Abhinavagupta
Filosofo e teorico indiano dell’estetica, vissuto fra il sec. 10° e l’ 11°. Di famiglia brahmana del Kashmir, fu il sistematore e uno dei più alti rappresentanti della scuola scivaita della Pratyabhijñā («riconoscimento») – il cui caposcuola è comunemente riconosciuto in Somānanda (9°-10° sec.) – per la quale Dio (Śiva) è identico all’io o coscienza e il molteplice non è altro che un suo dispiegamento; la liberazione consiste appunto nel «riconoscimento» di tale inscindibile unità del molteplice con l’io e perciò con Śiva, e nel riconoscimento dell’assoluta libertà e autonomia (svātantrya) con cui Śiva si obiettiva nel mondo. Il mondo fenomenico, dunque, condivide in realtà la stessa natura di soggetto agente di Śiva e non è materia inerte. Ciò è provato dal processo conoscitivo, descritto come un’illuminazione da parte del soggetto conoscente nei confronti dell’oggetto conosciuto. Tale illuminazione non sarebbe possibile se anche l’oggetto non condividesse la natura intrinsecamente luminosa che caratterizza il soggetto e che è l’essenza stessa di Śiva (questo argomento deriva dalla scuola buddista Yogācāra). Fra le opere filosofiche di A. vanno ricordati soprattutto i commenti all’opera principale di Utpaladeva, le Īśvarapratyabhijñākārikā («Stanze sul riconoscimento del Signore»), e il Tantrāloka (trad. it. Luce dei Tantra), uno dei più importanti trattati dedicati all’esegesi e sistematizzazione dei testi sacri scivaiti (tantra). A. si occupò anche di estetica, rielaborando la teoria dello dhvani («risonanza», intesa come essenza della poesia rispetto al discorso ordinario) alla luce della teoria del rasa («esperienza estetica») concepita in ambito teatrale. Per A. l’esperienza estetica è affine a quella religiosa e mistica, in quanto anch’essa, benché solo temporaneamente, proietta il soggetto conoscente al di là delle limitazioni spazio-temporali dell’esperienza ordinaria, costituendo un’anticipazione dell’esperienza della soggettività assoluta di Śiva.