abbreviazioni [prontuario]
Al pari delle ➔ sigle, le ➔ abbreviazioni, consentendo di risparmiare caratteri, hanno lo scopo di alleggerire un testo quando un termine vi ricorra ripetutamente; diversamente dalle sigle però, che possono avere veste e funzione di parole ‘piene’, le abbreviazioni non si ‘leggono’ (se non eccezionalmente o per scherzo): il loro ambito d’uso è, pertanto, confinato allo scritto.
Le abbreviazioni nelle quali è più facile imbattersi sono quelle di:
(a) titoli onorifici, professionali, gradi (spesso con l’iniziale maiuscola): Sig. per Signore, Sig.na per Signorina, Avv. per Avvocato, Cav. per Cavaliere, Rev. per Reverendo, Gen. per Generale, ecc.;
(b) indicazioni topografiche: V. per Via, P.zza per Piazza, L.go per Largo, ecc.;
(c) unità di misura: cm per centimetro, mq per metro quadro, kg per chilogrammo, ecc. (ma qui siamo al confine con le sigle, come dimostra la frequente assenza del punto alla fine);
(d) altri casi, propri di ➔ linguaggi settoriali, come, nelle citazioni bibliografiche p. e pp. o anche pag. e pagg. (per pagina e pagine), s. e ss. o sg. e sgg. (per seguente e seguenti), a. C. e d. C. per avanti Cristo e dopo Cristo nei testi di storia, ecc. o etc. per eccetera o etcetera, ecc.
Da questa lista emergono elementi degni di nota.
Innanzi tutto sono poco frequenti le abbreviazioni ‘assolute’, costituite cioè da una lettera che stia per una intera parola su modello di a. a. per anno accademico, q. b. per quanto basta, c.v.d. per come volevasi dimostrare; l’impressione è che questa tipologia si trovi (con qualche eccezione come S. o s. per San /Santo /Santa; Ss. o ss. al plurale) nel caso di usi settoriali (negli esempi citati, del linguaggio proprio dell’università o di alcune scienze) e prova ne è il loro scarso grado di trasparenza fuori degli ambiti d’adozione.
Piuttosto evidente è l’impiego del punto a chiudere l’abbreviazione, benché tale consuetudine sia fortemente intaccata da usi angloamericani: oltre alle unità di misura, in cui l’eliminazione è sistematica (kg, km), e le abbreviazioni che dagli sms si trasferiscono alle scritture più informali (tvb per ti voglio bene, cmq per comunque, ecc.), con sempre maggior frequenza si usa, specie in ambito accademico, premettere al nome e cognome il titolo dr per Dottore senza punto (anche per il femminile); fra gli altri casi si può ricordare quello di curriculum vitae, oramai scritto (e anche pronunciato) sempre CV.
Nell’utilizzo di abbreviazioni è però sempre conseguito l’obiettivo del risparmio di caratteri: in Cav., per Cavaliere, se ne eliminano sei, ma in V., per Via, soltanto due; e lo stesso accade in P.zza per Piazza. Si può credere allora che in alcune circostanze sull’esigenza di risparmiare caratteri possa prevalere piuttosto l’abitudine: l’uso di abbreviazioni è infatti tipico del linguaggio burocratico (➔ burocratese).
È invece in regresso l’abitudine di rendere un’abbreviazione riferita a uno o più plurali attraverso la doppia consonante finale del termine, come in Proff. per Professori. Anche altre strategie di abbreviazione di plurali paiono abbandonate o soppiantate da altre diciture: è il caso di FF.AA. per Forze Armate, cui ora si preferisce la dicitura estesa, o di Ferrovie dello Stato, abbreviate in FF.SS. dopo essere passate per una fase di sigla (quasi, addirittura, un logo) FS.
Può non essere facile stabilire un confine netto tra abbreviazioni e sigle: ci possono essere realizzazioni ‘ibride’ come nel caso, ancora d’ambito militare, di STen per Sottotenente. Possono aversi anche sovrapposizioni disambiguate graficamente, per non dare margine di dubbio o adito a confusione: cap o CAP suggeriscono subito, pur nella polivalenza delle possibili rese grafiche (lettere puntate o meno), che si tratti del Codice di Avviamento Postale, mentre Cap. è senza incertezze Capitano.
Alcune abbreviazioni paiono destinate all’opacità, e conseguente reinterpretazione popolare. È il caso di SS che, a prescindere dalla grafia (mutevole anche nell’epigrafia ‘ufficiale’, per quanto la corretta sia SS.), è sempre sciolta dai meno colti in Santissimi e non Santi (mentre semmai vale Santissimo). La stessa scrittura, anche con le consonanti puntate (pronunciata però [ˈɛsːe ˈɛsːe]), indica invece le squadre naziste denominate Schutz Staffeln («reparti di difesa»).
In italiano si registra oggi una tendenza, ancora limitata a pochi casi ma, forse, sul punto di espandersi, almeno negli usi giovanili, come già è accaduto in altri ambiti (il francese, lo spagnolo e altre lingue): quella di promuovere alcune abbreviazioni a parole a pieno titolo (➔ lessicalizzazione). Oltre al già citato CV, oramai integrato allo standard, nella scuola è oggi costume degli studenti, tollerato dai più, che ci si rivolga al proprio docente non con il titolo esteso ma con la sua abbreviazione (Prof). Che l’abbreviazione sia ormai percepita come una parola piena lo dimostra l’annullamento della distinzione di genere a cui alcuni ricorrono attraverso l’impiego dell’ancor più censurabile e colloquiale Proffa.
Ancora, è marca diffusa di informalità del linguaggio giovanile, che va diffondendosi nel rapporto medico-paziente, rivolgersi al proprio medico chiamandolo Doc: Sono a posto le analisi, Doc? Alla stessa maniera, le borse post-dottorali sono spesso chiamate post-doc. Del resto, la sigla DOC (denominazione d’origine controllata), anch’essa oramai parola piena, si trova anche in locuzioni non vinicole, a intendere «di pregevole fattura» o «di ottima qualità».