ABARI (῎Αβαρις)
È ricordato come un Iperboreo da Pindaro (fr. 270) e da Erodoto (IV, 36); in séguito da numerosi altri scrittori che gli attribuiscono guarigioni miracolose di pestilenze, operate in Grecia, oracoli, e portenti varî. Così la sua leggenda si accrebbe di numerosi elementi, finché i neo-pitagorici dell'epoca imperiale Giamblico e Porfirio, nelle loro Vite di Pitagora, ne fecero un precursore di questo. Parallelamente a questa, si nota anche la tendenza a collocarne la vita in un'antichità sempre più remota. La figura di Abari ci appare quindi, come quella, p. es., di Zamolxis, collegata intimamente con quella fioritura di sètte mistiche, dionisiache, che è una delle caratteristiche più importanti della vita greca nel sec. VI a. C.
Bibl.: Le fonti sono elencate in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. der class. Altertumswiss., I, col. 16 seg.; R. Pettazzoni, La religione nella Grecia antica, Bologna 1921, pp. 134, 143.