Alcobaça, Abbazia di
Monastero cistercense dell'Estremadura (distr. di Leiria in Portogallo), fondato presso i fiumi Alcoa e Baça, dai quali prende il nome.
L'abbazia di A. costituisce un importante caso di architettura cistercense, non solo per le monumentali dimensioni della chiesa, ma anche per la stretta somiglianza che lega l'edificio alla casa madre di Clairvaux, in Francia. Essa è inoltre il monumento più imponente costruito in Portogallo durante il Medioevo.
La sua edificazione è strettamente connessa con l'avanzare della riconquista cristiana e con la necessità avvertita dal re di Portogallo Alfonso Henriques di favorire il ripopolamento e promuovere di conseguenza il riassetto dei territori appena sottratti al dominio arabo. I Cistercensi arrivarono in Lusitania poco prima della conquista di Lisbona (1147), insediandosi nella zona di Beira Alta. Dopo un fallito tentativo di creare un altro monastero nella stessa regione (São Pedro de Mouraz), il re convinse i monaci di Clairvaux a fondare una nuova abbazia nelle fertili terre di A. e più precisamente fra i castelli di Leiria e di Obidos, riconquistati dai cristiani pochi anni prima. La carta di fondazione reca la data 8 aprile 1153: con essa don Alfonso Henriques e sua moglie cedevano al monastero di Clairvaux il terreno e le pertinenze di A. perché fosse costruita un'abbazia e organizzata la relativa proprietà. È per altro importante sottolineare il fatto che Bernardo di Chiaravalle morì nell'agosto dello stesso anno, cosicché quella di A. risulta essere l'ultima fondazione intrapresa durante gli anni del suo governo. Come si rileva talora in fondazioni cistercensi, l'insediamento dei primi monaci non coincise con quello definitivo. Si sa, infatti, che ad A. essi si erano installati più a N-E, in località Chiqueda e ancora nel sec. 16° esistevano tracce di una primitiva costruzione, di cui si è conservata memoria con il nome di Santa Maria a Velha. La costruzione della chiesa attuale ebbe inizio venticinque anni più tardi, con una cerimonia che si svolse il 10 maggio 1178; di essa fa menzione un'iscrizione collocata nel chiostro.Antonio Brandão (1584-1637), illustre cronista dell'Ordine, riporta un avvenimento che avrebbe messo in pericolo l'esistenza stessa del monastero, pochi anni dopo la sua fondazione. Secondo il racconto, nel 1195 il califfo Abū Yūsuf Ya'qūb al-Manṣūr scatenò un poderoso attacco contro la provincia di Estremadura e cinse d'assedio A., perpetrando il sanguinoso eccidio dell'abate Fernando e dei suoi monaci. Tale versione, accettata da diversi autori, resta tuttavia oggetto di grande dibattito; non esiste in realtà alcun documento dell'epoca che confermi l'invasione del 1195 o testimoni che alManṣūr abbia raggiunto Alcobaça. Si ebbero invero massicce offensive arabe nel 1190-1191, ma esse furono concentrate a S del Tago, con l'eccezione di un'incursione su Tomar e Torres Novas. Si può comunque ritenere che il timore di una eventuale invasione abbia spinto re Sancio I ad affidare ai monaci di A., nel 1191, il castello di Abenabeci, ma niente di più è possibile aggiungere con sicurezza. È probabile piuttosto che la fabbrica abbia subìto allora qualche ritardo a causa delle difficoltà attraversate dal regno fra il 1190 e il 1210, così come accadde per altre costruzioni religiose coeve. L'edificazione dell'abbazia, comunque, ebbe un avvio assai promettente e nel periodo di maggiore attività si registrò il concorso di molti cantieri, come dimostra la ricca serie di segni lapidari, che attesta le varie fasi della costruzione.
Un'interessante epigrafe nel chiostro documenta che i monaci si trasferirono nelle nuove costruzioni il 6 agosto 1223. Cocheril (1966; 1972), sulla base di altri documenti, ha comunque accertato che la chiesa fu consacrata negli ultimi mesi di governo di don Egas Rodrigues, morto nel 1252. A questa data, la costruzione non era ancora terminata. Secondo Gusmão (1948), infatti, durante queste prime fasi dei lavori si erano portati a compimento la zona absidale, parte della facciata e, a S e a N, settori continui ma non completi delle mura perimetrali. Cocheril (1966), ancora, ha riassunto le vicende costruttive della fabbrica individuando, in base a quanto si evince dalle vistose alterazioni che la struttura architettonica presenta, tre fasi distinte nel progredire dei lavori; nel ricercare l'originario aspetto dell'edificio, lo studioso ha sostenuto peraltro che esse sarebbero state precedute da un'ulteriore fase - anteriore a quelle indicate - definita 'Alcobaça I'. Benché la tesi sia stata accolta anche da Dimier (1971), un attento esame porta a concludere che l'analisi di Cocheril si basa su di un assunto che difficilmente può trovare conferma, assunto secondo il quale la primitiva chiesa sarebbe stata conclusa nella parte absidale da una testata di tipo bernardino. Il principale argomento di fatto è che, essendo stato il monastero fondato prima della morte di s. Bernardo, il coro doveva necessariamente obbedire alla formula classica, con un'abside maggiore rettangolare e tre cappelle a terminazione rettilinea sul lato orientale di ciascun braccio del transetto. Non può tuttavia essere trascurato il fatto che il santo in realtà morì appena quattro mesi dopo la donazione di A., mentre la chiesa venne costruita solo a partire dal 1178, vale a dire un quarto di secolo più tardi; l'ipotesi di Cocheril trova inoltre ostacoli nella mancanza di ogni indizio architettonico.Più attendibile appare la proposta ricostruttiva di Gusmão (1948; 1956), il quale formula l'ipotesi di un'originaria terminazione orientale secondo il modello di Clairvaux III: la costruzione della chiesa di A. venne avviata quattro anni dopo quella di Clairvaux; si può dunque ragionevolmente ritenere che si fosse manifestato subito il desiderio di riprodurre il modello attuato nella casa madre. Di fatto, pur contandosi numerosi esempi di abbazie dell'Ordine organizzate secondo la medesima pianta, nessuna si presenta con tante affinità come quella di Alcobaça. Se si considera che tali esempi - come Cocheril (1966) giustamente ha notato - sono quasi tutti da riferirsi al sec. 13°, la pressoché totale sovrapponibilità delle piante di A. e di Clairvaux III - simili anche per dimensioni - costituisce un ulteriore indizio a riprova della vicinanza cronologica delle due costruzioni.
Ad A. gli elementi più antichi - individuabili nella parte inferiore della cappella maggiore e nel deambulatorio - riportano a una cronologia abbastanza precoce, poiché la loro tipologia si richiama direttamente ai modelli francesi. È il caso anche delle nervature della volta del coro, molto più semplici di quelle della parte alta della chiesa, e soprattutto dei capitelli floreali che delimitano la cappella maggiore. Anche per questo gruppo di sculture, il cui disegno nacque nell'Ile-de-France e di lì si diffuse già nel terzo quarto del sec. 13°, la compatibilità cronologica con le fasi edilizie del monumento è perfetta.
L'abside di A. è circondata da nove cappelle radiali a pianta trapezoidale; il transetto si limita a due sole navate, poiché la navata orientale è in realtà costituita dalle cappelle laterali, dal presbiterio e dai bracci terminali del deambulatorio. Le cornici e la decorazione dei capitelli della parte alta dell'edificio potrebbero far pensare a un'interruzione dell'opera e ciò sarebbe provato anche dalla forma con cui si chiudono le navate laterali, nel loro alzato differenti dal modello di Clairvaux. Già diversi autori richiamarono l'attenzione sulle particolarità della soluzione adottata, supponendo la presenza di due architetti diversi nella progettazione del monastero. A un architetto di Clairvaux dovrebbe così essere attribuito il tracciato generale del complesso abbaziale e la costruzione delle parti più importanti della chiesa: l'abside, il transetto, il coro. L'opera sarebbe rimasta interrotta al termine della quarta campata delle navate, benché il muro settentrionale, dalla parte del chiostro, fosse già stato condotto, almeno fino a una certa altezza, per tutte e cinque le campate seguenti. Questa interruzione può aver coinciso con la crisi che investì il Portogallo alla fine del sec. 12° e agli inizi del successivo.
Al secondo architetto di A. - forse un portoghese, ma certamente con cognizioni tecniche superiori a quelle della media degli architetti locali del tempo - andrebbero invece riferiti i cambiamenti del progetto originario e la costruzione dell'alzato e delle coperture dell'edificio, oltre che il prolungamento delle navate fino alla decima campata, ossia al limite del chiostro; nella navata centrale vennero poi portati a termine il coro degli infermi e quello dei conversi.
In questa fase si diffusero nella decorazione plastica motivi vegetali di derivazione conimbricense - per quanto modificati - mentre i pilastri presentano mensole cuneiformi, di forma abbastanza rara nell'architettura cistercense, ma presente peraltro nelle abbazie portoghesi (Cocheril, 1972). L'alzato delle navate laterali, quasi della stessa altezza di quella centrale, può essere stato suggerito, nella sua forma originalissima, dal modo in cui - nelle cattedrali romaniche di Coimbra e di Lisbona - è contraffortata la volta della navata principale. Anche la sommità esterna dell'edificio, con coronamento di merli, costituisce un anello di connessione fondamentale con queste due cattedrali, ove peraltro erano già state avviate interessanti esperienze di copertura a ogiva. Proprio attraverso tali esperienze le medesime soluzioni vennero adottate ad A. e impiegate perfino nel rispetto dei profili delle modanature.
È probabile che questa fase coincida con il regno di Alfonso II (1211-1223), protettore dell'Ordine cistercense. Nell'anno di morte del monarca avvenne il trasferimento dalla vecchia abbazia a quella attuale; in quel momento la chiesa poteva dirsi quasi compiuta poiché restavano da erigere solo le due ultime campate e il portico. È a questo punto che intervenne un terzo architetto, cui secondo la classificazione di Cocheril (1966), si devono i pilastri di tipo A.
La facciata attuale, esito delle grandi trasformazioni del sec. 17°, poco conserva della primitiva sobrietà. Della costruzione originaria rimangono il portale, il rosone e le finestre laterali. Nell'aspetto generale la fronte era assai più austera, soprattutto perché non esistevano le torri; inoltre, come a Clairvaux, era presente un basso portico in pietra, più largo della facciata. Secondo fra' Geronimo Román (História do Mosteiro de Alcobaça) era qui che venivano sepolti re e principi, prima del trasferimento dei sepolcri all'interno della chiesa. È il caso di ricordare che il corpo di don Alfonso II fu traslato ad A. appena dieci anni dopo la morte e ciò significherebbe che il portico doveva già essere concluso nel 1233. Oggi il sarcofago si trova nella cappella di São Vicente, ma non sembra questa la collocazione primitiva. L'edificazione della chiesa continuò ancora fino alla sua consacrazione, avvenuta nel 1252.
Le costruzioni annesse cominciarono a essere edificate nel sec. 12° (don Pedro Alfonso fu sepolto in una delle gallerie del chiostro nel 1175), ma si svilupparono a partire dal secolo successivo. L'ala orientale fu la prima a essere terminata, come risulta dalla serie di epitaffi che vi sono murati e che si riferiscono a membri delle più grandi famiglie del regno morti fra il 1208 e il 1302.
Re Alfonso III, nel suo testamento (1271), lasciava 3.000 libre ad construendum claustrum, decretando che tale somma non potesse essere spesa per altri scopi. Tuttavia i lavori non si concretizzarono molto presto, dal momento che le arcate del chiostro e le campate delle gallerie vennero innalzate solo sotto il regno di Dionigi (1279-1325), che finanziò l'opera, come testimonia l'iscrizione commemorativa per la posa della prima pietra, avvenuta il 6 aprile 1308; presiedette la cerimonia l'abate Pedro Nuñes, alla presenza del capomastro Domingo Domingues. Il chiostro fu concluso nel 1311.
L'organizzazione degli ambienti destinati ai monaci avvenne nel corso del sec. 13° (si ricordi il testamento di Alfonso III) e un'analisi attenta dell'edificio mostra i metodi adottati nella costruzione. Le gallerie del chiostro presentano due tipi distinti di mensole; le più recenti sono quelle delle ali occidentale e settentrionale. Dal punto di vista stilistico, il chiostro presenta innegabili contatti con quello della cattedrale vecchia, costruito quasi un secolo prima. Come molte delle costruzioni di tipo 'dionisino', esso si rivela esteticamente di qualità mediocre e caratterizzato da una certa solidità. Ad A. gli edifici conventuali sono sistemati sul lato settentrionale della chiesa e nella loro disposizione seguono lo schema delle abbazie cistercensi.
L'abbazia ha subìto considerevoli trasformazioni in età moderna. L'ala dei conversi fu completamente rifatta nella seconda metà del sec. 16°; successivamente, dove prima era la cucina, fu costruito un piccolo chiostro di servizio all'abitazione dell'abate (1656-1667) e, a sua volta, il calefatorium fu trasformato in cucina (1752). Al di fuori del primitivo perimetro del monastero si susseguirono egualmente diversi ampliamenti, fra cui la moderna sagrestia, il chiostro dei novizi, il chiostro di Rachadoiro e la foresteria.
Nell'angolo formato dal transetto e dalla navata laterale sud si trova la sala delle tombe reali, nella quale sono conservati i sarcofagi di due regine e di sei principi, quanto cio'e rimane dell'antico pantheon reale, demolito durante la ristrutturazione della facciata, dopo il 16° secolo.Il monumento più importante è posto a destra dell'entrata; un'iscrizione, in caratteri databili al sec. 17°, lo riferisce a donna Beatrice (m. 1304), vedova di re Alfonso III; questa attribuzione tuttavia non sembra esatta. Il sepolcro era infatti senza iscrizione e, già nel 1589, fra' Geronimo Román manifestava dubbi in proposito; il disordine in cui vennero a trovarsi le tombe in quel secolo può avere contribuito a creare tale confusione. Il suo stile suggerisce una data anteriore al 1304 e la scena rappresentata sulla faccia posteriore dell'arca lascia supporre che il monumento sia da riferirsi piuttosto a donna Urraca (m. 1220). Con l'eccezione di donna Matilde (ripudiata da Alfonso III e senza figli), donna Urraca fu l'unica regina di questo periodo che morì prima del marito, re Alfonso II (m. 1223), e infatti nel bassorilievo posto alla base del sepolcro appare proprio il re con i suoi familiari che piangono la morte prematura della sovrana. La regina è rappresentata sul coperchio, mentre nelle facce laterali sono scolpite, sotto arcate, le figure dei dodici apostoli. La fronte mostra la Maestà di Cristo con il simbolo del tetramorfo dei quattro vangeli. L'identificazione di questo monumento con quello di donna Urraca risulta di particolare importanza, perché consentirebbe di anticipare di un secolo la datazione di queste sculture, consentendo quindi di considerare il monumento come il primo sarcofago a edicola lavorato in Portogallo. Nonostante la rigidità della composizione e il formalismo delle vesti, si è di fronte all'opera di un artista al corrente del repertorio iconografico francese, soprattutto di quello dell'Alta Loira e del Massiccio Centrale.
Accanto a questo monumento funebre si trova un sarcofago di bambino la cui struttura a edicola sembra ispirarsi al precedente, ma la decorazione del coperchio si avvicina piuttosto a due altri sarcofagi di piccole dimensioni dalle caratteristiche ispano-moresche. Gli altri sepolcri sono quasi completamente consunti, per quanto sia dato ancora intuire la presenza sui lati nascosti di iscrizioni gotiche o di motivi floreali. Lo stesso può dirsi per i sarcofagi di Alfonso II e di Alfonso III, oggi nella cappella di São Vicente.
A metà del transetto, di fronte a un altro sepolcro, si trovano i monumenti funebri di don Pedro II e di donna Ines de Castro, opere notevoli di scultura funeraria del 14° secolo. La relazione amorosa tra l'infante don Pedro e questa dama galiziana, appartenente al seguito della futura regina, donna Costanza, si concluse tragicamente il 7 gennaio 1355 con l'assassinio di Ines de Castro per ordine dello stesso re Alfonso IV. Salito al trono, don Pedro, per commemorare la triste fine della sua amata, le fece costruire una nuova sepoltura di bellezza e qualità senza paragoni nella produzione portoghese del tempo. La traslazione avvenne nel 1361 ed è questa, approssimativamente, la data del monumento; nello stesso tempo il re commissionò la propria tomba, a somiglianza della precedente.
Secondo dos Santos (1924) le sculture di A. sarebbero influenzate dall'arte francese, in particolare da quella di Reims; la presenza di archi a ferro di cavallo e polilobati fa supporre un autore francese operante in Spagna oppure uno spagnolo educato oltre i Pirenei. Di recente, in una comunicazione orale non ancora stampata, Ferreira de Almeida ha avanzato l'ipotesi dell'origine catalano-aragonese dell'artista di A. e ciò, più che per l'inclinazione verso le composizioni decorative di gusto ispano-moresco, per la tendenza quasi pittorica nel trattamento delle scene, certamente suggerita dallo stile gotico italiano presente nella penisola iberica.
L'abbazia di A. riveste un ruolo notevole nella storia della cultura portoghese, anche per la scuola di calligrafi e miniatori cui dette origine. Nell'Arq. Nac. Torre do Tombo e nella Bibl. Nac. di Lisbona si conservano centinaia di codici illustrati provenienti dallo scriptorium alcobacense. In particolare la monumentale Bibbia in quattro volumi (Bibl. Nac., 396399) evidenzia una chiarissima conoscenza dei modelli francesi, nonché reminiscenze orientali e bizantine.
Le arti minori sono rappresentate da pregevoli opere di oreficeria che un tempo appartennero al monastero e oggi si trovano nel Mus. Nac. de Arte Antiga di Lisbona. Di particolare importanza i due calici di argento dorato del sec. 12°, uno dei quali fu offerto dalla regina Dulce. Di forma simile, i calici differiscono tra di loro nella tecnica utilizzata per la decorazione della parte a forma di bulbo fra la coppa e il piede del calice; in uno i motivi sono impressi, mentre nell'altro sono lavorati a filigrana.Egualmente degni di rilievo i pavimenti ritrovati all'interno della chiesa, del sec. 13°, con disegni di splendido effetto, recuperati e ora esposti nella sala del capitolo.
Infine, è da ricordare il recente ritrovamento, in una coll. privata, di un fonte battesimale romanico proveniente dalla regione di Alcobaça. Si tratta del migliore esemplare di questo genere esistente in Portogallo e dell'unico conosciuto di origine conimbricense o prodotto da officine legate a quella scuola. Su di un piedistallo, totalmente consunto, è posata una grande vasca, decorata da un fregio fitomorfo identico a quello dei capitelli della vecchia cattedrale. L'opera è databile al periodo in cui iniziò l'edificazione dell'abbazia di A. (1178 ca.). Questo sembra confermare l'esistenza in A. di una corrente artistica locale, che si potrebbe chiamare 'nazionale', accanto all'innegabile presenza di quella francese di Cîteaux.
Bibliografia
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