Abilità
Nell'accezione comune, per abilità si intende la capacità acquisita da un individuo di svolgere una particolare forma di attività, di tipo sia intellettuale, sia pratico, sia sensomotorio. In senso psicologico, il termine abilità è impiegato per indicare costrutti mentali ipotetici che si ritiene siano alla base della capacità dell'uomo di adattarsi con flessibilità ed efficacia all'ambiente. In tal senso il concetto confluisce in quello più ampio di 'intelligenza', vista appunto come la risultante di un certo numero di abilità specifiche (per es., linguistiche, logico-matematiche ecc.). Le diverse abilità sono in certa misura indipendenti l'una dall'altra, come è ben esemplificato da quei casi di persone dotate di capacità prodigiose in uno specifico ambito (per es. il calcolo), pur essendo per altri versi di intelligenza media o addirittura subnormale (idiots savants), o viceversa prive di abilità comuni, come nel caso di persone affette da acalculia.
Una delle prime teorie delle abilità, che risale all'inizio di questo secolo, suggerisce che esse possano essere comprese in termini di entità mentali ipotetiche, chiamate 'fattori'. Si ritiene che i fattori siano la sorgente delle differenze individuali, osservabili, per es., nel rendimento scolastico, nel lavoro e nelle relazioni sociali. Per identificare i costrutti ipotetici, o fattori, alla base del funzionamento della mente, differenti soggetti sono sottoposti a una serie di prove, ai cui risultati è applicata una tecnica statistica, l''analisi fattoriale'. Le varie teorie delle abilità presentano notevoli differenze relativamente al numero e alla natura dei fattori.
a) Teoria dell'abilità generale. C. Spearman (1923) propose l'esistenza di un singolo fattore, intelligenza o abilità generale, talora indicato semplicemente come 'g', che sarebbe alla base del rendimento in tutte le attività intellettuali. Spearman riconosceva l'esistenza di fattori specifici che hanno rilievo nei compiti individuali, ma essi non occupavano una posizione importante nell'ambito della sua teoria. Non avendo certezze circa l'esatta natura del fattore 'g', Spearman suggerì che lo si definisse come 'energia mentale'.
b) Teoria delle abilità mentali primarie. L.L. Thurstone (1938) suggerì che i fattori importanti, abilità mentali primarie, siano sette e non uno soltanto. Identificò così i sette fattori: (1) comprensione verbale, misurata tramite la capacità di capire il significato di singoli vocaboli o di un testo scritto: per es. "qual è il significato della parola 'avido'?"; (2) abilità numerica, misurata tramite la soluzione di problemi aritmetici: per es. "se tre biglietti per una partita di pallacanestro costano una certa somma, quanto costerebbero otto biglietti?"; (3) abilità spaziale, misurata attraverso la visualizzazione delle relazioni spaziali esistenti tra diversi oggetti (per es. simulazione della rotazione di un oggetto, come in fig. 1); (4) scioltezza del linguaggio, misurata mediante esercizi di produzione di vocaboli: per es. "scrivere il maggior numero possibile di parole che iniziano con la lettera 'c' nei cinque minuti a disposizione per l'esercizio"; (5) rapidità della percezione, misurata come il tempo impiegato per riconoscere lettere o simboli (per es. individuare un disegno differente rispetto ad altri, come in fig. 2); (6) capacità di memorizzazione, misurata mediante esercizi di ripetizione di parole: per es. "ascoltare il seguente elenco di parole e ripeterle nello stesso ordine: tavola, strada, ala, scimmia, libro, seme, maglietta, lettera, ascensore, cactus"; (7) ragionamento induttivo, misurato tramite la comprensione di sequenze: per es. "indicare il numero successivo nella seguente serie: 4, 6, 9, 13, 18 ...".
c) Teoria della struttura dell'intelletto. Come se sette fattori non bastassero, J.P. Guilford (1967) ne propose centoventi, che successivamente (1971) portò a centocinquanta, ottenendoli dall'incrocio di differenti 'processi', 'contenuti' e 'prodotti' della mente. Il problema di questa teoria è che la presenza di un numero così elevato di fattori rende difficile misurarli separatamente e ancora di più ricordarseli tutti. Un cubo che rappresenta il modello della struttura dell'intelletto è mostrato nella fig. 3.
d) Modelli gerarchici delle abilità. Nei diversi modelli gerarchici delle abilità che sono stati proposti, l'idea fondamentale è che le abilità siano strutturate in livelli di generalità e, quindi, di importanza e che quelle più importanti occupino una posizione più elevata nella gerarchia. R.B. Cattell (1971) ha suggerito un modello gerarchico delle abilità con 'g', o abilità generale, all'apice della gerarchia, e altre due abilità, l'abilità 'cristallizzata' e l'abilità 'fluida', al livello successivo. L'abilità cristallizzata indica genericamente la totalità delle conoscenze che l'uomo utilizza per adattarsi al mondo che lo circonda, mentre l'abilità fluida designa i processi applicati alle conoscenze e al loro uso. J.E. Gustafsson (1984) ha proposto una versione modificata della teoria di Cattell, sostenendo che non è possibile distinguere tra abilità generale e abilità fluida. P.E. Vernon (1950) ha elaborato un modello gerarchico in cui il fattore 'g' occupa la posizione più elevata della gerarchia e l'abilità verbale-culturale e quella meccanico-pratica sono poste subito al di sotto. Il primo tipo di abilità sarebbe più rilevante nella maggior parte delle attività intellettuali, mentre il secondo tipo interverrebbe principalmente nell'utilizzazione di strumenti e di macchine. Un modello gerarchico più recente è quello di J.B. Carroll (1993), per il quale i livelli importanti di abilità sono tre. L'abilità generale occupa il livello, o 'strato', più alto. Al livello successivo vi sono le abilità 'estese', quali apprendimento e memoria, percezione visiva, percezione uditiva, produzione di idee, abilità fluida e abilità cristallizzata, e al livello più basso vi sono le abilità 'ristrette'.In conclusione, è difficile distinguere empiricamente tra i diversi modelli fattoriali delle abilità proposti, in quanto i risultati delle analisi statistiche usate a sostegno dei modelli stessi sono influenzati da molti elementi. Alcuni studiosi (vedi per es. Sternberg 1990) hanno osservato che i vari modelli non presentano differenze fondamentali l'uno dall'altro, sebbene ci siano delle variazioni sulle particolari abilità che ciascuna teoria propone. Tutte le teorie sono, comunque, concordi nell'affermare che i fattori sono le unità fondamentali delle abilità umane.
Una visione alternativa concepisce le abilità come processi mentali. Da questo punto di vista, quando una persona pensa non fa altro che eseguire un insieme di operazioni mentali che, unite al sistema che le genera, costituiscono le basi delle abilità. Molti dei sostenitori di queste teorie paragonano il cervello a un computer. Gli studiosi dei processi mentali si differenziano in relazione al grado di complessità che attribuiscono ai processi stessi, ma tutti sottolineano l'importanza della velocità dell'elaborazione dell'informazione. Alcuni studiosi, tra i quali A.R. Jensen (1982), hanno asserito che alla base delle abilità ci sono processi molto semplici. Un suo esperimento tipico consiste nel presentare a un soggetto un certo numero di lampadine, a ciascuna delle quali corrisponde un bottone. Il tempo che il soggetto impiega a premere il bottone corrispondente alla lampadina che si è accesa è usato come misura della velocità dei processi sottostanti alla soluzione del problema. E.B. Hunt (1978) ha dedicato la sua attenzione a processi di maggiore complessità, come quelli impliciti nel riconoscere che 'A' e 'a' rappresentano la medesima lettera, nonostante la loro rappresentazione fisica sia diversa. R.J. Sternberg (1977) ha preso in considerazione processi ancora più complessi, come quelli coinvolti nella soluzione di un'analogia del tipo A:B=C:D (per es. 'avvocato' sta a 'cliente' come 'medico' sta a 'paziente'). A. Newell e H. Simon (1972) hanno considerato processi ancora più complessi, come quelli che intervengono nel gioco degli scacchi o nella soluzione di problemi logici complessi.Sebbene questi studiosi abbiano affrontato processi di differente complessità, tutti sono concordi nell'affermare che per comprendere la natura delle abilità umane è necessario capire i processi mentali che ne sono alla base.
Alcuni psicologi, nel tentativo di comprendere le abilità in termini di funzionamento del cervello, hanno affermato che sia le teorie fattoriali sia quelle basate sull'elaborazione delle informazioni non riescono a cogliere l'essenza biologica delle abilità. Questo tipo di approccio ha prodotto interessanti intuizioni sulle relazioni tra abilità e cervello. A.R. Jensen (1982) ha raccolto alcuni dati che mettono in correlazione le abilità e la velocità di conduzione degli impulsi nervosi. H.J. Eysenck (A model for intelligence, 1982) ha proposto un'ipotesi alternativa, cioè che le abilità siano in correlazione con la precisione della conduzione degli impulsi nervosi. R.J. Haier e i suoi collaboratori (1992) hanno effettuato, tramite PET (Positron emission tomography, "Tomografia a emissione di positroni"), alcune osservazioni sul cervello di individui impegnati nella soluzione di un problema, rilevando uno sforzo minore nei più abili rispetto ai meno abili. Sembra, inoltre, che ci sia una relazione tra le abilità misurate e i tracciati dei potenziali evocati durante l'esercizio (Schafer 1982).Altri scienziati hanno dedicato maggiore attenzione agli aspetti qualitativi rispetto a quelli quantitativi. J. Levy (1974), per es., ha osservato che l'emisfero cerebrale sinistro elabora le informazioni in maniera più analitica, mentre l'emisfero destro tende a essere più olistico. Inoltre, è noto che, nella maggior parte degli individui, l'elaborazione del linguaggio ha luogo nell'emisfero cerebrale sinistro.Alcuni psicologi, che hanno privilegiato l'approccio biologico per comprendere la natura delle abilità, non hanno, però, studiato direttamente il cervello. Uno di questi è J. Piaget (1947), che ha proposto una teoria basata sui differenti stadi mentali attraverso i quali si realizza lo sviluppo cognitivo del bambino; ciascuno di essi si fonda sugli stadi precedenti. Non tutti gli psicologi propensi a un approccio di tipo biologico sono riduzionisti. Per alcuni, la misurazione delle variabili biologiche è solo un elemento che contribuisce, insieme ad altri, alla comprensione del fenomeno delle abilità umane. Da questo punto di vista, le misurazioni biologiche possono chiarire il processo cognitivo, come il processo cognitivo può aiutare a spiegare il funzionamento biologico.
Un ulteriore approccio definisce le abilità come frutto di un processo culturale. Per alcuni psicologi, le diverse culture producono concetti propri su ciò che costituisce l'abilità umana (Laboratory of comparative human cognition 1982). Sulla base di quest'affermazione, la natura delle abilità umane può differire da una cultura all'altra. Ciò che una cultura considera abilità essenziale, per es. la rapidità nell'adempiere a un compito, potrebbe essere considerato secondario o addirittura irrilevante da altre. Da ricerche comparate, sappiamo che società diverse hanno differenti concezioni delle abilità (Berry 1984) e che il rendimento durante le prove di misurazione di un'abilità è influenzato dalla concezione della medesima abilità. I membri di una società che non attribuisce particolare rilievo alla rapidità dell'elaborazione mentale avranno, per es., dei problemi a capire perché dovrebbero pensare il più rapidamente possibile durante un test di intelligenza. Per questo motivo, qualsiasi tentativo di spiegare la natura delle abilità mentali, considerando unicamente gli aspetti mentali, non riuscirà a cogliere le differenze culturali.
Per alcune recenti teorie, le abilità costituiscono un sistema complesso. H. Gardner (1983), in particolare, ha suggerito che l'intelligenza non sia considerata un'entità singola, ma che si ammetta l'esistenza di intelligenze molteplici: linguistica, logico-matematica, spaziale, musicale, corporeo-cinestetica, intra- e interpersonale. Tali entità non sono soltanto mere abilità facenti parte di un'intelligenza singola, ma vere e proprie intelligenze distinte. Sternberg (1985) ha, invece, individuato tre differenti aspetti dell'intelligenza, vale a dire un'abilità analitica, una sintetico-creativa e una pratica. Una persona può ottenere buoni risultati in attività che richiedono abilità analitica, per es. le attività scolastiche, e ottenere, invece, risultati mediocri in attività prevalentemente pratiche, come quelle richieste nella vita quotidiana, e viceversa. Analogamente, un individuo può essere brillante nelle attività creative, ma essere meno portato in quelle analitiche. Per i sostenitori di queste teorie, le concezioni convenzionali delle abilità sono troppo riduttive, in quanto considerano solo una piccola parte dello spettro delle abilità preso come un tutt'uno: in particolare, i metodi convenzionali di misurazione delle abilità non riuscirebbero a quantificare l'intero spettro.
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