Abbigliamento
A causa della deperibilità dei materiali organici che ne costituivano la base, lo studio dell'a. medievale può fondarsi per la quasi totalità solo sull'esame delle fonti iconografiche coeve. Meno dirette di queste, ma a volte altrettanto importanti, sono le fonti scritte - letterarie e documentarie - che, attraverso la descrizione degli abiti e dell'aspetto di personaggi, reali o immaginari, e attraverso i testi delle leggi suntuarie, forniscono rilevanti notizie sugli usi e consuetudini riguardanti l'abbigliamento.
Diversa è la situazione per ciò che riguarda l'a. liturgico e, in genere, i paramenti sacri e le vesti cerimoniali di sovrani e nobili. Il valore simbolico e rituale che li distingueva, unitamente alla preziosità dei materiali di frequente usati per la loro esecuzione e decorazione, ne hanno favorito la sopravvivenza nei secoli, cosicché, oggi, la maggior parte degli esemplari conservati è costituita da manufatti di carattere eccezionale e non rappresentativi del livello medio dell'a. medievale.
In tempi recenti, infine, l'analisi delle fogge dell'a. è stata utilizzata come elemento ausiliario nello studio della produzione figurativa, soprattutto per ciò che concerne la precisazione della collocazione cronologica delle opere in cui compaiono esemplari di a. aggiornato (Bellosi, 1977a; 1977b). *
di F. Piponnier
Ben pochi sono gli abiti medievali che si sono conservati integri e ancora più rari i corredi, come quello ritrovato in una sepoltura reale a Las Huelgas in Spagna. Nella maggior parte dei casi le sepolture e i ritrovamenti nei centri abitati forniscono agli archeologi solo frammenti di tessuti, di cuoio, o di accessori metallici, testimonianze tuttavia preziose sulle materie prime usate per realizzare gli abiti e sulle decorazioni metalliche e la loro diffusione; gli scavi urbani nell'Europa settentrionale hanno spesso portato in luce calzature in cuoio, che permettono studi approfonditi nel settore.
Tenuto conto dello scarso numero di esemplari, è necessario indagare sul carattere rappresentativo dei pezzi conservati nei tesori, trattandosi di norma di abiti propri a personaggi appartenenti all'ambiente principesco, a parte il caso di reliquie di provenienza incerta.
Per ricostruire con precisione gli abiti, le loro combinazioni e il modo in cui si portavano, le testimonianze iconografiche si sono rivelate essenziali, ma il loro valore documentario varia a seconda delle epoche. Per poter utilizzare tali fonti adeguatamente, lo storico dell'arte dovrà scartare gli stereotipi, valutare il grado di realismo delle rappresentazioni e stabilire datazioni esatte.
La statuaria, in una scala che permette di esprimere contemporaneamente l'insieme e i dettagli, permette per lo più di giovarsi della veduta da tutti i lati per una più completa analisi degli a. rappresentati. Le sculture di dimensioni minori, rilievi, avori, compensano con il numero e la varietà delle loro figurazioni ciò che le loro piccole dimensioni non consentono di definire nei dettagli.In ogni caso la pittura è la fonte iconica più frequentemente utilizzata: meno precisa, per lo più nei particolari, rispetto alla statuaria, essa offre con il colore un elemento fondamentale dell'abbigliamento. Pitture murali, miniature, dipinti, ma anche vetrate, arazzi e ricami mostrano, con crescente realismo, scene, personaggi e gruppi sociali sempre più diversificati.
Per tutte le epoche è necessario tuttavia fare attenzione anzitutto al valore simbolico delle rappresentazioni, per es. nel caso di santi in abito 'atemporale' o di re che indossano l'abito della consacrazione.
Bisogna infine notare che, come le vesti conservate, le pitture e le sculture rappresentano soprattutto i grandi della terra, gli uomini più spesso delle donne o dei bambini, il mondo urbano più di quello rurale.
Benché inoltre la gamma dei temi trattati si sia progressivamente ampliata nel corso del Medioevo, alcuni di essi furono privilegiati e altri invece completamente trascurati, come per es. la vita domestica nell'ambiente popolare.
In definitiva i documenti figurativi informano bene sugli aspetti visivi dell'a., ma non sono i soli da prendere in considerazione. Nelle cronache e nelle narrazioni storiche sono numerose le notizie relative all'a., ma anche in questi casi è indispensabile un attento esame critico, per discernere la realtà dalle intenzionalità particolari dell'autore. Se ne possono trarre, tuttavia, indicazioni molto interessanti sui simboli e sulle attitudini mentali riguardanti il modo di vestire.
L'a. e i suoi componenti rivestivano un ruolo molto importante anche nella vita economica: le materie prime erano oggetto di attivi scambi, talvolta a lunga distanza, e gli abiti costituivano una voce di un certo peso nelle fortune private. I registri dei conti dei principi, a volte assai dettagliati, danno informazioni di eccezionale interesse sulle materie prime, sul valore degli abiti, sulla composizione e la frequenza con la quale si usava rinnovare il guardaroba. Documenti di questo genere riguardano però quasi esclusivamente principi o ricchi borghesi, mentre per categorie sociali più modeste si conservano talora testamenti o inventari post mortem, dove si trovano enumerati con completezza gli abiti e la biancheria. Gli elementi di descrizione che vi compaiono sono generalmente succinti, ma il carattere seriale di tali documenti permette un'analisi statistica dei dati relativi a diversi gruppi sociali. Le fonti economiche sono più o meno precoci a seconda delle regioni. In Inghilterra sono rimaste alcune serie di conti reali del sec. 13°, così nella regione del Forez (Francia centrale) si sono conservati, a partire dallo stesso periodo, centinaia di testamenti; in Francia come in Italia, gli inventari assumono andamento seriale dalla seconda metà del 14° secolo.
Nonostante la loro varietà e molteplicità, le fonti medievali per la storia dell'a. restano assai lacunose, benché sia necessario riconoscere comunque che esse non sono né inventariate, né analizzate e utilizzate nella loro totalità, e che i problemi relativi al confronto e all'elaborazione dei risultati ottenuti dallo studio delle diverse fonti sono lungi dall'essere risolti.
Materie prime. - In questo ambito lo sviluppo dell'archeologia medievale fornisce informazioni anche per epoche in cui le fonti testuali sono ancora molto rare; i più notevoli ritrovamenti di frammenti di tessuto di lana sono stati effettuati a Danzica, in Polonia. I tessuti, fra i quali predomina la lana, costituivano il materiale base del guardaroba medievale. L'evoluzione delle tecniche di filatura e di tessitura permise una maggiore produzione in regioni molto specializzate (Fiandre, Artois, Normandia, Catalogna, Toscana) ma anche una diffusione della tessitura in un gran numero di centri secondari, dove si fabbricavano tessuti di minore qualità, in relazione alla domanda della maggioranza della popolazione. Nel Tardo Medioevo, infine, la tessitura si diffuse nelle campagne e nelle scorte dei mercanti figuravano infatti, ai prezzi più bassi, i tessuti 'di villaggio'.
L'arte della tintura e degli appretti, che a lungo dipese dall'abilità empirica, si sviluppò con la specializzazione degli artigiani e l'importazione di prodotti tintori. La gamma dei rossi conobbe un particolare favore con gli scarlatti, panni di lusso tinti in rosso acceso, ma anche in altre sfumature. A livello di consumo corrente, il guado serviva per la colorazione in blu, in giallo o in verde, ma alla fine del sec. 14° i tessuti non tinti erano largamente utilizzati dai contadini e dal popolo minuto cittadino.
La produzione di tessuti di seta, monopolio di Bisanzio durante l'Alto Medioevo, si diffuse nell'Occidente mediterraneo attraverso la Sicilia e la Spagna musulmana e nei secc. 13° e 14° ebbe un grande sviluppo in Italia, particolarmente a Lucca e in seguito a Firenze, Genova e Venezia. I tessuti più preziosi, velluti o rasi broccati d'oro, ebbero nel corso del Medioevo una diffusione molto limitata, mentre quelli meno ricchi, come il taffetà e il raso liscio od operato, come il damasco, vennero utilizzati più frequentemente, per confezionare accessori (borse, cinture) o interi abiti.
Le fibre vegetali, lino e canapa, coltivate in tutto l'Occidente, furono di certo impiegate costantemente nell'a., ma poiché venivano prodotte per lo più localmente, non sempre compaiono nella documentazione scritta. Inoltre, l'uso di tingere le fibre può rendere incerta l'identificazione, in affreschi e miniature, degli abiti in tela. Essa, di qualità variabile a seconda che fosse di canapa o di lino e tessuta con fili più o meno sottili, serviva per la confezione di biancheria, grembiuli e copricapi di diverse forme. A partire dal sec. 13°, grazie al cotone, nell'Italia settentrionale si ebbe un notevole sviluppo della produzione del fustagno, che tuttavia non divenne mai seriamente concorrenziale rispetto alle fibre vegetali locali. Per lungo tempo le fibre vegetali o animali vennero utilizzate sotto forma di tessuti; potevano anche essere lavorate a maglia, tecnica utilizzata solo per un numero limitato di capi, in particolare berretti. Si può avere una visione d'insieme dell'uso delle pelli d'animali, con o senza pelo, solo per gli ultimi secoli del Medioevo. Le testimonianze dell'impiego del cuoio sono frequenti negli inventari di scavi archeologici dei siti urbani: calzature, stivali, accessori, ma a volte anche interi abiti; i testi dei secc. 14°-15° confermano questo uso generalizzato del cuoio. Pur non costituendone la componente principale, il cuoio svolgeva una funzione importante nell'a. militare, come supporto delle piastre metalliche di un tipo di armatura in uso durante tutto il Medioevo e come materiale costitutivo delle corregge di fissaggio o della fodera delle armature interamente in metallo; inoltre erano realizzati in cuoio anche numerosi accessori: cinture e budrieri, borse, stringhe e così via.
Le pelli di lusso, importate per la maggior parte dall'Europa orientale, conobbero, durante il sec. 13° e soprattutto nei secc. 14° e 15°, un livello di consumo eccezionale nelle classi più agiate. Martora e zibellino, scoiattolo o vaio vennero impiegati essenzialmente per foderare abiti di panno; il pelo portato all'interno appariva solo ai bordi e nelle guarnizioni. Negli ambienti sociali più modesti si faceva ricorso per le pelli alla fauna locale: giovani animali d'allevamento o selvatici, come agnelli e capretti, conigli, gatti, faine, volpi, eccetera. Abiti fatti esclusivamente di pelle d'agnello o di capretto sembra venissero portati soprattutto da donne di condizioni assai modeste. Nonostante il favore di cui godevano le pellicce pregiate nelle corti principesche, alle pelli animali restava legata una connotazione di 'selvatichezza' che sembra bene espressa, in particolare, in epoca tarda, nei caratteristici travestimenti da homo salvaticus.
I metalli comparivano nell'a. solo a titolo d'ornamento, in forma di accessori e gioielli, tranne il ferro e l'acciaio che, invece, costituivano la materia essenziale delle armature. Il ferro veniva usato anche nell'a. civile nel caso delle fibbie per cinture come dei fermagli e delle intelaiature delle borse, ma venne progressivamente sostituito dal bronzo o perfino da metalli preziosi, principalmente l'argento dorato. L'oro, adoperato soprattutto per i gioielli, era riservato ai principi, ai membri del loro seguito e al patriziato urbano. La gioielleria di lusso, come è attestato da ritrovamenti in siti archeologici urbani e anche rurali, veniva presa a modello dagli artigiani che fabbricavano per le classi popolari fibbie e ornamenti di cinture, fermagli e anelli di cuoio dorato e d'argento.
Il legno sembra essere stato impiegato solo sporadicamente nell'a. medievale: zoccoli interamente lignei si direbbe fossero sconosciuti, ma socchi o zoccoli potevano essere provvisti di suole in legno. Cortecce e bacchette servivano anche per la confezione di cappelli, realizzati tuttavia più frequentemente in paglia.
Fra tutte le materie prime utilizzate per l'a. solo i prodotti di alta qualità, come pellicce, sete e panni pregiati, diedero origine a un commercio su lunghe distanze. La produzione domestica o demaniale cessò di svolgere un ruolo significativo nell'a. nel momento in cui lo sviluppo dell'artigianato nelle città e il moltiplicarsi di fiere e mercati permisero l'approvvigionamento regolare presso i commercianti.
Evoluzione delle forme. - L'a. medievale si compone di elementi base tratti contemporaneamente dalla tradizione antica e da quella detta genericamente 'barbarica', appartenendo in sostanza al sistema vestiario del 'tagliato-cucito', con la tunica che si riallaccia tanto alla tradizione mediterranea quanto al mondo celtico e germanico. I calzoni o brache per gli uomini sembrano ereditati, tramite i Galli, dai cavalieri nomadi delle steppe, così come, verosimilmente, la 'pellegrina con cappuccio' (cucullus) ha origine nella Tarda Antichità. Il velo con cui le donne si coprivano il capo risaliva al sistema dell'abito drappeggiato, analogamente al grande mantello, rimasto insegna di dignità durante tutto il Medioevo e oltre e derivante probabilmente dalla toga romana.
Sulla base di questi elementi si verificano ovviamente molteplici variazioni. Per l'Alto Medioevo e per le classi popolari fino ai secc. 13°-14° è difficile individuare fasi di sviluppo, forse a causa della scarsità di fonti. Il continuo mutarsi che è insito nell'idea del costume venne fortemente stimolato, negli ultimi secoli del Medioevo, dal costituirsi delle corti attorno a re e principi che disponevano di poteri e ricchezze sempre crescenti. In ogni caso le evoluzioni sono osservabili con precisione solo in questo ambito e la loro influenza sul costume delle altre categorie sociali non è analizzabile prima della seconda metà del 14° secolo.
Durante l'età medievale le evoluzioni furono per lo più lente e riguardarono soprattutto l'a. d'apparato. I cambiamenti si manifestarono più nel tipo di decorazione che nelle forme. I gioielli e gli accessori metallici delle cinture, numerosi e ben caratterizzati, dell'epoca merovingia, vennero sostituiti da nuovi tipi più discreti, mentre l'abitudine di ornare gli abiti con galloni decorativi durò un poco più a lungo. Intorno al sec. 12° si introdussero elementi di fantasia come strascichi, maniche pendenti, a volte fino a terra, calzature a punta; l'accentuazione delle linee verticali che si impose in quest'epoca dominò sino alla fine del Medioevo.
Il cambiamento principale, che raggiunse le proporzioni di una rivoluzione, intervenne alla metà del sec. 14° e portò alla completa differenziazione fra a. maschile e femminile. La modifica fondamentale consistette non tanto in una questione di lunghezza, quanto di taglio. L'a., da quel momento in poi, fu composto di vesti distinte, destinate a coprire rispettivamente la parte alta e la parte bassa del corpo, e molto attillate. Per quanto riguarda l'a. maschile, si continuò a usare la veste lunga, ma indossandola, per es. nei costumi da cerimonia, sopra l'insieme farsetto-calzebrache. Nato nell'ambiente di corte e promosso dalla classe dei giovani, dei guerrieri, il nuovo a. maschile derivava direttamente dalle vesti portate sotto la tenuta militare, che assecondavano le forme del corpo per non intralciarne i movimenti. I termini che designavano tali vesti si conservarono infatti per denominare quelle, più ricercate nel taglio e nel tessuto, portate ormai senza l'armatura. Al di fuori dell'ambiente di corte il nuovo modo di vestire si diffuse lentamente e solo alla metà del sec. 15° si trovano miniature che mostrano contadini al lavoro in farsetto e calzebrache.
Nello stesso tempo l'abito femminile subì un'evoluzione, assumendo alcune caratteristiche del modello maschile: divenne aderente, rivelando le linee del corpo, con le vesti attillate e scollate e le sopravvesti ampiamente aperte lungo i fianchi. Per entrambi i sessi, l'a. fu arricchito dal punto di vista decorativo con i tessuti di seta operata, prodotti o importati in quantità sempre crescente, con l'aggiunta di pellicce di vario tipo utilizzate come fodere e bordure (persino sulle due facce dello stesso abito), con l'uso di ricami in seta o anche di fili d'oro e pietre preziose. I gioielli divennero voluminosi: corone, spille e soprattutto cinture sovraccariche di decorazioni.Se il fenomeno della moda, con i suoi rapidi cambiamenti, non nacque proprio nella seconda metà del sec. 14°, questo è però certamente il momento in cui il materiale iconografico è molto abbondante e dettagliato così da rivelarne l'estensione. L'evoluzione delle forme non è che uno degli aspetti del fenomeno stesso, che investì anche la scelta dei colori e delle materie prime. Alla fine del sec. 14°, abbandonata la linea aderente, subentrò una fase in cui il corpo venne nuovamente nascosto da ampie guarnacche con grandi maniche e da acconciature voluminose: per gli uomini, cappucci imbottiti e drappeggiati in altezza, per le donne, ampie cuffie impropriamente dette henins in Francia, o acconciature a turbante, in Italia chiamate balzi. Fu su questi elementi principali che continuarono a svilupparsi durante tutto il sec. 15° variazioni, che fonti scritte o iconografiche permettono di distinguere con esattezza. La brillante corte dei duchi di Borgogna, che risiedeva principalmente nelle Fiandre, spinse all'estremo il gusto delle linee verticali, delle acconciature, delle calzature a punta e degli abiti aderenti. In Italia e nelle corti francesi - ambienti già in quest'epoca maggiormente pervasi di classicismo - si preferirono le forme ampie, che segnarono una nuova rottura e la fine dell'a. medievale d'apparato negli ultimi decenni del sec. 15°: acconciature piatte ed estese orizzontalmente, spalle ampliate in modo artificiale, calzature terminanti a becco d'anatra.
Colore. - La predilezione per i colori puri è una delle caratteristiche essenziali del gusto medievale. Malgrado le ricerche degli artigiani, la coltivazione di nuove piante tintorie e l'importazione di prodotti esotici, la qualità delle tinture restò tuttavia mediocre fino al 14° secolo. I colori si dissolvevano presto con l'esposizione alla luce, inoltre il costo elevato dei tessuti così trattati li rendeva accessibili solo ai più fortunati. L'impressione dominante era determinata dai colori spenti dei panni grezzi, sui quali risaltavano, quando erano nuove, le vesti signorili rosse o verdi. Nei secc. 14° e 15° i progressi compiuti nell'arte della tintura permisero, negli ambienti di corte, di indossare abiti dai colori smaglianti e non evanescenti.
La valorizzazione del colore in contrapposizione ai tessuti grezzi non riguardava solo l'ambito del gusto: il simbolismo dei colori impregnava la mentalità e, per il gioco delle analogie, ad alcuni si attribuivano virtù apotropaiche, in particolare al rosso, mentre il giallo aveva una connotazione negativa.
Anche nell'uso dei colori si ebbe un profondo rivolgimento durante l'età medievale. Il sistema simbolico ereditato dall'Antichità, dominato dai tre colori rosso, nero e bianco, venne profondamente modificato dalla comparsa del blu e dei suoi derivati. A partire dai secc. 12° e 13° il blu venne utilizzato frequentemente nel campo dell'a. e negli altri ambiti della creazione artistica, fino a diventare il colore della funzione regale e a costituire, nei secc. 14° e 15°, la tinta più largamente diffusa; nell'a. popolare prevale il 'glauco'. Dalla fine del sec. 14° il nero incontrò uno straordinario favore negli ambienti benestanti, soprattutto per gli abiti in seta. Parallelamente, le pellicce utilizzate come fodera vengono scelte fra le più scure: zibellini, martore o, più comunemente, agnelli neri.
Fattori di differenziazione. - La documentazione medievale attesta differenze nel modo di vestire, ma senza dubbio non è sufficiente né abbastanza precisa da permettere di definire l'importanza del fattore regionale, che risultava tuttavia evidente agli occhi dei contemporanei, a giudicare da indicazioni riportate nei registri contabili o da alcune deposizioni in tribunale.
Il ruolo della corte di Borgogna nel determinare le mode è stato forse sopravvalutato, grazie all'abile propaganda orchestrata dagli autori delle cronache di corte. Nel sec. 15° l'Italia, già entrata nel Rinascimento, nell'invenzione di tessuti e mode ebbe un ruolo di primo piano che non è stato adeguatamente sottolineato. Paesi geograficamente meno centrali, come l'Inghilterra, grandissima produttrice di panni, la Spagna, vicina al mondo islamico, e i regni di Polonia e d'Ungheria conobbero ugualmente una brillante vita di corte, creatrice di mode che mescolavano influenze diverse. Per quanto concerne l'a. delle classi popolari, è probabile che le differenze regionali resteranno indecifrabili per mancanza di documentazione sufficiente.Un altro fattore di differenziazione è chiaramente costituito dalle fasce di età. Il neonato per la sua fragilità doveva essere protetto: nella culla, sotto una coperta, era avvolto in fasce di lana, foderate con una tela che in alcuni casi copriva anche la testa. L'insieme era fissato da una striscia di tela, che generalmente non stringeva il corpo del bambino.
A partire dai primi passi egli era vestito con un abito corto, senza brache, coperto talvolta con un cuscinetto di protezione contro gli urti. Medaglie, amuleti e, in particolare nel mondo mediterraneo, rametti di corallo rosso, gli venivano appesi al collo per difenderlo dalle malattie e dai malefici.
La giovinezza era l'età della seduzione. I giovani della classe dominante, i 'leaders della moda', coloro che osavano le innovazioni, spendevano largamente per adornarsi e, al servizio di un signore o di un principe, ricevevano livree e numerosi capi di vestiario in dono. Il colore simbolico della gioventù e della sua celebrazione nelle feste del primo giorno di maggio era il verde. Nell'ambiente rurale, i testi disponibili a partire dal sec. 13° indicano che il vestito della sposa era di panno colorato, di solito blu o rosso.
Le contabilità dei principi a volte lasciano trasparire la mancanza d'interesse o il gusto conservatore nell'a. degli alti personaggi di età avanzata, i quali vengono inoltre per lo più rappresentati in atteggiamento freddoloso, avvolti in lunghe vesti e con il capo nascosto in grandi cappucci.
Il lavoro era un altro fattore di differenziazione nell'a. di cui le arti figurative offrono un panorama relativamente abbondante. I contadini possedevano in genere pochissimi abiti, adattati ai lavori agricoli semplicemente rimboccando nella cintura le falde della veste o, dopo l'adozione del nuovo tipo di a., slacciando le stringhe. Per i grandi lavori estivi, mietitura e fienagione, la veste si toglieva: i contadini lavoravano in camicia, a volte solo con le brache, coprendosi il capo con grandi cappelli di paglia, mentre d'inverno usavano cappucci, berretti o cappelli di feltro. Gli abiti specifici per una sola attività, come il grembiule della semina, rappresentano un'eccezione. Le donne sembra partecipassero poco ai lavori agricoli e sono spesso raffigurate con un grembiule che doveva far parte del loro a. quotidiano. Nel mondo rurale solo gli apicultori indossavano una veste particolare.
Per l'esercizio delle attività artigianali, oltre alle abitudini già osservate presso i contadini per diminuire le costrizioni dell'a. abituale, venivano utilizzati abiti con funzione protettiva: guanti di pelle di montone per i muratori, grembiule di cuoio per i fabbri e altri artigiani che lavoravano il metallo, cappucci di tela per i macellai; i vetrai avevano un abito completo di tela, che li proteggeva dal calore dei forni.
Le gerarchie sociali condizionarono fortemente l'a.: si direbbe infatti che l'idea dell'abito come riflesso della condizione sociale di colui che lo indossava sia stata più che mai saldamente radicata nella mentalità medievale. L'arricchimento di alcuni cittadini, che la classe militare considerava con disprezzo, mise alla loro portata, a partire dal sec. 13°, i panni colorati e le pellicce di lusso che l'aristocrazia sino ad allora aveva di norma riservate a sé. Con le leggi suntuarie emanate dai sovrani e i regolamenti urbani si cercò di mantenere distinti i generi di vita delle diverse classi sociali e l'a. appare come uno dei bersagli privilegiati di tali regolamentazioni, il cui reiterarsi, tuttavia, rivela di per sé che le prescrizioni venivano applicate quanto mai a fatica.
I segni di distinzione sociale erano contemporaneamente qualitativi e quantitativi. I conti dei principi mostrano la frequenza e la varietà degli acquisti: a ogni circostanza della vita si adattava un modo di vestire diverso. Le differenze erano maggiori per gli uomini che per le donne, con le armature da guerra o da giostra, tenute da cerimonia ma anche da caccia, da cavalcata o da pioggia. Qualitativamente i segni si sommavano: valore, colore e decorazione dei tessuti, qualità delle pellicce, esagerazione delle dimensioni, dell'ampiezza degli abiti, degli strascichi, dell'altezza e della complessità delle acconciature, ricchezza degli ornamenti come corone, gioielli, cinture, realizzati in metalli preziosi e ulteriormente ravvivati da inserti di pietre.
A dispetto dei regolamenti, alcuni membri della borghesia tentavano di imitare lo stile della vita nobile e i suoi ornamenti ma, nell'insieme, l'espressione del lusso nel modo di vestire dei borghesi era molto più discreta, sotto l'influenza di un ambiente in cui si investiva meno in ciò che si direbbe mera apparenza esteriore. Fra i mercanti e gli artigiani le differenze di livello economico erano notevoli: i più ricchi, con un certo ritardo e attenuandone gli eccessi, seguivano le mode degli ambienti signorili, mentre coloro che erano economicamente meno fortunati si confondevano con il popolo minuto della città per gli abiti poco numerosi e di aspetto modesto.
Anche nel mondo rurale le situazioni si presentavano contrastanti: ancora nel sec. 14° molti contadini possedevano solo una veste di tessuto non tinto o di panno blu, un cappuccio e qualche raro capo di biancheria. Le donne indossavano più spesso abiti colorati e giubbetti in pelle di montone o di capretto. I contadini agiati possedevano un maggior numero di vesti colorate blu, verdi, a volte rosse, e qualche gioiello d'argento o di bronzo.
Gli abiti che i membri delle classi popolari si facevano confezionare erano ispirati sovente, con i mezzi a disposizione, alle mode signorili. Senza dubbio l'imitazione non era l'unico sistema di diffusione delle nuove forme: la distribuzione di livree ai servitori delle corti, i doni o lasciti di abiti nuovi o usati, le elemosine e, infine, il commercio degli indumenti usati, facevano circolare vestiti originariamente non destinati a coloro che di fatto li portavano.
Vesti simboliche. - Poiché di norma i membri degli ordini religiosi si ritiravano dalla vita secolare, i fondatori sceglievano un modo di vestire che rendesse immediatamente evidente sia la negazione di ogni ricercatezza di vestiario, in conformità con il voto monastico di povertà, sia l'appartenenza a una comunità. La forma era quasi sempre la stessa: una semplice veste lunga, stretta da una cintura, e un mantello con cappuccio. Le varianti riguardavano soprattutto il colore: al nero dei Benedettini si opponeva il bianco dell'abito cistercense; i due colori si combinarono in quello dei Domenicani. Gli Ordini mendicanti misero l'accento sulla povertà dell'aspetto, ispirandosi alle classi popolari per la veste striminzita, di tessuti rozzi e non tinti, perfino rattoppati; in questo stesso spirito, i Francescani sostituirono una corda alla cintura di cuoio.
A volte l'aggiunta di segni simbolici su abiti volutamente privi di ogni lusso indicava che si erano compiuti dei pellegrinaggi, consacrazione di un momento della vita a una pratica di devozione: dal bastone e dalla conchiglia tutti riconoscevano il pellegrino di Santiago de Compostela e per la croce apposta sulla veste veniva definito 'crociato' il pellegrino di Terra Santa.
Le vesti indossate dai membri del clero nelle cerimonie di culto tendevano a esprimere, con l'ornamento, la gloria della divinità che essi servivano. I capi dell'a. liturgico sembrano modellati sugli abiti civili propri della classe dominante verso il 6° secolo. Ciascuno aveva un significato simbolico preciso e la loro forma subì in seguito poche trasformazioni, salvo la tendenza a renderli sempre più lussuosi, utilizzando per piviali, pianete, mitre e guanti degli alti dignitari ecclesiastici tutte le risorse decorative possibili: tessuti preziosi, ricami, bordure con galloni tessuti d'oro e d'argento, a volte ravvivati anche da perle e pietre preziose.
Anche la consacrazione dei re venne assimilata progressivamente a un rito religioso e le vesti indossate in tale occasione assunsero carattere quasi liturgico. L'abito della consacrazione dei re di Francia combinava la dalmatica del diacono, la pianeta del sacerdote e un mantello di forma particolare; i 'segni' si sommavano con l'ermellino e il giglio araldico.
Travestimenti. - Nelle società medievali erano numerose le occasioni in cui un individuo poteva giocare a essere 'altro' rispetto al suo stato normale: il cambiarsi d'abito esprimeva tale trasgressione, sottolineata da segni più o meno numerosi ed elaborati, secondo l'ambiente sociale. Per la 'scampanata' i giovani si limitavano a indossare a rovescio le proprie vesti, mentre è noto il caso (relativamente tardo) delle feste di corte, in cui il re e i suoi compagni apparivano travestiti da homines salvatici; il carnevale infine era da sempre un po' dovunque l'occasione per cambiare il proprio aspetto e il proprio comportamento.
Le rappresentazioni teatrali, di soggetto religioso e in seguito anche profano, esigevano travestimenti più ricercati, come pure le processioni svolte in città in occasione di feste religiose o calendaristiche, in cui si mettevano in scena complessi gruppi di personaggi: le autorità urbane a volte investivano somme considerevoli per travestire i cittadini da apostoli, santi, angeli o dragoni.In occasione dei tornei, tipiche feste della nobiltà, il travestimento poteva essere limitato all'adozione di un abito monocromo che sottolineasse il simbolismo del colore scelto; essenziale nel gioco era comunque la decorazione degli elmi. I cimieri adottati negli incontri differivano dalle armature indicanti il lignaggio, segni di distinzione nati dalla necessità di riconoscere alleati o nemici durante il combattimento, in quanto avevano piuttosto carattere di totem, essendo decorati con motivi tratti dai bestiari, dalla flora, da oggetti quotidiani, ma anche da temi romanzeschi.
Le corti partecipavano a tutte queste occasioni di travestimento e si dilettavano inoltre a ospitare in permanenza 'matti' e 'matte': caratteristici epiteti riservati a specifiche personificazioni di trasgressioni alle norme sociali contraddistinte mediante l'eccentricità del berretto a punte e sonagli o della marotte (scettro derisorio) e degli abiti verdi e gialli, connotazione dispregiativa, da intendersi quale prezzo della libertà di parola loro consentita.
Particolari segni distintivi. - Rigidamente strutturato dai poteri feudali, urbani e religiosi, il mondo medievale tendeva a respingere gli individui o i gruppi che sostenevano concezioni, in particolare in campo religioso, divergenti da quelle canoniche.
A partire dal Concilio Lateranense (1215), ebrei ed eretici vennero costretti a portare segni distintivi sugli abiti: in alcune regioni venne imposta loro una particolare acconciatura, oppure, più spesso, un'insegna cucita sul vestito, per es. un cerchio di stoffa gialla, colore dell'infamia e del tradimento. Il significato dei marchi imposti a prostitute e malati è più ambiguo: esprimeva in parte la riprovazione morale, poiché la lebbra venne a lungo considerata come una punizione divina, e, insieme, la preoccupazione di evitare il contagio o, nel caso delle prostitute, di distinguerle dalle altre donne. Mentre i lebbrosi erano tenuti ad apporre sui loro vestiti un segno analogo a quello degli ebrei e degli eretici, le stringhe o i nastri colorati imposti alle prostitute erano ornamenti più che marchi d'infamia; è da notare inoltre che alcuni regolamenti urbani permettevano alle prostitute di portare ornamenti, gioielli o cinture dorate, proibiti alle altre donne.
Nel pensiero degli ultimi secoli del Medioevo, che amava stabilire fra il reale e l'immaginario una rete di corrispondenze simboliche, l'importanza dell'a. non risiede nel suo peso economico o nella classificazione sociale che esprime. Benché connesso, naturalmente anche nel Medioevo, presso i più poveri, a una semplice funzione utilitaria, l'a. poteva tuttavia anche in questo caso soddisfare, pur senza sfarzo, esigenze estetiche: l'attenzione per queste ultime e per il valore simbolico è riconoscibile, per es., anche nei piccoli gioielli contadini. Con l'agiatezza e più ancora con il lusso degli ambienti principeschi, le ricercatezze ornamentali e il gusto per il simbolismo nel vestiario divennero passatempi privilegiati: le feste in costumi lussuosi, le 'divise', i travestimenti, i cimieri e le associazioni di colori assunsero un'importanza tale che i cronisti si compiacevano di descriverli come altrettanti segni del potere dei loro signori.
Vanno inoltre ricordati gli studi intesi alla utilizzazione comparativa delle fogge e delle mode dell'a., così come delle acconciature delle capigliature, per giungere per altra via ad ulteriori definizioni cronologiche e stilistiche (Bellosi, 1977a; 1977b; Sauerländer, 1983).
Bibliografia
C. Kohler, Die Trachten der Völker in Bild und Schnitt, 3 voll., Dresden 1871-1873;
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di M. Nockert
In Scandinavia il vestiario non doveva essere molto diverso da quello in uso nel continente. Presumibilmente, però, le mode non cambiavano con la stessa frequenza e si può supporre che non fosse dato peso ai dettagli.
Durante l'età dei Vichinghi e nel primo Medioevo gli uomini indossavano una tunica che arrivava fino al ginocchio e, sotto di essa, pantaloni lunghi.
La veste lunga di origine bizantina, divenuta di uso comune nell'Europa centrale durante il sec. 12°, in Scandinavia fu adottata in un primo tempo soltanto dai re e dall'alta nobiltà, ma intorno al 1200 la nuova moda si estese a tutta la classe nobiliare. Tale veste rendeva superflui i pantaloni lunghi, che furono sostituiti da calze, secondo una moda che continuò per tutto il Duecento e parte del Trecento. Gli abiti maschili e femminili duecenteschi e prototrecenteschi si somigliano al punto che nelle raffigurazioni risulta difficile distinguerli: le vesti femminili tuttavia erano di solito lunghe fino a terra, mentre le maschili, più corte, arrivavano alla caviglia o alla metà del polpaccio.
L'abito si componeva spesso di parti di colori diversi e, per aumentare ulteriormente l'effetto cromatico, l'interno di certi indumenti veniva foderato con tessuti di colori contrastanti oppure con pelliccia; erano diffuse inoltre le orlature decorative a nastri o a ricami. Già nel sec. 12° e fino al Trecento si usavano abiti composti da due tessuti di colore diverso, uniti nel senso della lunghezza, secondo una moda che si mantenne anche nel 13° e 14° secolo.
È degno di nota il fatto che in Scandinavia si sia conservato, rispetto al resto d'Europa, un maggior numero di abiti medievali, di fondamentale importanza per lo studio delle fogge e i vari stadi di sviluppo che essi rappresentano.
I capi di a. conservatisi provengono prevalentemente dalla Groenlandia, dove coloni islandesi si stabilirono, a partire dalla fine del sec. 10°, per quasi cinquecento anni. Gli scavi eseguiti nel cimitero di Herjolfsnes hanno riportato alla luce indumenti generalmente databili alla fine del sec. 14° e agli inizi del successivo: si tratta di quindici vesti, diciassette cappucci, numerosi altri copricapi e alcune calze, che costituivano il corredo delle sepolture. Le vesti erano prevalentemente in lana, tessuta per lo più ad armatura saia a due dritti e, più raramente, a un dritto solo, e somigliavano a quelle del resto d'Europa per taglio e stile. Il gruppo più antico e numericamente più consistente comprende gli indumenti che si infilavano dalla testa, mentre l'altro, più recente, si distingue per la presenza dell'apertura sul davanti. I primi erano di solito realizzati con pezze di stoffa cucite sulle spalle; allo scopo di creare maggiore ampiezza si inseriva un numero variabile di gheroni di varia lunghezza sui lati e, talvolta, sul davanti e sul dietro. Le maniche erano in genere realizzate con un'unica pezza e munite di un gherone sul lato inferiore. Appartiene al secondo gruppo un tipo di abito maschile munito di alto colletto e formato da otto lunghi e stretti spicchi di stoffa, cuciti insieme, a eccezione dei due pezzi mediani anteriori, dove si trovava l'abbottonatura. Non si è trovato alcun abito maschile corto tra gli esemplari di scavo rinvenuti in Groenlandia.
I cappucci sono tutti del tipo c.d. 'a cono' (struthätta), con scapolare per coprire le spalle e gheroni al centro, davanti e dietro, oppure con un lembo più corto e gheroni sulle spalle. Sono stati trovati anche berretti, alcuni bassi di forma cilindrica e altri piuttosto alti, conici, nonché vari tipi di calze, complete di pedale oppure fornite di tirante che passava sotto il piede, corte o lunghe fino alla coscia.
In Danimarca, capi di a. sono stati rinvenuti in torbiere: due vesti quasi intatte a Kragelund e Moeslund, mentre un frammento è stato ritrovato a Ronbjerg. La veste di Kragelund, che non presenta cuciture sulle spalle, è databile al sec. 12° o al 13°, ma potrebbe anche essere più tarda. Per il taglio gli altri due indumenti somigliano a certi abiti di Herjolfsnes, ma sono di datazione incerta.
In Norvegia si è conservato un solo abito medievale, di datazione e attribuzione incerte, composto da cappuccio, tunica, camicia e pantaloni, tutti di lana tessuta a saia a due dritti.In Svezia, nella palude di Boskstens, è stato rinvenuto un abito praticamente completo, databile alla prima metà del Trecento. Esso è costituito da cappuccio, mantello, tunica, calze e scarpe, in saia 'da tre'. Il cappuccio è munito di un ampio lembo di stoffa per coprire le spalle; il mantello, tagliato a semicerchio, è tenuto insieme sulla spalla destra; le calze arrivano in alto sulle cosce ed erano sostenute da nastri di cuoio; la tunica non ha cuciture sulle spalle.
Nella cattedrale di Uppsala è conservato un abito di broccato d'oro, probabilmente appartenuto a Margherita, regina di Svezia, Danimarca e Norvegia (1353-1412). Sono noti altri due indumenti, probabilmente di origine svedese, che sarebbero appartenuti a s. Brigida (1303-1373): il c.d. 'mantello di s. Brigida', conservato nel monastero delle Agostiniane di S. Lucia in Selci a Roma, è una tunica formata da gheroni, trasformata in mantello; l'altro capo è un piccolo berretto di sottile tela di lino, originariamente bianco, pieghettato agli angoli, finemente ricamato sulla sommità e sulla fronte e munito di nastri. Questo cale o coif si trova attualmente custodito nel convento di Maria Refugie a Uden, in Olanda.
Non si conoscono indumenti interi provenienti dalla Finlandia. Alcuni frammenti, rinvenuti negli scavi archeologici, si sono conservati insieme ad anellini e spirali di filo di bronzo, usati nel sec. 9° per ornare gli abiti. Le donne indossavano lunghe vesti paragonabili al peplo greco, composte di una grande pezza rettangolare, piegata in due sulle spalle e chiusa con fibule; solo nel sec. 12° si cominciarono a usare le cuciture sulle spalle. Nella Finlandia orientale l'antico abito a forma di peplo rimase in uso per tutto il Medioevo, mentre alla fine del sec. 11° o all'inizio del 12° comparve la tunica maschile di lana, con piccoli bottoni di bronzo: una novità orientale che si diffuse solo in seguito nell'Europa continentale.
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di G. Di Flumeri Vatielli
Nel corso dei secoli, dall'avvento dell'Islam, la principale caratteristica dell'a. del musulmano furono i vari strati di abiti, tuniche, mantelli, completati da un copricapo e dalle calzature. Il numero degli indumenti indossati contemporaneamente variava secondo la posizione sociale ed economica della persona.
Prima dell'avvento dell'Islam, gli Arabi portavano un lungo abito morbido, tenuto da una cintura che Erodoto (VII, 69) chiama zeira.
Esso fu il prototipo dell'izār, che divenne uno dei capi più importanti dell'a. musulmano. Certamente gli abitanti della penisola araba risentirono anche dell'influenza dei grandi imperi limitrofi: l'impero sasanide e l'impero bizantino, cosicché le statue dei capi arabi di Atra sono rappresentate con indosso costumi partici, mentre gli abitanti del deserto siriaco vestivano alla maniera ellenistico-orientale (Dussaud, 1955).
All'epoca del Profeta l'a. sia degli uomini, sia delle donne era costituito da abiti detti shi'ār (biancheria intima), come il qamīṣ e i sarāwīl, e abiti detti dithār (quelli da mettere sopra) come l'izār e la ridā'.
Il qamīṣ, camicia o tunica, era usato nel mondo islamico antico sia dagli adulti, sia dai bambini; indossato a pelle, veniva tessuto in stoffe varie, economiche o preziose. Aveva un'apertura per la testa e spesso era aperto anche sul davanti; sembra che quello del Profeta avesse maniche corte (Levy, 1935, p. 322). Su di esso influì la moda dei tempi, così in epoca omayyade il qamīṣ divenne lungo fino ai piedi, per poi cambiare in epoca abbaside, quando si ritornò al qamīṣ corto. Inoltre divenne un elemento di distinzione anche per le classi sociali: i ricchi mercanti ne portavano due, uno sull'altro e sotto entrambi, a pelle, la mubattana, una camicia che arrivava fino a metà polpaccio (Goetz, 1938); gli asceti indossavano un qamīṣ corto, simbolo della loro povertà.
I sarāwīl (sing. sirwāl) erano brache o pantaloni di origine persiana, di varie lunghezze o fogge, da indossare a pelle. Non tutti gli hadīth (tradizioni) concordano sul fatto che il Profeta indossasse i sarāwīl, a causa della loro origine straniera: questi erano invece raccomandati alle donne, per le quali erano prescritti lunghi fino alle caviglie. Le fogge potevano essere diverse, come pure i colori e le stoffe con cui venivano realizzati (Björkman, 1924). In epoca abbaside erano in nero, poiché questo era il colore di moda della dinastia: al tempo dei califfi fatimidi furono di stoffa bianca. Potevano essere di seta persiana, ma anche di tela bianca egiziana ed erano tenuti in vita da una cintura (tikka), che poteva essere ornata con iscrizioni, a volte di carattere erotico, o con pietre semipreziose. Le cinture più famose erano quelle fabbricate in Armenia con seta persiana, che venivano lasciate in eredità ai propri figli.
L'izār o pareo, risale all'epoca preislamica. Nei primi secoli dell'Islam si trattava di un abito drappeggiato intorno alla vita che arrivava a metà gamba, ma poteva essere anche più lungo; copriva parzialmente il busto passando sotto il braccio destro ed era annodato sulla spalla sinistra o in mezzo alle spalle, come quello del Profeta (Levy, 1935, pp. 20-21). L'izār era indossato dagli uomini e dai ghulām, ovvero i giovani che avevano raggiunto la pubertà, ma potevano portarlo anche le donne, soprattutto insieme agli abiti da indossare fuori di casa; era normalmente bianco o di colore chiaro. Gli studenti poveri lo indossavano solo, insieme al qamīṣ. Simile era la shamla che, come l'izār, vuol dire 'avvolgente'.
La ridā' era un mantello che veniva usato dagli uomini ogni qual volta si mostravano in pubblico e con il quale a volte si coprivano anche la testa. Le donne usavano altri mantelli che prendevano il nome di jilbāb, khimār e mirṭ.
Oltre a questi abiti, che costituivano l'a. essenziale del musulmano, gli storici hanno tramandato una serie di termini che si riferiscono ad abiti indossati all'epoca del Profeta: si ricorda la jubba, una tunica di lana a maniche strette, importata nel sec. 7° dalla Siria; la ḥulla, un lungo abito morbido; la qabā', un abito importante, di origine persiana, realizzato con stoffe preziose, come il broccato, con maniche lunghe e aperto sul davanti; il farrūj, simile alla qabā', ma aperto dietro; la burda o burd, un mantello di lana a righe proveniente dallo Yemen. Gli ḥadīth sostengono che le tuniche e i mantelli non dovevano strusciare per terra, né essere troppo corti.
Le calzature, sia per gli uomini, sia per le donne erano costituite dai na'l, sandali fatti di fibre di palma o di cuoio, pelle o pelliccia, e dai khuff, stivali di pelle.
Seguendo l'usanza antica di coprirsi la testa in segno di rispetto, il copricapo degli Arabi, per eccellenza, fu l''imāma: il turbante. Probabilmente all'epoca del Profeta era solo un pezzo di stoffa arrotolato intorno al capo, ma con il passare del tempo divenne un'acconciatura sempre più complessa, considerata il simbolo religioso e nazionale dell'Islam. Il turbante poteva assumere grandezze diverse, secondo la classe sociale di chi lo indossava: infatti le autorità religiose lo portavano più grande e importante degli altri, mentre la classe militare ne indossava di altissimi; anche il colore era un elemento di distinzione, giacché blu fu indossato dai cristiani, giallo dagli ebrei, rosa dai samaritani (Mayer, 1952). Sotto il turbante veniva indossata la qalansuwa, di origine persiana, che poteva essere di foggia piccola, a forma di papalina, oppure essere alta, di forma conica, tenuta da una intelaiatura di canna o di legno. Un altro tipo di copricapo era il ṭaylasān, una specie di cappuccio realizzato con una stoffa di forma quadrata (Levy, 1935). Quando le donne si mostravano in pubblico coprivano la testa con un velo chiamato mindīl (Rosenthal, 1971).L'abito, con il succedersi delle dinastie omayyade (661-750) e abbaside (750-1258), acquistò sempre maggiore importanza sociale ed economica e, pur mantenendo il taglio e le forme dei secoli precedenti, venne confezionato con stoffe sempre più preziose. Queste venivano realizzate in apposite fabbriche di stato (ṭirāz al-khāṣṣ), che lavoravano esclusivamente per gli abiti del califfo e della sua corte. Con il termine di ṭirāz si indicano gli abiti, ma più precisamente i ricami, che comparivano sulle maniche degli stessi. Questi si presentavano sotto forma di iscrizione, normalmente in carattere cufico, con precise indicazioni sul nome del proprietario, i suoi titoli, l'anno e il luogo di esecuzione dell'abito, il nome della fabbrica e il proprietario di questa (Serjeant, 1972). Tale usanza si praticò per tre secoli ed ebbe il suo sviluppo maggiore con gli Abbasidi in Iraq per proseguire in Persia con i Buydi (945-1055) e i Selgiuqidi (1055-1157) e in Egitto con i Fatimidi (906-1171) (Kühnel, Bellinger, 1952). Sotto queste dinastie divenne consuetudine che i sovrani donassero ai loro sudditi una serie di abiti preziosi chiamati khil'a ('veste d'onore') in segno di riconoscenza per favori ricevuti. Anche la borghesia che si sviluppò con gli Abbasidi, imitando le usanze del califfato, prese l'abitudine di indossare ṭirāz , realizzati nei tirāz al-'āmm (fabbriche pubbliche). Questi abiti divennero simbolo della propria classe sociale e parte integrante del patrimonio di famiglia da tramandare di padre in figlio. L'adīb, 'il dotto', al-Washshā' (860-936) nel Kitāb al-Muwashshá cioè il 'Libro delle vesti colorate' (Serjeant, 1972, pp. 213-215) descrive gli abiti indossati dai suoi contemporanei raffinati, uomini e donne, i tessuti di moda e i colori. Queste usanze si diffusero anche lontano dal califfato iracheno, fino in Spagna, dove un musicista di nome Ziryāb, venuto da Baghdad nella prima metà del sec. 9°, dettò le norme della moda abbaside presso quelle regioni (Lombard, 1979, p. 179). Quando il califfato abbaside entrò in crisi, ne risentì anche la moda, che fu segnata da 'tipiche' esagerazioni: maniche sempre più larghe per le tuniche, copricapo (qalansuwa) sempre più alti, turbanti particolarmente elaborati (Levy, 1935, pp. 326-327). Il centro della moda si spostò più a occidente, in Egitto, con la dinastia fatimide. Qui il cerimoniale di corte divenne così complesso che l'a. di conseguenza acquistò un ruolo di primaria importanza. Coloro che frequentavano la corte dovevano essere provvisti dallo Stato di un corredo adeguato alla loro carica che comprendeva un certo numero di abiti, fra cui quelli da cerimonia di colore bianco, il colore ufficiale della dinastia, ricamati con fili d'oro e d'argento. Questi venivano distribuiti dal 'magazzino esterno' (khizana), a cui era preposto un dignitario o un eunuco; la distribuzione veniva fatta due volte l'anno, d'estate e d'inverno. All'a. del califfo provvedeva un 'magazzino interno', a cui soprintendeva una dama con trenta giovani fanciulle, collegato con un giardino, dove si coltivavano i fiori per i profumi del califfo. Una vera e propria gerarchia di costume fissava regole rigide nell'a. in maniera che l'abito potesse suggerire il grado di colui che lo indossava ed era considerata una grave colpa indossare vesti non adeguate al proprio rango (Lombard, 1979).
La moda persiana si differenzia completamente da quella araba e ha mantenuto delle caratteristiche costanti, che vanno dai tempi preachemenidi fino a oggi. Mentre l'a. arabo era costituito da tuniche rettangolari e vesti larghe, quello persiano era generalmente formato da abiti tagliati che aderivano al corpo. Tale a. era diffuso fra tutti i popoli delle steppe, dediti principalmente alla pastorizia e che vivevano gran parte della loro vita a cavallo e in un clima difficile. In epoca omayyade la moda persiana penetrò solo marginalmente presso le corti islamiche e gli unici a usufruirne furono i capi arabi del Khorasan (Ettinghausen, 1972). Con l'avvento della dinastia abbaside, che stabilì il suo centro politico più a oriente, in Iraq, la presenza sempre crescente di elementi iranici nell'amministrazione determinò il diffondersi generale della moda persiana. I primi ad adottarla furono, nel sec. 8°, i membri della classe militare, seguiti nei secc. 9° e 10° da funzionari, giudici, ufficiali. Gli elementi più importanti dell'a. persiano erano costituiti da una giacca (qabā'), che generalmente si allacciava sotto la spalla sinistra, sotto la quale si indossava una tunica lunga fino alle ginocchia, tenuta da una cinta (minṭaqa). Tipici dell'a. persiano erano i pantaloni, lunghi e stretti (shalwār) e i calzari (pāy-tāba o rān) o gli stivali alti (mūza, kafsh, khifāf). Il copricapo (qalansuwa) era alto a forma di cono, ma poteva anche essere un piccolo cappello con bordo ripiegato; intorno a esso veniva drappeggiata una sciarpa che con il tempo divenne sempre più lunga, fino a trasformarsi in un turbante. Le stoffe di eccellente qualità, come anche gli abiti, venivano prodotte in vari centri persiani, famosi in tutto il mondo islamico (Serjeant, 1972). Il tipo di stoffa, che prima del sec. 10° era costituito principalmente da pesanti sete, caratterizzate da disegni di stile sasanide, quali medaglioni circolari, viticci ondulati, ecc., venne sostituito da tessuti sottili, usualmente bianchi, decorati sulle maniche con ricami epigrafici (ṭirāz) di influenza irachena. La moda persiana rimase viva anche con i Selgiuqidi di origine turca i quali, prima ancora di imporsi sul califfato, subivano l'influenza della cultura iranica. Essi adottarono, in ricordo della loro origine, la giacca turca (qabiya) con apertura diagonale, che va da destra a sinistra e che fu usata fino al sec. 13°, per essere sostituita nel sec. 14° dalla giacca detta tartara, con apertura in senso opposto. Dei cambiamenti si verificarono anche fra i copricapo: qui si impose un cappello a calotta, arricchito da elementi foliati applicati, proveniente dall'Asia centrale, che veniva usato sia da solo sia sotto il turbante. La corona detta selgiuqide, con dentellature foliate, presenta alcune affinità con la corona sasanide ed ebbe molta fortuna anche nei secoli successivi, tanto da comparire spesso sul capo dei principi nella pittura persiana fino al 16° secolo. La situazione cambiò sotto la dinastia ilkhanide, di origine mongola (1256-1335), la quale, pur se convertita all'Islam, rimase fedele agli ideali della sua origine estremo-orientale. L'influenza cinese si sentì sia nella foggia degli abiti, sia nei loro ricami e rifiniture. Comparvero disegni araldici sul petto e sulla schiena, con raffigurazione di nuvole, spirali e fiori tipici cinesi, sugli abiti lunghi fino ai piedi, sopra i quali venivano indossate larghe cappe, sempre ricamate con motivi a volute, caratterizzate da grandi colli a quattro punte e maniche corte che si allungavano verso l'esterno; i copricapo potevano essere con larghe tese, oppure con bordi girati verso l'alto (Goetz, 1938). Tale moda era destinata agli ambienti di corte, mentre il resto della popolazione seguitò a vestire alla maniera persiana, anche se arricchita da elementi di origine turca già da tempo penetrati.
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