abbreviazioni
Col termine abbreviazione (o, più anticamente, abbreviatura) si indica l’accorciamento (o compendio) di una parola. Come si legge nel Vocabolario della Crusca (1612), l’abbreviazione è una «parola abbreviata di suoi caratteri, nello scriverla».
Nelle abbreviazioni moderne, l’omissione di lettere è spesso indicata da un punto interno alla parola (f.lli per fratelli) o esterno (prof. per professore); il punto, se si trova subito prima di un punto fermo, non viene segnato. A lungo i due punti (:) furono concorrenziali col punto per indicare le abbreviazioni e, nel medioevo, due punti e punto e virgola potevano anche sostituire intere desinenze (per es. quib: per quibus, omnib; per omnibus, q; per l’enclitica que). Anticamente, alcuni gruppi di lettere e alcune brevi parole d’uso frequente erano comunemente sostituiti da simboli che compendiavano più segni (per un inventario, cfr. Cappelli 1990): per es., una specie di 9 compendiava con e cum (9cedo per concedo, cir9 per circum e anche isolatamente 9 poteva stare per cum; è uno dei più antichi segni di abbreviazione, già presente tra gli esempi raccolti dal grammatico Valerio Probo nel I sec. d.C.), 7 e & indicavano la congiunzione et, mentre un segno simile a un 3 sostituiva varie combinazioni di lettere (per es. hab3 per habet, d3 per debet, prod3 per prodest).
Secondo la classificazione di Serianni (1997: 489), esistono vari tipi di abbreviazioni: per contrazione (consistono nelle lettere iniziali e finali della parola: per es. ill.mo / ill.mo per illustrissimo), per compendio (contengono una o più iniziali della parola: per es. ing. per ingegnere; in questa categoria rientrano le ➔ sigle) e per sequenza consonantica (formate dalla consonante iniziale e da una o più consonanti ulteriori: per es. cfr., usato per rinviare a un altro testo, con o senza punto a seconda che l’abbreviazione sia ricondotta al latino confer o all’italiano confronta). Per il medioevo sono stati identificati (Cappelli 1990: XII) sei tipi di abbreviazioni: per troncamento (la parola manca di alcune lettere, per lo più le finali, e l’abbreviazione è segnalata da una sbarra orizzontale o obliqua oppure da un punto: per es. īn per inde, AUG. per Augusto), per contrazione (la parola manca di alcune lettere intermedie e la contrazione è segnalata da una lineetta sovrapposta: per es.: ds per Deus, mm per matrimonium), per segni abbreviativi con significato proprio (come i citati 9, 7 e &), per segni abbreviativi con significato relativo (come la lineetta orizzontale sovrapposta che indica per lo più la mancanza di m o n, ma anche altre soppressioni: q per quae, pp per propter), per lettere sovrapposte (come im per illum, an per ante, sistema in uso ancora oggi in casi come Sig.ra), per segni convenzionali (i sopra citati segni con significato proprio e molti altri, tra i quali ÷ e = per indicare est ed esse).
L’uso di abbreviazioni è una pratica antica. Si afferma dagli albori della scrittura, con l’epigrafia, in risposta all’esigenza di sfruttare meglio possibile lo spazio e di ridurre la fatica e la spesa dell’incisione. Si pensi all’iscrizione sulla facciata del Pantheon a Roma del 27 a.C., in cui quattro parole su sette, tutte separate da interpuncta, sono abbreviate (M∙ per Marcus, L∙ per Lucii, F∙ per filius, cos∙ per consul). Fin dall’antichità, l’abbreviazione è stata inoltre la più evidente risposta all’esigenza tachigrafica (cioè di velocità di scrittura): le note tironiane sono una sorta di sistema di abbreviazioni (tra le quali, per es., 7 per et, detto proprio nesso tironiano) che prende il nome addirittura dal segretario di Cicerone, il liberto Marco Tullio Tirone, che aveva il compito di trascrivere i discorsi dell’oratore. Cicerone stesso, nell’Orator, afferma di accettare l’uso delle abbreviazioni, da molti ritenute, invece, dannose per la regolarità grammaticale della lingua. Inoltre, nei testi dei grammatici latini si possono trovare impliciti accenni all’impiego delle abbreviazioni. Ad es., Diomede annota: «sicut hodieque cum Gaium notamus Caesarem, scribimus C.C.» («allo stesso modo, oggi, quando parliamo di Caio Cesare scriviamo C.C.»: Diomede Grammatico 1961: 423). Alla base di questa prassi c’è lo stesso bisogno che tuttora induce gli scriventi ad affollare di simboli i loro appunti: accelerare la dinamica della scrittura.
L’antico sistema di segni si sviluppò notevolmente nel medioevo con l’attività dei copisti. Almeno fino al XV secolo, abbreviazioni furono presenti in tutti i manoscritti e ancora nei primi incunaboli: tra i molti, fu estremamente fortunata la sbarretta soprascritta che sostituiva per lo più i suoni nasali m e n (anche em, en), come in sēpre per sempre, così come ebbero grande diffusione le abbreviazioni dei nomina sacra (per es., XPS per Christus, IHS per Iesus) e di parole e desinenze latine (.n. o ∙n∙ per enim, filiʔ per filius). L’inizio di capitolo, invece, era spesso segnalato da un K o una C (rispettivamente per kephálaion o capitulum). Persino la moderna @ degli indirizzi di posta elettronica deriva da un’antica abbreviazione, una legatura tra la a e una linea sovrapposta che poteva avere valori diversi (specialmente circa nelle notazioni di contabilità), specializzatasi poi nel senso dell’inglese at («presso») in ambito anglosassone.
Le grammatiche raramente offrono norme sistematiche sulle abbreviazioni, benché spesso, almeno in quelle recenti, sia dedicato ad esse almeno un paragrafo. Un ricco elenco di abbreviazioni diffuse nel primo Novecento in Italia è offerto da Malagoli (1905: 150-154), mentre un dizionario delle abbreviazioni moderne è stato compilato da Righini (2001).
Tuttavia, col tempo, le abbreviazioni si sono stabilizzate e diffuse nelle abitudini scrittorie di svariati campi del sapere umanistico e scientifico e nella vita quotidiana per necessità di brevità e di chiarezza (si pensi ai simboli degli elementi chimici come O, Al, Cl, o a quelli delle unità di misura come m, bar, eV, Hz, ecc.). La notazione delle correzioni di bozze tipografiche, ad es., comprende molte abbreviazioni convenzionali (➔ correzione di bozze). Anche dizionari ed enciclopedie sono miniere di abbreviazioni. È sufficiente sfogliare un vocabolario italiano per imbattersi nelle abbreviazioni indicanti categorie grammaticali (s. f., v. tr., pron. pers. m.) e in altre come, per es., le marche d’uso e di registro (region., ant., pop., ecc.). A proposito delle abbreviazioni che indicano le categorie grammaticali, come agg. per aggettivo e avv. per avverbio, è possibile ipotizzare che la lettera doppia, non richiesta da alcuna norma, sia introdotta per analogia coi titoli professionali e onorifici (dott., avv., comm.) e coi plurali del tipo pagg., segg.
Oggi sempre più abbreviazioni affollano sms, chat, blog e social network di Internet, in risposta a esigenze simili a quelle dell’antichità: tachigrafia e migliore sfruttamento dello spazio (➔ posta elettronica, lingua della; ➔ Internet, lingua di). È proprio di queste abbreviazioni un certo livello di codificazione dato dall’uso, che le rende comprensibili ai soggetti coinvolti nella comunicazione. Tvb (quasi sempre senza punto) per ti voglio bene e cmq per comunque sono, ormai, diffuse e riconosciute non solo tra i giovani. A differenza delle sigle, le abbreviazioni vengono quasi sempre lette per esteso (avv. si legge avvocato, non avv, ed N.B. nota bene, non enne bi), anche se, recentemente, la tachilogia (il parlar veloce) giovanile e l’alto uso hanno stimolato la risalita di alcune abbreviazioni nel parlato: prof, info, demo, ma anche doma per domani e stase per stasera, stanno conquistando lo statuto di parole a tutti gli effetti. Nel caso di prof., l’incertezza di genere che consegue al troncamento sta portando alla stabilizzazione di un nuovo termine di genere comune (si ha il prof., ma anche la prof.). È tipico delle scritture veloci sopra citate anche il fenomeno di abbreviazione per omissione vocalica: qnd per quando, qlcs per qualcosa e il già citato cmq rivelano la tendenza alla creazione di forme brachigrafiche in cui il lettore deve riconoscere le vocali mancanti. Il francese, da parte sua, aveva già aperto questa strada diversi decenni fa, introducendo nell’uso comune una varietà di abbreviazioni per troncamento: philo per philosophie, sciences po per sciences politiques, apéro per apéritif, resto per restaurant, manif per manifestation, ecc. La stessa tendenza è oggi seguita dallo spagnolo parlato: peli per película, porfa per por favor, profe per profesor, ecc.
Al confine del territorio delle abbreviazioni si collocano, infine, gli emoticons, le ‘faccine’, come :-) (contentezza), :-( (tristezza), :’-( (pianto), :-O (stupore), simboli grafico-espressivi riassuntivi di uno stato d’animo o di un’intenzione comunicativa, il cui uso si è imposto con la posta elettronica ed è oggi frequente per indicare il tono emotivo dei messaggi che si inviano per computer o telefono cellulare.
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Al pari delle ➔ sigle, le ➔ abbreviazioni, consentendo di risparmiare caratteri, hanno lo scopo di alleggerire un testo quando un termine vi ricorra ripetutamente; diversamente dalle sigle però, che possono avere veste e funzione di parole ‘piene’, le abbreviazioni non si ‘leggono’ (se non eccezionalmente o per scherzo): il loro ambito d’uso è, pertanto, confinato allo scritto.
Le abbreviazioni nelle quali è più facile imbattersi sono quelle di:
(a) titoli onorifici, professionali, gradi (spesso con l’iniziale maiuscola): Sig. per Signore, Sig.na per Signorina, Avv. per Avvocato, Cav. per Cavaliere, Rev. per Reverendo, Gen. per Generale, ecc.;
(b) indicazioni topografiche: V. per Via, P.zza per Piazza, L.go per Largo, ecc.;
(c) unità di misura: cm per centimetro, mq per metro quadro, kg per chilogrammo, ecc. (ma qui siamo al confine con le sigle, come dimostra la frequente assenza del punto alla fine);
(d) altri casi, propri di ➔ linguaggi settoriali, come, nelle citazioni bibliografiche p. e pp. o anche pag. e pagg. (per pagina e pagine), s. e ss. o sg. e sgg. (per seguente e seguenti), a. C. e d. C. per avanti Cristo e dopo Cristo nei testi di storia, ecc. o etc. per eccetera o etcetera, ecc.
Da questa lista emergono elementi degni di nota.
Innanzi tutto sono poco frequenti le abbreviazioni ‘assolute’, costituite cioè da una lettera che stia per una intera parola su modello di a. a. per anno accademico, q. b. per quanto basta, c.v.d. per come volevasi dimostrare; l’impressione è che questa tipologia si trovi (con qualche eccezione come S. o s. per San /Santo /Santa; Ss. o ss. al plurale) nel caso di usi settoriali (negli esempi citati, del linguaggio proprio dell’università o di alcune scienze) e prova ne è il loro scarso grado di trasparenza fuori degli ambiti d’adozione.
Piuttosto evidente è l’impiego del punto a chiudere l’abbreviazione, benché tale consuetudine sia fortemente intaccata da usi angloamericani: oltre alle unità di misura, in cui l’eliminazione è sistematica (kg, km), e le abbreviazioni che dagli sms si trasferiscono alle scritture più informali (tvb per ti voglio bene, cmq per comunque, ecc.), con sempre maggior frequenza si usa, specie in ambito accademico, premettere al nome e cognome il titolo dr per Dottore senza punto (anche per il femminile); fra gli altri casi si può ricordare quello di curriculum vitae, oramai scritto (e anche pronunciato) sempre CV.
Nell’utilizzo di abbreviazioni è però sempre conseguito l’obiettivo del risparmio di caratteri: in Cav., per Cavaliere, se ne eliminano sei, ma in V., per Via, soltanto due; e lo stesso accade in P.zza per Piazza. Si può credere allora che in alcune circostanze sull’esigenza di risparmiare caratteri possa prevalere piuttosto l’abitudine: l’uso di abbreviazioni è infatti tipico del linguaggio burocratico (➔ burocratese).
È invece in regresso l’abitudine di rendere un’abbreviazione riferita a uno o più plurali attraverso la doppia consonante finale del termine, come in Proff. per Professori. Anche altre strategie di abbreviazione di plurali paiono abbandonate o soppiantate da altre diciture: è il caso di FF.AA. per Forze Armate, cui ora si preferisce la dicitura estesa, o di Ferrovie dello Stato, abbreviate in FF.SS. dopo essere passate per una fase di sigla (quasi, addirittura, un logo) FS.
Può non essere facile stabilire un confine netto tra abbreviazioni e sigle: ci possono essere realizzazioni ‘ibride’ come nel caso, ancora d’ambito militare, di STen per Sottotenente. Possono aversi anche sovrapposizioni disambiguate graficamente, per non dare margine di dubbio o adito a confusione: cap o CAP suggeriscono subito, pur nella polivalenza delle possibili rese grafiche (lettere puntate o meno), che si tratti del Codice di Avviamento Postale, mentre Cap. è senza incertezze Capitano.
Alcune abbreviazioni paiono destinate all’opacità, e conseguente reinterpretazione popolare. È il caso di SS che, a prescindere dalla grafia (mutevole anche nell’epigrafia ‘ufficiale’, per quanto la corretta sia SS.), è sempre sciolta dai meno colti in Santissimi e non Santi (mentre semmai vale Santissimo). La stessa scrittura, anche con le consonanti puntate (pronunciata però [ˈɛsːe ˈɛsːe]), indica invece le squadre naziste denominate Schutz Staffeln («reparti di difesa»).
In italiano si registra oggi una tendenza, ancora limitata a pochi casi ma, forse, sul punto di espandersi, almeno negli usi giovanili, come già è accaduto in altri ambiti (il francese, lo spagnolo e altre lingue): quella di promuovere alcune abbreviazioni a parole a pieno titolo (➔ lessicalizzazione). Oltre al già citato CV, oramai integrato allo standard, nella scuola è oggi costume degli studenti, tollerato dai più, che ci si rivolga al proprio docente non con il titolo esteso ma con la sua abbreviazione (Prof). Che l’abbreviazione sia ormai percepita come una parola piena lo dimostra l’annullamento della distinzione di genere a cui alcuni ricorrono attraverso l’impiego dell’ancor più censurabile e colloquiale Proffa.
Ancora, è marca diffusa di informalità del linguaggio giovanile, che va diffondendosi nel rapporto medico-paziente, rivolgersi al proprio medico chiamandolo Doc: Sono a posto le analisi, Doc? Alla stessa maniera, le borse post-dottorali sono spesso chiamate post-doc. Del resto, la sigla DOC (denominazione d’origine controllata), anch’essa oramai parola piena, si trova anche in locuzioni non vinicole, a intendere «di pregevole fattura» o «di ottima qualità».
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