, per gli altri ‒ colleghi di lavoro compresi ‒ è una donna malinconica e squilibrata. Una sera, proprio quando Nick e Mabel devono festeggiare l'anniversario di nozze, l'uomo è trattenuto al lavoro da un imprevisto. Mabel ne rimane delusa, pur tranquillizzando il marito al telefono e dimostrando all'apparenza di aver accettato serenamente il fallimento della serata. Stanca delle privazioni affettive di cui accusa il marito, esce e frequenta alcuni bar, dove incontra un uomo, finendo col portarselo a casa. Passata la sbronza, la mattina dopo Mabel è assalita dai sensi di colpa per il tradimento. Nei giorni successivi, anche di fronte ai figli, gesti e atteggiamento sono quelli di una persona in difficoltà. Preda di improvvise crisi di rabbia e di pianto, non sembra riuscire a equilibrare i momenti di affetto verso la propria famiglia e quelli di disperazione causati da una condizione di perenne infelicità. Man mano che la situazione precipita, Nick si convince della necessità di sottoporre la moglie a cure psichiatriche. Durante uno straziante colloquio, l'uomo informa Mabel che dovrà passare sei mesi in una clinica. Trascorso il lungo periodo di degenza, Nick intende accogliere il ritorno di Mabel con una grande festa, a cui sono presenti tutti gli amici e i famigliari della coppia. Mabel sembra intimidita, non ancora del tutto in grado di stare in mezzo alla gente. Nei giorni successivi, le crisi ritornano, la vita familiare e casalinga soffoca la donna e la restituisce alla quotidianità che l'aveva resa nevrotica. Dopo aver tentato il suicidio ‒ più per richiamare l'attenzione del mondo esterno che per morire veramente ‒ Mabel sembra approdare a un momento di lucidità e ottimismo, circondata dal chiassoso amore dei figli e dal fedele affetto di Nick.
Settima opera di John Cassavetes, A Woman under the Influence rappresenta una delle vette del suo cinema. Per solito considerato l'ideale conclusione di una tetralogia sulla classe media americana e sull'alienazione familiare (che comprende anche Faces ‒ Volti, 1968, Hus-bands ‒ Mariti, 1970, Minnie & Moskowitz, 1971), ne costituisce forse il momento più amaro. In termini narrativi, agli eventi specifici il regista americano preferisce gli stati di passaggio: quello che accade è riassumibile in poche righe, tuttavia la densità psicologica dei personaggi e la sensazione di assistere a un'avventura della personalità rendono il film appassionante. La prassi creativa di Cassavetes, inoltre, si affina. Ancora una volta, gli attori vengono chiamati a svolgere un ruolo centrale nella realizzazione dell'opera, dalla caratterizzazione del personaggio al celebre metodo dell'improvvisazione controllata (o guidata) grazie alla quale il rapporto tra macchina da presa e recitazione si fa ricco di libertà e sfumature. Il delicato e originale equilibrio ottenuto da Cassavetes in questa pratica lo rende cineasta unico nel panorama dei film indipendenti. A Woman under the Influence, dunque, si presenta come esempio di rinnovamento del linguaggio cinematografico e del rapporto tra il grande schermo e la teatralità. Svolto per gran parte tra le mura domestiche, il film restituisce con efficacia lo stato di insoddisfazione della protagonista Mabel: sola, senza prospettive, ingabbiata in un appartamento anonimo, sembra spargere la propria nevrosi sugli ambienti che abita. A sua volta, il personaggio di Nick, debole e sfrangiato, colpisce per la varietà di sfumature e per l'intensa commozione nei confronti della condizione della moglie, che comunque non riesce a proteggere come vorrebbe. Peter Falk, come la Rowlands e altri comprimari, approfondisce personalmente il proprio ruolo di italo-americano a tratti invadente e rozzo ma buono, forte anche dell'ormai lunga frequentazione con Cassavetes. Il tema della follia e della normalità, giocato in chiave affettuosa e con molti echi dell'anti-psichiatria degli anni Settanta, serve al regista per dimostrare ‒ una volta di più ‒ il rifiuto di ogni classificazione clinica dei suoi personaggi, sconfitti, infelici, nevrotici, dropout, esclusi, non ascoltati.
L'arte di Cassavetes è nascosta nelle inquadrature, nella sincerità dello sguardo sugli uomini, nella capacità di farsi attraversare dal mondo e di non rinchiuderlo dentro la macchina-cinema, nell'apertura di giudizio nei confronti dei deboli rappresentanti della società umana che mette in scena. Il finale del film, pur lungi dal rassicurare lo spettatore sul futuro di Mabel, ricorda in fondo che la vita è fatta di seconde occasioni e di momenti di felicità improvvisi e sbilenchi. Si tratta di un cinema antropocentrico, che ha l'esistenza come orizzonte assoluto. Per questo motivo, il rapporto con i modelli precedenti ‒ per esempio, la Nouvelle vague ‒ è indiretto e basato solo su corrispondenze poetiche. Il film di Cassavetes ha ottenuto grande successo di critica in tutto il mondo ed è stato candidato all'Oscar per miglior regia e migliore attrice.
Interpreti e personaggi: Gena Rowlands (Mabel Longhetti), Peter Falk (Nick Longhetti), Matthew Cassell (Tony Longhetti), Matthew Laborteaux (Angelo Longhetti), Christina Grisanti (Maria Longhetti), Catherine Cassavetes (la madre), Lady Rowlands (Marta Mortensen), O.G. Dunn (Garson Gross), Mario Gallo (Harold Jensen), Eddie Shaw (Dr. Zepp).
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Sceneggiatura: in "L'avant-scène du cinéma", n. 411, avril 1992.