ABBIGLIAMENTO (dal francese habiller, probabilmente connesso col lat. habĭtus)
È l'insieme degli oggetti che servono per vestirsi e adornarsi.
La storia dell'abbigliamento coincide con la storia della civiltà. Rispondendo da un lato alla necessità materiale della difesa dalle intemperie, dall'altro all'istinto estetico; riflettendo nei suoi molteplici aspetti il carattere, la mentalità, le credenze, i costumi di un popolo, esso costituì sempre, insieme con quella dell'alimentazione, la più grande preoccupazione dell'umanità. Bisognava trovare innanzi tutto le materie prime adatte allo scopo; poi i modi tecnici di elaborarle con complessità ognora crescente, sì da rispondere a bisogni sempre più numerosi e raffinati.
I documenti lasciatici dai popoli preistorici e quelli offertici dai popoli che sono ancora attualmente negli stadî meno progrediti della civiltà, sono d'accordo nel testimoniare l'immediatezza di questo bisogno; talché nessuna fra le tribù anche più selvagge è attualmente in quello stato di assoluta nudità, che dovette essere l'originario.
Ma è bene anzitutto distinguere nell'abbigliamento il vestito che serve a coprire, dall'ornamento. L'uomo primitivo, divenuto cacciatore, si getta bensì sulle spalle, come trofeo forse più che come copertura, le pelli delle bestie che ha abbattute, e si cinge d'intrecci ingegnosi di liane e cortecce che gli son forse davvero suggeriti dall'osservazione del ragno, come fu detto tradizionalmente; ma soprattutto si adorna. Sono oggetti svariati, ossa, conchiglie, pietre, piume, che si appendono alla persona sotto forma di collane, braccialetti, anelli, cinture, diademi; oppure decorazioni della persona stessa sotto forma di pitture e tatuaggi, o deformazioni artificiali, come cicatrici, denti strappati, alterazioni di parti del viso o del corpo. A questo stadio sono attualmente alcune tribù selvagge dell'Africa, dell'America, dell'Australia.
L'ornamento precede quindi il vestito propriamente detto: il che è stato interpretato generalmente come una prova delle tendenze estetiche innate nell'uomo. Ma allo studio di questo fatto possono applicarsi a buon diritto le moderne spiegazioni sull'origine dell'arte (E. Grosse, Les débuts de l'art, trad. Dirr, Parigi 1902; A. Della Seta, Religione ed arte figurata, Roma 1912), che inducono a vedere nella scelta e nel mantenimento di quegli ornamenti (che presentano, si noti bene, una monotona uniformità a qualunque razza d'ambiente appartengono) ragioni sono estetiche e sociali, in quanto siano segni distintivi di gradi e di qualità, o mezzi per rendersi terribili agli occhi dei nemici, ma anche e soprattutto superstiziose, in quanto siano considerati come amuleti.
La spiegazione poi dell'origine del vestito come difesa del pudore è tradizionale (Genesi, III, 7, 21), per quanto molti pensino che il pudore, sentimento quant'altro mai mutevole secondo i popoli, i tempi e le circostanze e niente affatto istintivo, sia un prodotto, non un fattore della civiltà, cioè effetto e non causa del vestito.
Anche il bisogno di difendersi dalle intemperie, (bisogno sempre crescente soprattutto nelle regioni meno favorite dalla natura, quanto più l'uomo, affinandosi, perdeva di resistenza naturale) contribuì allo sviluppo del vestito, per quanto non si debba dare al fattore atmosferico un'importanza assoluta; perché, se è vero che gli Eschimesi sono ben protetti da pellicce e i selvaggi africani stanno quasi nudi, è anche vero che gli Arabi vanno molto coperti in regioni caldissime e i Fuegini, con un clima glaciale, si riparano soltanto con una pelle, che spostano sulla persona secondo il vento.
Una divisione ingegnosa, se non sempre persuasiva, è stata fatta (C. H. Stratz, Die Frauenkleidung und ihre natürliche Entwicklung, Stoccarda 1904), tra la veste così detta tropicale, basata sulla gonna, e la veste artica, basata sui calzoni, che in Europa sarebbero diventate tipiche del vestiario rispettivamente femminile e maschile, perché rispettivamente rispondenti alle diverse esigenze di vita e di attività dei due sessi.
Delle varie fogge del vestito e dell'adornamento dei popoli primitivi e dei popoli di cultura, e dello sviluppo che i varî elementi del vestiario e gli ornamenti hanno avuto nei secoli, prima di giungere alle forme odieme, si tratta particolareggiatamente negli articoli moda e vesti. Qui pare opportuno esporre invece rapidamente la storia dei mezzi usati dall'uomo per creare gli oggetti del suo abbigliamento; in altre parole, l'origine e il progredire di quelle numerose attività che sono sboccate nelle moderne industrie destinate a questo fine, e che hanno importanza assai grande nella vita economica moderna. Della storia e dell'attuale organizzazione ed efficienza delle aziende di produzione dei singoli oggetti di abbigliamento si tratta sotto le voci: biancheria, bottone, busto, calzatura, calze, cappello, cintura, cravatta, guanti, ombrello, pelliccia, vesti.
L'antichità. - È notevole l'ingegnosità con la quale fin da principio l'uomo si fabbrica tra i suoi utensili anche quelli che servono alla preparazione dei primi rozzi vestiti nelle operazioni fondamentali: tagliare e cucire. Sono selci adattate ad uso di coltello e di scarnitoio per tagliare e pulire le pelli, punteruoli di osso per forarle, aghi, fatti con ossi o spine, senza cruna, ma con una capocchia, attorno alla quale si avvolgevano tendini o liane che servivano da filo, persino bottoni doppî, formati con ossi scavati. Molti giacimenti preistorici, e soprattutto quelli di La Madeleine in Dordogna, della Svizzera e della Scandinavia, ci hanno conservato questi oggetti. Resti di cuoio e alcuni mortai di granito con tracce di colore triturato ci provano pure l'antichità dell'arte di conciare e tingere le pelli. Ciò ha permesso al Museo archeologico di Parigi di tentare una ricostruzione dell'abbigliamento completo di un uomo dell'età della pietra.
L'età dei metalli, bronzo e ferro, segna un prodigioso passo in avanti anche nel campo dell'abbigliamento, con due tra le più semplici ma mirabili scoperte dell'umanità primitiva: il tessere e il filare, attribuite generalmente dalle mitologie ai benevoli suggerimenti di qualche divinità. Lo sviluppo della pastorizia e dell'agricoltura veniva a porre a disposizione dell'uomo la materia prima con il ritrovamento delle fibre tessili animali e vegetali: lana, soprattutto di pecora, e lino (v. lana, lino). Entrambi furono pressoché universalmente usati fin dai tempi più lontani: benché, p. es., gli Egiziani usassero pochissimo la lana, considerandola come materia impura.
La conocchia e il fuso sono strumenti primordiali. Trovato con essi il modo di produrre il filo, gl'intrecci, che già si facevano a mano con le liane, dovettero suggerire l'idea del tessere, ed ecco nascere così il rudimentale telaio primitivo, che in forme press'a poco altrettanto rozze si può vedere usato ancora oggi da alcune popolazioni selvagge, per es. dagli indigeni di Sarawak (v. telaio).
Le palafitte di Robenhausen (cantone di Zurigo, Svizzera), dell'età del bronzo, ci hanno conservato dei campioni di stoffe di lino, ora custoditi nel Museo St. Germain a Parigi, tessute ed ornate con finezza e gusto sorprendenti.
La lavorazione dei metalli permette poi di perfezionare gli utensili sussidiarî. Le stazioni lacustri ci mostrano pettini per cardare, aghi di bronzo svariati, tra cui compaiono quelli con la cruna. In una dimora di palafitticoli sul lago di Neuchâtel (Svizzera), fu rinvenuto un paio di forbici, nella forma rudimentale di due lame riunite a contrasto da un pezzo di metallo incurvato, che si mantenne fino al Rinascimento. Alcune tombe preistoriche della Scandinavia ci conservarono intieri pezzi di rozze vesti di stoffa di lana. Col bronzo, col ferro, con l'oro soprattutto, si sviluppa poi tecnicamente ed artisticamente il gioiello, destinato a rimanere attraverso i secoli la parte essenziale dell'abbigliamento in quanto ornamento; e le fibbie vengono a surrogare i bottoni e le legature dell'età della pietra.
Documentazioni di uno stadio di civiltà analogo a questo ci sono date oggi, per esempio, dagli Eschimesi e dai Pellirosse (G. de Mortillet, Musée préhistorique, 2a ed., Parigi 1903).
L'attività dei popoli civili in questo campo non perfezionò notevolmente per moltissimo tempo gli strumenti primitivi, ma riuscì invece ad affinare i procedimenti tecnici in modo da raggiungere in tutte le lavorazioni risultati sorprendenti, dati i mezzi, e tali da soddisfare le raffinate esigenze del lusso artistico e fastoso dell'antichità, soprattutto orientale: fatto che del resto è vero ancora oggi, appunto per molti popoli dell'Oriente che non hanno raggiunto il nostro grado di progresso industriale.
Gli Egiziani erano fra tutti famosi per le finissime stoffe di lino, che lavoravano, a differenza degli altri popoli, inserendo la trama dall'alto in basso invece che dal basso in alto; ne vediamo del resto la bellezza e la resistenza in quelle che avvolgono le mummie, la cui fabbricazione aveva un carattere religioso ed era monopolio della classe sacerdotale. Fu famosa una tunica regalata dal re Amasis ai Lacedemoni, tessuta in lino ed oro con fili finissimi di 360 capi (Herod., II). Nel mondo classico sono rinomate le stoffe lucenti di bisso, o lana di mare, e le vestimenta di Coo, prima meraviglia dell'arte della seta (Plinio, Nat. Hist., XXXV). I Babilonesi erano dal canto loro abilissimi nella lavorazione delle pelli, tradizione che forse passò poi a suo tempo agli Arabi, che ne andarono famosi. Per l'arte tintoria, quanto mai progredita, basti ricordare la porpora estratta dal murice, vanto dei Fenici. E leggiamo in Isaia (III, 18-23) quanti accessorî eleganti potesse già portare addosso una delicata figlia di Sion: splendide calzature, cuffie, nastri per i capelli, giarrettiere, sciarpe; tuniche, sottovesti lussuose, ricche cinture, abiti da inverno e da estate. senza accennare ai gioielli.
Il progresso del commercio allargava nello stesso tempo il campo di sfruttamento delle materie prime. Il cotone, conosciuto ab antiquo al pari della canapa dagli Indiani, fu ignoto forse agli Egizî e agli Ebrei, non però ai popoli classici, per quanto ne facessero scarsissimo uso (Erodoto, Hist., III, I06; Strabone, Geograph., XV, 3; Plinio, Nat. hist., XIX, 2). La seta, che in origine non fu prodotto di speciale coltivazione, rimase per molto tempo il monopolio, custodito da rigoroso segreto, dei Cinesi, che avevano pensato al razionale allevamento del gelso e del baco, e costituì perciò per l'antichità uno dei più ricercati prodotti di lusso. Nel 166 d. C. una missione fu mandata da Roma a studiare la produzione della seta, ma con scarsi risultati.
La confezione degli oggetti di vestiario, che dapprima non costituiva che una parte del lavoro domestico delle donne, col moltiplicarsi delle esigenze acquistò il carattere di artigianato, che mantenne fino all'età moderna; se non che questo fu esercitato quasi esclusivamente da uomini, pur rimanendo alla donna il lavoro domestico. Notiamo, però, che in Oriente gli uomini attendevano e attendono tuttavia a mestieri che a noi sembrano tradizionalmente femminili, come quello del ricamo.
Una posizione a parte avevano tutti i moltissimi, uomini e donne, che esercitavano un mestiere non per mercede, ma come schiavi specializzati. E la divisione del lavoro fu sin dall'inizio notevole. In una iscrizione egiziana, dove è un elenco ragionato e alquanto pessimistico di mestieri, troviamo il tessitore, "che è più disgraziato di una donna, perché ha i ginocchi all'altezza del cuore e non gode mai dell'aria libera"; il calzolaio, "che ha la salute di un pesce marcio a furia di raschiare il cuoio"; il tintore "che ha le dita che puzzano e passa il suo tempo a tagliare gli stracci".
Ma Plauto ci fa una ben più lunga enumerazione nell'Aulularia, dove Megadoro si lamenta dello sperpero che fan le donne, e di tutti i lavoranti che bazzicano per casa a chiedere quattrini; c'è lo smacchiatore, il ricamatore, l'orefice, il lanaiuolo, i merciai, il venditore di galloni, il cucitore di sottovesti, i tintori di rosso, di violetto, di giallino, i sarti di varie fogge, i profumieri di calzature, i rigattieri, i fornitori di pannilini, i calzolai per gli stivaletti, le scarpine e le pantofole, e poi altri tintori e rammendatori e mercanti di pettorine e bustai; e ancora altri sarti e tessitori e passamantai, ecc.
Il Medioevo e il Rinascimento. - Nel Medioevo la difficoltà di procurarsi molte materie prime e la poca disponibilità di operai, unite ad una diminuzione di raffinatezza nelle esigenze quale si ebbe nel periodo barbarico, resero per un certo tempo stazionarie le arti dell'abbigliamento. È caratteristico poi il manifestarsi di una enorme sperequazione nel vestire delle varie classi sociali, dovuta alle condizioni economiche e all'ordinamento della società sì che di abbigliamento di lusso si può parlare solo per i più alti strati sociali.
Le pellicce, le stoffe di lino divenute rare, le stoffe di seta, che già al tempo di Aureliano si pagavano letteralmente a peso d'oro (Vopisco, Aur., 44), erano oggetti di gran lusso. I Barbari erano avidi di vesti di seta: Alarico, p. es., esige dal bottino di Roma 4000 tuniche di seta.
Il mondo feudale e la cavalleria ridanno un posto importante al lusso; le crociate allargano le conoscenze geografiche e aumentano la possibilità di commercio delle materie prime; gli Arabi, dalle loro fabbriche di Granata e di Valenza, insegnano nuovi procedimenti per la fabbricazione, la tintura, l'ornamento delle stoffe. Si levano canti di poeti, che dànno consiglio alle donne sul loro abbigliamento, e anatemi religiosi e civili contro il lusso, destinati a rimanere inascoltati.
Tutte le arti dell'abbigliamento si rinnovano, affinandosi; e una ne sorge nuova e importantissima: quella della seta, penetrata definitivamente al tempo di Giustiniano dall'Asia in Europa per il sagace accorgimento di mercanti o, come vuole la tradizione, di missionarî, che importano il seme di baco e insegnano a coltivarlo razionalmente insieme con la pianta del gelso. Gli Arabi furono un po' i monopolizzatori della seta per un certo tempo. Carlomagno promosse poi lo sviluppo di quest'industria, che in Italia entrò trionfalmente dopo le crociate.
Il sorgere delle corporazioni, che inquadrano e disciplinano gli artigiani, contribuisce potentemente allo sviluppo della produzione, creando accanto al piccolo artigianato una grande industria tessile, che impiega numerose maestranze e libera dal lavoro domestico molte donne; e queste possono dedicarsi ad orditi e ricami di più grande valore d'arte, e con la trina creano una delle loro maggiori glorie in questo campo.
Il progresso delle industrie dell'abbigliamento fu favorito anche da alcune circostanze, come il rinnovato sviluppo della produzione del lino in tutta l'Europa e il diffondersi della tessitura del cotone, poco conosciuta, come si è detto, nell'antichità, e poi importata in Europa dai Mori a Valenza, e dai Veneziani. La Spagna e l'Italia ne conservarono il monopolio sino alla fine del secolo XIV, mentre nel resto d'Europa il cotone era una cosa ancora così preziosa, che una veste di cotone poteva figurare come lascito speciale in un testamento.
Alla testa di tutto questo grande movimento commerciale e industriale è l'Italia, seguìta dalle Fiandre, dalla Spagna, dall'Inghilterra; e nell'Italia, favorita dal sistema economico, dalla libertà agricola, dall'intelligente attività dei ricchi, dalla cultura diffusa, dal generale buon gusto, Firenze e Venezia, seguìte da Milano. Firenze era, come è noto, il centro dell'Arte della lana. Stretti in una associazione potente, che aveva numerose ramificazioni in ogni paese, tenuti ad una scrupolosa probità, favoriti da un rigido sistema di protezione, i mercanti di Calimala accrebbero la fortuna loro e di Firenze, dove erano al secondo posto nella lista delle Arti maggiori. Al quarto posto erano invece i lanaiuoli, che facevano il lavoro completo di produzione dalla lana grezza alla stoffa.
L'ordine degli Umiliati, venuto a Firenze da Alessandria nel 1239, col godimento dell'esenzione dalle imposte che era concessa a chi si stabiliva in Firenze per lavorarvi la lana, vi creò ben presto nel proprio convento di Borgo Ognissanti un centro produttivo importantissimo. L'industria laica gareggiava con i frati di attività e di guadagno. I mercanti erano distribuiti in venti botteghe, e importavano annualmente per 300.000 fiorini d'oro.
L'Arte della lana contava già nel 1338 duecento botteghe con una maestranza di 30.000 persone; ma fra queste molti erano i forestieri, soprattutto delle Fiandre. La produzione annua era di 80.000 pezze per un valore di un milione e 200.000 fiorini d'oro, circa il terzo dell'introito di tutta l'industria fiorentina.
I setaioli sono al sesto posto tra le Arti maggiori. L'arte della seta prosperava a Firenze dalla fine del sec. XIII, ed era rinomata per la sua perfezione. Gravitavano attorno ad essa le arti affini degli orefici, filatori, ricamatori, decoratori, ecc. Se ne separò invece presto quella del velluto, che, introdotta alla fine del sec. XIII, acquistò subito gran nome in Italia e all'estero. Nel 1338 Firenze contava già 83 fabbriche di seta.
Al settimo posto sono i pellicciai, esclusi i conciatori, che appartengono alle Arti minori (cfr. Villani, Cron., XI, 93).
Venezia, che da principio era più importatrice che produttrice, dal sec. XIII viene ad occupare anch'essa uno dei primi posti nell'industria. Sorgono anche lì le fiorenti consorterie, tra le quali quelle dell'industria dell'abbigliamento non sono le meno importanti. L'arte del lanificio, iniziatasi nel 1272, fu dapprima meno prospera e perfetta in Venezia che in altre città del Veneto stesso come Padova e Treviso, ma progredì più tardi. Quanto a tessuti di cotone, Venezia rivaleggia con Milano, ambedue con Barcellona e Granata. I Veneziani chiamavano il cotone "herba d'oro" tanto era il profitto che ne traevano. Nel rapporto del doge Mocenigo (1421), si nota che solo in Lombardia se ne era venduto per 250.000 ducati. Ma le stoffe di seta erano il vanto più grande di Venezia, quello che per Firenze la lana: merito di una maestranza operosa e intelligente, che, studiando i sistemi dei più celebri tessitori stranieri, riuscì ben presto a superarli, tanto che da altre città, tra le quali Firenze, s'inviavano setaioli per istruzione a Venezia e se ne chiamavano di veneziani (cfr. P. Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata, Bergamo 1927, capp. V e XI).
Le industrie si giovavano anche di piccoli ma utili miglioramenti tecnici. È veneziana la prima raccolta di precetti di tintura (Arte del tingere, Venezia 1429). A Firenze la potente famiglia degli Oricellarî o Rucellai ebbe il nome da un Bernardo, che introdusse l'oricella (Roccella tinctoria L.) per tingere in rosso. A Venezia, pare, s'introducono nel sec. XV le forbici nella loro forma odierna. Ricompare il ditale, che deve essere antichissimo (noto certo a Egiziani, Greci e Romani), ma che pareva scomparso nel Medioevo. Gli aghi di metallo, che si facevano prima a mano col martello e la mola ed erano abbastanza grossolani, furono introdotti di acciaio dagli Arabi di Spagna sin dal 1370, ma non si fabbricarono comunemente che dal Rinascimento in poi. Il centro di produzione, che verso il 1550 era Norimberga, dopo fu, e rimase, l'Inghilterra. In Germania si ritrovò verso il 1520 il filatoio, che esisteva già ab antiquo in India, ma con scarsi effetti pratici.
I calzolai ottennero a Firenze il nono posto tra le Arti maggiori nelle aggiunte del 1293. AVenezia, nella processione delle Consorterie che nel 1268 vanno a rendere omaggio al nuovo doge Lorenzo Tiepolo, compaiono i pellicciai ornati di ermellino e vaio, di sciamito e zendado; i tessitori con cappe d'argento, i sarti con veste bianca a stelle vermiglie, i lanaioli con ghirlande d'olivo sulla testa, i maestri cotonieri con mantelli di fustagno, i fabbricanti di drappi d'oro e di porpora con cappucci dorati e ghirlande di perle d'oro, i merciai vestiti di seta, gli orafi ornati di pietre preziose.
La costituzione di una di queste Arti, quella dei sarti, ci dà un'idea della severità con la quale si provvedeva a regolarle: il sarto doveva lavorare coscienziosamente, restituire i ritagli del valore superiore a tre denari, non accordarsi col fabbricante di stoffe per fare illeciti guadagni alle spalle del cliente, astenersi dal praticare inganni come l'uso di stoffe vecchie invece di nuove, di cotone invece che di lana, o di tinta cattiva. Il prezzo equo dell'opera era fissato da un ordinamento dei Giustizieri (G. Monticolo, I capitolari delle Arti veneziane sottoposte alla Giustizia, Roma 1895, I, p. 10 segg.). Anche nelle altre città non mancavano ottimi artefici, la cui importanza ci è maggiormente lumeggiata da quando li vediamo anch'essi stringersi nelle corporazioni.
Il Rinascimento, raffinando il gusto, aumentò ancora i bisogni: si diffusero abitudini di vita mondana ed elegante, e tutto quel fervore industriale si accompagnò - effetto e causa insieme - ad una straordinaria elevazione del tenore di vita, non nel senso del lusso soltanto, ma anche della comodi. Se l'uso della seta, del velluto, degli accessorî eleganti dell'abbigliamento si estende nelle classi medie, anche per una relativa diminuzione dei prezzi, in compenso aumenta, favorito specialmente dalla nuova produzione del cotone, l'uso della biancheria, prima pressoché sconosciuto. Il lavoro a maglia, antichissimo nell'origine, ma per molto tempo trascurato, rimesso in onore dall'Italia, che doveva averne conservata la tradizione, contribuisce al diffondersi dell'uso delle calze, che, di seta dapprima e costosissime, non saranno fabbricate di cotone e a prezzo più basso che dal 1685, dopo l'invenzione di un utile meccanismo, dovuta a William Lee di Nottingham.
Nelle industrie dell'abbigliamento continuavano a lavorare uomini, come essenzialmente maschile era la clientela: le donne confezionavano in generale gl'indumenti per sé o, come cameriere, per le loro signore; ma neanche le più alte dame disdegnavano di dedicarsi in persona a questo lavoro
Maestra di fogge e dominatrice dei mercati rimase l'Italia, quasi personificata nelle donne sontuose dipinte dai grandi pittori veneti, opulente di carni, di sete e di oro nelle vesti magnifiche.
Milano aveva per i suoi prodotti di moda e per l'abilità dei suoi artefici una fama europea, che raggiunse il massimo ai tempi di Ludovico il Moro. Beatrice era una famosa creatrice di modelli. Il corteo di donne milanesi che andò ad incontrare Carlo VIII suscitò grandissima ammirazione nella pur magnifica corte francese per il lusso e la perfezione dell'abbigliamento. In Inghilterra milliner, cioè "milanese", è parola rimasta ad indicare chi vende e fa cappelli (e, talvolta, oggetti minori di moda).
Purtroppo, col declinare del Rinascimento e il mutare delle sue fortune, l'Italia perde anche il primato della moda e delle industrie del lusso, cospicua fonte di ricchezza e di simpatie. Conseguenza delle nuove condizioni politiche ed economiche dell'assetto europeo, la Spagna le subentra nel Seicento anche in questo campo, finché dal Settecento la Francia afferra una supremazia che non le è più sfuggita fino ad oggi.
L'età moderna. - Il Settecento segna una nuova èra anche nella storia dell'abbigliamento per la scoperta delle macchine, che, aumentando la capacità di produzione e diminuendo il prezzo dei prodotti, ebbe un'influenza capitale nell'evoluzione della società.
Non è questo il luogo di rammentare le successive invenzioni, che da Hargreaves e da Arkwright a Jacquard, a Thimonnier, E. Howe e Singer rivoluzionarono le industrie della tessitura, della cucitura, della maglieria e del ricamo. Né rammenteremo qui l'importanza sociale, storica, economica e anche morale di quella che, non a torto, fu chiamata la rivoluzione industriale. Contentiamoci di osservare come da essa abbia avuto origine la nostra civiltà moderna, commerciale e industriale col suo nuovo ritmo di vita. I fatti nuovi più importanti nel campo dell'abbigliamento sono: il più frequente mutarsi della moda, il che ha una forte ripercussione sull'industria, la quale deve essere assai cauta, intelligente e lungimirante per seguire senza perdite il gioco della moda, dato che contribuisce a crearla e ad imporla molto meno di quanto si creda; e la rivoluzione egualitaria, per la quale la differenza dell'abito secondo la condizione, capitale nel passato, tende oggi a scomparire. Inoltre molte cose che sembravano lusso, appaiono ora, col progredire dell'igiene e il raffinarsi delle esigenze, una necessità; e se sono finiti, né li rimpiangeremo, i tempi del fasto senza confini (gli ultimi editti suntuarî sono dei primissimi anni del 1700) sta anche migliorando, e di gran lunga, il tenore di vita delle classi operaie, mentre ancora alla fine del sec. XVIII Adamo Smith escludeva la camicia e le scarpe dal corredo indispensabile all'operaio.
Campi inesplorati si sono schiusi e si continuano a schiudere all'industria, sia nella conquista delle materie prime, sia nei modi del loro sfruttamento.
La lavorazione del cotone riceveva nuovo impulso nella seconda metà del sec. XVIII per la formazione dell'impero angloindiano e la coltivazione su vasta scala in America, che fornivano la materia prima, ed inoltre per l'invenzione delle macchine adatte ad elaborarlo. Se al tempo di Napoleone le stoffe di cotone erano ancora un lusso, ora sono invece alla portata di tutte le borse, e se ne ha largo consumo anche per la facilità con la quale il cotone si presta ad imitare nei tessuti la lana e la seta. Il regno animale e il regno vegetale vanno a gara nell'offrirci nuovi prodotti: dal caucciù, che, noto fin dal sec. XVI, trovò solo recentemente molteplici applicazioni pratiche anche nel campo dell'abbigliamento, all'amianto, che entrò nel novero delle fibre tessili, oltre a molti altri prodotti di cui si va tentando l'acclimazione in Europa, per es. il formio della Nuova Zelanda. La scienza moderna allarga il campo delle materie prime con i suoi ritrovati: ed ecco, accanto alla seta di vetro, alla lana vegetale, alla lana minerale, il cotone artificiale ricavato dalla fibra del legno, e soprattutto la seta artificiale ricavata dalla cellulosa, inventata nel 1887 e destinata poi a un così largo sviluppo.
Non minori trasformazioni si sono compiute per quanto riguarda la confezione degl'indumenti. Lo sviluppo moderno dell'industria dell'abbigliamento derivò dalla grande invenzione della macchina da cucire, che però non ha sostituito la cucitura a mano, tuttora largamente in uso per i lavori di maggior pregio.
Verso la metà del sec. XIX nasce un'industria destinata poi a fiorire, quella degli abiti fatti, che sorse assai modestamente come piccolo artigianato, esercitato soprattutto da ebrei e nelle città di mare per comodità delle classi infime, che non avevano tempo da perdere e si contentavano di materiale scadentissimo e di mediocre fattura. L'allargarsi del sistema della divisione del lavoro e il conseguente miglioramento nella qualità giovarono a questa industria, che è una di quelle che ebbero sviluppo più rapido e vasto. Nel 1846 vi erano già a Parigi 190 magazzini di confezioni, con una cifra d'affari di 30 milioni di franchi. La novità, come si vede, era ben accetta al pubblico, tanto che ne venne un conflitto, che ebbe episodî clamorosi, con i sarti lavoranti su misura, i quali vedevano minacciati la loro ragion di vita e il loro guadagno.
Nel rapporto della giurìa dell'Esposizione universale di Parigi del 1867, a cui l'industria dell'abbigliamento era ammessa nel novero delle prime, si fa già presente il modus vivendi, che venne da sé a sistemare la questione, e per il quale, rimasto fedele alla sartoria un pubblico speciale che le ha consentito di svilupparsi e di adottare criterî industriali, le fabbriche hanno provvisto con la produzione in serie ai bisogni standardizzati del consumatore.
È da notare poi il comparire e il graduale progredire della donna, non solo come operaia, ma anche come dirigente, in alcuni rami dell'industria. È del 1675 l'editto col quale Luigi XIV, accogliendo le richieste di alcune dame, che mostravano l'opportunità, per ragioni di convenienza, di avere come sarte delle persone del loro sesso, permise alle donne di esercitare un mestiere fino allora riservato agli uomini, nonostante l'opposizione dei sarti che difendevano i diritti di monopolio della loro corporazione. La prima famosa sarta e modista fu Rosa Bertin (1744-1813), onnipossente alla corte di Maria Antonietta. Ma tuttavia, anche oggi i più rinomati e abili artefici di moda sono uomini.
Il carattere artigiano della produzione, generale e incontrastato nei secoli, sì è ormai dappertutto notevolmente modificato anche nei laboratorî di modesta importanza, specialmente nei grandi centri urbani, e non sopravvive che nei quartieri popolari e nelle zone rurali.
Condizioni presenti dell'industria. - In Italia, le industrie dell'abbigliamento costituiscono oggi una federazione nazionale, che, pur considerata entro i limiti di "industria del vestiario" (confezioni a mano o a macchina) fissati dall'odierno ordinamento sindacale, ha un vasto campo d'azione che comprende la produzione in serie e al minuto del vestiario per uomo e per donna, della biancheria, delle cravatte, della pellicceria, della modisteria, degli ombrelli e degli altri accessorî dell'abbigliamento, eccetto le calze, i guanti, i cappelli per uomo, la maglieria, le calzature e i cosiddetti articoli di moda come nastri, lavori in celluloide, ecc.
Nonostante le difficoltà inerenti a queste industrie, oscillazioni della moda e concorrenza dei paesi specializzati, l'abbigliamento rappresenta in Italia una forza industriale che non appare a tutti nella sua reale importanza, soltanto perché è tuttora frazionata in varie migliaia di medie e piccole aziende, tra le quali peraltro già emergono numerose quelle di stretto tipo industriale, così per la confezione di lusso come per quella in serie.
Non è possibile dare, nel momento presente, indici statistici esatti sul numero delle aziende e dei lavoratori di un'industria, così frazionata e diffusa. L'ultimo censimento delle attività industriali e commerciali, condotto a temine dal ministero dell'Economia nazionale, dà all'industria del vestiario il primo posto per numero di aziende censite (191.408), e il terzo per numero di lavoratori (491.694), subito dopo le industrie tessili con 636.820 addetti e quella dei trasporti e delle comunicazioni con circa 500.000. Se però teniamo conto e della maggiore possibilità di esattezza che hanno i dati di queste due ultime grandi industrie in confronto di quella del vestiario, e del fatto che nei dati concernenti l'industria tessile sono largamente compresi anche quelli di molte aziende di produzione di abbigliamento, cioè di confezioni, possiamo logicamente dedurre che l'industria del vestiario occupa probabilmente, in realtà, il primo posto, sia come numero di ditte, sia come numero di lavoratori, fra tutte le industrie della nazione.
Consideriamo ora i dati offerti dall'inquadramento sindacale, limitatamente alle ditte esercenti le specialità di lavorazione anzidette ed escluse le botteghe artigiane, anche se con più operai alle loro dipendenze. Poiché tali dati rappresentano circa il 75% di quelli reali, abbiamo 75.000 lavoratori divisi fra 3.500 ditte, con una media di 20 dipendenti per ogni ditta. In realtà, però, se si considera che nella loro grande maggioranza le ditte hanno denunciato 15 dipendenti in media ciascuna, troviamo che l'industria dell'abbigliamento, sempre con le dette limitazioni, ha almeno 400 ditte, con una media di 50 dipendenti ciascuna, e circa 100 che oltrepassano in media i 100 dipendenti per giungere in qualche caso sino ai 500 e oltre.
Tra le regioni, la Lombardia occupa il primo posto, con circa un terzo di tutto il numero delle ditte e dei dipendenti denunciati, e cioè con oltre 1000 ditte e 25.000 dipendenti, di cui circa 900 ditte con 20.000 dipendenti sono a Milano, cui spetta il primo posto fra le città del Regno. Segue il Piemonte con 500 ditte e 10.000 dipendenti, di cui 400 ditte con 8000 dipendenti sono a Torino, che occupa il secondo posto nel Regno. La massa dei lavoratori dell'industria diminuisce di densità nel territorio e nei singoli laboratorî di ciascuna delle seguenti regioni, che noverano circa 300 ditte con un numero decrescente dai 5000 ai 3000 dipendenti ciascuna: Lazio, Veneto, Toscana, Emilia, Campania, Liguria, Venezia Tridentina e Giulia, Sicilia, cui seguono le altre regioni dove l'industria, se si eccettuano talune fabbriche sorte in zone rurali, è scarsamente rappresentata. È poi da notare che mentre nel Veneto l'industria ha un'intensità press'a poco uniforme nelle varie provincie della regione, meno Treviso, Belluno e Rovigo, nelle altre regioni, invece, è concentrata nel capoluogo come a Roma, e, con intensità decrescente, ma sempre tale da assorbire almeno due terzi del totale, a Firenze, Bologna, Napoli, Trieste e Palermo.
Nell'industria delle confezioni per uomo abbiamo circa 2000 ditte industriali con 30.000 lavoratori, escluso sempre l'artigianato. In essa un'importante distinzione è da fare tra sartorie e fabbriche, cioè tra produzione diretta per il privato consumatore e produzione a serie.
La sartoria italiana per uomo ha fermamente mantenuto il suo alto posto fra le nazioni che si distinguono per una confezione elegante, solida ed accurata, gareggiando con la stessa Inghilterra, che pure è favorita da materie prime di più vario disegno e colore. È noto, del resto, che all'estero il sarto italiano, operaio o industriale, è prferito al sarto di qualunque altra nazionalità, il che spiega l'elevatissimo contributo che esso ha dato all'emigrazione nelle Americhe. A Milano, Roma, Napoli, Torino, Firenze, Palermo e in altre importanti città la sartoria italiana ha ormai assunto carattere industriale, pur rimanendo sartoria, cioè industria con produzione direttamente ordinata dal privato consumatore; e anzi si è osservato che la produzione più scelta o di lusso si è concentrata generalmente nelle grandi aziende, abbandonando l'artigianato, che non può sostenere il carico delle spese, né immobilizzare un ingente capitale per occupare locali vasti e centrali, per approvvigionarsi largamente di buone stoffe e per disporre di una maestranza ben remunerata. Le sartorie di questo genere sono poco meno di 2.000 con circa 25.000 lavoratori, e molte di esse hanno dai 50 ai 200 dipendenti ciascuna.
L'industria delle confezioni a serie per uomo dà lavoro ad altri 5000 dipendenti, variamente divisi in circa 50 aziende di produzione. Questa è una delle più recenti industrie dell'abbigliamento in Italia. In pochissimi anni si è però molto sviluppata, e dopo la guerra mondiale, favorita dall'alto costo della vita, ha potuto aumentare notevolmente la sua efficienza, vincendo con la bond e col modesto costo dei suoi prodotti, le diffidenze del medio consumatore, che ha gusti raffinati anche in fatto di abbigliamento. Altre difficoltà assai serie essa ha dovuto superare per crearsi un'adatta organizzazione tecnico-industriale e per trovare uno sbocco ai suoi prodotti, così nel mercato interno come nei mercati esteri.
L'industria della biancheria a serie per uomo, anch'essa di origine recente, ma già forte di oltre 100 stabilimenti con circa 10.000 operai, favorita dalle materie prime nazionali, è una delle più tipiche ed importanti attività della produzione industrializzata dell'abbigliamento; essa ci ha quasi completamente emancipati dalla produzione estera, di cui è anche temibile concorrente in molti mercati di esportazione, specialmente in Oriente. Una buona metà dell'industria è a Milano con circa 5000 lavoratori divisi in 50 fabbriche.
La sartoria per signora (confezioni e biancheria) è rappresentata da circa 500 ditte con 10.000 dipendenti, escluse le sarte artigiane, e costituisce la vera "industria della moda". I principali centri di produzione sono Milano e Torino. È l'industria che più deve lottare (con la fiducia nell'efficienza delle maestranze, nello spirito d'intraprendenza delle case tessili nazionali, nella sana politica economica) contro la concorrenza della Francia, odierno centro di diffusione, forse più che di creazione, della moda; sforzandosi di adattare questa moda, che ormai nel nostro secolo di rapidi scambî, di enormi città cosmopolitiche, ha un carattere internazionale, ai bisogni ed al gusto italiani.
Un importante posto nel campo dell'abbigliamento femminile occupa l'industria della modisteria che da qualche anno ci ha largamente emancipati dalla produzione estera e va divenendo a sua volta esportatrice. Suo massimo centro è Milano, che attinge le materie prime a Monza e in Toscana, notissimi centri di produzione, rispettivamente del feltro e della paglia. Esclusi i piccoli laboratorî di modisteria, che non sono meno di 5000 nelle varie città del regno, le fabbriche con produzione industrializzata e i laboratorî con produzione di lusso formano un complesso di almeno 100 ditte con circa 10.000 lavoratori. Notevole è anche l'industria della pellicceria che alimenta un intenso commercio ed è molto apprezzata per gusto e perizia. Essa è molto frazionata in piccoli laboratorî domestici a carattere artigiano. Il lavoro industriale in grosso e quello di lusso al minuto sono compiuti da circa 200 ditte con oltre 3000 lavoratori concentrati a Milano, Torino, Firenze, Roma.
Fra le altre industrie rammentiamo quella delle cravatte, molto fiorente ed apprezzata all'estero, la quale si giova della mirabile produzione delle seterie nazionali specialmente comensi. Questa è un'industria quasi interamente milanese, ché infatti a Milano sono concentrati i 2000 lavoratori e quasi tutte le 50 fabbriche che essa annovera. L'industria degli ombrelli, anch'essa largamente consumatrice di materie prime nazionali, è animatrice di un attivo commercio anche di esportazione. Essa ha nuclei di fabbriche a Torino, Milano, Como, Novara, Gorizia, con un complesso di circa 50 ditte e 2000 lavoratori, escluso l'artigianato.
Accenniamo anche all'industria delle confezioni di bretelle, giarrettiere, busti, ghette ecc., con circa 2000 dipendenti e 50 ditte concentrate a Milmo, Monza, Como, Padova, Ancona.
Le statistiche del movimento d'importazione ed esportazione delle industrie di cui parliamo, mostrano che le industrie dell'abbigliamento rappresentate dalla federazione omonima (escluse quindi le maglierie, i guanti, le calzature, i cappelli per uomo e quelli per donna non guarniti, e altri oggetti) hanno, nel 1927, esportato per L. 80.076.006 ed importato per L. 39.298.969, con un'eccedenza a favore della nostra bilancia commerciale di L. 40.777.037. Anche negli oggetti cuciti di seta (abiti, modelli, cravatte, ecc.) la nostra bilancia commerciale è attiva per circa 5 milioni di lire su quindici milioni d' importazioni, contrariamente a quanto ha lasciato credere una diffusa diceria, secondo la quale l'industria italiana delle confezioni per signora continuerebbe a pesare sulla bilancia commerciale per varie decine di milioni di lire.
Si noti anche che, nel quinquennio 1923-1927, mentre le importazioni sono aumentate complessivamente per L. 4.184.667, le esportazioni sono invece cresciute per il valore di L. 33.837.524, con una percentuale del 12% circa nelle importazioni e del 73% circa nelle esportazioni; tutto fa ritenere che, con l'ausilio di una avveduta politica economica, tale proporzione possa essere di gran lunga superata nei prossimi anni.
Tra i numerosi mercati esteri, ai quali si rivolgono i prodotti di queste industria, non tutti hanno la medesima importanza. Per gli oggetti di lino cuciti (particolarmente camicie), occupano il primo posto gli Stati Uniti d'America, seguìti dalla Repubblica Argentina, dall'Inghilterra, e dall'Unione Sudafricana; per quelli di cotone, vengono primi nuovamente gli Stati Uniti, quindi l'Egitto, la Grecia, la Francia, la Turchia Asiatica, l'Argentina, l'Inghilterra; per gli oggetti di seta (cravatte, biancheria per uomo e per donna, abiti e sottovesti), il primato spetta invece all'Egitto, a cui tengono dietro l'Inghilterra, gli Stati Uniti, la Grecia, gli stati minori dell'America latina, l'Argentina, la Francia. Per gli oggetti cuciti di lana, i più notevoli mercati di esportazione sono invece, in ordine decrescente, la Grecia, l'Unione Sudafricana, l'Inghilterra, l'Egitto.
Bibl.: Le opere fondamentali sull'argomento sono: Bordeau, Histoire de l'habillement et de la parure, Parigi 1904 (storia dell'abbigliamento attraverso alla storia delle materie prime, dai primordî ai nostri giorni); Baudrillart, Histoire du Luxe, Parigi 1878-80. Utili indicazioni e belle illustrazioni si trovano in R. Genoni, Storia della moda, I (Primitivi-Egizi-Assiri-Greci), Bergamo, s. a. Utili indicazioni statistiche per i tempi moderni si trovano nei rapporti delle giurie delle varie esposizioni internazionali: particolarmente importanti quelli delle esposizioni di Parigi del 1867 e del 1900 (v. anche moda e vesti).