ABACO
. 1. Architettura (fr. abaque; sp. ábaco; ted. Kapitellplatte; ingl. abacus). - Parte superiore, ordinariamente a pianta quadrata, del capitello. Talvolta è anche detto tavoletta, e tale è infatti l'origine e il significato etimologico del suo nome, dal latino abacus e dal greco ἄβαξ (cfr. Persio, Sat., I; M. Capella, VI).
Quando assume notevole massa ed appare come una robusta figura parallelepipeda, anziché come una sottile cornice, chiamasi piuttosto dado; così nella parte superiore del tipico capitello egizio a fiore di loto aperto o chiuso, ovvero nel capitello dorico greco; e in tale ultimo caso Vitruvio (III, 3) lo denomina plinto.
Studiare la ragione di essere dell'abaco porterebbe a ricercare l'origine costruttiva del capitello, il che si farà a proposito di tale voce. Qui basterà riassumere alcuni dati circa la sua forma e il suo ornamento nei più caratteristici esempî dei varî stili.
Sottilissimo nell'ordine ionico greco, era quivi ordinariamente rappresentato da una sola modanatura (gola rovescia o echino), intagliata. a foglie o ad ovoli; più ampio e complesso nei non molti esempî del corinzio greco, in cui fu per lo più composto, come nel romano, da tre elementi, di cui l'inferiore, un pianetto, alquanto accentuato; nel corinzio comincia ad assumere la forma planimetrica a quattro facce, non più piane ma concave.
Negli ordini architettonici romani, con il geometrizzarsi di tutti gli elementi, l'abaco prende proporzioni quasi costanti, che sono quelle poi espresse in formule dai trattatisti del Rinascimento. Secondo il Vignola, l'abaco nel capitello dorico (intendendo per abaco la parte superiore, costituita da un listello e da una gola rovescia, sovrastante alla tavoletta) doveva avere un ottavo in altezza di tutto il capitello; quello del capitello ionico un sesto; del corinzio o del composito un settimo, corrispondente ad un terzo del modulo dato dal diametro alla base.
Al termine del periodo romano s'inizia un mutamento radicale nel tipo e nella funzione dell'abaco quando al sistema architravato degli ordini architettonici comincia ad essere sostituito il sistema arcuato, non più nella forma inquadrata dalle colonne e dalla trabeazione, ma in quella dell'arcata portata sulle colonne, o direttamente o con l'intermediario d'una cornice. Il sottile abaco classico sarebbe riuscito troppo piccolo e fragile per questa nuova destinazione di cornice d'imposta staticamente portante.
Si delineano allora le due soluzioni: o quella del pulvino, in cui al di sopra del capitello che conserva un abaco normale si pone un solido di raccordo tra la base delle arcate e il nucleo della colonna; ovvero quella dell'abaco alto e robusto. E le due soluzioni traversano tutta l'arte bizantina, dai suoi inizî alle sue applicazioni più importanti, alle sue derivazioni nell'arte occidentale.
Così, per dare degli esempî, troviamo questa seconda soluzione nei capitelli dell'atrio di S. Marco a Venezia, in alcuni dei quali all'ipertrofia dell'abaco corrisponde l'atrofia quasi completa delle volute ioniche.
L'arte romanica riprende ed accentua questa soluzione del forte abaco; e spesso la segue anche l'arte gotica, specialmente al disopra dei multipli capitelli dei pilastri polistili; ma in tal caso l'abaco risulta frazionato in una serie di modanature sottili, ingentilito da ornamenti o geometrici o a fogliami; talvolta anche si compone di due zone, una rivolta in basso, l'altra in alto. Così, ad esempio, nei capitelli delle finestre bifore di S. Maria del Fiore a Firenze.
Nel gotico francese è molto frequente l'abaco a pianta ottagona, nell'inglese quello a pianta circolare.
Nel Rinascimento l'abaco riprende le proporzioni classiche; ma nel Quattrocento, lento periodo di formazione del nuovo stile e di derivazioni di tarda arte gotica, non sono infrequenti, specialmente nell'opera dei maestri dell'Italia settentrionale, i capitelli ancora forniti di un abaco ampio e tozzo. Si possono ricordare ad esempio quelli del portico anteriore del duomo di Cremona, o quelli del chiostro di S. Oliva a Cori.
Nelle manifestazioni moderne non è infrequente il caso di vedere l'abaco inopportunamente abolito, divenendo il capitello una specie di decorazione della zona superiore, più che un elemento di collegamento con la parte superiore sostenuta dalla colonna. Così in molte opere della scuola secessionista viennese.
Per analogia, dicesi anche abaco la piccola zona superiore delle mensole o dei balaustri. Di esso si darà, in tali casi, implicitamente illustrazione nelle relative voci.
2. Aritmetica (fr. table de multiplication; sp. ábaco; ted. Abakus; ingl. abacus). - Designa uno strumento adoperato per facilitare i calcoli con i più svariati sistemi di numerazione, presso popoli nei quali solo un numero ristrettissimo di persone è in grado di eseguire i calcoli stessi per mezzo di pure operazioni aritmetiche.
La parola abaco deriva dal greco ἄβαξ, ἀβάκιον, e questo probabilmente dall'ebraico 'abaq "polvere", giacché gli antichi spalmavano di sabbia o di polvere certe tavolette su cui poi scrivevano. Con lo stesso nome i Greci designavano lo strumento usato per un giuoco di dadi.
Il sostegno dell'abaco era quasi sempre costituito da una tavoletta di marmo o di altra sostanza, tagliata in forma rettangolare, ma i particolari dello strumento variarono a seconda dei popoli dai quali fu usato e dei loro diversi sistemi di numerazione.
L'abaco era noto ai Cinesi e ai Babilonesi. È quindi erroneo quanto lo pseudo-Boezio afferma nella sua Geometria, cioè che l'invenzione dell'abaco sia dovuta a Pitagora. Questa invenzione risale a tempi assai più antichi, e trae origine da un lento progresso. Tuttavia Erodoto riferisce che ai tempi di Pitagora il popolo incolto soleva ancora fare i calcoli con pietruzze "portando la mano da sinistra verso destra"; il che rivela che si dava alle pietre quel valore di posizione che è fondamentale nell'abaco. Dall'uso di tali pietre (calculi, calcoli) deriva anche il termine calcolare. L'oratore Lisia ci assicura che l'abaco era usato da tutti i banchieri greci e veniva posto sulla tavola vicino alle monete.
Uno di questi abachi, perfettamente conservato, fu trovato a Salamina nel 1846. Tuttavia varî sono i pareri degli studiosi (fra cui citeremo Cantor, Friedlein, Nesselmann) circa il modo che i Greci avrebbero seguìto nell'usare il loro strumento.
Presso i Romani, la tavoletta rettangolare può considerarsi divisa in due rettangoli per mezzo di una linea parallela al lato maggiore: la parte superiore più bassa, la parte inferiore più alta. In ognuna di queste due parti si trovano allineate, parallelamente al lato minore del rettangolo, otto bacchette, sollevate al di sopra della base dell'abaco, in modo tale che dei piccoli gettoni forati possano scorrere su e giù lungo di esse. Le bacchette sostenute dalla parte superiore dell'abaco sono più corte di quelle sostenute dalla parte inferiore. E mentre le prime portano ciascuna un solo gettone, le seconde ne portano quattro.
Osservando quest'abaco da destra verso sinistra, si vede che le aste inferiori sono progressimmente soprassegnate con le lettere O, I, X, C, ecc., rozzamente incise. I gettoni scorrevoli lungo l'asta contrassegnata dalla lettera O servivano a computare le once; quelli scorrevoli lungo l'asta contrassegnata da I servivano a computare le unità; quelli dell'asta contrassegnata da X le decine, quelli dell'asta contrassegnata da C le centinaia, e così via fino al milione. Diverso era l'ufficio dei gettoni scorrevoli sulle aste superiori corrispondenti: essi dovevano infatti segnare cinque once, cinque unità, cinque decine, ecc., quando si trovavano rispettivamente sulla prima, seconda, terza, ecc. asta a partire da destra. Nella parte inferiore dell'abaco, e sempre alla destra, si trovavano tre aste cortissime, lungo ciascuna delle quali poteva scorrere un gettone: esse servivano al computo delle frazioni di oncia.
Simile nella forma è il celebre swanpan dei Cinesi, ancora usato, ma già esistente fino dalla più remota antichità. In esso le aste (in numero di venti) sono di bambù, e i gettoni sono costituiti da palline di avorio. Le dieci aste superiori portano due palline ciascuna, le inferiori cinque. Si comprende abbastanza facilmente come un numero qualsiasi possa essere segnato in tale abaco. Così, per attenersi ad un caso semplicissimo, il numero 4532 può segnarsi separando quattro palline sulla quarta asta (a partire da destra), cinque sulla terza, tre sulla seconda, due sulla quarta. Ed è facilissimo aggiungere o togliere da tale numero un numero qualsivoglia. Altrettanto dicasi per l'abaco romano.
Gli abachi, il cui uso appare diffusissimo nel tardo Medioevo, sono in quest'epoca molto diversi da quelli antichi, ma non è dato rintracciare o inferire i termini di sviluppo di una tale trasformazione. Il Liber abaci di Gerberto fornisce le regole per l'uso di un abaco di tal genere. Ma fra gli scritti aventi il suddetto titolo e in parte destinati al suddetto scopo è rimasto sopra ogni altro famoso il Liber abaci di Leonardo Pisano (sec. XIII), per il grande progresso storico che esso segna nel campo dell'aritmetica e dell'algebra, anche perché per mezzo di esso furono introdotte in Europa le cifre arabiche tuttora in uso.
Da allora in poi la parola abaco ha preso a significare l'arte di fare i conti mediante le cifre arabiche, donde i sensi traslati di "cifra, conto, libro dei conti, scuola elementare", ecc. E le espressioni: avere poco abaco, per "sapere poca aritmetica", gettare l'abaco, per "fare i conti", tavola d'abaco, per "tavola pitagorica", ecc.
Verso la fine del Quattrocento appaiono i primi abachi a linee orizzontali, nei quali il gettone posto nella linea superiore vale dieci volte quello sottostante nella linea immediatamente inferiore. Tali abachi furono usati in Europa fino alla seconda metà del secolo decimottavo, e numerosi furono sempre i trattatelli di aritmetica intesi a fornire spiegazioni in proposito e ad agevolare l'uso di questo apparecchio. Mentre oggi da noi l'abaco non vive se non nella forma assai modesta del pallottoliere per i bambini, fra le popolazioni della Cina, della Russia e dell'Asia settentrionale esso è tuttora diffusissimo e comunemente adoperato.
I gettoni usati per gli abachi europei furono dei dischi d'osso, di metallo e perfino d'oro. Verso il tredicesimo secolo, inoltre, cominciò a diffondersi l'uso di gettoni portanti in rilievo divise, effigi e figure di vario genere.