Abbigliamento militare
Tra i capi d'a. civile e militare è sempre stato continuo l'interscambio di modelli, anche se in determinati momenti si può scorgere la preminenza di uno dei due termini, pure nell'ambito di una stessa cultura e raggruppamento sociale. Nel Medioevo prevalse in linea di massima la variante militare - o il semplice uso militare - di vesti e accessori civili. Società complessivamente sobrie tendevano del resto quasi naturalmente all'uso semplificato, e quindi plurimo, dei beni disponibili. Un coltello e una schiavona andavano altrettanto bene in casa, a caccia, nei campi e alla guerra.
L'a. militare, anche in caso di 'prestito' dall'uso civile, deve però tenere particolarmente conto di determinate necessità; tende soprattutto a essere semplice, robusto, pratico, e deve, per quanto possibile, concorrere alla migliore difesa della vita. Queste funzioni essenziali non sono però le sole, anzi in non pochi casi ve ne sono altre molto importanti che vanno anch'esse garantite: l'immagine complessiva, la distinguibilità, il rango, la suggestione, categorie tutte valide anche per l'abito civile o ecclesiastico, ma con qualcosa in più, perché l'a. militare - come altri, per es. l'ecclesiastico - è anche espressione di un servizio specifico, per una collettività o un singolo potere, e se rammenta doveri nei confronti del proprio 'ordine', vuole richiamare soprattutto i diritti verso l'universale esterno. Vestire una 'divisa' che distingue (o l''uniforme' del gruppo di appartenenza) certifica ancora oggi un 'mutare di pelle' sociale. Nel corso del Medioevo non si può parlare, in linea di massima, di soluzioni univoche, benché nel Medio Oriente compaiano talora raggruppamenti di armati con vesti di colore uguale; invece in epoca tardomedievale è già possibile individuare qualche elemento di 'divisa': un colore prevalente nell'abito o su di esso, un ornamento particolare, quando non addirittura una precisa citazione araldica d'insieme o accessoria. Solo verso la fine del Medioevo si connota la vera e propria armatura (considerata l'abito da lavoro del guerriero), mentre si ha sempre uno stretto legame tra l'a. militare e l'armamento, inteso come apparato guerresco anche parziale, per lo più misto di tessuto, cuoio e acciaio. L'armatura è invece l'insieme difensivo tutto in piastre d'acciaio, che protegge per intero, da capo a piedi.
Nelle raffigurazioni altomedievali si avverte molto bene la promiscuità di uso: la connotazione specifica è data, oltre che dalle armi (un copricapo, uno scudo, un'arme offensiva) da qualche eventuale altro segno: per es. una cuffia da armare, di pelle o tessuto, destinata a proteggere la testa sotto il copricapo metallico, o il cingulum annodato sul petto, o una calzatura particolare. L'impiego di un armamento più completo, come l'usbergo in maglia ad anelli o a squame o a brattee, rende sussidiaria l'eventuale compresenza della veste o del bambagione (un imbottito sottostante), come della soprasberga o sopravveste di copertura. È probabile che tali indumenti fossero più robusti di quelli di uso civile, almeno tra i soldati di mestiere e senz'altro nei ceti più ricchi, che potevano e volevano diversificare anche i propri beni d'uso. La veste diminuiva il disagio della confricazione con il metallo, quando questo era contesto per conto proprio, senza supporto di cuoio o tessile, e concorreva ad attenuare gli effetti diretti del riscaldamento del metallo sotto il sole; la soprasberga, invece, riparava in qualche modo l'artefatto. Quando, dopo la metà del sec. 11°, anche le gambe cominciarono a essere difese da calze o mezze calze in maglia d'acciaio, che coprivano solo la parte anteriore dell'arto, fu necessario mantenervi al di sotto il vecchio paio di brache aderenti ('paio' perché allora in due pezzi separati, allacciati in alto a un cinto di sostegno).Il bambagione (gr. βαμβάϰιον, dal persiano pambag, 'cotone') era un vestimento tipicamente guerresco, sorta di casacca, più o meno lunga, di tessuto molto robusto, borrato di cascami e crine e trapunto a piccato o a costure longitudinali o, più di rado, trasversali. Quando aveva maniche, la loro attaccatura si conformava a costure semicircolari che si allargavano in ricorsi, sul davanti e dietro, fino a essere quasi tangenti, in modo da garantire il libero movimento della spalla e del braccio. L'imbottitura era largamente usata anche nelle 'coverte' da guerra delle cavalcature, prima che esse fossero sostituite dalle nuove barde di cuoio, e il bambagione poteva essere indossato anche da solo - specie dalle genti a piedi che non potevano disporre d'altra difesa - senza l'usbergo che proteggeva i combattenti a cavallo, meglio equipaggiati. Naturalmente le sue forme ripresero quelle dei tempi correnti: il bambagione per es. ebbe maniche a commeo o con gli avambracci aderenti e bottonati quando queste forme furono di moda. La sua versione più ridotta fu il giacco, che scendeva solo fino al bacino.La sopravveste militare (o soprasberga) comparve tardi, nella seconda metà del sec. 12°, e fu dapprima scollata e senza maniche, fessa davanti e dietro per cavalcare e muoversi meglio, bianca o di un solo colore. A parte la lunghezza, che variò in funzione di quella dell'usbergo, il tipo rimase in uso fino al secondo quarto del sec. 14°, talora acquisendo, negli ultimi decenni d'impiego, maniche lunghe al polso o corte al gomito o poco più. La sopravveste si esibì molto più a lungo nel gioco guerresco, dove permase sin quasi alla fine del sec. 15°, mantenendovi le armeggiature araldiche, venute di moda anche sull'a. intorno alla metà del Duecento.L'uso di vesti armeggiate con le insegne personali, gentilizie (di famiglia) o sociali (di comunità o consorterie), costituì una delle caratteristiche più espressive del mondo medievale. Si trasmettevano così messaggi visivi di contenuto molto preciso e interrelati: di rango, di potere, di diritto, di pretensione politica, di alleanza in ogni senso, di sottomissione e servizio; ma vi erano in essi anche la proposta e l'affermazione di modelli comportamentali, l'abbellimento della violenza, il vitalismo, l'esibizione. L'araldica era un linguaggio internazionale - e per certi aspetti 'interclasse', almeno agli inizi - di forme, simboli e colori organizzati secondo regole universali, largamente compreso o ampiamente riconoscibile, se non altro in ambito territoriale, anche dagli strati più popolari. Vivissimo, creativo, eccitante, questo linguaggio possedeva un alto grado di comunicabilità ed è naturale che esso abbia avuto impiego e apprezzamento così durevole e tanto ampio. Soluzioni molto specifiche furono costituite dai tabarri degli araldi e dei re d'armi, come quelli indossati dai cerimonieri di qualche comunità, dipinti o ricamati con le armi del mandante; non si trattò in questi casi di a. strettamente militari, ma nel mondo guerresco e cavalleresco se ne fece amplissimo uso ed è senz'altro logico considerarli strettamente apparentati a esso.
Altri vestimenti, dove concorsero araldica e connotazione guerresca, si ebbero con le sopravvesti e i mantelli degli ordini religioso-cavallereschi nati con le crociate, non solo in Terra Santa, ma anche con la Reconquista iberica e con l'espansione tedesca nell'Europa orientale. Il colore dell'abito poteva variare, ma per lo più si trattò di sopravvesti o mantelli bianchi caricati, sul petto o sulla spalla sinistra, della croce propria dell'ordine, di forma e colore specifici. Ordini laico-cavallereschi fiorirono in seguito un po' dovunque e quasi tutti ebbero un particolare a. cerimoniale.
Una sorta di ampia sopravveste panneggiata, per lo più lunga fino ai piedi e aperta sul davanti, con maniche amplissime e sovente foderate di pelliccia (la pellanda), fu un vestimento civile indossato molto spesso anche sull'apparecchio guerresco. Comparsa intorno alla metà del Trecento quale grande mantello per ripararsi dalla pioggia, poteva essere, nei primi tempi, anche senza maniche. Ebbe larga fortuna e nella seconda metà del secolo acquisì per qualche decennio le esasperate frastagliature alla moda; più tardi variò ancora le proprie forme, sino a quelle meno imponenti che perdurarono a lungo sotto lo stesso nome. La pellanda predilesse stoffe molto ricche, ma solo di rado accolse moduli decorativi para-araldici, come lettere iniziali o imprese 'senza anima'.
Tra i capi di a. misto, civile e militare, ebbe gran fortuna il sorcotto aderente e corto, comparso insieme al farsetto dopo la grande peste della metà del Trecento e rimasto in uso fino al secondo decennio del secolo seguente. La versione militare fu in generale senza maniche, molto sovente armeggiata, e la forte imbottitura del petto, alla moda sul finire del secolo, acquisì nell'uso guerresco anche una valenza protettiva e di appoggio funzionale. Mentre il sorcotto civile ebbe talvolta, oltre alle maniche, anche un gonnello a falde, il tipo militare giunse solo poco sotto il bacino, in modo da non infastidire i movimenti; si indossava sopra la corazza o il lamiere come la soprasberga sull'usbergo.
Il passaggio decisivo dall'armamento difensivo misto all'armatura si ebbe nel corso del Trecento e parallelamente si dovettero modificare gli indumenti sottostanti. L'abito aderente era ormai indispensabile per sovrapporvi il nuovo equipaggiamento guerresco che andava strutturandosi, ma a loro volta le vesti attillate si imponevano anche nella concezione complessiva, sottile e longilinea, della figura tardogotica. Queste interrelazioni furono a volte molto specifiche: per es. il farsetto civile impiegò talora le imbottiture di spalla, che facilitavano l'indossata delle difese corrispondenti in quello da armare, tanto da rendere ancora più semplice un uso misto dello stesso indumento. Il rapporto stretto tra modelli civili e militari non fu però solo una caratteristica dell'armamento medievale, anzi andò crescendo in modi più specifici tanto da qualificare (salvo che nel Quattrocento) anche le forme stesse e gli abbellimenti decorativi dell'apparecchio difensivo più tardo.
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