ABIGEATO (fr. abigéat; sp. hurto de ganado; ted. Tierdiebstahl; ingl. cattle-lifting)
Sin da tempi antichissimi si è sentito il bisogno di punire con speciale rigore il furto di bestiame; e i Romani, per indicarlo e distinguerlo dalle altre specie di furti, crearono il nome particolare di abigeato (da abigere, ab agere: "mandare innanzi, spingere via"). Questa speciale protezione venne determinata dall'importanza straordinaria, quasi sacra, attribuita al bestiame come fattore di produzione e come strumento di lavoro, per il suo valore e per la necessità di doverlo spesso abbandonare alla pubblica fede. Ciò che caratterizza però il diritto antico, a differenza di quello moderno, è che anticamente si tendeva a tutelare e proteggere la cosa in sé per la sua qualità, attività e destinazione; nel diritto moderno, invece, ad eccezione di alcune legislazioni, come quella germanica e spagnola, che non contengono disposizioni particolari facendo rientrare tale ipotesi delittuosa nel furto semplice, si tende a colpire prevalentemente la violazione della fede pubblica circa il luogo (codice sardo, italiano, francese, danese, norvegese, messicano), o la qualità della cosa (codice finlandese, svedese, e leggi inglesi), o entrambe tali condizioni (codice austriaco), o altre ancora in cui il bestiame, per ragioni di necessità, viene a trovarsi. Si è modificata così e ristretta la originaria nozione del titolo di abigeato, in guisa che la qualità degli animali e la loro utilità sono considerate come causa accessoria e annessa. Il codice italiano vigente, modificando notevolmente la nozione che di questo reato davano il codice sardo, il codice toscano e i progetti di riforma antecedenti a quello del 1887, e le legislazioni straniere che prescindono dalle speciali condizioni di luogo, riportò ai furti qualificati l'antico abigeato, configurando così la qualifica di cui al n. 12 dell'art. 404, riguardante il furto "su bestiame in gregge o su bestiame grosso, ancorché non raccolto in gregge, al pascolo o nell'aperta campagna, ovvero nelle stalle o in recinti che non costituiscano immediate appartenenze di casa abitata". Vennero in considerazione pertanto, da una parte, le ragioni di produzione, di lavoro e d'industria del bestiame, e dall'altra quelle di gravità speciale del danno economico, della vigilanza e della necessità della pastorizia, la quale consiglia che gli animali vengano lasciati in uno stato di relativa libertà, che impedisce l'assidua vigilanza.
Quando, per mancanza di una delle condizioni predette, la qualifica non sia applicabile, può verificarsi invece l'aggravante dell'art. 403, n. 6 cod. pen., se sussistono tutti i requisiti richiesti (e cioè che si tratti di altri animali nei luoghi di allevamento), e, diversamente, il furto semplice (art. 402).
Per ciò che riguarda la pena, in genere l'abigeato fu sempre punito con grande severità, specialmente nei tempi antichi, in cui la pena ordinariamente era ai lavori forzati a vita e qualche volta a tempo; e, se commesso con le armi, con la pena di morte diversamente eseguita (ad bestias, ad gladium, ecc.). Nella legislazione medievale il rigore non venne attenuato; e nelle legislazioni moderne la severità della pena non è uguale per tutti i luoghi, ma è maggiore in quelli dove questo reato è più frequente: Il nostro codice, elevando a qualifica il furto del bestiame nelle circostanze suindicate, seguì la tradizione di severità, comminando, come per le altre qualifiche del furto, la pena della reclusione da uno a sei anni. Sennonché l'incremento assunto dall'abigeato in alcune nostre regioni per condizioni orografiche, per scarsezza di popolazione, per larga distesa di territorio incolto dove erra quasi abbandonato il bestiame, per l'industria redditizia del cuoiame, per rappresaglie e vendette, ecc., richiese speciali e più rigorose disposizioni di legge. E così vennero emanati anzitutto il regolamento 14 luglio 1898, n. 404, e la legge 10 novembre 1907, n. 844, per la repressione dell'abigeato e del pascolo abusivo in Sardegna. Successivamente le condizioni speciali di guerra e del dopo-guerra imposero una maggiore tutela contro l'abigeato anche in altre regioni d'Italia, e a ciò si provvide coi decreti luogotenenziali 18 gennaio 1917, n. 148; 11 febbraio 1917, n. 372, e 16 febbraio 1919, n. 401, per la Sicilia; e col decreto luogotenenziale 11 febbraio 1917, n. 249, che estese alla Sicilia e all'Italia meridionale varie disposizioni del regolamento del 1898 per la Sardegna. Trattasi in genere, però, di disposizioni di carattere preventivo più che repressivo. Carattere più repressivo invece aveva il regio decreto-legge del 1924, n. 1360, applicabile a tutto il regno e che ha cessato di aver vigore non essendo stato convertito in legge. Esso comprendeva due ordini di provvidenze: preventive e repressive.
Le prime s'imperniavano e si sostanziavano nell'assicurazione obbligatoria del bestiame agricolo contro i danni dipendenti da fatti delittuosi; le seconde si concretavano in un adeguato inasprimento delle sanzioni stabilite dal codice penale per l'abigeato e per le altre figure e forme di delinquenza ad esso comuni: rapina, estorsione, danneggiamento, pascolo abusivo, favoreggiamento e ricettazione. È da rilevarsi però che, con tale decreto, l'abigeato acquistò una nozione più unitaria e semplice, diversa da quella configurata dal nostro codice. E cioè esso divenne semplicemente "il furto commesso su bestiame in gregge e su animali bovini ed equini, ancorché non raccolti in gregge", senza altra specificazione e limitazione, qualunque sia il luogo ove il fatto venga commesso.
A questa nozione semplice si è ispirato il progetto Rocco di codice penale, che ha considerato l'abigeato come un'aggravante del furto, elevando le pene con grandissima severità.
La tendenza generale adunque della legislazione vigente è di combattere l'abigeato, specialmente là dove esso infierisce, con larghi ed efficaci mezzi di prevenzione, oltre che con pene gravi e severe. Ma alla prevenzione soprattutto, come ottimo mezzo di profilassi sociale, spetterà il compito di estirpare definitivamente questo triste fenomeno.
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