Abbado senza eredi
Il maestro dopo ogni esecuzione chiedeva una pausa di silenzio. Non voleva subito l’applauso. Dal podio restava fermo, senza abbassare le braccia. Dirigeva anche quel vuoto, per stare in ascolto di quell’eco lunga. Ora è quel silenzio che raccogliamo ancora, in un’onda la più estesa possibile.
Questo primo anno senza Abbado – che ha diretto sempre, fino all’ultimo, dichiarando che solo col lavoro la vita aveva un senso – si è forgiato via via a tutto tondo come il più radicalmente ‘abbadiano’.
Nell’assenza sono affiorati con evidenza i cardini della sua estetica. Nel silenzio quelle che erano le sorprese in divenire, immancabili, di ogni esecuzione, sono diventate una memoria viva, tutta al presente. L’eredità di una vita sul podio ha preso la forma di un disegno preciso, costruito nel tempo, con lucida tenacia.
Abbado rimane. Anche se non ha lasciato allievi (perché il pensiero e il gesto dei grandi non è replicabile), in tanti lo continuano a vedere come il modello del podio oggi. Anche se, purtroppo, è destinato a scomparire quel suo suono tanto riconoscibile, nelle orchestre man mano forgiate (e la Mozart, l’ultima creatura, è stata sciolta pochi giorni prima della sua scomparsa) l’idea che possa esistere una perfezione esecutiva rimane.
Abbado la ergeva come un muro contro la superficialità. Era il suo modo concreto per affermare la difesa di una cultura alta. Era l’esaltazione di giovani talenti di prima grandezza, che sceglieva e faceva debuttare in concerto.
Da sempre l’esattezza è stata il suo primo obiettivo. In una sfida mai deposta, perché un direttore si consegna all’inevitabile fragilità dei leggii che ha intorno; l’errore, l’imperfezione, fanno parte della pratica musicale. Non con Abbado.
Con gestualità e concentrazione maieutica, consegnava l’arcata delle ultime sinfonie come non mai ascoltate: Haydn, Mozart, Beethoven, Mahler, Bruckner.
Magiche, incantate.
La fascinazione sonora irretiva tutti. Lui dirigeva e stava in ascolto. Chiedeva deciso, con la bacchetta perfetta. Guidava la nave, da capitano insuperabile. E ogni concerto aveva sempre il gusto del primo viaggio. Qui stava il segreto della giovinezza di Claudio, ragazzo mai invecchiato.
Non aveva mai smesso di dirigere, anche se aveva dovuto ripensare in maniera radicale la fisicità, componente fondamentale dello stare sul podio. Nel tempo, il gesto più lieve era diventato più profondo; la sonorità, anche la più densa, usciva virata su una tinta di fondo luminosa. Gli attacchi immancabilmente in levare, dinamici, pieni di energia. Il braccio faceva tutt’uno col respiro delle compagini, magnifiche in particolare le 2 ultime: la Mozart, a Bologna, e la Lucerne festival orchestra, imperdibile per 11 estati consecutive. Con lei, il 26 agosto 2013, nel calendario resta segnato l’ultimo concerto: nel programma Schubert, l’Incompiuta, e la Nona di Bruckner.
Proprio con l’Incompiuta Abbado è stato ricordato il 6 aprile 2014, in apertura del Festival di Pasqua, a Lucerna. Tra i tanti concerti dedicati alla memoria del maestro, questo è sembrato il maggiormente carico di significati. Perché il podio era stato lasciato vuoto, come a dire che certe partenze non si possono riempire e restano per sempre. Ma i musicisti suonavano nel solco di una lezione ancora fresca, tenendo sui leggii le parti segnate dalle ultime indicazioni del direttore. Quella perfezione vibrava ancora, nella grande sala commossa del Kultur- und Kongresszentrum di Lucerna, palesandone le impronte forti, incancellabili.
Due i motti di Abbado: ricerca continua e fiducia nei giovani, estensibili a qualsiasi campo della attività umana. Erano le due facce di una stessa medaglia: un direttore deve sempre guardare avanti, e lui non aveva mai smesso di farlo.
Tuttavia dopo ogni esecuzione chiedeva una pausa di silenzio. Era un rito suo, diventato alla fine imprescindibile. Come nel perfezionismo, anche qui andava controcorrente: cercava il silenzio.
Non voleva subito l’applauso, appena chiusa la nota finale. Quel silenzio collettivo sgorgava come riflesso della musica appena eseguita. Importante, necessario.
Lui dal podio teneva il gesto fermo, senza abbassare del tutto le braccia. Dirigeva anche quel vuoto, in modo che tutti – pubblico e orchestra – potessero stare in ascolto di quell’eco lunga. Un’onda la più estesa possibile, che raccogliamo ancora.
Cinque dischi per non dimenticare
Abbado rappresentava una certezza per la Deutsche Grammophon, la sua casa discografica, perché vendeva sempre. E con qualsiasi repertorio: i classici, il contemporaneo, la musica antica. Dal catalogo sterminato, 5 registrazioni essenziali. Innanzitutto Ravel, il Concerto in sol con Martha Argerich, compagna di studi di pianoforte dei tempi di Vienna: l’orchestra è quella dei Ber - liner Philharmoniker, trascinante, nel 1967. Di nuovo con i Berliner, le nove sinfonie di Beethoven. Abbado le incide in varie edizioni, molto diverse. Queste, del 2008, osano guardare all’indietro, recuperando radici classiche più che il mondo tardo romantico. E rimangono le più moderne. Come il Pergolesi ultimo, in 3 cd, affidato all’Orchestra Mozart: emozionante. O il cangiante Pelléas et Mélisande di Debussy, con i Wiener Philharmoniker. Autentica riscoperta il suo Barbiere di Siviglia, per sorridere e gioire: edizione Scala, cast stellare e regia dell’amico Ponnelle.
La ‘sua’ Scala
di Mariano delle Rose
Dopo un’apparizione a 27 anni, nel 1960, in concerto alla Piccola Scala, dove tornò nel 1965 per Atomtod di Giacomo Manzoni, il debutto al Teatro alla Scala fu nel 1965 con la Seconda sinfonia di Mahler, mentre il primo titolo operistico che vi diresse fu Capuleti e Montecchi nel 1966. Il 7 dicembre 1967 segnò la sua prima inaugurazione di stagione con Lucia di Lammermoor. Nel 1968 fu designato direttore musicale: la scelta di un direttore giovane fu considerata sorprendente, ma risultò alla lunga vincente, soprattutto quando nel 1972 gli si affiancò come sovrintendente Paolo Grassi. La Scala visse allora uno dei suoi periodi più fulgidi, quando Abbado realizzò una serie di spettacoli memorabili (Oedipus Rex, regia di G. De Lullo; Simon Boccanegra, Macbeth, Falstaff, Nozze di Figaro, Amore delle tre melarance, Lohengrin, regia di G. Strehler; Don Carlo, Wozzeck, Viaggio a Reims, regia di L. Ronconi; Cenerentola, Barbiere di Siviglia e Italiana in Algeri, regia di J.P. Ponnelle; Boris Godunov, regia J. Ljubimov), impose la presenza costante di musica moderna (Berg, Stravinskij, Schönberg, Bartók) e contemporanea (Al gran sole carico d’amore e Prometeo di Nono; Samstag aus Licht di Stockhausen), promosse dal 1972 i ‘concerti per studenti e lavoratori’ (per una fruizione della musica meno elitaria, godendo del contributo di musicisti di valore, come Maurizio Pollini, che offrivano il loro appoggio incondizionato) e volle caparbiamente la costituzione nel 1982 della Orchestra Filarmonica della Scala, sul modello dei Wiener, per superare la distinzione tra orchestra lirica e orchestra sinfonica. Nel 1986 lasciò il teatro con la sua ultima produzione milanese, Pelléas et Mélisande. Da allora, passano 26 anni perché Abbado possa tornare a dirigere ancora una volta la ‘sua’ orchestra e il ‘suo’ teatro, il 30 ottobre 2012.
L’impegno per i giovani
Claudio Abbado nell’arco di tutta la sua carriera ha sempre sostenuto i giovani talenti. Nel 1978 ha fondato la European Community youth orchestra, nel 1981 la Chamber orchestra of Europe e nel 1986 la Gustav Mahler Jugendorchester dalla quale si è costituita nel 1997 la Mahler chamber orchestra. In anni recenti, nonostante la malattia, si è impegnato nella formazione e nella guida di 2 nuove compagini di assoluta eccellenza. Del 2003 è la fondazione della nuova Lucerne festival orchestra, con la partecipazione di musicisti della Mahler chamber orchestra, di alcune prime parti dei Berliner e dei Wiener Philharmoniker, di solisti di fama internazionale e di membri di gruppi cameristici. Dal 2004 è stato direttore artistico dell’Orchestra Mozart di Bologna, formata da solisti, prime parti di prestigiose orchestre e giovani ma già affermati musicisti provenienti da tutta Europa. Inoltre, dal 2005, è stato fortemente motivato a sostenere l’Orquesta sinfónica Simón Bolívar di Caracas, la principale formazione del ‘sistema’ fondato da José Antonio Abreu, che coinvolge centinaia di migliaia di giovani di ogni estrazione sociale, a cui sono offerti gratuitamente strumenti musicali e un’adeguata educazione.