ABACUC (ebraico Ḥăbaqqŭq; nel greco dei Settanta ᾿Αμβακούμ; vulg. Habacuc)
Profeta ebreo, l'ottavo dei cosiddetti profeti minori, il quale ci lasciò un vaticinio di 56 versetti, diviso in tre capitoli. Esso è pure l'unica fonte di notizie sicure intorno al profeta; raccoglieremo queste dall'analisi di quello.
Incerte sono l'esatta pronunzia e l'etimologia del nome. In assiro si ha il nome Ḫambaqūqu, una specie di pianta domestica, che in parte spiegherebbe la forma greca Ambakum. La radice ebraica ḥbq significa, "abbracciare, intrecciar le mani"; donde le due interpretazioni correnti, derivate da S. Girolamo, per Abacuc, cioè "amplesso" o "lottatore". Le leggendarie Vite dei profeti (cfr. Th. Schermann, Propheten und Apostellegenden, Lipsia 1907; Prophetarum vitae fabulosae, Lipsia 1907, pp. 20, 35, 57, 85), molto in voga fra i Bizantini, lo dicono della tribù di Simeone, nativo del villaggio di Betzuchar a N. di Eleuteropoli (ora Bētgibrīn), dove, dopo un temporaneo esilio durante la dominazione caldea, sarebbe tornato e morto circa il 540 a. C.; lo identificano con l'Abacuc della storia di Bel e Daniele (v. più sotto). Ma questi nel testo dei LXX è detto della tribù di Levi, e levita credono alcuni il nostro profeta per l'ultima parola del suo libro: "su le mie cetre"; ragione per ogni verso inefficace, come vedremo. Altre tradizioni, tutte infondate, collocano il suo sepolcro a Gabaa, presso Eleuteropoli (Eusebio di Cesarea, Onomast.), a Ceila (Eusebio, ivi; Sozomeno, Hist. ecclesiast.; Isidoro, De obitu Patrum, p. 48), a Hukkok (Ḥuqqōq) in Galilea (rabbini).
La struttura del libro di Abacuc è semplice e chiara. Si divide in due parti disuguali: un oracolo (capi 1 e 11) e (capo 111) il ben noto "cantico di Abacuc", insigne per sublimità ed impeto lirico, ma anche con parecchie oscurità. L'andamento dei pensieri è questo: il profeta si lagna con Dio della ingiustizia che regna nel mondo, dell'empio che opprime il giusto (I, 2-4), e Dio risponde che manderà la fiera nazione dei Caldei a punire l'ingiusto (I, 5-11). Ma il rimedio sembra peggiore del male; e il profeta rinnova l'angosciosa domanda: "Fino a quando durerà tanta tiiannia?"; quindi sta ad aspettare la risposta divina (I, 12; II, 1). E Dio risponde di aver fede e pazienza, che la giustizia verrà con la punizione dell'empio e la disfatta dei crudeli invasori (II, 2-5). S'intonano le minacce (cinque "guai" II, 6b; 9; 12; 15; 19); e il profeta, soddisfatto, pregusta la comparsa di Dio vindice del suo popolo fedele (III, 3 segg.) "la magnifica teofania.
Risulta da questa esposizione l'unità di pensiero e quindi anche di autore. Ma non mancano difficoltà, e la critica si è posta parecchie questioni. Anzitutto il capo III, ossia il cantico, porta (caso unico negli scritti dei profeti) in fronte e in coda delle indicazioni tecniche, simili a quelle dei titoli o iscrizioni dei salmi; e dei salmi ha, come questo segno esterno, così anche la interna struttura e lo stile; anzi Abacuc, III, 10-15 si ritrova, con poche varianti, nel Salmo LXXVII, 17-20. Si direbbe dunque un salmo staccato dalla collezione ed appiccicato al vaticinio di Abacuc, ma di altro autore; e tale è stato ritenuto da numerosi critici. Tuttavia un più attento esame rivela subito gli stretti legami di questo capo con i precedenti. Il primo verso: "Signore, ho udito il tuo annunzio" si riferisce alla risposta divina (in II, 3 segg.); l'invocazione "mostra l'opera tua in mezzo agli anni" riflette la parola di I, 5 "un'opera si compie ai giorni vostri", ecc.; Dio (in III, 13 seg.) schiaccia la testa all'empio, contro cui protestava il profeta nella sua querela (I, 4). Quindi uno dei più recenti commentatori (E. Sellin, Das Zwölfprophetenbuch, Lipsia 1922, p. 353) poté scrivere: "Senza dubbio il c. III forma la punta e la conclusione di tutto il libretto": e la critica torna ad ammetterne l'autenticità. La forma di salmo gli dovette esser data quando esso fu accolto nell'ufficiatura liturgica.
Più difficile è rendersi piena ragione della composizione dei primi due capi. La seconda querela del profeta (I, 12 seg.) interrompe la descrizione dell'invasione caldea (I, 5-11 e 14-17) e sembra piuttosto la continuazione della prima (I, 2-4); e mentre al principio il profeta lamenta la corruzione interna della società giudaica (ingiustizie ed oppressioni), più avanti (II, 6-17) il divino castigo cade sopra l'invasore straniero. Di qui grande varietà di opinioni e di questioni critiche ed esegetiche. Parecchie difficoltà scompaiono con qualche trasposizione, p. es. invertendo nel cap. I i vv. 12-13 e 14-17, ossia trasportando i primi alla fine del cap. I. Varie spiegazioni sono possibili. Quella che sopra si è insinuata ha il vantaggio di portare al testo o nessuno o un minimo ritocco, e di ritrovare in Abacuc l'idea espressa in Isaia, X: Iddio si serve dell'invasione straniera per punire i Giudei oppressori dei fratelli; ma fatto questo, volgerà la sua ira contro gli stessi stranieri oppressori del suo popolo.
Gli stranieri invasori, nel testo ebraico e in tutte le versioni, sono chiamati Caldei (ebr. Kasdīm), e con tal nome è fissata a un dipresso l'età (d'altronde ignota) del profeta e del suo vaticinio. Sarebbe vissuto poco innanzi all'acquisto del dominio dell'Oriente da parte dei Caldei; Ninive cadeva nel 612 a. C., il monarca babilonese ne raccoglieva l'eredità e nel 606 irrompeva trionfante nelle provincie mediterranee fino all'Egitto. Considerato poi lo stato della società giudaica, quale ci è rappresentato dal profeta, gli ultimi anni del re Manasse (695-642), o i primi di Giosia (638-607), sembrano il tempo più acconcio a porvi la visione profetica di Abacuc; diciamola scritta verso il 630 a. C.
La base stessa di questo calcolo però sarebbe distrutta, se meritasse approvazione la congettura di due moderni critici di gran nome, B. Duhn ed E. Sellin. Essi credono che nel testo ebraico invece di Kasdīm si debba leggere Kittīm, e con ciò gl'invasori vaticinati da Abacuc non sarebbero già i Caldei, ma i Macedoni o i Greci, condotti da Alessandro Magno alla conquista dell'Oriente: l'età del profeta dovrebbe farsi discendere di tre secoli. Ma l'ingegnosa ipotesi, sostenuta ancora con altre violenze al testo tradizionale, non raccolse i suffragi dei dotti.
Lo stile di Abacuc è forte e concitato, immaginoso e pittoresco, originale e ardito, ma talora anche ricercato, sonoro e armonioso, con frequenti allitterazioni. Nel cantico assurge al sublime e si sostiene con meravigliosa potenza sino alla fine. Lo ha reso in versi sciolti, meno languidamente che altri traduttori in rima, Benedetto Mariani (Poesie bibliche tradotte da celebri italiani, Milano 1834, III, p. 468). Alcune gonfiezze e asprezze di stile, aliene dal nostro gusto, sono dovute, più che altro, all'infelice stato del testo, giunto a noi guasto in parecchi punti, e forse alquanto interpolato.
La dottrina morale e religiosa di Abacuc è ricca e profonda. Egli parte dal problema fondamentale della storia e dello spirito umano: perché regna nel mondo l'ingiustizia? Egli è commosso, come gli altri profeti, dall'oppressione dei deboli e grida giustizia; ma come niun altro profeta addita un principio vitale che infonde coraggio, e guida alla meta: "Scrivi (gli dice Dio) e chiaro sì, che si possa ieggere correntemente: ... Il giusto con la sua fede vivrà) (II, 4). Ciò che egli raccomanda con questa frase, che S. Paolo (Romani, I, 17; Galati, I, 13; cfr. Ebrei, X, 38) farà sua, come uno dei cardini della sua teologia, è, secondo l'interpretazione filologicamente più precisa, la costanza nel bene, sorretta dalla fede nella giustizia di Dio che governa il mondo e dalla fiducia nell'adempimento delle divine promesse. Ciò che ne consegue è la vita; la vita che importa anzitutto un senso interiore di pace e di sicurezza nella coscienza della propria giustizia e della divina approvazione; i beni materiali passano in seconda linea, e il pieno risarcimento dell'ordine morale turbato si riserva a un futuro destinato da Dio.
Nel cantico, che ci presenta Dio venuto "a recar salute al suo popolo, a recar salute col suo Eletto" (ebr. māšīăḥ, "messia"), fu riconosciuto, e non a torto, un colorito messianico. Altri ci vede un'apocalissi, la più breve e più antica del genere. Certo, apocalittica e messianismo sono fra loro strettamente affini: ma l'apocalissi è essenzialmente narrativa e descrittiva; il cantico di Abacuc è invece eminentemente lirico.
Un "profeta Abacuc in Giudea" è menzionato nel racconto di Belo e il dragone, che forma la seconda appendice deuterocanonica al libro di Daniele, come colui del quale Iddio si servì per recare soccorso di viveri a Daniele rinchiuso nella fossa dei leoni. Le ragioni per cui lo si deve ritenere un personaggio distinto dal profeta, autore del libro canonico, sono state già esposte.
Bibl.: Oltre alle introduzioni e ai dizionarî biblici indichiamo tra i commentarî più recenti e importanti quelli di A. van Hoonacker, Les douze petits prophètes, Parigi 1908; I. Knabenbauer, Commentarius in prosphetas minores, 2ª edizione, Parigi 1923; II; E. Sellin, Das Zwölfprophetenbuch, Lipsia 1922; A. B. Davidson, The books of Nahum, Habakkuk and Zephaniah (Cambridge Bible for Schools and Colleges); O. Happel, Das Buch des Propheten Habakuk, Würzburg 1900; G. V. Stonehouse, The book of Habakkuk, Londra 1911; E. Tobac, Les prophètes d'Israel, Malines 1919, I, pp. 293-312; F. Kirkpatrick, The doctrine of the prophets, 3ª ed., Londra 1906, Lecture X; Cornill, I profeti d'Israele, trad. italiana, Bari 1923; in Biblica, VIII, 1927, pp. 129, 289 segg. Possono ancora consultarsi: A. Agelli, Commentarius in proph. Habacuc, Anversa 1597; L. Reinke, Der Prophet Habakuk, Bressanone 1870; Trochon, Les petits prophètes, Parigi 1883.
Il capo III trovasi sovente commentato, insieme con gli altri cantici dell'ufficio ecclesiastico, alla fine dei commenti ai salmi, come dal medesimo Agelli, Commentarius in Psalmos, Roma 1606; Sim. de Muis, Comm. in omnes Ps., Parigi 1630, e Lovanio 1770; Thalhofer, Erklärung der Psalmen, 9ª ed., Ratisbona 1923; E. Hugueny, Psaumes et cantiques, Bruxelles 1924; IV; P. Ireneo di S. Giovanni, Salterio romano, Roma 1922; J. A. Mingarelli, Hebraeorum sex Canticorum explanatio, Bologna 1750; inoltre Nestle, in Zeitschrift für Alttestamentliche Wissenschaft, XX (1900), p. 167 segg.
Biografie del profeta: F. Delitzsch, De Habacuci vita atque aetate, Lipsia 1842; F. W. Farrar, The lives and times of the minor prophets, Londra s. a., cap. XV: J. Hastings, The greater men and women of the Bible, Edimburgo 1915, IV, pp. 483-502. Su punti particolari vedasi la bibliografia nei commentarî citati, specialmente Knabenbauer, p. 73 segg., e J. Nikel, Grundriss der Einleitung in d. A. T., Münster 1924, p. 230.