LUXEUIL, Abbazia di
(Luxovium, Lussovium nei docc. medievali)
Abbazia situata nella cittadina di Luxeuil-les-Bains (dip. Haute-Saône), ai piedi dei Vosgi, nella diocesi di Besançon, L. fu fondata su un impianto galloromano fortificato da s. Colombano, che la dedicò a s. Pietro, tra il 575 e il 590 ca. (Moyse, 1973, pp. 83-84).Inizialmente avversata dall'episcopato locale, L. iniziò una rapida ascesa solo dopo l'esilio del santo irlandese (610), grazie all'appoggio di Clotario II, re dei Franchi (584-629), e dell'aristocrazia merovingia, diventando durante il lungo abbaziato di Walberto (629-670) la più ricca, potente e spiritualmente prestigiosa abbazia del regno.È ipotesi largamente accettata (McKitterick, 1981, p. 188) che la fiorente produzione libraria dello scriptorium di L., la cui scrittura si avviava a diventare il modello seguito in tutto il regno, abbia subìto una drastica battuta d'arresto nel 732 in seguito a un'incursione di bande di saraceni provenienti dalla Septimania, che avrebbero sterminato la comunità monastica e distrutto l'abbazia. Nel sec. 9° gli abati erano nominati personalmente dai sovrani carolingi (Ansegiso, collaboratore di Eginardo in materia di costruzioni, 817-823) o appartenevano addirittura alla famiglia imperiale (il grande mecenate artistico Drogone, vescovo di Metz, 826-855).È in questo contesto che si inserì l'attività di restauro e ampliamento dell'abbazia promossa da Ansegiso, all'epoca del quale forse è da ricondurre la sistemazione del complesso monastico di L. secondo una pianta triangolare con gallerie coperte tra i singoli edifici ecclesiastici analoga a quella utilizzata pochi anni prima nella ricostruzione carolingia di Centula/Saint-Riquier. Risalgono proprio al sec. 9° alcuni sarcofagi e capitelli ritrovati nell'area anticamente occupata dalla chiesa cimiteriale dedicata a s. Martino, unici resti degli edifici altomedievali di L., forse danneggiati durante le invasioni normanne (Erlande-Brandenburg, 1964).I secoli seguenti al crollo dell'impero carolingio videro la decadenza dell'abbazia, che subì un consistente ridimensionamento territoriale e la perdita dell'antico prestigio spirituale, aggravata dal rilassamento morale e dal successo nella diocesi di Besançon della riforma prima cluniacense, poi cistercense (Locatelli, 1981).L'abate Gerardo II (1040-1051) promosse la ricostruzione della chiesa abbaziale dedicata ai ss. Pietro e Paolo (1049), distrutta da un incendio nel 1200 durante le ostilità tra Filippo di Svevia e Ottone di Brunswick e di nuovo danneggiata nel 1214. L'attuale edificio, iniziato nel 1215, consacrato nel 1340 e terminato solo alla metà del Quattrocento con l'erezione del chiostro, deve in parte il suo carattere disomogeneo al protrarsi dei tempi di costruzione a causa di gravi difficoltà finanziarie. Insiste su una pianta a tre navate di ispirazione cistercense, con coro originariamente a terminazione piana - cui fu aggiunta nel corso del sec. 13° un'abside senza deambulatorio - e transetto sporgente, forato nella parte superiore delle pareti da grandi oculi, caratteristici dell'architettura lorenese del 13°-14° secolo. Di derivazione renana è la dislocazione dei due campanili, posti all'incrocio fra il transetto e la navata centrale, coperta da volte barlonghe ed esemplata sul modello di Saint-Maurice a Epinal (dip. Vosges; Tournier, 1954, pp. 160-163; Rey, 1960).
Risale al 669 la prima attestazione della presenza a L. di uno scriptorium, quando venne eseguito apud coenobium Lussovium il codice dei Sermones di s. Agostino (New York, Pierp. Morgan Lib., 334), uno dei primi testimoni di quella particolare tipizzazione della corsiva merovingica documentaria detta appunto di Luxeuil. Spetta a Lowe (1953; si veda però Putnam, 1963) aver provato l'origine locale della scrittura, la "prima minuscola rifinita e artistica del continente" (Lowe, 1953, p. 140), documentata complessivamente in meno di trenta esemplari, alcuni dei quali eseguiti in onciale e tutti databili fra la metà del 7° e gli inizi del 9° secolo. Tra essi figurano importanti palinsesti e alcuni tra i più antichi esempi di liturgia gallicana, come il Missale Gothicum, della fine del sec. 7°-inizi 8° (Roma, BAV, Reg. lat. 317; Mohlberg, 1929), e il Missale Gallicanum Vetus, della seconda metà del sec. 8° (Roma, BAV, Pal. lat. 493; Bierbrauer, 1992, pp. 68-69). Si tratta di un gruppo di codici contenenti, secondo una tendenza comune agli ateliers merovingi dell'epoca, per lo più opere liturgiche e patristiche; rimangono solo pochi frammenti dei libri dei profeti, tra i primi testimoni del testo della Vulgata (Ganz, 1991), mentre mancano gli evangeliari, e questo spiega in parte l'assenza di figurazioni antropomorfiche nella miniatura di Luxeuil.Le origini irlandesi dell'abbazia e i legami con le altre fondazioni di s. Colombano, tra cui Bobbio e San Gallo, non sembrano aver condizionato particolarmente né la scrittura, né la struttura dell'impaginazione, né la decorazione dei manoscritti prodotti nello scriptorium (Micheli, 1939, p. 67); quest'ultima si basa invece su un vocabolario zoo-fitomorfo elementare (pesci, uccelli, fiori), già riscontrabile in alcuni manoscritti della fine del sec. 6°-inizi 7° provenienti dalla Francia meridionale e dall'Italia (Branner, 1954, p. 686; McKitterick, 1981, p. 189; Nordenfalk, 1992). Senza precedenti è l'attenzione per la mise en page, organizzata secondo principi gerarchici: le singole sezioni del testo sono introdotte da iniziali e scritture d'apparato variopinte usate in senso ornamentale, basate su un alfabeto maiuscolo con caratteri dalle forme angolose (tipica la O a losanga) e aste con terminazioni a cuneo, bifide o ritoccate con eleganti volute. Ricorrente è l'impaginazione oblunga di derivazione tardoantica, a una sola colonna, con grandi iniziali di base onciale, dai contorni appena accennati e dai colori luminosi e trasparenti, poste costantemente a margine dello specchio scrittorio. È in esse che si concentra la decorazione, di carattere esclusivamente aniconico, dei manoscritti di L. (Zimmermann, 1916, tavv. 44-77), che solo nei codici più lussuosi si estende a grandi pagine ornamentali poste ad apertura di volume. Rigorosamente subordinati alla foggia delle lettere e paratatticamente addizionati l'un l'altro all'interno delle singole iniziali, i motivi ittiomorfi, fitomorfi (rosette a sei-otto petali) e geometrici (medaglioni circolari) sono costruiti mediante ingegnose combinazioni di figure modulari. La forma più frequente è quella a fuso, che di volta in volta dà vita ai petali di fantastici fiori stellati racchiusi entro tondi nelle iniziali curve o ai decoratissimi corpi stilizzati dei pesci, spesso senza partizioni anatomiche interne, utilizzati nelle aste rettilinee delle lettere. Disegnati con l'aiuto di riga e compasso, questi motivi si distinguono per una spiccata tendenza alla geometrizzazione, senza confronti nella miniatura coeva.Di più libera esecuzione sono gli inconfondibili uccelli dalla lunga coda pennuta, gli arti filiformi e contratti, il collo stretto e alto, la testa circolare con un solo occhio tondo, il becco adunco a mo' di rapace: i loro corpi estensibili vengono talvolta irrigiditi e allungati a dismisura nelle aste delle iniziali, ma più frequentemente si inarcano innaturalmente a formarne i tratti curvi. Il prolungamento delle esili aste verticali delle lettere, decorate con semplici motivi a intreccio commisti a triangoli, frecce, cuori, racemi stilizzati e associate a motivi zoo-fitomorfi, dà luogo a caratteristiche iniziali a nastro, che spesso arrivano a incorniciare per intero i margini esterni delle carte. Il rigido controllo formale delle iniziali non si estende però all'organizzazione interna della mise en page e l'assenza di un principio regolatore in grado di coordinare il testo all'esuberante decorazione priva la pagina di un vero e proprio ordine compositivo. Questa concezione antimonumentale risalta particolarmente là dove i miniatori si cimentano in imprese di ampio respiro, come nei grandi fogli ornamentali, spesso esemplati sul modello delle tavole dei canoni evangelici, dove le esili architetture, perduto ogni carattere di solidità, sembrano levitare senza peso sullo sfondo.Fenomeno caratteristico della produzione libraria di L. sembra essere stato quello della realizzazione di grandi codici di lusso da esportazione. Si tratta di vere e proprie copie di presentazione, sontuosamente ornate, destinate ai numerosi monasteri istituiti dalla potente abbazia (tra i quali Corbie, 657-661), oppure eseguite da scribi di L. appositamente inviati negli scriptoria delle nuove fondazioni, o addirittura confezionate per singoli committenti. Tra esse figurano il celebre Lezionario di L., dell'ultimo quarto del sec. 7°, prodotto forse per un monastero della regione di Langres (Parigi, BN, lat. 9427; Salmon, 1944-1953, I), e il Missale Gothicum (Mohlberg, 1929; Bierbrauer, 1992, pp. 62-63), decorati con un vastissimo repertorio di iniziali zoo-fitomorfe e a nastro continuo. Furono probabilmente iniziate a Corbie da scribi di L. la Historia Francorum di Gregorio di Tours, della fine del sec. 7° (Parigi, BN, lat. 17655; Lowe, 1952; Ganz, 1990), la copia più riccamente ornata di tutti i manoscritti del sec. 7° dell'autore, e le Homiliae in Ezechielem prophetam di s. Gregorio Magno, del secondo quarto del sec. 8° (San Pietroburgo, Saltykov-Ščedrin, Lat. Q.v.I.14; Dobiaš-Roždestvenskaja, 1934, p. 46ss.; Köhler, 1972; Ganz, 1990; Nordenfalk, 1992). In questo prezioso manoscritto, che si apre con due splendide pagine a tappeto (una grande croce circondata da una cornice arabescata su un fondo disseminato di rosette e una griglia dagli interstizi decorati con fiori e uccelli, cc. 1v-2r), le singole sezioni introduttive del testo sono inserite dentro edicole dalle forme inconsuete (trilobe, mistilinee, a pagoda) o nelle quali gli elementi architettonici sono integralmente sostituiti da figure animali e vegetali.L'uso di inquadrare il testo all'interno di cornici architettoniche ricorre fin dagli inizi della produzione libraria di L., che lo diffuse nella miniatura merovingia: ne è un esempio il codice contenente la Regula pastoralis di s. Gregorio Magno (Ivrea, Bibl. Capitolare, 1), realizzato per Desiderio, vescovo di Ivrea intorno al 679, che può anche essere considerato il primo testimone della produzione da parte degli scribi di L. di codici per singoli committenti. Tra essi figura persino una nobildonna di Magonza, Ragintrude, per la quale venne forse eseguito intorno alla metà del sec. 8° il manoscritto dei Synonyma di Isidoro di Siviglia noto come Codex Ragyndrudis (Fulda, Hessische Landesbibl., Bonifatianus 2). Appartenuto secondo la tradizione a s. Bonifacio, che lo avrebbe usato come scudo per difendersi dai suoi assassini, e decorato con larghe iniziali ittiomorfe, che si estendono talvolta lungo tutto il margine esterno della pagina, questo manoscritto è provvisto di una legatura in cuoio stampato, considerata la più antica testimonianza dell'uso di questa tecnica in Europa e ornata anch'essa con i motivi caratteristici della miniatura di L. (Jakobi-Mirwald, Köllner, 1993).Lo scriptorium di L. rimase in funzione almeno fino agli inizi del sec. 9° e progressivamente si adeguò all'uso della carolina (Jones, 1939), in conformità all'atteggiamento filoimperiale che caratterizzò allora la politica del monastero.In epoca tardo-ottoniana pare che L. si sia servita di codici importati direttamente dagli ateliers imperiali: provengono da Echternach i frammenti di un prezioso evangeliario (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 2196), commissionato dall'abate Gerardo II ed esemplato sul modello del Codex Aureus Epternacensis di Norimberga (Germanisches Nationalmus., 156142; Nordenfalk, 1957, p. 216).
Bibl.: E.H. Zimmermann, Vorkarolingische Miniaturen, Berlin 1916, pp. 47-57, tavv. 44-77; L.C. Mohlberg, Missale Gothicum. Das gallikanischer Sakramentar (Cod. Vatican. Regin. lat. 317) des VII-VIII. Jahrhunderts, Augsburg 1929; O. Dobiaš-Roždestvenskaja, Histoire de l'atelier graphique de Corbie de 651 à 830 reflétée dans les Corbeienses Leninopolitani, Leningrad 1934; L.W. Jones, Dom Victor Perrin and Three Manuscripts from Luxeuil, Bulletin of the John Ryland's Library 23, 1939, pp. 166-181; G.L. Micheli, L'enluminure du haut Moyen Age et les influences irlandaises, Bruxelles 1939; P. Salmon, Le lectionnaire de Luxeuil (Paris, ms. lat. 9427). Edition et étude comparative, 2 voll., Città del Vaticano 1944-1953; E.A. Lowe, A Note on the Codex Corbeiensis of the ''Historia Francorum'' and its Connection with Luxeuil, Scriptorium 6, 1952, pp. 284-286; id., The ''Script of Luxeuil'': a Title Vindicated, Revue bénédictine 63, 1953, pp. 132-142; R. Branner, The Art of the Scriptorium at Luxeuil, Speculum 29, 1954, pp. 678-690; R. Tournier, Les églises comtoises, leur architecture des origines au XVIIIe siècle, Paris 1954; C. Nordenfalk, L'enluminure, in A. Grabar, C. Nordenfalk, Le Haut Moyen Age du quatrième au onzième siècle, Genève 1957, pp. 87-217; M. Rey, Luxeuil médiéval, CAF 118, 1960, pp. 105-116; M.C.J. Putnam, Evidence for the Origin of the Script of Luxeuil, Speculum 38, 1963, pp. 256-266; A. Erlande-Brandenburg, Le monastère de Luxeuil au IXe siècle. Topographie et fragments de sculpture, CahA 14, 1964, pp. 239-243; W. Köhler, Buchmalerei des frühen Mittelalters. Fragmente und Entwürfe aus dem Nachlass, a cura di E. Kitzinger, F. Mütherich (Veröffentlichungen des Zentralinstituts für Kunstgeschichte in München, 5), München 1972, pp. 89-91; G. Moyse, Les origines du monachisme dans le diocèse de Besançon (Ve-Xe siècles), BEC 131, 1973, pp. 21-104, 369-485; R. Locatelli, Luxeuil aux XIIe et XIIIe siècles. Heurs et malheurs d'une abbaye bénédictine, Revue Mabillon 60, 1981, pp. 77-102; R. McKitterick, The ''Scriptoria'' of Merovingian Gaul: a Survey of the Evidence, in Columbanus and Merovingian Monasticism (BAR. International Series, 113), Oxford 1981, pp. 173-207; D. Ganz, Corbie in the Carolingian Renaissance (Beihefte der Francia, 20), Sigmaringen 1990, pp. 38-39; id., The Luxeuil Prophets and Merovingian Missionary Strategies, in Beinecke Studies in Early Manuscripts, Yale University Library Gazette. Supplement 66, 1991, pp. 105-117; C. Nordenfalk, Studies in the History of Book Illumination, London 1992, pp. 60-63; K. Bierbrauer, Missale Gothicum e Missale Gallicanum Vetus, in Biblioteca Apostolica Vaticana. Liturgie und Andacht im Mittelalter, cat., Köln 1992, pp. 62-69; C. Jakobi-Mirwald, H. Köllner, Die illuminierten Handschriften der hessischen Landesbibliothek Fulda, I, Handschriften des 6. bis 13. Jahrhunderts, Stuttgart 1993, pp. 18-21.F. Cecchini