Abati
. I cronisti fiorentini dei secoli XIII e XIV sono concordi nell'annoverare questa consorteria fra le più antiche, ricche e potenti della città con case e torri nel Sesto di S. Pietro Scheraggio, presso Or San Michele, sul canto a San Martino. La ricchezza derivava agli A., oltre che dai beni immobili posseduti in Firenze, dai castelli che essi avevano nel contado e dall'esercizio della mercatura. La loro posizione sociale era rafforzata dalla parentela con altre grandi famiglie, come i Visdomini e i Guittoni, e dai legami politici con i Tedaldini, gli Elisei, i Caponsacchi, i Giuochi, dimoranti nello stesso Sesto. La clientela politica verso gli Uberti li attirò in campo ghibellino, nel quale gli A. si trovano schierati nei primi decenni del secolo XIII insieme alle casate loro amiche che sono state già ricordate. Si ha notizia dell'ospitalità che essi offrivano ai vicari inviati dagli Svevi a Firenze. Il loro appassionato parteggiare, il tradimento perpetrato da Bocca a Montaperti nel 1260, il fatto che alcuni di loro fossero presenti, con i Lamberti e gli Uberti, accanto a Guido Novello a Campaldino nel 1289, le tristi azioni di Neri, accusato nel 1298 di aver avvelenato gli avversari politici imprigionati nelle Stinche e autore, nel 1304, dell'incendio che devastò il centro cittadino, attirarono sugli A. la fama di violenza, di tradimento e di oltracotanza della quale si fanno eco i cronisti e la Commedia. L'odio popolare li colpì più volte. Nel 1258, fallito un tentativo compiuto al seguito degli Uberti per impadronirsi del potere nel luglio, il popolo ne assalì le case e ne costrinse molti all'esilio; come gli altri Magnati, furono colpiti dagli Ordinamenti di giustizia. Né la consorteria seppe conservare l'unità di azione politica che ne costituiva per molta parte la potenza. Accanto agli A. ghibellini se ne ebbero di guelfi, che a loro volta si divisero in Bianchi e Neri, in seguito a rivalità personali e di gruppo. L'odio di parte, infatti, non impedì a Neri, nel 1304, di assumersi l'incarico di dar fuoco alle case di altri consorti, provocando per di più la catastrofe del 10 giugno che, a detta di Giovanni Villani, danneggiò gravemente l'economia cittadina e colpì duramente le fortune di tante altre famiglie. Nel 1302 il bando di esilio fu comminato alla maggior parte degli A. militanti fra i Bianchi e contribuì a determinare il definitivo declino politico, economico e sociale di tutta la consorteria. Solo alcuni di essi, del ramo di Montelfi di Lamberto di Rustico poterono restare in città, ma in posizione ormai molto diversa da quella già goduta dagli antenati; nessuno di essi, infatti, arrivò al priorato, di cui fece parte, fra gli A., solo un " Rinuccius Abbatis ", il quale entrò in ufficio il 15 dicembre 1290. Questi A. sono ricordati ancora nel secolo XV, quando un Neri di Rinieri di Saccone, insieme al figlio Antonio, donò all'ospedale di S. Francesco la sepoltura di famiglia in cattedrale. Gli araldisti moderni citano come derivazioni dal ceppo fiorentino cacciato in esilio molte famiglie dello stesso nome sparse in varie regioni italiane; ma è più sicuro delimitarne la diffusione alla Toscana, nel Mugello (ramo di Ronta, vivo fino al secolo XVI) e a Pontedera (fino al secolo XVIII). La consorteria degli A. portò per stemma un palo d'argento in campo azzurro.
Alcuni commentatori (tra i quali Lana, Buti, Landino, Vellutello) hanno voluto vedere in Oh quali io vidi quei che son disfatti / per lor superbia! (Pd XVI 109) un riferimento alla famiglia degli A., ma i più qui ritengono si tratti degli Uberti. D. inoltre costruisce un vivace episodio (If XXXII 73-125) sul suo incontro con Bocca (v.); accenna alla fama di ladro che gravava su Buoso di Forese (If XXV 140-141), che però per la maggior parte dei commentatori sarebbe un Donati e non un A. (v. BUOSO) e in Ep XII 6 allude alle malefatte di un Ciolo (v.) probabilmente membro di questa stessa casata. Infine il giudice Durante degli A. (v.) ebbe stretti legami con D. e la sua famiglia; da alcuni anzi si è supposto fosse addirittura il padre di Bella, quindi nonno del poeta.
Bibl. - Per le fonti documentarie vedi: Archivio di Stato di Firenze, Carte Dei, IV 1; Carte dell'Ancisa, BB, 1008; GG, 8, 115, 199, 202; KK, 1, 150, 193, 212; Priorista fiorentino Mariani 1217, 218; Biblioteca Manoscritti, 421-422; Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Carte Passerini, " Abati "; B. Cerretani, Storie fiorentine..., Ms II III 74; e, per le fonti narrative, U. Vieri (il Verino), De Illustratione urbis Florentiae, ed. F. Soldini, Parigi-Siena 1790, 48, 56; R. Malispini, Storia fiorentina, a c. di V. Follini, Firenze 1816; G. Villani, Cronica, ibid. 1823; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a c. di N. Rodolico, Città di Castello 1903; D. Compagni, La Cronica, a c. di I. Del Lungo, ibid. 1916; e, per studi specifici sull'argomento, S. Ammirato, Delle famiglie nobili fiorentine, Firenze 1615, 20; ID., Opuscoli, III, ibid. 1642, 486; ID., Albero e istoria della famiglia dei conti Guidi, ibid. 1650, 29 D.; V. Borghini, Dell'origine della città di Firenze, in Discorsi, a c. di D.M. Manni, ibid. 1755, I 125; II 48, 58, 60, 406 (ma egli scambia un Ciolo per Neri, l'incendiario del 1304, per cui cfr. la nota di I. Del Lungo all'ediz. della Cronica di D. Compagni cit., 184); Ildefonso di S. Luigi, Delizie degli eruditi toscani, vol. XX-XXII, Firenze 1785-1786, e XXIV, ibid. 1789; A. Ademollo, Marietta de' Ricci, III, ibid. 1845, 869-870; L. Tettoni, F. Saladini, Teatro Araldico, VIII, Milano 1848, sub v. Arnaldo d'Addario