ABITAZIONE (dal lat. habitatio; fr. habitation; sp. habitación; ted. Wohnung; ingl. house)
È, nel suo significato tipico, il risultato dei lavori coi quali l'uomo modifica una determinata parte dell'ambiente naturale per renderla atta a offrire ricovero a sé e ai suoi: ed assume quindi forme diversissime, a seconda del grado di civiltà dell'epoca e del popolo in cui si manifesta.
Le abitazioni dei primitivi.
Nessuna, tra le popolazioni attualmente viventi sulla terra, ignora l'arte di costruirsi un riparo dalle intemperie, e, a differenza di quanto ci fa supporre per il passato la preistoria di talune regioni, è assai raro anche l'uso permanente dei rifugi naturali quali le grotte o i ripari sotto roccia. Né questo uso, comunque, si mostra specialmente legato alle condizioni più basse di civiltà, ma, in circostanze adatte di clima e di suolo e completato da sistemi costruttivi varî, è piuttosto un portato di tempi assai progrediti: onde tale forma di trogloditismo (v.) è da porsi in relazione con le grotte artificiali e con le abitazioni più o meno affondate nel suolo, che rispondono a speciali bisogni. Sono pure da escludersi dalle forme primitive le abitazioni sugli alberi, osservate qua e là in un'area che va dall'India alla Melanesia, le quali non costituiscono mai interi villaggi e si accompagnano ad un tipo di costruzione assai complesso. La cura, del resto, con la quale può essere costruita l'abitazione, la sua ampiezza o resistenza, non sono sempre in stretta relazione con il grado di cultura dei suoi abitanti: altre esigenze, quale la necessità di una vita nomade, possono prendere il sopravvento e mostrarci, pur sotto cieli inclementi e presso popolazioni non assolutamente primitive, forme embrionali e sommarie di abitazione. Come per le vesti, lo speciale adattamento fisiologico fa da compensatore.
Le più semplici forme di protezione sono ancora adottate dagl'indigeni dell'Australia centrale e dai Boscimani dell'Africa australe: alcuni ampî pezzi di scorza d'albero o un rozzo intreccio di rami e frasche posati o piantati a semicerchio nel suolo (figg. 1-2). Sono ripari temporanei che nell'ambiente steppico e aperto hanno ufficio di paravento, e non escludono la presenza dell'abitazione chiusa. Nella zona calda e umida dei tropici, invece, il rifugio costituito da un'unica parete mantenuta da due puntelli in una data inclinazione, è, più frequentemente, l'unica forma di abitazione (fig. 3). Queste tettoie tropicali sono caratteristiche dei Vedda di Ceylon, degli Andamanesi, dei primitivi della penisola di Malacca, dei Negritos delle Filippine, nonché di varie popolazioni nomadi dell'America (Coroado, Shoshoni), non è affatto impossibile che rappresentino veramente una forma primordiale di costruzione, conservata fino ad oggi da talune società primitive in condizioni favorevoli di ambiente.
La capanna a forma di alveare. - Perché sia realizzata la capanna occorre che la costruzione riesca a creare uno spazio chiuso. Anche presentemente ne esiste una forma particolare che per la semplicità della struttura, la vastità della diffusione e il suo associarsi a forme basse o ridotte di cultura, appare la capanna primitiva dell'umanità. Essa è formata da un certo numero di rami piantati in cerchio nel terreno e riuniti con le estremità libere nel centro (figg. 4-5). I Semàng ed i Senòi di Malacca, che si costruiscono per riparo temporaneo la tettoia inclinata con tre foglie di palma, ottengono la capanna con un maggior numero di foglie disposte nel modo descritto e senz'altra copertura. Accanto a questo modo di costruzione, che possiam dire ad archi meridiani, è molto diffuso (già, p. es., fra gli Australiani: fig. 6) quello ad archi paralleli: e in questo caso i rami, di diverse lunghezze, sono infissi nel suolo con ambe le estremità. Inoltre, con l'uno o con l'altro sistema, gli interstizî fra ramo e ramo vengono chiusi con altri rami, o coperti con un mantello di erbe o di altro materiale. La forma che ne risulta dipende dal grado di curvatura consentito dal primo materiale utilizzato: se i rami sono molto pieghevoli ne viene alla costruzione una forma emisferica, a cupola; se non lo sono affatto, ne risulta una forma conica. Nei casi intermedî, poi, la struttura assume quell'aspetto ovoidale di un alveare che ha conferito anche il nome più usato a tale tipo di capanna.
Le forme coniche sono piuttosto rare (Fuegini, Navaio). È evidente che, costruita con mezzi primitivi, la forma conica dà uno spazio molto ristretto: perciò essa è stata adottata largamente soltanto da popolazioni più civili, ma conducenti esistenza nomade, ed è stata adottata nella specie di tenda, con materiale, cioè, almeno in parte trasportabile, e in generale di notevoli dimensioni. Tale è il cium dei Siberiani (fig. 7), formato da forti stanghe e ricoperto di pelli o di corteccia d'albero, tale la tenda estiva degli Eschimesi occidentali, chiusa da pelli di renna cucite insieme, quella dei Salish dell'interno, e infine il tipi, la tenda di pelli - talora coperta invece con scorza d'albero - degli Indiani delle praterie nord-americane, resa popolare dalle relazioni e dai romanzi di viaggio. La distribuzione della tenda conica presenta, dalla Lapponia al basso Mississippi, varie interruzioni, ma è da ritenere che il centro di origine e di diffusione sia stato uno solo.
Le forme a cupola e ad alveare sono, per contro, caratteristiche dei primitivi. Costituiscono l'abitazione normale delle tribù della Terra del Fuoco (Fuegini, Ona), del Chaco (Tapietè, Ciorotì, Toba, Ciamacoco) e del Brasile orientale (Botocudo, Coroado e genti affini); era comune, inoltre, tra le genti a cultura assai elementare della California meridionale e delle regioni vicine del Messico (Yuma, Pima, Papago) e tra i Caddo e Wichita del Texas e i loro parenti del Missouri (Pawnee). Come la forma conica, così la capanna a cupola ha dato origine ad una struttura semitrasportabile: il wigwam o tenda cupoloide degli Indiani del Canadà e della Nuova Inghilterra (Atabaski, Algonchini del nord), coperta di pelli o di stuoie o di scorza d'albero (fig. 8). Nell'area oceanica, la capanna ad alveare è od era diffusa in tutto il continente australiano e nella Tasmania. Persistenze sporadiche si osservano in qualche distretto della Nuova Guinea, presso una delle tribù di Andamanesi (ma con forma assai evoluta) e nella penisola di Malacca. Larghissima la sua diffusione nell'Africa: i Boscimani, gli Ottentotti ed i Negrilli delle foreste equatoriali non conoscono altra forma di abitazione; molte tribù Bantu meridionali l'hanno pure adottata, nonché i Bantu della zona compresa fra i grandi laghi equatoriali (Baganda, Banyoro, Bahima) e varî gruppi sudanesi della zona di transizione fra la savana e la foresta (Lendu, Alur, Kregi, Mangia). Finalmente essa, nella forma cupoloide, è divenuta l'abitazione tipica delle genti pastorali dell'Africa orientale: dai Masai ai Galla meridionali ed ai Somali, per i Dancali e gli Assaortini essa ci porta fino ai Bega del medio Egitto, e giunge, con l'impiego occasionale che ne fanno tuttora Tibbu e Fulbè, al lago Ciad e al Niger. Le genti più mobili dell'Africa orientale ne hanno tratto, come gli indigeni dell'America del nord, una specie di tenda, costituita da costole di legno e da stuoie o pelli per copertura, che si presenta accanto alla forma fissata nel suolo o su una base di pietre e coperta di erbe. Anche la zona steppica dell'Asia centrale ha, del resto, una tenda, la jurta cilindrica con tetto a cupola, dei Mongoli e dei Turchi nomadi, che probabilmente ripete la sua origine da forme simili alle descritte, sebbene la struttura sia in tal caso progredita tant'oltre (v. tenda), da tendere poco evidente la derivazione.
Nelle capanne ad alveare si ha, dunque, una struttura arcaica, che conserva un unico principio fondamentale di costruzione, ma presenta una grande quantità di derivazioni e di tipi locali. Vi sono infatti diversità notevoli, dovute al particolare sistema di costruzione ed ai materiali adoperati. Un grande distacco intercede fra le capanne dei Negrilli (fig. 9), che a mala pena difendono dalla pioggia e non raggiungono due metri di diametro, e quelle, per esempio, dell'Uganda, costituite da un solido regolare telaio di rami e da una impenetrabile copertura di paglia, alte fino ad otto metri, larghe da dieci a dodici (fig. 10). Anche nella nostra Colonia eritrea le capanne dei Baria e dei Cunama, che possiam dire di tipo sudanese, si differenziano da quelle dell'Assaorta, che rientrano piuttosto tra le forme orientali e australi del continente. Ma lo studio particolare di questa tipologia, assai utile al riconoscimento dei contatti e delle provincie culturali, esula dal compito di questa trattazione generale. Le diversità dovute ai materiali adoperati riflettono, a loro volta, le condizioni dell'ambiente fisico e il genere di vita o il tipo di cultura dei costruttori. Ciò si rileva soprattutto dalla copertura: foglie di palma o di banano nelle terre umide tropicali, erba nelle savane e nelle steppe, corteccia d'albero nelle zone boschive temperate del nord o dell'estremo sud, paglia tra i coltivatori di cereali, stuoie o pelli fra i pastori africani o i cacciatori del Canadà. Gli indigeni dell'Australia e gli Ottentotti vanno ora sostituendo sacchi da imballaggio o vecchi cenci di Europei agli strati di frasche o foglie o scorze usati dai loro antenati. La copertura di terra, che compare presso popolazioni assai lontane le une dalle altre (Herero dell'Africa meridionale, Californiani, Navajo del Colorado), sembra essere un portato del clima povero di precipitazioni, giacché l'asciuttezza del clima è una condizione necessaria per la resistenza di questo genere di copertura, che difende ugualmente bene dal freddo e dal caldo, ma implica anche una relativa stabilità di sedi.
È molto probabile che la capanna cupoliforme coperta di terra abbia dato l'idea e la prima spinta alla costruzione di cupole con argilla o lastre di pietra, non poggianti su di uno scheletro di legno. Giacché, mentre è indubitabile l'origine mediterranea della cupola e della volta nell'architettura, ancora in un largo raggio intorno al Mediterraneo persistono le capanne-alveari di quei materiali. Tali sono, nelle loro forme più semplici, i trulli pugliesi ed i gubāb, capanne di sassi o di pani d'argilla dell'alta Siria e della Mesopotamia nord-occidentale, costruzioni accostate con ragione alle false vòlte dell'eneolitico mediterraneo. Forme non molto diverse sono state osservate nel Sahara e, in costruzioni ingegnose di tutta argilla, nel Sūdān centrale (Musgu). Fuori del mondo antico, ci si offre un altro esempio solo di un'applicazione architettonica analoga, ma con materiale ben diverso e di origine affatto locale, nell'iglu, la casa di neve degli Eschimesi (v.).
La capanna cilindrica a tetto conico. - Dalla capanna ad alveare è sorta una forma di costruzione, nella quale le pareti ed il tetto si presentano come due elementi separati: la capanna cilindrica a tetto conico. Le pareti, disposte su una pianta circolare, sono ancora, in principio, quelle della capanna cupoliforme ad archi meridiani, ma sono mantenute verticali e troncate a una determinata altezza: su questa struttura cilindrica è collocato il tetto conico, alle volte costruito interamente a parte prima di essere messo a posto. Il tipo non esce dalle regioni tropicali o subtropicali ed evita per lo più anche la zona delle foreste; ciò nonostante la sua diffusione è molto ampia. Nell'area oceanica lo si incontra sopra tutto allo stato residuale, fuori che nella Nuova Caledonia (fig. 11) e nelle vicine Isole della Lealtà, ove è ancora rimasto in pieno sviluppo. Si trovano pure residui, accanto a tipi diversi dominanti, in altre isole della Melanesia (S. Cruz, S. Cristoforo, Nuova Bretagna, Isole dell'Ammiragliato) e nella Malesia (Timor, Borneo occidentale, Nias, Engano, Nicobar), ove però la capanna, per contatto con le forme quadrangolari, è su pali, sollevata dal suolo.
L'area americana del tipo mostra uno stato migliore di conservazione, ma pure con segni evidenti di regresso, iniziato, secondo il Nordenskiöld, già al tempo della prima colonizzazione europea. Oggidì lo si trova soprattutto sugli altipiani della Guaiana, sin oltre l'Orinoco e il Rio delle Amazzoni (fig. 12), in alcune vallate andine dell'Ecuador e della Colombia e nella parte meridionale dell'America centrale, se nei palenque di tale ultima zona consideriamo soltanto il principio fondamentale di costruzione. Ma prima della soppressione o della trasformazione dei popoli indigeni, il tipo si estendeva sino all'Araucania, da un lato, e per le Antille (Haiti) e la Florida sino ai Choktaw, dall'altro. Lo usavano pure i Pomo della California.
Diverso è il quadro che ci presenta la distribuzione della forma nell'area africana: sebbene anche in questa le strutture quadrangolari stiano esercitando in molti distretti una concorrenza vittoriosa, la capanna cilindrica a tetto conico, detta dagli arabi toqul (tucul), conserva il predominio in tutto l'ampio territorio costituito dalle savane sudanesi e australi e dalla zona montuosa etiopica. Con la notevole diffusione si accompagnano una vivace varietà di forme, sviluppi locali in costruzioni ampie e solide, e applicazioni di materiali svariati. Taluni accorgimenti costruttivi appaiono però, qua e là, su tutta l'area africana: fra questi è il tetto assai sporgente sulla parete cilindrica e sorretto da una serie di pali, in modo da creare una tettoia circolare esterna (fig. 13). Non infrequente è pure la costruzione su palafitte che, nell'Africa, non mostra la preferenza per le forme quadrangolari caratteristiche delle altre aree tropicali. Nei materiali di costruzione si verifica l'introduzione di un nuovo mezzo, diretto a conferire maggiore solidità alle pareti che devono sopportare il peso del tetto, anche se esiste il palo centrale di sostegno per esso (Sūdān), e ad otturarne completamente gli interstizî: l'argilla. Dalla semplice spalmatura esterna, usata anche da alcune popolazioni americane, e dall'aggiunta di una spalmatura interna, si giunge all'uso dell'argilla compressa (pisé) fra due armature concentriche di legname, e, infine, a quello di un forte impasto di argilla e paglia, che riduce al minimo anche le necessità dell'armatura. Tra gli sviluppi più complessi sono da menzionare le costruzioni castelliformi dell'alto bacino del Volta (Gurunsi, Tamberna), alti edifici cilindrici d'argilla aggruppati e collegati da muri pure d'argilla (fig. 14). Altri segni di progresso, caratteristici dell'area africana, sono nella non rara spartizione dell'interno in ambienti separati, con pareti cilindriche di palizzata o d'argilla. Nel territorio etiopico la più perfetta espressione del tucul ha le pareti costruite in muratura. Soltanto il tetto, per effetto della localizzazione tropicale del tipo, conserva dovunque la copertura vegetale di foglie o erbe o paglia, e conserva pure la tendenza ad uno sviluppo nel senso verticale molto superiore a quello delle pareti: ma queste si alzano, e il tetto proporzionalmente si riduce, presso talune genti sudanesi che hanno acquistato una particolare abilità nella costruzione di forti pareti d'argilla. E in alcuni sporadici adattamenti della capanna cilindrica al clima desertico del Sahara e della Dancalia il tetto conico scompare, sostituito da una copertura piana di graticcio e terra.
Sviluppi delle tettoie tropicali. - Le tettoie tropicali, che abbiam veduto essere usate per lo più come ripari temporanei, introducono una classe di costruzioni caratteristica dei paesi caldi ed umidi e rimasta, con le forme elementari, esclusiva di essi. Due tettoie, per esempio, appoggiate l'una all'altra possono formare un tetto a due spioventi poggianti sul suolo, e cioè una specie di capanna, aperta da due lati, a pianta quadrangolare. Tali strutture sono tuttavia molto rare, forse perché il maggior riparo non compensa la ristrettezza dello spazio. Maggior fortuna ha avuto, quindi, una forma che si può considerare come un compromesso fra la doppia tettoia e la capanna cupoliforme: ottenuta cioè col fissare alcuni rami pieghevoli nel suolo su due linee parallele, anziché in cerchio, e col riunire in alto le estremità accoppiate di essi ad un'asta orizzontale. Ne risulta una costruzione a pianta quadrangolare ma a sezione biconvessa (Spitztonnenhütte di Oelmann). Questo è lo scheletro della capanna dei Carayá dell'America meridionale (fig 15), mentre fra i Cayapó loro vicini i rami piegati a semicerchio dànno alla struttura la forma a botte (Tonnenhütte di Oelmann), che costituisce la principale varietà del tipo (fig. 16). Da tali forme elementari, e non, come molti hanno detto, da contatti con la capanna quadrangolare a spioventi, è derivata la capanna ovale sudamericana, molto diffusa lungo gli affluenti di destra del Rio delle Amazzoni, alla quale la copertura di erbe e la chiusura dei due lati corti, spesso limitata alla stagione delle piogge, dànno all'incirca tale pianta (fig. 17). Origine uguale si deve attribuire alla capanna detta melanesiana, costituita anch'essa essenzialmente da due spioventi convessi poggianti sul suolo o su di una piattaforma sorretta da pali (fig. 18): forma dominante nel gruppo dell'Ammiragliato, nell'arcipelago di Bismarck, nelle isole Salomone e conservata pure in alcune plaghe della Nuova Guinea (Baie di Finsch e dell'Astrolabio). Ma verso oriente se ne trovano tracce sino alle Nicobar e nell'India, con le costruzioni dei Toda (Nilghiri) e con quelle che erano ancor visibili un secolo fa sulla costa orientale di Ceylon. E verso occidente, al tempo delle grandi navigazioni, ne sussistevano residui, specialmente rappresentati dalla varietà a botte, in tutta l'area oceanica: nella Micronesia, nelle isole Tonga, nella Nuova Zelanda e nella remota isola di Pasqua. Quivi anzi essa costituiva, con notevolissime dimensioni longitudinali, l'abitazione comune. In pochi luoghi è stata invece osservata la forma nell'Africa tropicale (Barotsè, Congo), e, poiché in questo continente mancano anche le tettoie primitive, essa vi appare importata già allo stato di residuo insieme alla capanna quadrangolare a pareti verticali. Sono, per contro, abbastanza numerosi gli indizî di una sua antica estensione verso il nord o in ambienti diversi dall'originario: residuati della forma a botte sono nelle steppe dell'Africa orientale e sull'altipiano iranico (Belucistan, Seistan); della forma a due spioventi riposanti sul suolo, relitti frequenti (specie in costruzioni provvisorie o accessorie) s'incontrano nella zona boreale delle foreste europee ed americane. Una distribuzione geografica così ampia e, in pari tempo, frammentaria dà una valida testimonianza per la grande antichità della forma.
In contrapposto a questi tetti poggianti a terra (Dachhaus) è pure frequente, fra i primitivi delle regioni tropicali, che l'abitazione si presenti come un tetto sostenuto da pali, senza pareti. Ne sono esempî le tettoie ad uno spiovente dei Negritos, quelle dei Toala (Celebes), il tetto a due spioventi dei Kubu di Sumatra (fig. 19) e di varî gruppi indigeni dell'America meridionale. È difficile determinare quanto, in tali costruzioni, sia primitivo e quanto, invece, dovuto ad una semplificazione, in seno a culture assai basse, favorita dal clima. Nell'area malese e papuana, e anche in quella parte dell'Australia indigena che mostra contatti con le culture papuane, le costruzioni in parola hanno quasi sempre una piattaforma inferiore, assicurata ai pali stessi che reggono il tetto, la quale costituisce il pavimento della dimora sollevato dal suolo. E su di una piattaforma su pali sono pure costruite per lo più, come si è già detto, la capanna melanesiana e le stesse forme a pianta circolare. Tutto indica che nel territorio in questione tale accorgimento costruttivo è penetrato profondamente dovunque ed ha coinvolto tutti gli stili. Le sue prime origini sono certamente assai remote: la piattaforma sollevata dal suolo viene costruita per scopi speciali (esposizione dei cadaveri, essiccazione di prodotti) anche da genti che usano solamente le strutture cupoloidi o cilindriche come abitazione. Ma l'applicazione alla capanna, con lo scopo di evitare a questa i danni delle acque dilavanti o, semplicemente, dell'umidità del suolo, appare caratteristica della zona tropicale umida e, cronologicamente, posteriore a tutte le forme finora descritte di abitazione. L'origine della casa su palafitte (v.) non si deve probabilmente disgiungere dall'origine della capanna quadrangolare a pareti verticali e tetto a spioventi: è verosimile, cioè, che quest'ultima sia sorta, fin dall'inizio, su pali. L'abbondanza di materiale adatto per la facile costruzione di pareti rettangolari e per la loro legatura a sostegni verticali, come ha dato, nelle regioni tropicali umide, le semplici tettoie inclinate o le tettoie accoppiate e le piattaforme orizzontali, così ha condotto ad un ultimo prodotto più complesso, risultante dalla fusione di quei varî elementi. Nella zona malese-melanesiana, la sola che conservi traccia di tutti i trapassi, la capanna quadrangolare poggia sul suolo soltanto nelle sue forme più evolute o, modernamente, sotto l'influsso degli europei, mentre tra i primitivi di tale regione per es. si osserva la tendenza contraria, a costruire, cioè, ad altezze notevoli dal suolo tra i Pigmei della Nuova Guinea (fig. 20), sino a dare, per scopi particolari di vigilanza o di isolamento, la già citata casa sugli alberi. La palafitta sembra esser penanto un elemento integrante della capanna quadrangolare e averne accompagnata la prima diffusione, comunicandosi poi, come è avvenuto soprattutto nell'Africa tropicale, a forme diverse di costruzione, e sparendo, invece, dove le condizioni del clima la rendevano normalmente inutile.
Diffusione della capanna quadrangolare. - Dalle isole della Malesia e della Melanesia, che noi riteniamo essere stata la sua patria originaria, la capanna quadrangolare a spioventi è penetrata, ma con caratteri strutturali e stilistici assai evoluti, in quasi tutta l'area oceanica e nell'Asia sud-orientale. Il tipo su pali (fig. 21) si è, tuttavia, conservato meglio nel continente che nelle isole, tanto che lo troviamo in pieno uso fin nelle vallate montane dell'Assam; la casa giapponese ne conserva poche tracce e la costruzione su pali ricompare soltanto nelle abitazioni dei Ghiliaki, rivieraschi del basso Amur (adottate ora, a quanto pare, da tutte le popolazioni costiere della Provincia Marittima fin quasi a Vladivostok) e dei Camciadali. Nel doppio continente americano l'area di diffusione della capanna quadrangolare sembra doversi risolvere in gruppi distinti, non aventi tra loro parentela diretta. Nelle basse terre del Venezuela e della Colombia orientale si mostra ancora con forme che sembrano originarie ed è, in varî luoghi, costruita su palafitte (fig. 22. Mal noti sono invece i caratteri presentati da essa nella civiltà degli altipiani, le quali dal Perù al Messico l'avevano largamente adottata, ma con tipi speciali di copertura e con frequente uso della pietra e dell'argilla per la costruzione delle pareti. Molta incertezza vi è pure sulla diffusione della foma nelle Antille, e sui rapporti fra i tipi di tali culture precolombiane e quelli durati assai più a lungo nella plaga compresa fra il Mississippi, l'Atlantico e i grandi laghi dell'America settentrionale. La casa a spioventi vi si presentava con materiali diversi: assi di legno o argilla impastata con paglia, nel sud, scorza d'albero o stuoie, nel nord. Una sua singolarità nella regione dei grandi laghi, era d'avere il tetto a botte; probabile effetto di contatti con le più arcaiche strutture cupoloidi. Ad occidente, la casa quadrangolare si ritrovava - e persiste in parte - soltanto sulla costa, dalla California settentrionale al circolo polare, con taluni particolari stilistici richiamanti forme polinesiane e conservante pure, presso qualche tribù, la palafitta (Kwakiutl, Bilkula, Nutka).
Anche tra i popoli africani la capanna a spioventi si presenta in aree distinte. Come introduzione malese, e quindi spesso su pali, nell'isola di Madagascar; come introduzione asiatica (araba o indiana), su quasi tutta la costa orientale del continente, dalle foci dello Zambesi a Massaua. Ma inoltre, con caratteri di maggiore antichità (a giudicare dalle numerose varietà locali) in un'ampia regione centrale che corrisponde all'incirca al territorio delle foreste equatoriali e, come questo, si estende anche sulla fascia costiera della Guinea. La costruzione su pali vi è assai diffusa, pur restando piccolo di regola il distacco dal suolo.
Fuori delle regioni menzionate, l'Africa settentrionale, l'Europa e tutta l'Asia sino all'India e alla Cina, costituiscono un vasto territorio, nel quale la capanna rettangolare ha subìto processi svariati di adattamento o di sviluppo, per culminare negli stili architettonici, antichi e moderni, delle maggiori civiltà. L'esame particolare di quei processi e di quegli stili rientra nella storia dell'architettura; ma i legami con le culture primitive restano pur sempre palesi quando si tengano presenti le forme più semplici di costruzione degli stessi territorî di maggiore civiltà: specialmente le abitazioni rurali e le loro costruzioni accessorie (v. capanna) adibite ad usi secondarî, talora anche a dimora temporanea. Queste assumono, in generale, il valore di residui molto interessanti per la storia locale dell'abitazione, ed aiutano a colmare l'apparente lacuna. La casa dei territorî di maggiore civiltà trae, infatti, indubbiamente le sue origini dalle capanne a spioventi dei tropici. Il fenomeno è evidente nel caso delle civiltà orientali, che hanno con le regioni tropicali umide contiguità territoriale e molteplici contatti culturali; meno evidente è per l'Europa, che da quelle è separata, chiusa tutt'intorno dalla zona dei deserti afro-asiatici nei quali la casa quadrangolare si è pure diffusa, ma in forme secondarie di speciale rispondenza al clima. Nonostante l'interruzione geografica, le pendici meridionali dell'Himālaya hanno un tipo di abitazione che ripete in tutti gli elementi essenziali la casa alpina (pareti di travi sovrapposte, tetto con copertura di scàndole o paglia), e la somiglianza non pare dovuta a fenomeni di convergenza: per lo meno le forme di partenza dovevano essere comuni. Tali costruzioni (Blockbau) sono, d'altra parte, prettamente affini alla casa rustica dell'Europa settentrionale e orientale, e come questa derivano dall'uso primitivo dei tronchi d'albero: si presentano, cioè, come la semplice applicazione dei materiali forniti dalle foreste della zona temperata alla struttura quadrangolare delle regioni tropicali. Del resto, strutture identiche a quelle tra le europee che si conservano più fedeli al tipo primitivo, come l'izba russa o la capanna fienile del nord delle Alpi, si presentano in mezzo alle culture relativamente assai basse dell'Asia nordorientale e dell'America temperata del nord. È noto, però, che nell'Europa meridionale la casa quadrangolare a spioventi si presentò come introduzione di provenienza settentrionale e relativamente tarda. Lo stile del megaron portò gradatamente l'abitazione tipica della zona forestale a sostituire le primitive capanne neolitiche a pianta circolare in tutta l'Europa. Onde di queste restano ben scarse reliquie. Ma nel clima mediterraneo, e per cause analoghe nelle regioni meno umide dell'India e della Cina, la struttura vegetale fu presto abbandonata per ricorrere all'argilla e alla pietra. Di qui la costruzione di pareti di argilla compressa o di mattoni di argilla seccati al sole (ancora in uso nell'Italia meridionale e nella penisola balcanica), l'introduzione di mattoni cotti (antica Mesopotamia), la copertura di tegole ed embrici; e, finalmente, la costruzione in muratura di pietre o mattoni saldati da un cemento. Perciò la casa tradizionale del Mediterraneo, in muratura, con gli spioventi a scarsa pendenza, coperti di tegole o di lastre di pietra, si può considerare come un adattamento complesso e recente dell'abitazione settentrionale al clima più secco del mezzogiorno. Fra il tipo mediterraneo e il tipo nordico del Blockbau, l'Europa presenta poi una larga zona con forme intermedie e numerose specificazioni regionali, le quali rispondono talora a particolari esigenze funzionali, ma più spesso sono dovute a motivi etnici di grande antichità e resistenza.
Ma anche nelle aree della sua prima e più antica diffusione la casa a spioventi presenta numerose varietà di stile. Per restare nel campo dei fatti più generali, si può osservare che nelle forme più arcaiche le pareti verticali hanno scarsa altezza ed il tetto è invece molto grande, a forte pendenza e scendente con la sua grondaia sin quasi a terra: è la forma più prossima alla capanna costituita da un tetto poggiante sul suolo. Evolvendosi il tipo, si ha una graduale maggiore altezza delle pareti e una riduzione del tetto in ampiezza, altezza e pendenza: questa evoluzione è avvenuta di preferenza nelle regioni temperate (America del nord-ovest, Nuova Zelanda), ma ve ne sono esempî anche per le regioni tropicali (India, costa orientale dell'Africa, qualche distretto del Congo). L'Europa settentrionale ha conservato in complesso la forma arcaica, accentuandone, anzi, in qualche caso (Islanda) i caratteri. Il tetto, per suo conto, dalla forma a due spioventi è passato in più luoghi, e certo in modo indipendente, a quella a quattro (a padiglione); tetti appiattiti, a guscio di testuggine, sono stati osservati nella Nuova Guinea, tetti di forma piramidale altissimi nella stessa isola a non grande distanza dai primi, e nell'Africa interna sul fiume Aruwimi. Importante è la collocazione dell'ingresso: nelle strutture arcaiche questo è posto nel lato corto della casa, il lato del comignolo del tetto, ed è il caso della maggior parte delle forme tropicali, ma anche di una fascia boreale che va dal Dakota all'Europa settentrionale. Nelle forme evolute la porta si apre nel lato lungo, il lato della grondaia, come è della maggior parte delle case dell'Europa, dell'India, dell'Asia orientale e della stessa casa maleo-polinesiana. Il mutamento risponde a diversità di struttura interna, alle quali verremo fra poco.
L'abitazione nelle regioni aride e polari. - L'abitazione caratteristica dei nomadi a grande mobilità è la tenda della quale già conosciamo varî tipi derivati dalle capanne a pianta circolare. Ve n'ha, in più, una specie che non si può collegare a queste, o ad altra forma specifica di capanna, e risulta formata sostanzialmente da una copertura di pelli o di tessuti distesi sopra paletti piantati nel suolo. Nelle steppe della Patagonia è in uso una tenda-paravento, che rimane largamente aperta; tra gli Eschimesi centrali ed orientali la tenda, usata come dimora estiva, è pure tenuta aperta da un lato. Può esser chiuso, invece, il beit dell'Africa sahariana, dell'Arabia e della Siria, il quale è forse la forma più perfetta di questa categoria di dimore: una sua varietà si incontra sugli altipiani del Tibet. Gli scarsi ripari adottati da questo nomadismo sono dunque comuni al deserto ardente tropicale e al deserto gelido dell'estremo settentrione o dell'alta montagna, cioè agli ambienti nei quali la povertà della vegetazione è tale da non consentire la costruzione di capanne provvisorie con materiali di fortuna, trovati sul posto e facilmente sostituibili con altri nei necessarî spostamenti.
Non ci meraviglia, pertanto, riscontrare che le regioni aride e quelle polari hanno avuto effetti simili anche sulle abitazioni permanenti comunque stabilite in esse. All'insufficienza delle materie vegetali, nelle zone dei deserti e delle steppe colonizzate da medie e alte culture, si è anzitutto rimediato con l'adozione dell'argilla e della pietra, come si è visto essere avvenuto nelle regioni subtropicali, pur sotto lo stimolo di una meno impellente necessità. La sostituzione (eccezionale, perché più difficile, nelle forme a pianta circolare) ha facilitato la diffusione delle strutture rettangolari; la scarsità di pioggia ha resi peraltro superflui, in esse, gli spioventi, e in luogo di questi si è stabilito il tetto piatto, a terrazza (fig. 23). In tale tipo di costruzione sono da collocare la tembe dell'Africa orientale (territorio del Tanganica), gli hudmō dell'Eritrea, la casa sahariana, che ha un largo cuneo di penetrazione anche nelle savane sudanesi oltre il Niger, e, in generale, tutte le costruzioni delle oasi e delle aree coltivate che accompagnano la vasta distesa di steppe e deserti fra le rive dell'Atlantico ed i confini del bacino cinese. Forme simili, sotto lo stimolo delle stesse cause, sono sorte in seno alle maggiori culture indigene dell'America e tuttora si conservano nei pueblos dell'Arizona. Nella grande area afro-asiatica le civiltà superiori hanno impresso a tale architettura, in molti luoghi, stili speciali: ma le forme elementari sono dovunque, dal Sūdān al Tibet, di una notevole uniformità. La casa ha per lo più l'ingresso nel lato lungo ed è frequente il loggiato anteriore. La copertura a terrazza, in un territorio che non si allontana molto dal Mediterraneo, è talora sostituita dalla copertura a vòlta, sia a forma di botte (Tunisia meridionale: fig. 24), sia a padiglione (Palestina, Siria, Persia). Per il tramite dei Bizantini e degli Arabi questo stile a terrazza o a vòlta si è impiantato anche sulle coste e nelle isole dell'Europa: nella Spagna del sud, alle Lipari, sulle coste e isole della Campania, nella Puglia e nelle isole dell'Egeo.
Un altro effetto del clima arido sull'abitazione è stato di consentire un affondamento più o meno grande di essa nel suolo. Assunto questo, inizialmente, per difesa contro le alte temperature, finì, in qualche luogo, con l'essere adottato per ragioni di sicurezza. Così si spiega la ricorrenza della tembe sotterranea o munita di un corridoio sotterraneo d'accesso (fig. 25), e di tante abitazioni scavate nel suolo: nel Sūdān occidentale, nell'Africa settentrionale (Garian), in varî luoghi dell'Asia anteriore e financo nell'Europa meridionale. La Cina interna ha pure le sue case nel loess e l'America arida le vestigia dei Cliffdwellers.
La casa semi-sotterranea o sepolta sotto un cumulo di terra ricompare nelle regioni polari come dimora invernale (fig. 26). Presso una parte degli Eschimesi è subentrata la casa rotonda di neve, che risponde meglio, per la rapidità della costruzione, alla mobilità che essi conservano anche durante l'inverno. Ma la diffusione della casa di terra e affondata nel suolo si può seguire ugualmente dalla Groenlandia sino allo stretto di Bering: in tali costruzioni, di pietre o di legname da deriva, è chiara l'origine da una struttura quadrangolare, tanto che in alcuni distretti sono conservati, a pendenza ridotta, gli spioventi che reggono la copertura di terra, in altri, la camera quadrangolare interna foderata di legname. Ma la forma esterna, per l'esistenza abituale di un corridoio d'accesso pure coperto di terra, tende ad assumere l'aspetto di un tumulo allungato. Questo tipo di abitazione si incontra anche tra i Ciukci, i Coriaki, i Camciadali, i Ghiliaki, perciò sino all'Amur e alle Curili, sempre come dimora invernale; e si ripete nella gamme dei Lapponi scandinavi. Invade, dunque, anche la regione delle foreste sub-artiche. E, analogamente, nell'America del nord vi è tutta una serie di forme che dalle tundre portano sino al deserto sub-tropicale, mostrando la somiglianza delle reazioni ai due ambienti, artico e arido, e da parte di strutture diverse. Così la casa invernale dei Salish dell'interno (Columbia) è una costruzione cilindrica affondata nel suolo e coronata da un tetto piatto conico coperto di terra, che è il solo ad emergere dal terreno, ed alla sommità del quale si apre anche l'ingresso (fig. 28): sistema, quest'ultimo, diffuso sino alle già menzionate capanne ad alveare, coperte di terra, della California centrale, e ripetuto nelle costruzioni a camera interna quadrangolare del Camciatca. Più a sud, tra i Pawnee del Missouri, l'affondamento nel suolo, la copertura di terra e il corridoio longitudinale di accesso si associano ad una struttura interna più affine alle capanne cupoloidi che alle cilindriche. Coperture di terra su strutture molto primitive, sia per l'America stessa (Navaio) sia per l'Africa arida australe (Herero), sono state pure ricordate sopra. Soltanto l'Asia centro-settentrionale si mostra priva di tali forme di adattamento, avendo invece sviluppato e perfezionato le strutture più mobili (tende e tende-capanne). Nella Siberia, tra il corso inferiore della Lena e l'Indigirka, i Jacuti hanno introdotto un tipo di casa in travatura, quadrangolare, ma a tetto piatto e coperto di terra: probabile fusione di un costume di origine steppica coi materiali forniti dalla foresta nordica di conifere.
La posizione della dimora rispetto al suolo ci fa assistere, pertanto, ad una serie assai istruttiva di fenomeni di rispondenza climatica, che vanno dalla capanna sugli alberi, nei paesi ove il suolo è più umido, alla casa sotterranea, ove esso è più asciutto o gelato. Ciò che non toglie che, per effetto di trasmigrazioni secondarie, le forme estreme possano anche incontrarsi, come è avvenuto nella penisola del Camciatca, che ha la capanna estiva su pali e l'invernale sotterra.
Tipi primarî e tipi derivati. - La rassegna compiuta non comprende tutte le forme di abitazione usate ora, o in passato, sulla terra. In molti casi si hanno forme ibride o composite, nelle quali non è agevole determinare l'appartenenza ad uno degli stili principali da noi distinti: nell'Africa negra è, per esempio, assai diffuso un tipo di costruzione a pianta quadrata e tetto ora conico ora a più spioventi, che deriva dalla fusione della struttura cilindrica e della quadrangolare: il motivo prevalente par che sia dato dalla seconda, come in certi tipi poligonali o anche ovali (casa delle isole Samoa) delle aree oceanica e americana. Ma il fenomeno ha poca importanza perché si tratta sempre di deviazioni a localizzazione limitata. Le forme fondamentali sono in realtà ben poche e, se vogliamo trascurare i paraventi e le tettoie a una sola parete, si riducono a quattro: due, nelle quali non vi è distinzione fra tetto e pareti, la capanna ad alveare (a pianta circolare) e la capanna di due spioventi poggianti sul suolo (a pianta rettangolare); altri due con chiara differenziazione del tetto, la capanna cilindrica e la capanna quadrangolare a pareti verticali: sviluppi, in senso parallelo, delle strutture comprese dalla prima categoria, che è la primitiva. Si è pure messo in rilievo qualche elemento che sembra collegare i termini di questa. Non è agevole, peraltro, stabilire quante volte, separatamente, o in quanti luoghi, sia avvenuto il passaggio dalle forme primitive, che appaiono in complesso cosmopolite, alle derivate, che ancora presentano una distribuzione geografica determinata. La moderna scuola etnologica, che si suol dire storica (Frobenius-Gräbner-Schmidt), ha consideiato alcune delle nostre forme principali come legate, nell'origine e nella diffusione, a determinati cicli o correnti culturali: così la capanna ad alveare sarebbe comune alle culture più basse, la cilindrica tipica della cultura totemistica, la quadrangolare della cultura dell'arco (di guerra). Le correlazioni, abbastanza convincenti nell'area oceanica, perdono di evidenza fuori di questa, ed hanno anche il difetto di assimilare forme semplici e complesse. S'intende, ad ogni modo, che le ipotesi indicate non potrebbero applicarsi che alle strutture più elementari e a movimenti culturali molto remoti. Nella distribuzione odierna delle forme, grande importanza possono aver avuto, per contro, contatti recenti; e anche puri fatti di convergenza o per semplice processo evolutivo o sotto stimoli estermi (clima). Comunque, delle forme principali individuate e di qualche varietà più interessante è data, nella carta annessa (fig. 27), la distribuzione, necessariamente assai semplificata. La carta inoltre non tiene conto, come è d'uso in tali rappresentazioni, dei mutamenti introdotti in vaste aree dalla moderna colonizzazione europea.
Rapporti economici e sociali. - L'aumento delle esigenze di spazio, col progredire della cultura, ha posto un problema che è stato risolto in modi diversi. Anzitutto con l'aumento delle dimensioni dell'edificio: soluzione applicata anche alle capanne destinate ad albergare, nell'unico vano, un gruppo di famiglie. Ritenuta, agli inizî dell'esplorazione etnologica, come un sintomo di primitività, si riconosce invece oggi che la casa collettiva è estranea ai veri primitivi. È da ritenersi piuttosto che essa appaia nello sviluppo delle culture basate sul clan comunistico, quando la tribù raggiunge una certa sedentarietà e popolazione assai numerosa, per scomparire poi con l'ulteriore progresso dell'organizzazione sociale e del villaggio. Tale è l'origine degli insediamenti composti di poche o anche di una sola casa, sotto il cui tetto si raccolgono, in qualche caso, centinaia di persone. Con una concentrazione di solito minore, le case collettive s'incontrano nell'Indocina, in varî distretti dell'Arcipelago Malese e nella Nuova Guinea; erano la regola presso la maggioranza degli indigeni dell'America del nord, compresi gli Eschimesi e gli Aleuti, e di varî gruppi del centro; e sono tuttora in uso in buona parte dell'America del sud, specie nel bacino delle Amazzoni. Qualche residuo se ne rintraccia financo nell'antica Europa (regione del Galles).
Ragioni sociali hanno prodotto anche un fenomeno inverso: la costruzione di abitazioni particolari per una parte del clan o della tribù. Le case per i celibi, che servono sovente come luogo di riunione per tutti gli uomini adulti, ne sono l'esempio più diffuso. Presso molte tribù africane, melanesiane o sud-americane tale casa è la più grande e meglio costruita e decorata, e forma il centro della vita sociale. Non è raro trovare, specialmente fra gli indigeni americani o nell'Arcipelago Indiano, in uno stesso villaggio, case collettive e la casa dei celibi: ma i due costumi hanno in complesso una diversa distribuzione geografica ed appartengono a cicli culturali distinti. Alla stessa categoria difatti, dell'abitazione per i celibi o per i guerrieri, appartengono le capanne separate per i ragazzi o le giovanette all'epoca della pubertà.
Le vicende climatiche annuali e le conseguenti variazioni dell'attività economica hanno condotto pure ad una differenziazione stagionale dell'abitazione. Più volte si è accennato alla diversità di forme delle capanne invernali ed estive presso i popoli della zona temperata settentrionale e presso gli iperborei. L'America del nord ne offre gli esempî più caratteristici: in quella del sud, nell'ambiente tropicale, si usano capanne diverse per la stagione delle pioggie e per quella asciutta. L'Africa conosce pure le capanne estive e l'Europa meridionale le dimore estive temporanee, connesse con il semi-nomadismo pastorale o col lavoro dei campi. Nelle Alpi, una stessa famiglia può possedere l'abitazione principale nella valle, dimore estive elevate, e dimore di mezza-stagione, in posizione intermedia. Una forma non comune di differenziazione stagionale interma si è sviluppata nel Tibet con la casa divisa in ambienti invernali ed estivi: qualche traccia ve n'è pure tra noi. In tutti questi casi, una delle costruzioni ha forma più provvisoria o meno protettiva, e corrisponde alla stagione che richiede maggiore mobilità (tettoie-paraventi, tende, capanne aperte).
A parte questi fatti di specializzazione complessiva, l'abitazione ha sviluppato presso i popoli agricoltori la tendenza a scomporsi in costruzioni separate per determinate funzioni, dando luogo ad un gruppo di edifici (Hof dei Tedeschi), uno solo dei quali costituisce l'abitazione in senso stretto. Ciò dové avvenire precocemente nelle strutture inadatte alle partizioni interne, come le capanne ad alveare. Così un'abitazione dei Cunama (Eritrea) consiste di 5-6 capanne (fig. 29), e dissociazioni anche maggiori sono comuni in molte parti dell'Africa negra. Il sistema è tuttavia assai diffuso anche presso popolazioni a cultura elevata (Europa settentrionale ed orientale: fig. 30), sebbene sempre in relazione a forme architettoniche inadatte a superare, senza pericolo per la solidità della costruzione, determinate dimensioni (case d'argilla, Blockbau). Fra le costruzioni separate la più comune, dovunque, è il granaio (v.), o, in genere, l'edificio destinato alla conservazione delle provviste: poi, la stalla per gli animali giovani, la cucina, la capanna per gli ospiti; nelle regioni fredde del nord anche la capanna per il bagno (Finni) e la capanna sudatoria (Eschimesi e varî gruppi dell'America settentrionale, antichi Germani e Sciti).
La struttura interna. - Salve poche eccezioni, rilevabili specialmente nelle capanne cilindriche africane, tutte le abitazioni primitive sono unicellulari: constano cioè, anche quando le dimensioni sono notevolissime, di un unico vano, senza divisioni interne di carattere permanente. L'unica apertura è la porta, che serve quindi anche per l'accesso della luce e, se la chiusura del tetto è perfetta, per l'uscita del fumo. Il focolare è per lo più collocato nel centro della capanna. Anche la capanna quadrangolare, nelle sue forme elementari, è di un unico vano: ma, in ciascuna delle sue aree di diffusione e già fra i tropici, vediamo come vi si sviluppi la divisione interna in ambienti separati. Questa dovette sorgere con relativa facilità per gli stessi principî costruttivi di tale forma, vi si giunse probabilmente, da prima, con la giustapposizione di più capanne, poi, con la collocazione di tramezzi appoggiati ai pali di sostegno delle pareti. La casa maleo-polinesiana ha di regola molte partizioni interne in senso verticale, ed in essa compare più raramente la divisione interna in senso orizzontale, la costruzione cioè di più piani. Anche questo concetto dovette presentarsi agevolmente in costruzioni su piattaforma sollevata, e la sua scarsa applicazione, nella zona calda, si può attribuire soprattutto alla poca utilità. Finalmente, nella casa malese compare, ma come fatto sporadico e raro, sia la molteplicità degli ingressi (Micronesia), sia la finestra (Malesia, Nuova Zelanda); quest'ultima esiste invece sovente nelle costruzioni invernali degli iperborei, e persino nell'iglu, il che conferma il carattere poco primitivo di tali peculiari forme di adattamento. Il camino è ignoto a tutte le popolazioni naturali.
Per trovare una notevole, e costante, differenziazione interna bisogna giungere alle forme più solide della casa quadrangolare, vale a dire all'abitazione dei popoli civili (figg. 31-32). Pur fra questi la casa rurale ha spesso una grande semplicità di struttura interna: il centro della vita familiare è ancora la cucina, il vano che contiene il focolare ed era in origine il vano unico. Accanto ad essa si è sviluppato, nelle regioni europee a inverno rigido, il tinello provvisto di stufa; mentre, nell'Europa meridionale, il secondo posto per importanza è stato preso dalla stalla, portata sotto lo stesso tetto coi vani di abitazione. In queste stesse regioni si hanno gli esempî di massima concentrazione di ambienti sotto un unico tetto, sino a dare la casa sviluppata in altezza, e costruita naturalmente in muratura, del versante meridionale delle Alpi e della regione dei Pirenei.
Bibl.: In luogo del vecchio libro di F. von Hellwald, Haus und Hof, Lipsia 1888, una buona sintesi sistematica è offerta ora dal volume introduttivo dell'opera di F. Oelmann, Haus und Hof im Altertum, Berlino 1927. Fra i trattati di etnografia le più abbondanti indicazioni sono nella Illustrierte Völkerkunde del Buschan (Stoccarda 1922-26). Vedi anche l'Atlas der Völkerkunde edito dal Karutz (Stoccarda). Tutte queste opere hanno abbondante bibliografia. Basterà segnalare qui i soli lavori speciali di carattere comprensivo e più recenti.
Oceania: W. L. Roth, North Queensland Ethnography, Brisbane 1901; F. Gräbner, Kulturkereise in Ozeanien, in Zeitschr. f. Ethn., XXXVII (1905), con carta; id. Die Melanesische Blogenkultur und ihre Verwandten, in Anthropos, IV (1909); F. Sarasin, Neu Caledonien und die Loyalty-Inseln, Basilea 1917; E. Mjöberg, Eingeborenen von Nord-Queensland in Arch. f. Anthr., XX (1925).
Africa: L. Frobenius, Ursprung der afrikanischen Kulturen, Berlino 1898, con carta; B. Ankermann, Über afrikanische Kulturkreise in Zeitschr. f. Ethn., XXXVII (1905), con carta; A. Schachtzabel, Die Siedelungsverhältnisse der Bantu-Neger in Intern. Arch. f. Ethn., XX (1911), bibliogr. e carta; G. Dainelli e O. Marinelli, Risultati scientifici di un viaggio nella Col. Eritrea, Firenze 1912, con carta; J. Czekanowski, Forschungen im Nil-Kongo-Zwischengebiet, Lipsia 1911-24; L. Frobenius, Das unbekannte Afrika, Monaco 1923; A Bernard, Enquête sur l'habitation rurale des indigènes de l'Algérie, Algeri 1921; id., Tunisie, Tunisi 1924, con carte.
America: E. Sarfert, Haus und Dorf bei den Eingeborenen Nordamerikas in Arch. f. Anthr., VII (1909), bibliografia e carte; D. I. Bushnell, Native villages... East of the Mississippi, in Bur. Amer. Ethn. Bull., n. 69; id., Villages... West of the Mississippi, ibid., n. 77, 1922; Patre W. Schmidt, Kulturkreise u. Kulturschichte in Südamerika, in Zeitschr. f. Ethn., XXXXV (1913), con carta; E. Nordenskiöld, Comparative ethnographical Studies, 2-3, Göteborg, 1920-24, con carte; T. Waterman, Native houses of western North America in Indian Notes, Heye Fondation, New York 1921.
Asia ed Europa: E. Banse, Die Gubâb-Hütten Norsyriens, in Or. Arch., II (1911-12); G. Dainelli, Le condizioni delle genti, in Spedizione it. De Filippi nell'Himalaia, Caracorum, ecc., Bologna 1924, con carta. Per la bibliografia europea, oltre al Buschan e all'Oelmann, si veda: F. Nopcsa, Albanien, Berlino 1925, e R. Biasutti, in Rivista geografica italiana, XXXIII (1926), bibl. italiana.
Sviluppo storico dell'abitazione.
Per le forme dell'abitazione umana nel periodo preistorico e nell'età storiche v. capanna, casa, palazzo, villa e i capitoli relativi all'architettura dei singoli popoli. Qui si accennerà rapidamente al modificarsi della forma dell'abitazione in rapporto alla vita sociale dalla quale è espressa.
È presumibile che fin dai primi tempi dell'età paleolitica l'uomo abbia trovato ricovero nelle caverne, specie se d'ingresso disagevole e perciò più adatte alla difesa, o anche in semplici ripari sotto roccia (v.). Ignoriamo, tuttavia, in quali condizioni esso allora vivesse. Durante lo chelleano e le più dubbie età precedenti che ci han lasciato tracce dell'uomo, questi, favorito anche nell'Europa centrale e occidentale da un clima assai caldo, viveva all'aperto, ed è presumibile che le forme della sua abitazione non differissero molto dai più modesti e semplici ripari improvvisati (tettoie, paraventi emisferici di frasche) che si costruiscono ancora alcuni primitivi. Nel periodo delle grandi ultime glaciazioni il freddo cominciò a rendere necessarî vesti e rifugi e si iniziò l'epoca dei cavernicoli (v. caverna, abitazione in). Questa sembra stabilirsi già con la fine dell'acheuleano nell'Europa centro-occidentale, soltanto più tardi nella regione mediterranea, giacché in questa anche le stazioni del mousteriano sono di regola all'aperto, specialmente nell'Africa. Né sappiamo, del resto, se i cavernicoli usassero la grotta o il riparo sotto roccia tal quale, senz'alcun'altra difesa, o non si costruissero, invece, in essa qualche riparo complementare come fanno, ad es., tuttora i Toala di Celebes. L'uso delle caverne come abitazione par divenire ancora più generale durante il paleolitico superiore e si continua nell'età neolitica e, sporadicamente, sino all'alba della storia. Nel neolitico tuttavia appaiono in Europa anche i primi segni sicuri di abitazioni regolari nei "fondi di capanne" Essi mostrano, con notevole costanza, due caratteri salienti: la pianta circolare e un certo affondamento della capanna nel suolo. Mentre la prima ci riporta alle forme comuni nelle costruzioni primitive, il secondo appare caratteristico della zona climatica (a inverni rigidi e assai lunghi) alla quale appartiene la maggior parte dell'Europa e trova riscontri nelle abitazioni attuali dei popoli primitivi delle regioni più settentrionali dell'Asia e dell'America. Sembra inoltre probabile, a giudicare da molteplici indizî esistenti, che in una parte almeno dell'Europa, ove il legname era più abbondante e facile a tagliarsi, l'abitazione avesse una struttura conica (fig. 34). Nelle più secche regioni del mezzogiorno dovette prevalere il tipo della capanna ad alveare o a cupola, dapprima di rami incurvati e frasche, ricoperti poi, forse, di terra o di argilla, e finalmente di pietre sovrapposte a falsa cupola. Nella stessa età neolitica però, sebbene in una fase posteriore, compare anche la capanna quadrangolare e già divisa internamente in vani separati (fig. 33), per la facilità che questa struttura offre alle suddivisioni interne. La capanna quadrangolare dové penetrare del resto assai precocemente in Europa, provenendo dall'Asia anteriore per la via della Balcania e del Danubio, insieme con le palafitte (fig. 35) che ancora sono comuni nelle forme primitive di quella struttura nell'Asia sud-orientale. Alla fine del neolitico (eneolitico) compare, insieme con le prime manifestazioni architettoniche di carattere megalitico, anche la costruzione di abitazioni più sicure, scavate in roccia o fabbricate col masso grezzo. Si giunse in questo periodo a costruire muri, di grosso spessore, con argilla mista a ciottoli e a blocchi di pietra. Nelle foreste, le capanne erano spesso costruite su palizzate, per identiche ragioni difensive, come si usa anche oggi da certi selvaggi. Talvolta, le capanne erano costituite da rozze zoccolature di pietra, con sopra un'armatura di legname rivestita d'un manto d'argilla e paglia impastate e battute. Infine, si avevano anche abitazioni di tipo più regolare, come quelle scoperte a Santorino o a Troia, fabbricate con macerie di pietrame, argilla e legno.
Il mondo orientale. - Nelle antiche civiltà orientali l'abitazione comune ha secondaria importanza rispetto alle grandi costruzioni monumentali e a quelle adibite a dimora reale. Fatta eccezione per alcune costruzioni egiziane che sembra accertato fossero adibite ad abitazioni multiple, esse servivano all'abitazione di una sola famiglia e della servitù. Delle abitazioni egiziane, le quali erano costruite in mattoni crudi impastati con paglia, ci rimangono costruzioni che ci dànno notizie sufficienti delle piante (fig. 36); ma fra il Fayūm e la valle del Nilo sono stati scoperti pure ammassi ruinati di città antichissima di cui le case a molti piani erano costruiti in mattoni. Nella Babilonia e nell'Assiria servì come materiale l'argilla in mattoni; in Babilonia il mattone crudo fu associato a quello cotto, nell'Assiria si usò anche la pietra. Anche nelle abitazioni come negli altri edifici babilonesi-assiri gli spessori dei muri erano fortissimi e le finestre assai piccole per evitare la penetrazione del calore.
Delle città babilonesi-assire finora note, non restano che informi cumuli di rovine disgregate: sembra avessero delle piante con tracciati regolari a base di rettangoli: quanto si sa sulle configurazioni precise delle abitazioni, poté essere arguito soprattutto da qualche bassorilievo o dalle descrizioni di autori greci. Le case di abitazione ordinaria pare fossero costituite da un solo piano; sulla pubblica via si aprivano soltanto la porta d'ingresso e piccole finestre assai alte; sopra il piano abitato era una specie di galleria coperta da un tetto piano sostenuto da pilastri di mattoni su cui era steso uno strato di terra battuta, spesso coltivata: una specie di giardino pensile. Sembra esistessero anche delle case coperte da calotte emisferiche o paraboloidiche, con un'apertura al sommo.
Erodoto dice che a Babilonia esistevano case anche di tre o quattro piani. I palazzi erano talvolta grandiosissimi: mentre i templi si estendevano in altezza, essi soprattutto si sviluppavano in superficie: posti generalmente su delle alture, erano costituiti da vastissime costruzioni di forma parallelepipeda, suddivise in un certo numero di compartimenti e sormontate da una terrazza. La disposizione secondo blocchi parallelepipedi avvicinati per gli angoli ed in tutto rigorosamente indipendenti, era propria così dei piccoli aggruppamenti di vani, come del loro insieme. I palazzi assiri presentavano tre suddivisioni distinte nell'organismo degli ambienti interni, disposizione che del resto è analoga a quella dei palazzi egiziani, mantenutasi ininterrottamente fino ad oggi nelle abitazioni signorili e principesche dell'Asia. La prima di esse era costituita dal palazzo propriamente detto, con l'alloggio degli uomini e le stanze accessibili agli ospiti; la seconda era costituita da un gruppo di appartamenti riservati alle donne e ai fanciulli. La terza era rappresentata dall'insieme degli ambienti di servizio. Anche oggi esistono nei palazzi turchi queste distinzioni, rispettivamente chiamate selāmlik, ḥarem e khān. Ognuno dei gruppi era riunito in un corpo di fabbrica a base rettangolare e aveva uno dei lati sul cortile principale. Nel mezzo dei giardini, nei palazzi principeschi, si trovavano parecchie costruzioni di piccola mole, specie di chioschi adibiti ad uso vario, tutti aperti, la cui copertura era sostenuta da colonne.
Nella Persia antica, l'abitazione subì certamente qualche influsso da parte dall'Assiria e a quanto oggi si ritiene per i dati venuti alla luce negli scavi effettuati in questi ultimi tempi nel Punjab, anche da parte indiana. Le case comuni erano coperte con terrazze simili a quelle assire; i palazzi dell'età degli Achemenidi costituiti da grandi sale sorrette da colonne avevano anch'essi il tetto piano e solo nel periodo sasanidico si hanno edifici costituiti di sale e stanze con volta a cupola e a botte.
Nell'India, scavi recenti condotti nella regione settentrionale dell'Indo hanno rimesso alla luce a Harappa e a Mohenjo Daro, rovine di città del III millennio a. C. con case costruite in mattoni e stanze pavimentate. Invece, in età storica l'architettura indiana ebbe prevalentemente finalità religiose, e l'abitazione privata rimase sempre allo stato rudimentale: la solita capanna in legno e mattoni crudi, coperta a terrazza.
Delle abitazioni più remote della civiltà cinese (più recente forse della civiltà indiana), è conservata notizia nelle leggende e nelle tradizioni della Cina antica (Cfr. C. Puini, Le origini della civiltà dell'Estremo Oriente, Firenze 1891, p. 152). I Cinesi primitivi fabbricavano capanne di rami, di frasche, di paglia; quindi capanne e tettoie con tronchi d'albero tagliati. Altri abitavano in spelonche e caverne. Uno dei più antichi repertorii cinesi, Erh-ya, IV, f. 2, così descrive la dimora di un pubblico ufficiale di una certa importanza, durante la dinastia Chou (1100-255 a. C.): Dinanzi alla porta (men) del muro di cinta, era la sala delle udienze e delle visite (t'ang o miao). Ai due lati, lungo il recinto, due ali di fabbrica o tettoie (siang), e da ultimo, rispondente alla sala delle udienze, la casa propriamente detta, dove abitava la famiglia (ts'in). Tra la sala e la casa, la corte interna, detta chung-liu, che significa "luogo centrale dove scorrono le acque, impluvium". Alcuna volta le tettoie laterali mancavano, e la dimora comprendeva allora la casa e la sala, separate da una corte.
Il Chou li (trad. in francese da E. Biot, Le Tchou li, ou Rites de Tchou, Parigi 1851), raccolta amministrativa del sec. IV a. C., ma rimaneggiata due secoli dopo, descrive nel libro 43, cap. 22 (II, p. 555) le dimensioni e la varia disposizione dei palazzi e delle case.
Il Li chi (tradotto da Couvreur, Li ki ou mémoires sur les bienséances et les cérémonies, 1899, I, p. 504), descrive le caratteristiche abitazioni scavate nel loess della Cina del nord.
L'agricoltura, fin dai tempi più antichi, esigeva che le famigli dei contadini vivessero nelle loro case nei villaggi soltanto l'inverno. Al principio della primavera si riunivano in gruppi, in capanne sparse nei campi.
La strana architettura precolombiana delle regioni dell'America centrale (Messico) e meridionale (Perù), dei cui abitatori le origini etniche sono tanto discusse tuttora, presenta analogie apparenti con l'architettura indiana, musulmana ed egiziana: analogie che possono essere riscontrate anche in alcuni caratteri delle abitazioni. Non si conoscono bene le abitazioni più comuni ed elementari delle prime fasi di questa civiltà rimontante a molti secoli prima dell'èra volgare: invece sono stati scoperti e studiati edifici civili di fase più recente; forse del periodo tulha-olmeco (secoli I-II d. C.) e tolteco (secoli V-VI d. C.). Essi comprendevano generalmente tre corpi di fabbrica: il primo, cioè la parte più interna dell'abitazione, occupata dal padrone e dalla sua famiglia, era composto di due file di stanze parallele che abbracciavano tutta la lunghezza dell'edificio; gli altri due corpi di fabbrica, perpendicolari al primo, e situati alle sue due estremità, erano destinati ai servizî ed agli alloggi dei domestici. Lo spazio compreso fra i tre corpi di fabbrica costituiva un cortile, il quale era anche parte integrante dell'abitazione, perché era il solo luogo dove si potevano svolgere le riunioni e le feste, essendo le stanze molto piccole e adatte solo ad uso familiare. Anche tali palazzi, come gli altri monumenti di questa architettura, erano di pietra, a grossi blocchi, con rivestimenti di lastre o con intonaci. Le stanze non erano coperte a vòlta, ma da soffitti di lastre di pietra, le cui dimensioni erano ridotte al minimo dalla struttura dei muri, strapiombanti per aggetti successivi. Al di sopra della porta d'ingresso dell'edificio e tutto attorno ad essa, era stabilita una specie di tettoia in pietra da taglio, sostenuta da mensole terminate da finali curiosamente modanati. Sopra le abitazioni erano delle terrazze; l'interno era rischiarato solo dalle porte, essendo le finestre assai rare. L'ornamentazione interna ed esterna era ricchissima e pesante: i muri erano letteralmente ricoperti di geroglifici e di figure, decorazioni a rilievo di carattere geometrico.
Le antiche civiltà mediterranee, fino all'impero romano. - Le civiltà mediterranee nelle coste orientali del Mediterraneo presentano notevoli rapporti con quelle della Babilonia, dell'Assiria e dell'Egitto. Le vie di comunicazione furono due: una per terra direttamente dall'Assiria attraverso la civiltà degl'Hittiti, abitanti l'Asia Minore, che lasciarono notevoli tracce architettoniche, ma delle cui abitazioni si sa poco finora: l'altra per mare attraverso la civiltà dei Fenici; popolo questo nelle migliori condizioni, data l'ubicazione della sua patria e la sua indole, per poter accogliere ciò che v'era di meglio nelle civiltà vicine, e trasmetterlo, mediante le sue migrazioni, a tutto il bacino del Mediterraneo.
La Giudea deve essere riavvicinata alla Fenicia, giacché la sua arte deriva certamente da quella dei Fenici che costruirono i principali monumenti ebraici, come, ad esempio, il tempio di Gerusalemme. Mentre i grandi monumenti giudei erano solidamente costruiti in pietra e mattone cotto, le abitazioni erano di mattone crudo: le coperture a terrazza, con parapetti e colonnine, erano sorrette da travi di palma e di sicomoro, ricoperti di uno spesso strato di algilla battuti. Quasi tutte le abitazioni avevano un solo piano, il terreno; solo le case dei ricchi avevano un primo piano. Le finestre portavano delle griglie in legno. I villaggi occupavano delle alture ed erano ordinariamente fortificati. In ciascuna casa i vani erano disposti attorno ad un cortile centrale, coltivato a giardino, con una vasca per le abluzioni. In generale, davanti alla casa si stendeva un altro cortile cintato: gli eventuali piani superiori erano serviti solo da una scala esterna che partiva da questo cortile.
Le città del popolo fenicio, marinaro e guerriero, erano caratterizzate da cinte fortificate, il più possibile ristrette per ragioni di difesa; vie molto anguste, estremo raccoglimento edilizio che rendeva necessaria la costruzione di case a molti piani. Mentre i Fenici erano stati capaci di poderose costruzioni in pietra, di facile taglio e piccole dimensioni, il mattone cotto fu usato solo dopo il contatto coi Romani. A Cartagine pare ci fossero case anche di sei piani. Gli edifici erano sormontati da terrazze: avevano cortili interni con portici, ed ai piani superiori logge aperte. Ogni casa aveva il cortile provveduto di una grande cisterna.
Le abitazioni primitive degli Etruschi erano delle capanne le cui pareti eran costituite da un'armatura di rami d'albero rivestiti d'argilla, ed il tetto era curvo, fatto con frasche e paglia legate con stoppie (tav. IX). Si formò, poi, un po' alla volta un tipo più consistente di casa che conosciamo specialmente dalle descrizioni di Vitruvio, costruita in mattoni o in conci di pietra ed inizialmente formata da una sola camera rettangolare, coperta da tetto a quattro pendenze, con un foro in cima per l'uscita del fumo. In seguito, dai più ricchi proprietarî altre stanze furono aggiunte attorno al vano aperto centrale, il quale si trasformò così in un cortile comune, che fu più tardi conservato dai Romani come motivo strutturale fondamentale delle loro abitazioni (atrium o cavaedium). La casa etrusca, a somiglianza di quella dei popoli orientali, era tutta chiusa verso l'esterno, e la luce veniva dall'atrio, in cui talvolta scolavano le acque del tetto, raccolte in una cisterna. Dei vani costruiti attorno, quello frontale rispetto all'ingresso, tutto aperto sull'atrio, serviva da sala di udienze, e gli altri, sui lati, servivano da stanze d'abitazione.
Un notevole sviluppo delle costruzioni edilizie a scopo di abitazione ebbe luogo anche nelle più antiche civiltà greche, e cioè, particolarmente, in quella minoica (v.), di cui l'isola di Creta ha conservato resti notevolissimi. Specialmente importanti, come testimonianze della prima, il palazzo di Cnosso, le cui imponenti rovine si elevano a pochi km. dall'odierna città di Candia, e quello di Festo, entrambi già grandiosamente costruiti nel periodo mediominoico, e ricostruiti ancora più ampiamente nel tardo-minoico. Abitazione del signore, il palazzo minoico ha, intorno al grande cortile centrale, tanto la ricca sala del trono, con accessorie sale di ricevimento, e il santuario, preziosamente ornato, quanto le camere di normale abitazione, a cui si aggiungono vasti e numerosi magazzini. E questa seconda parte del palazzo è tutta organizzata con una minuta preoccupazione delle comodità pratiche, evidente persino, per citare un esempio caratteristico, nei sapienti sistemi di apporto e di spurgo delle acque. Nel palazzo minoico i bisogni della vita privata sono quindi soddisfatti accanto a quelli della vita sociale; mentre più tardi, nello sviluppo dell'architettura greca, la grandiosità e la bellezza tendono sempre più a restare attributi soltanto degli edifici pubblici, a tutto scapito delle singole abitazioni. Ma, nella costituzione sociale e politica della polis greca, la vita del cittadino si svolge più nella comunità, che tra le mura della sua casa: onde non deve stupire che, mentre all'architettura religiosa e pubblica la Grecia abbia dato il contributo meraviglioso che tutti conoscono, non altrettanto si possa dire dell'architettura privata. Anche nei periodi più fervidi di opere e densi di significato, l'abitazione si mantenne in Grecia modestissima, ridotta ai puri elementi essenziali: soltanto coi costumi monarchici, all'epoca macedonica, si ritornò alla costruzione di palazzi grandiosi. Le città erano solcate da vie con tracciato regolare, su cui si affacciavano le abitazioni, tra loro divise da strade minori. Di tanto in tanto, piazze o zone destinate ai templi e agli edifici pubblici. Le case greche, quali ci vengono descritte da Vitruvio, erano per lo più a un solo piano; se ne esisteva un secondo (ὑπερῷον) era per l'abitazione degli schiavi: esse erano caratterizzate dall'assoluta divisione tra gli appartamenti adibiti all'abitazione degli uomini, all'ospitalità ed alle relazioni esteriori (ἀνδρωνῖτις) e quelli abitati dalle donne e dai bambini (γυναικεῖον). Sovente queste due parti erano poste l'una di fianco all'altra, separate da un corridoio e ciascuna disposta attorno ad un cortile. L'ἀνδρωνῖτις aveva una porta principale (ϑυρωρεῖον) e un ampio vestibolo e conteneva stanze di ricevimento e di abitazione per gli estranei. Il γυναικεῖον aveva un ingresso sulla via molto stretto e sorvegliato da guardiani: conteneva il ϑάλαμοσ (camera matrimoniale), camere per le ragazze, stanze da lavoro, cucine, magazzini, ecc. Ambedue gli appartamenti erano aggruppati attorno a cortili (αὐλή), spesso con peristilio; da essi prendevano luce e aria le stanze, chiuse solo da tende. Tale schema era spesso molto ridotto; e talvolta ampliato. Come preludio alla forma dalla quale si svolse poi la casa romana, in un secondo tempo il gineceo, anziché essere affiancato all'androceo, era messo dietro, nel senso della profondità.
Le abitazioni greche erano costruite essenzialmente con pietra, mattoni e legno: le facciate erano ricoperte da un intonaco resistentissimo, inizialmente assai semplice; talvolta si ricorreva a rivestimento in lastre di marmo. I Greci cominciarono a risolvere il problema dell'abitazione per più famiglie, ma a noi pervennero poche tracce di essa: è noto specialmente un tipo di casa, di cui si trovano le costruzioni in tutto il bacino mediterraneo, costituito di due appartamenti, l'uno al pianterreno, l'altro al primo piano, talvolta con un piccolo cortile posteriore, in cui era una cisterna comune alle due dimore.
Dicemmo che dopo l'èra repubblicana si cominciarono nuovamente a costruire palazzi sontuosi, i quali sembrano, però, piuttosto decorativamente vistosi che ben disposti. Così è dei palazzi di Alinda e Palatitza e di molti altri.
L'architettura romana, come quella greca, risentì profondamente i legami con la vita sociale da cui fu espressa; in primo luogo per quanto riflette i metodi costruttivi ed i materiali usati. È logico che anche le strutture e la configurazione delle abitazioni fossero aderenti a tali legami. Come il popolo greco, anche il romano, benché in altro senso e con altra tendenza, viveva intensamente la vita collettiva: perciò gli edifici pubblici e religiosi erano costruiti con maggior cura e grandiosità di quelli privati, almeno nella più antica epoca. Particolare sviluppo ebbero teatri, acquedotti, basiliche, terme, archi di trionfo, ecc. piuttosto che i templi. Col lusso dell'impero, anche le costruzioni private (palazzi, ville, ecc.) ebbero grande sviluppo e divennero sontuose.
Anche per l'abitazione i Romani attinsero le prime forme dagli Etruschi (fig. 37). In seguito, al contatto col mondo greco, sedotti dalle mirabili manifestazioni d'arte di quel popolo, trassero da esse molti elementi (tav. X). Le abitazioni romane delle prime epoche, assai semplici e austere, erano dunque costituite da un cortile centrale, a cielo aperto, con un portico attorno al quale erano situate le stanze. In seguito la pianta si scisse in due zone, l'una per la parte destinata alla vita soclale del proprietario, l'altra per quella destinata alla vita privata sua e della famiglia: zone che corrispondono all'ἀνδρωνῖτις ed al γυναικεῖον messi l'uno di seguito all'altro, non affiancati. Tale disposizione era in relazione ai costumi dei Romani, presso i quali la vita privata aveva un carattere più intimo che presso i Greci. Nella sua forma più complessa, a cui si giunse dopo il contatto con le raffinate civiltà orientali, l'organizzazione di una abitazione romana piuttosto ricca era la seguente: l'appartamento destinato alla vita sociale era disposto intorno ad un cortile anteriore, corrispondente sempre all'atrium degli Etruschi, e che assumeva effettivamente tal nome se era a cielo aperto, invece si denominava cavaedium se era coperto da un tetto. L'altro appartamento, riservato alla vita privata, era disposto attorno al cortile posteriore (peristylium) più grande. Fra il cortile anteriore e quello posteriore era una grande sala aperta per i ricevimenti (tablinum) e uno o due passaggi laterali (fauces). Un largo ingresso (prothyrum) costituiva la comunicazione fra la pubblica via e l'atrium; molto sovente, ai lati del prothyrum, aperte sulla via, erano delle botteghe od officine (tabernae); ai lati dell'atrio erano le cellae e le alae, stanze riservate agli ospiti, e gli appartamenti di servizio contenenti la cucina, le stanze d'amministrazione e i depositi, l'olearium per l'olio, l'horreum per le provviste, il pistrinum per il grano, le stanze per gli schiavi (ergastulum), l'infermeria (valetudinarium), ecc. Attorno al peristylium, fulcro dell'abitazione familiare, comune agli uomini e alle donne, erano i cubicula (camere da letto), il triclinium (stanza da pranzo), l'oecus o l'exedra, ampia stanza per le feste, il sacrarium, piccola cappella domestica pei Lari ed i Penati. Non esistevano sempre però i due cortili distinti: spesso la casa romana mantenne la struttura etrusca, avendo tutte le stanze raccolte attorno all'atrium. Talvolta oltre al pianterreno esisteva anche un primo piano e, meno frequentemente, un secondo. Dal punto di vista costruttivo le abitazioni erano costruite con le abituali strutture, e cioè mediante ossatura di laterizî riempiti di conglomerati. I rivestimenti erano costituiti da un intonaco o da lastre di marmo, i pavimenti erano di mattoni connessi o di mosaico. Dei dettagli decorativi si parlerà specificamente a suo luogo.
A questa disposizione della casa borghese, corrispondeva anche lo schema delle più sontuose abitazioni dell'età imperiale: il palazzo e la villa. I palazzi celebri degli imperatori cominciarono ad essere edificati da Tiberio in poi. La stessa casa d'Augusto era in fondo abbastanza modesta. Tali palazzi erano delle grandi case in cui tutte le parti erano sviluppate straordinariamente, contenendo palestre, bagni, portici, biblioteche ed ogni altra sorta di ambienti splendidissimi. I palazzi degl'imperatori d'Oriente assunsero strutture un po' diverse anche nell'organismo distributivo, innestandosi le consuetudini costruttive romane alle tradizioni locali. Grande sviluppo ebbe nell'età imperiale un tipo di abitazione fino allora poco usato, la casa signorile e principesca di campagna, la villa. L'ampiezza dello spazio, la lontananza dalle consuetudini urbane, consentivano a questi edifici la massima libertà nella distribuzione organica degli ambienti, nei movimenti planimetrici, in ogni loro carattere: così si svolsero quei grandiosissimi insiemi di edifici, disseminati tra mirabili giardini, ove si condensavano tutti gli agi che lo spirito supremamente raffinato dei tardi Romani poteva desiderare: terme, biblioteche, fòri, esedre, svariati luoghi di piacere ecc.
Abbiamo accennato come presso i Romani si affacciassero per la prima volta in tutta la loro intensità i problemi dell'alloggio di moltitudini povere in poco spazio: ciò nelle grandi città, e specialmente nell'Urbe. Mentre dunque il tipo di casa di cui finora si è parlato, la domus, era riservato ad un solo proprietario, parallelamente si sviluppò il tipo di abitazione con molteplici alloggi o ambienti, affittati a individui o famiglie diverse.
Tali edifici si dissero insulae, ed ebbero talvolta altezze notevoli, fino a dieci piani: erano divisi fra di loro dagli angiporti, vie strette su cui si aprivano gl'ingressi e le finestre e dove sboccavano le cloache. Per quanto è possibile arguire dalle ricostruzioni su dati archeologici, queste case avevano ambienti vastissimi, da 50 a 200 mq., che poi dovevano essere suddivisi da tramezzi e paraventi. Si può immaginare in quali antigieniche e miserevoli condizioni il popolo vivesse.
Nell'età romana inoltre si differenziarono alcuni tipi di abitazione collettiva destinati a usi specifici. Così le caserme, della cui esistenza presso i Greci ed i Cartaginesi abbiamo notizie dagli autori classici, ma che soprattutto a Roma divennero frequenti ed ebbero un'organizzazione precisa. I castra servivano d'alloggio per i soldati, contenevano scuderie per i cavalli e magazzini per gl'impedimenta, mentre la struttura della loro cinta si prestava alla difesa. Anche le prigioni (carcer) erano largamente sviluppate nel territorio dell'impero e servivano per i prigionieri dello stato, mentre i privati potevano custodire i loro schiavi nell'ergastulum della casa.
Nelle provincie, segnatamente in quelle orientali, la casa romana si espanse, sempre però mescolando i proprî caratteri con quelli dei tipi autoctoni. Così in Siria troviamo case dell'èra romana senza l'atrio chiuso ed invece con un corpo di fabbrica longitudinale, e ad esso, addossato da una sola parte, un portico. Queste case avevano in genere due piani ed erano costruite esclusivamente in pietra da taglio, con un stile singolare che da un lato preludeva al bizantino e dall'altro accennava a temi svoltisi poi nel Medioevo e nell'arte occidentale.
Le civiltà antiche e medievali, dopo il rinnovamento cristiano e fino al periodo romanico. - L'abitazione, nel periodo dell'impero romano d'Occidente e dell'impero d'Oriente, rimase, salvo la maggior modestia, pressoché inalterata nei paesi in più immediato contatto con Roma. Come già si è detto, nelle provincie orientali, ad esempio in Siria, essa assunse caratteri proprî, fondendo insieme elementi romani con elementi orientali. Delle case delle provincie propriamente bizantine non è rimasta traccia. Dei palazzi, per esempio di quello degli imperatori a Bisanzio, possediamo descrizioni tratte dalle cronache: non avevano un raggruppamento simmetrico di ambienti, ma invece erano ideati come una villa per quanto riguarda la distribuzione: era in essi un pittoresco e sciolto ammasso di sale sontuose, gallerie, padiglioni poligonali, il tutto ricchissimamente decorato nello stile bizantino, come le chiese dell'epoca. Edifici importantissimi erano anche i monasteri, nuovo tipo di abitazione collettiva dovuto al fervore religioso cristiano: essi erano costituiti da numerose celle aprentisi su lunghi porticati.
Non si può dire che, nei diversi paesi ove successivamente giunsero i musulmani a partire dal sec. VII d. C., l'architettura abbia conservato caratteri costanti; essi invece furono varî e molteplici, a seconda dei luoghi. Così l'abitazione, nei suoi elementi costruttivi e decorativi, era diversa in ciascuna delle tre scuole in cui detta architettura si può suddividere: l'araba, la persiana, e la turca. Quanto alla distribuzione, invece, l'abitazione era sensibilmente costante, e si avvicinava, da un lato, per quanto riguarda la separazione degli alloggi maschili dai femminili, agli antichi organismi assiri, e, sotto qualche altro aspetto, alla casa romana. Le case musulmane si suddividono nel selāmlik, o parte riservata al padrone, comprendente le stanze da ricevere, i gabinetti da lavoro e da riposo, saloni, stanze da pranzo, ecc.; e nell'ḥarem o ōḍaliq, parte riservata alla vita di famiglia, abitata dalle donne e dai fanciulli, ove l'ospite non poteva mai entrare, e che conteneva stanze da pranzo e da letto, cucine, dispense, ecc. Non esistevano canoni fissi circa la distribuzione dei singoli ambienti. Il selāmlik era disposto attorno a una piccola corte d'entrata, l'ōḍaliq intorno ad un grande cortile posteriore. Tale tipo di abitazione, organicamente analogo in tutti i periodi e in tutte le regioni in cui si svolse l'arte musulmana, perdura tuttora. Le ricche case arabe erano costruite in materiale molto resistente: pietra, marmo, mattoni, quelle povere in materiale estremamente caduco, come mattoni d'argilla cruda: gli elementi decorativi erano scarsissimi all'esterno, numerosi e spesso bellissimi all'interno, secondo uno stile derivante per sintesi dalle architetture bizantina, persiana, siro-palestinese. Le case al pianterreno erano assolutamente prive di finestre verso l'esterno, al primo piano potevano avere finestre di prospetto, ma chiuse con griglie, e ciò perché si diffidava delle donne. Gli Arabi costruirono splendidi palazzi: celeberrimi alcuni, specialmente nei paesi di conquista. Nella Spagna, da loro occupata nel sec. VIII, e dove sostituirono le loro forme architettoniche, e quindi i loto tipi di abitazione, agli schemi romani, è a tutti nota la famosa Alhambra di Granata, in cui sono profusi tesori favolosi. Altro tipo di costruzione musulmana furono i chioschi, situati in mezzo ai giardini, talvolta costruiti con materiale leggiero, tutti aperti con grandi vani verso il verde, talaltra con mura poderose a stilizzazione di fortilizio, come, ad esempio, nella Zisa di Palermo. Caratteristico esempio di abitazioni collettive nelle zone deserte erano i caravanserragli, specie di case-rifugio elevate in città o lungo le vie di comunicazione, per l'alloggio delle carovane; contenevano un gran numero di stanze raccolte intorno a un cortile; in corpi di fabbrica adiacenti si trovavano stalle, magazzini, ecc. Anche in Persia e nel Turkestān durante l'epoca musulmana si costruivano case d'abitazione di tipo analogo, ma con maggiori reminiscenze dei tipi assiri per quanto riguarda la distribuzione dei vani. L'architettura delle abitazioni persiane di quest'epoca differiva dalle contemporanee costruzioni religiose (moschee, ecc.) per la totale mancanza di vòlte ed archi, e per l'uso pressoché esclusivo di piattabande e di soffitti in piano. La scuola turca od ottomana, fiorita nell'Asia Minore all'incirca tra Erẓerūm e Qōniah, iniziatasi già con le invasioni del secolo decimosecondo, si svolse fino ad oggi, estendendosi, con l'estendersi delle conquiste, nella penisola balcanica. Le abitazioni, in questa fase architettonica, erano simili a quelle già descritte per quanto riguarda la suddivisione in selāmlik e ōḍaliq. Ne differivano invece notevolmente per l'aspetto decorativo, che aveva un'impronta sua propria, e per l'uso dei materiali, spesso di natura assai leggera: era infatti frequentissimo l'uso del legno.
Mentre, dopo la caduta dell'impero romano d'Occidente, l'architettura continuava ad affermarsi in Oriente, e ritrovava periodi di splendore attraverso l'arte bizantina e musulmana, in Italia e nei paesi dell'Europa occidentale e nordica essa decadeva rapidamente. La civiltà classica, scossa dalle devastazioni barbariche, ruinava, mentre prendeva sempre più vigore il nuovo impulso dato alla vita dal cristianesimo. Nell'intervallo, durante il periodo latino-cristiano, fino alla definitiva costituzione dell'architettura romanica, le abitazioni in Italia erano costruite secondo gli schemi della domus romana, ma con forme e strutture sempre più povere. Le scarse energie finanziarie erano piuttosto dal fortissimo sentimento religioso riservate alle costruzioni ecclesiastiche.
Circa i paesi dell'Europa occidentale e nordica (Germania, Olanda, Francia, Inghilterra) di cui non abbiamo ancora parlato, daremo brevi notizie delle epoche precedenti. Essi furono abitati in epoche remotissime da stirpi celtiche; si rintracciano tuttora resti delle loro costruzioni preistoriche megalitiche in pietra bruta (menhir, cromlech, dolmen, ecc.), ma non si trovano vestigia di abitazioni; probabilmente i Celti abitavano allora le grotte. Poi, in quelle contrade si succedettero le invasioni dei Germani, ecc., le cui abitazioni dovettero consistere essenzialmente in capanne costituite da pali di legno disposti a forma di cono e ricoperti da uno strato di fango e paglia. Un ricordo di tal forma è rimasto nelle capanne svizzere e scandinave e nelle izbe russe.
Mentre i Galli progredirono parecchio anche prima della conquista romana (lavoravano la pietra, tessevano, ecc.), e le loro capanne si svilupparono notevolmente, assumendo anche alcuni elementi in muratura, specie nelle zoccolature di base, i Germani rimasero barbari e le loro abitazioni, all'infuori delle zone occupate successivamente dai Romani, furono rudimentalissime fino al sec. VIII circa.
Si può dire che solo in seguito alla conquista romana i popoli d'Europa ebbero notizia di procedimenti costruttivi elaborati, che applicarono senz'altro nella loro integrità, salvo qualche variazione, effetto della diversità del clima. Ciò accadeva ovunque: in Gallia come in Britannia, in Germania come nella penisola iberica. I Galli seppero trarre maggior vantaggio dal modello romano, costruendo edifici abbastanza perfezionati in un caratteristico stile gallo-romano. Le abitazioni in questa regione e in questa epoca avevano pianta rettangolare, ed erano costruite in pietra da taglio o mattoni. I tetti avevano due falde con un frontone, oppure potevano essere cilindrici o a calotta, a imitazione delle capanne; coperti con tegole all'uso romano o con lastra metallica. La struttura era, al pianterreno, di materiale resistente; spesso le ossature del primo piano erano in legno, ad imitazione delle primitive costruzioni silvestri delle razze indogermaniche successivamente trasmigrate dall'Oriente. Tali caratteri autoctoni aumentarono e si sovrapposero sempre più alle forme d'abitazione tramandate dai coloni romani, fino a tanto che anche la pianta della domus subì, dopo Carlo Magno, radicali trasformazioni: ad esempio il peristilio si mutò un po' alla volta in una sala chiusa da finestre, posta verso la facciata dell'edificio. La civiltà romana fu sommersa poi in tutta Europa dalle successive invasioni barbariche, finché cominciò ad instaurarsi ovunque la nuova società del feudalesimo. Allora s'iniziarono quelle elaborazioni e quelle sintesi di tendenze costruttive e stilistiche, le quali verso il 1000 fecero sbocciare in pieno, oltreché in Italia, anche nei paesi dell'Europa nord-occidentale, la nuova architettura romanica e, insieme con essa, le forme dell'abitazione medievale.
Quanto sopra può esser detto di tutte le regioni d'Europa colonizzate dai Romani, salvo della Spagna e del Portogallo, in cui il processo formativo dell'architettura fu complicato, anche per quanto riguarda le abitazioni, dagl'influssi dell'arte araba; per l'Inghilterra, che non contribuì affatto alla formazione di un'architettura romanica, e per la Russia, il cui contributo è più tardo, e che nel primo Medioevo non ebbe che abitazioni elementarissime.
Mentre nel territorio già dell'impero d'Occidente l'abitazione privata, specialmente quella della classe borghese o lavoratrice, subiva radicali trasformazioni, la struttura delle villae romane sparse nelle varie terre dell'impero, sintetizzando i loro caratteri con quelli dei castra, diede origine, piuttosto, alla forma dei castelli medievali, disseminati lungo le valli a difesa dei feudi.
Solo dopo il grande movimento dei comuni dal sec. XI al XIII, in tutta Europa si manifestò in pieno rigoglio la fioritura delle architetture romanica, e poi gotica, che recarono, insieme coi tipi di molti originali organismi architettonici conformi ai nuovi ordinamenti sociali, anche i nuovi schemi di abitazione.
Il periodo dell'architettura medievale romanica e gotica in Europa (secoli XI-XV). - Con la romanità cessò, per quanto riguarda il costume sociale, così come per la tecnica e l'arte, l'unicità assoluta degli indirizzi. Roma era sola e dettava leggi e consuetudini a tutto il mondo civile ad essa sottoposto: nel Medioevo, invece, la scintilla della civiltà aveva acceso molteplici focolari indipendenti, ciascuno dei quali partecipava con la propria forza e con la propria individualità al progresso comune. Anche nell'architettura si verificava tale molteplice movimento e giuoco di tendenze, che si estendeva alla struttura delle abitazioni, non più orientate verso tipi fissi, quasi cànoni prestabiliti, ma invece verso forme planimetriche maggiormente differenziate e incostanti. Vediamo inoltre svilupparsi alcune fabbriche civili, dapprima pressoché ignorate, come le scuole, i palazzi municipali, le sedi per le varie corporazioni, ecc. Tra le abitazioni private, oltre i tipi noti all'architettura romana (case, ville, palazzi, ecc.) vediamo sorgere i castelli, in Francia gli hôtels, ecc.; e, fra le abitazioni collettive, una quantità di tipi nuovi, come le costruzioni monastiche (monasteri, conventi, abbazie), collegi, ospedali, ospizî, ecc. Le città medievali nel periodo romanico o gotico avevano in genere un aspetto pittoresco e non ordinato, giacché la loro lenta formazione e l'incertezza delle situazioni politiche impedivano la formazione di concreti piani regolatori. Le vie erano strette, e cinte fortificate chiudevano l'abitato. Solo alcune città fondate ex novo, specialmente in Francia, recavano l'impronta di una voluta organicità.
La casa medievale ebbe un organismo press'a poco analogo in tutta Europa durante il periodo dell'architettura romanica e gotica, cioè all'incirca dal sec. XI al XV, e ciò può dirsi anche dei materiali usati e dei procedimenti coi quali questi erano impiegati. Né esistevano differenze sostanziali negli andamenti planimetrici e nelle strutture d'insieme, eccezion fatta, naturalmente, per alcuni elementi dipendenti dal clima.
L'abitazione comune del Medioevo differiva soprattutto da quella delle epoche antiche, perché in essa non esisteva più il distacco così netto tra la parte dedicata alla vita privata e quella adibita alle relazioni esterne. Inoltre le case aprivano francamente le finestre sulla pubblica via anziché limitarle alle fronti verso il cortile. La casa privata era ancora strettamente riservata ad una sola famiglia. La pianta non aveva più un tipo consuetudinario e fisso: l'atrium romano era scomparso ed al posto del peristylium rimaneva in genere solo un piccolo cortile di servizio. Il prospetto verso strada portava ampie finestre: talvolta al pianterreno c'era un portico aperto o una bottega, oppure una scala marmorea conduceva alla porta, sopraelevata sul suolo. Un tipo di pianta molto frequente era così disposto: subito dopo l'ingresso una grande stanza, centro della vita domestica, di abituale soggiorno e da pranzo: dietro, la cucina, ove si mangiava nei giorni comuni: attorno ad un cortiletto posteriore gli ambienti di servizio: al piano superiore le stanze d'abitazione: nel sottotetto le camere per la servitù. Se al piano terreno la casa ospitava una bottega al posto della sala comune, esisteva di fianco un passaggio per giungere agli ambienti posteriori: allora la sala comune era al primo piano sopra la bottega. Questi tipi di pianta si trovano tanto in Italia (Viterbo, Siena, ecc.) quanto in Francia (Bourges, Alby, Cluny, ecc.) o in Germania. In Italia le case erano esclusivamente costruite in muratura nelle ossature portanti, in Francia erano spesso in legno dal primo piano in su, in Germania, frequentemente, tutte di legno. Il tipo architettonico esterno delle abitazioni borghesi romaniche e gotiche era molto vario a seconda dei climi, dei tempi e dei luoghi. Aveva molta importanza, specie nei paesi nordici, la copertura, che partecipava col suo volume e con le linee da essa determinate (timpani, abbaini, ecc.) a formare la massa estetica dell'edificio. Un'altra caratteristica delle case nordiche era la tendenza ad aumentare nei vani interni l'illuminazione, sia con la maggiore ampiezza delle finestre, sia mediante l'uso degli sporti (Erker, bow-window). Talvolta sporgevano gli interi piani, il cui aggetto era sostenuto dalle travature del piancito sottostante.
I signori ed i nobili del periodo feudale, prima del consolidamento dei comuni avevano dimore assai più ricche, generalmente poste fuori dell'abitato: pel carattere guerresco e politicamente frammentario della società, ogni famiglia aveva la necessità di potersi difendere dalle rivali o, in ogni modo, di essere forte contro gli abitanti del feudo sottomesso. Ecco dunque sorgere i castelli, studiati per essere atti alla difesa e all'offesa, numerosissimi in ogni contrada dell'Europa civile. Poi, affermatisi i comuni, diminuita l'abitudine della guerriglia fra le famiglie nobili, anche i signori ricominciarono a costruire le loro dimore in città, dimore che conservarono talvolta il carattere del castello, pur non avendone generalmente la funzione. In Francia tali costruzioni si chiamarono hôtels, che spesso erano costituiti da una grande corte chiusa d'ingresso (corte d'onore) colla abitazione nel fondo ed i servizî (scuderie, magazzini, ecc.) intorno. Le stanze erano collocate l'una dopo l'altra, sovente senza disobbligo e senza attribuzione d'un uso preciso. Gli appartamenti di ricevimento erano a pianterreno, quelli di abitazione al primo piano; dietro era un cortile di servizio o un giardino su cui si affacciava una piccola torre quadrata con la scala, torre che spesso era posta verso il cortile anteriore. Frequentemente a fianco del grande cortile d'onore ne esisteva uno più piccolo comunicante con esso e con la pubblica via, adibito specialmente ai servizî di scuderia.
In Inghilterra e in Germania, durante il periodo gotico, era pure importante la costruzione dei manieri o castelli: in quelli inglesi cominciava a individuarsi il tipo della hall d'ingresso, diffusasi più tardi in tutta Europa. In Inghilterra notiamo, forse come imitazione in piccolo dell'architettura frammentaria dei castelli, il sorgere dell'architettura dei cottages, che artificiosamente cercava riprodurre la naturalezza disordinata e pittoresca degli aggruppamenti casuali, avvenuti nella storia, e traeva partito da tal carattere, per dare grande importanza all'ingranamento della pianta dal punto di vista della più comoda distribuzione pratica. In Italia i palazzi o le case signorili di città, nel periodo precedente il Rinascimento, si diffusero molto, assumendo aspetti assai diversi: ogni famiglia gentilizia aveva il suo. Sovente nelle case italiane si mantennero elementi proprî della casa romana, ad esempio la corte interna, a ricordo del peristylium, motivo che vedremo poi assunto come canone generale dagli architetti del Rinascimento.
Come fu già accennato, oltre le abitazioni private si costruirono nel Medioevo anche tipi di edifici, che, pure essendo classificabili in altre categorie per la loro funzione, possono considerarsi come appartenenti alle costruzioni collettive. Soprattutto lurono importanti le costruzioni monastiche (conventi, monasteri, abbazie): dai primi esempî sorti in Oriente ed in Occidente, in seguito al trionfo del Cristianesimo, si svolsero forme di un'organizzazione architettonica assai complessa in ogni paese d'Europa. Le abbazie, entro una cinta chiusa, ospitavano, oltre le chiese e i luoghi di preghiera, tutto quant'era necessario alla vita ed al lavoro di numerosissimi religiosi. Assunsero anche un certo sviluppo durante il Medioevo alcuni tipi di ospizî e di ospedali, edifici pressoché sconosciuti ai pagani. La loro istituzione fu dovuta in gran parte al crescente senso di pietà cristiana, ed in un primo tempo furono annessi ai monasteri. I primi esempî si ebbero nei secoli III e IV d. C.: più tardi se ne fecero con carattere più particolare; ad esempio i lebbrosarî che furono molto efficaci nel liberare l'Europa dal terribile male asiatico. Fin dal Medioevo gli istituti ospedalieri si resero talvolta indipendenti dalle organizzazioni religiose, e se ne costruirono di bellissimi in fabbriche isolate.
L'epoca del Rinascimento e del Barocco in Europa (dagli albori del sec. XV alla metà del sec. XVII). - L'architettura romanica e gotica, dall'Italia, dalla Francia e dalla Germania si era diffusa in tutta l'Europa civile. I paesi che avevano subìto tali tendenze architettoniche di riflesso, le attuavano tardivamente, mescolandole e complicandole con forme proprie. Questo dicasi della Spagna e del Portogallo con lo stile Mudéjar, arrivato al suo apogeo nel sec. XV; e dell'Inghilterra, ove il gotico importato dai paesi continentali del nord perdurava nella sua speciale interpretazione detta perpendicolare o, dalla dinastia regnante, Tudor, fino alla metà del sec. XVI. La Russia, abitata fino al sec. VI da orde nomadi e sottomessa poi ai conquistatori goti e unni, vedeva cominciare la sua storia nel sec. IX, con l'impero dei Rurik. Nel Kremlino ed in poche altre fabbriche offriva la manifestazione della sua unica arte originaria, dominata da influssi bizantini e musulmani. Più tardi il romanico e il gotico recavano in Russia un'architettura d'importazione, nella quale nessuna nota originale offrivano le abitazioni, giacché, salvo i rari monumenti e le case edificate dai principi, dai nobili e dalla ricca borghesia, la massa del popolo costruiva le sue case di legno.
Ma, agli albori del sec. XV, allorché in tutto il mondo civile perduravano le forme di architettura e di abitazione offerte dalla civiltà medievale ed espresse dalle forme romaniche e gotiche (fig. 38), in Italia sorse ed ebbe meraviglioso impulso quel profondissimo movimento sociale, culturale ed artistico del Rinascimento, che, insieme col rinnovellamento generale, determinò anche un nuovo orientamento architettonico ed edilizio.
Dal punto di vista espressivo, il Rinascimento segnò la ribellione del senso decorativo, e cioè della potenza estetica spirituale, contro la razionalità eccessiva dello stile gotico. La reazione ebbe giustamente luogo in Italia, dove il nuovo senso umanistico, esaltatore dell'efficacia idealistica dello spirito, aveva sentito la povertà dell'assoluto raziocinio in fatto d'arte, raziocinio che d'altronde, nel nostro clima, a elifferenza di quanto si era verificato nei paesi nordici, non era mai riuscito ad essere l'unica norma architettonica nemmeno durante la fioritura delle forme gotiche. L'umanesimo avvertì l'esaurimento del gotico e ritornò alle fonti dello spirito italiano: ecco l'architettura del Rinascimento che, insieme con le espressioni decorative romane, derivò dai monumenti ristudiati e rivissuti anche molte strutture ed attitudini organiche. Le abitazioni (case, palazzi, ville ecc.) parteciparono naturalmente a questo ritorno ed assunsero un po' alla volta aspetti, che, pur rimanendo aderenti alla necessità della nuova èra, tenendo conto cioè delle esperienze recenti e conservando molti caratteri volumetrici e formali degli edifici medievali (come ad esempio la molteplicità dei piani, economicamente vantaggiosa, e l'apertura delle finestre sull'esterno, vantaggiosa igienicamente ed esteticamente), profondamente innestando in essi altri caratteri strutturali decorativi, tratti dall'èra classica, resero capaci i nostri edifici della Rinascenza di farsi per lunghi secoli modello a tutto il mondo civile. Per quanto riguarda l'abitazione privata, non si attuarono, in Italia, durante il Rinascimento, e cioè presso a poco dagli albori del sec. XV in poi, tipi nuovi di edifici in confronto delle epoche precedenti. Dopo l'età dei feudi e poi dei comuni, quando le rivalità partigiane si acquietarono ed il potere si accentrò in organismi politici più vasti, con la costituzione delle Signorie e delle Repubbliche, si rese sempre più vana la costruzione dei castelli e fu promossa invece quella dei palazzi di città, delle comunità municipali e delle famiglie gentilizie e borghesi. Tali costruzioni perdettero sempre più l'aspetto militaresco ed assunsero invece quello della ricchezza e della nobile piacevolezza. Ai castelli del contado si sostituirono le ville ed i casini di campagna, gai luoghi di piacere per gli uomini del tempo, sani, spregiudicati, amanti della natura e delle sue gioie.
Per non far qui la descrizione minuta e l'illustrazione dei singoli tipi di abitazione, ci limiteremo ad una classificazione approssimativa. La casa di abitazione comune borghese e popolare in Italia rimase, nel Rinascimento come nel Medioevo, limitata quasi sempre all'uso di una sola famiglia, che la possedeva o la teneva in affitto per un lunghissimo periodo. Non esisteva cioè ancora la casa a molti alloggi. La disposizione interna ed i criterî costruttivi rimasero pressoché inalterati, mentre invece venne ad evolversi e a mutarsi la decorazione esterna, seguendo i nuovi indirizzi artistici. Il programma dell'uso di questi tipi di abitazione si può così riassumere: al piano terreno erano i servizî e le botteghe, talvolta messi in comunicazione diretta con l'eventuale piano ammezzato ove erano gli uffici amministrativi o le abitazioni dei tenutarî: al primo piano eran situati gli ambienti destinati a relazioni esterne, ed al secondo piano le stanze da letto (tav. XI). Le case signorili ed i palazzi risentirono più profondamente l'innesto dell'architettura classica. Venne abbandonato lo schema irregolare e frammentario e fu poderosamente inquadrato l'organismo degli edifici in una pianta rettangolare o quadrata con un cortile centrale ispirato al peristilio romano, attorno al quale, verso l'esterno dell'edificio, erano disposte le sale e le stanze, tutte in comunicazione fra loro (fig. 39). Il disobbligo dei varî ambienti era assicurato da gallerie o portici completamente aperti, disposti lungo tutti e quattro i lati del cortile negli edifici più sontuosi, o lungo due o uno di essi nelle abitazioni più modeste. Tale portico si ripeteva a tutti i piani: al terreno, ov'esso s'incontrava con l'androne d'ingresso, era la scala. Tale norma, pressoché fissa, non vietava il più disparato e vario comporsi della costruzione. L'utilizzazione degli ambienti non era dissimile da quella adottata per la casetta borghese. Al piano terreno erano i servizî e sovente, anche nei palazzi, le botteghe. Al primo piano erano gli ambienti di rappresentanza, al secondo le camere private, nel sottotetto le abitazioni per le persone di servizio. Mentre l'appartamento di rappresentanza era molto lussuoso, spesso le camere da letto erano piccole, mal distribuite, senza disobbligo, o servite da gallerie aperte a tutti i venti.
Come dicemmo, ritornò in voga in questo periodo la costruzione di ville di campagna all'uso romano: isolate in bellissimi giardini, poste sulle alture più ridenti, erano congiunte al suolo da verande, scale e terrazze; lo stesso terreno era reso opera architettonica per la sapiente disposizione degli alberi ed il bel disegno dei viali, delle scalee, dei meandri fioriti, dei ruscelli.
Dall'Italia le rinnovate tendenze classiche si diffusero all'estero pervadendo un po' alla volta tutta l'Europa, sia per opera diretta di architetti italiani chiamati all'estero, sia per opera di artisti locali venuti nel nostro paese a studiare quel meraviglioso risveglio. E naturale che anche le forme di abitazione in tutta Europa risentissero il nuovo influsso.
La Francia cominciò ad imitare la Rinascenza italiana nel secolo XVI, pei frequenti contatti attraverso il regno degli Angioini e le campagne di Carlo VIII e Luigi XII. Essa era, però, molto attaccata alle disposizioni interne tradizionali delle abitazioni medievali, cosicché per lungo tempo le nuove forme agirono solo in senso decorativo, mentre le piante fino al sec. XVII rimasero pressoché inalterate. Nelle case, infatti, della media borghesia, si trovava ancora la salle basse al pianterreno, che serviva da stanza da pranzo e lavoro, talvolta da cucina durante il giorno, da camera da letto per la servitù, di notte; e la grande salle al primo piano, che serviva da camera da letto per il capo di famiglia ed insieme da stanza d'onore. Soltanto durante i regni di Luigi XIV e Luigi XV, la cucina si staccò definitivamente dalla sala da pranzo e la grande salle si divise in una camera da letto più piccola ed in una sala di ritrovo. Palazzi e castelli mantennero le piante tradizionali, col corpo di fabbrica principale situato tra la corte d'onore ed il giardino e con quel loro libero aggruppamento di vani, consigliato soprattutto da ragioni di utilità distributiva: solo i prospetti assunsero forme classiche, alle quali però l'arte francese, per attitudine tradizionale piuttosto razionalistica che estetizzante, cercò annettere maggior senso di costruttività e di aderenza agli schemi distributivi di quanto non si curasse di fare l'italiana. Alcuni elementi architettonici particolari autoctoni permasero, specie nelle forme dei tetti, sì da conferire a quelle costruzioni aspetto proprio ed inconfondibile. È caratteristico in questa fase dell'architettura domestica francese l'assoluto distacco fra il lusso incredibile delle costruzioni aristocratiche e la povertà delle borghesi, sintomo evidente della profonda distanza sociale e psicologica fra le classi, foriera di reazioni equilibratrici.
La Germania (tav. XII), l'Ungheria e l'Austria conobbero e fecero propria la Rinascenza durante il sec. XVI, specialmente per la costruzione di palazzi all'italiana, eseguiti colà da artisti nostrani chiamati dalle corti dei principi e dai ricchi nobili. Così a Heidelberg, a Dresda, a Norimberga, ecc., e specialmente, a Praga. Gli artisti italiani costruirono talvolta interi quartieri; le forme della Rinascenza si estesero poi anche alle costruzioni minori eseguite da architetti locali. In Ispagna il movimento fu pure seguito con un certo ritardo e mescolando sempre elementi moreschi alle nuove forme, creando delle fabbriche assolutamente caratteristiche. Anche l'Inghilterra arrivò adagio alla Rinascenza, agli inizî del sec. XVII, prima per influsso della cultura italiana, poi di seconda mano attraverso la Rinascenza francese.
Alla classe delle abitazioni collettive e di quelle ad esse assimilabili, il Rinascimento diede apporto notevole. Le istituzioni ecclesiastiche continuarono il loro sviluppo, senza manifestare particolari innovazioni, ma adottando i nuovi processi stilistici. In seguito all'organizzazione delle milizie permanenti negli stati di notevole estensione fondati in questo periodo in Italia e all'estero, si svolse la costruzione delle caserme come edifici a sé, mentre durante il Medioevo si usavano in loro vece interi quartieri di case d'abitazione, requisiti temporaneamente per la residenza delle milizie raccogliticce, adunate per le varie azioni guerresche. Nel Rinascimento furono fondati in gran numero ospedali, ospizî ed istituti varî (collegi, seminarî, ecc.); alcuni di essi sono capolavori di architettura oltre che edifici composti con tutte quelle norme tecniche che la incerta scienza medica d'allora poteva richiedere.
Dalla metà del sec. XVII alla seconda metà del sec. XIX. - Dopo l'età barocca, l'abitazione nei paesi più civili d'Europa e d'America entra in una fase che si potrebbe definire moderna. S'avvicina l'età della borghesia, lo sviluppo demografico si fa più sensibile, e la popolazione in aumento deve essere contenuta nelle città, che non possono crescere a dismisura, sia perché serrate nelle cinte, sia perché ovvie ragioni di economia ne vietano l'eccessiva estensione planimetrica. Sorgeva, quindi, il problema di contenere una popolazione sovrabbondante in un'area relativamente piccola, ed anche quello di contenerla in abitazioni, se non comode, almeno igienicamente discrete. Molto amplificato, è lo stesso problema che vedemmo proporsi alle antiche metropoli romane, quello cioè della casa d'abitazione a più piani, con molti alloggi da cedere in affitto a diverse famiglie. Per tali tipi d'abitazioni, i materiali costruttivi rimanevano presso a poco quelli delle epoche antecedenti: anche lo stile non doveva subire modificazioni essenziali. Ovunque si era esteso ormai lo stile classico della Rinascenza, mostratosi sufficientemente duttile per adattarsi a qualunque tipo di costruzione. La possibilità infatti di costituire degli ordini multipli o giganteschi, schematici o embrionali, su altissimi zoccoli e con cornici ed attici rilevantissimi, permetteva di adattare l'organismo classico a case di molti piani, i cui interassi di finestra potevano essere in vario modo inseriti nel ritmo verticale dell'ordine stesso.
In Italia gli edifici d'abitazione sontuosi tipici del Rinascimento e del Barocco, il palazzo e la villa, che già vedemmo giungere al culmine della perfezione estetica, e di cui tutti i massimi architetti lasciarono stupendi esemplari, rimasero pressoché invariati nei loro canoni distributivi, subendo invece le variazioni stilistiche proprie della nuova età, e cioè prima la sontuosa grandiosità, poi l'ampollosità e quindi la decadenza. Invece, la casa borghese subì modificazioni profonde: si abbandonarono totalmente gli schemi medievaleggianti, e presero forma quelli moderni, comprendenti più alloggi distribuiti in vari piani. Roma è una delle prime città che fin dalla seconda metà del sec. XVI adottarono su vasta scala tale tipo di abitazioni, delle quali molte sono tuttora in efficienza.
Poco oltre la seconda metà del Settecento, in Italia prima e quindi all'estero, la stanchezza a cui erano giunte le forme architettoniche svoltesi dalla Rinascenza, indusse al rinnovamento neoclassico che si verificò, parallelamente, anche in pittura e scultura.
Tale ritorno stilistico ad una maggiore severità e semplicità, desunte dall'antico, nulla implicò dal punto di vista strutturale: le disposizioni delle abitazioni rimasero press'a poco immutate anche per buona parte del sec. XIX, e cioè fintantoché maturarono i tipi modernissimi.
Nella Francia si avvertirono press'a poco gli stessi sviluppi. Durante il secolo XVII le abitazioni di lusso, palazzi, hôtels, castelli, ville, che avevano bensì derivato lo stile esterno dalla Rinascenza italiana, ma avevano mantenuto buona parte delle distribuzioni planimetriche medievali, aderirono sempre più ai canoni organici classici: così si accentuò l'uso delle lunghe sfilate di sale comunicanti, mentre generalmente permase l'abitudine di lasciare il corpo di fabbrica principale fra la corte d'onore ed i giardini. Esteriormente le abitazioni, come le altre architetture, subirono tutte le variazioni stilistiche passate alla storia sotto il nome degli ultimi re di Francia; durante il regno di Luigi XIV e Luigi XV si distinsero per un'intonazione di sempre maggior fasto superficiale ed ampollosità formale; poi, sotto Luigi XVI, tornarono ad una relativa castigatezza: sopraggiunsero la Rivoluzione e quindi l'Impero, il quale, derivando dall'Italia il già sorto stile neoclassico, lo eresse, sia pure con qualche apporto originale, ad architettura di stato, in quel fecondissimo periodo di sviluppo dell'edilizia francese pubblica e privata. Allora ebbero grande importanza le case d'abitazione civile per la borghesia, ad appartamenti distinti e varî piani; edifici che, data la quantità indeterminata degli alloggi contenuti e quindi le molteplici forme planimetriche e le variabili altezze, assunsero aspetti differentissimi fino a distinguersi in molti tipi a seconda dell'uso. In Inghilterra le abitazioni subirono analoghi sviluppi: non mai però, dopo il periodo gotico, secondo un'unità architettonica e stilistica nettamente determinata, ma secondo una decoratività d'ordine frammentario ed archeologico, formata da un'accozzaglia di varî elementi messi insieme. Questo dicasi per le costruzioni di città, mentre i cottages e i castelli nobili di campagna, che abbiamo visto svolgere ininterrottamente le loro forme dal Medioevo in poi, ebbero sempre un'impronta architettonica ben netta. In Francia e anche in Italia vedemmo le costruzioni civili con molti alloggi assumere sempre maggiore importanza: in Inghilterra, invece, le possibilità economiche più vaste e il senso più intimo della home combatterono a lungo la tendenza collettivistica, cosicché anche oggi le abitazioni isolate per una sola famiglia, o tutt'al più abbinate, sono in grande maggioranza.
La Spagna e il Portogallo furono in questo periodo tributarî della Francia, sia per l'organismo delle abitazioni sia per lo stile architettonico.
In Germania e in Austria, nei secoli XVII e XVIII e agli inizî del XIX, all'influsso della Rinascenza italiana si mescolarono reminiscenze francesi e olandesi, poi si cadde nel barocco ispirato allo stile Luigi XV; infine si ritornò al classico con rinnovata pedanteria. Nei palazzi principeschi e nelle ville, la struttura rimaneva per tutto il periodo molto vicina all'uso italiano, salvo nelle proporzioni dei vani, talvolta più imponenti, e nella maggior complessità dei servizî.
Per la Russia sarà sufficiente dire che, dopo la prima fioritura architettonica originale della quale già si è parlato, non è più esistita fino ad oggi un'architettura tipica nazionale, né come struttura né come decorazione: a parte le case di provincia, fatte frequentemente di legno, le altre abitazioni di pregio, nelle città, furono in genere eseguite da architetti francesi ed italiani. Gl'italiani prevalsero specialmente nel Rinascimento e nel sec. XIX, i francesi nel sec. XVIII. Tali architetti eseguirono soprattutto i palazzi, le case signorili, e gli edifici pubblici; le altre fabbriche minori furono poi fatte da artisti locali, che però si attennero ai modelli stranieri. Negli Stati Uniti d'America la prima architettura civile, importata dagli Inglesi, subì appunto lo sviluppo dell'arte inglese dell'epoca, ed ebbe nei secoli XVIII e XIX carattere eclettico e farraginoso, pseudo-classico con contaminazioni anglo-romaniche e gotiche: architettura che è durata si può dire fino ad oggi, quando gli specialissimi attributi strutturali delle costruzioni americane permettono di far prevedere, oltre i primi saggi, la formazione di uno stile del tutto originale e moderno. Le abitazioni americane di campagna attinsero gli elementi organici dai cottages inglesi: alle similari costruzioni inglesi si ispirarono in America anche le ville ed i palazzi. Nell'America del Centro e del Sud la colonizzazione spagnola influì anche sull'architettura. Le abitazioni sud-americane somigliarono molto dal punto di vista strutturale e decorativo a quelle spagnole della stessa epoca: si svolse quindi un caratteristico stile coloniale, cui sono improntate specialmente le fabbriche di campagna.
Nei secoli XVIII e XIX i tipi di abitazioni collettive, come ad esempio monasteri, conventi, ospizî varî (per malati, vecchi, orfani, ecc.) col procedere dell'organizzazione sociale si vennero completando e moltiplicando, avvicinandosi un po' alla volta alle loro espressioni contemporanee.
L'epoca contemporanea. - Il sec. XIX, ed ancor più il XX, avendo determinato sempre più complessi bisogni, ed avendo imposto alle città soluzioni di problemi edilizî mai fino allora presentatisi, offrono alle strutture delle abitazioni temi e forme radicalmente nuovi. La facilità, la rapidità e la necessità dei continui rapporti culturali, commerciali e finanziarî tra i varî popoli vanno progressivamente cancellando le diversità nel modo di vivere degli uomini e promovendo una identità di condizioni sociali, a cui corrisponde identità di soluzioni costruttive nelle abitazioni, salvo, s'intende le peculiari differenze inerenti ai climi, alle condizioni d'ambiente, ecc. Potremo quindi unificare la descrizione e lo studio di esse in tutto il mondo civile, limitandoci poi ad esporre le eccezioni.
Così, i popoli dell'Oriente e dell'Africa sono anche per il lato architettonico sotto l'influenza europea, e si sono determinati nuovi tipi di costruzioni e nuovi incroci di stili, i quali guadagnano sempre più terreno a scapito delle forme tradizionali. Nel Giappone, ciò è più evidente che altrove, ed è naturalmente da mettere in relazione con il fatto che questo paese è, fra quelli dell'Oriente il più aperto agli influssi europei. Non mancano, s'intende, paesi (come p. es., la Cina, l'India, le parti dell'Asia e dell'Africa dove fiorì la civiltà musulmana) in cui questo influsso è ancora assai lieve in confronto col persistere delle antiche tradizioni; ma, ad eccezione di essi, come di qualche altro, specie nella vecchia Russia e nell'America del sud, ove vigono tuttavia tipi d'abitazione non propriamente primitive, ma fuori della corrente moderna dell'arte edilizia, il resto del mondo costruisce con sistemi, se non identici, almeno strutturalmente analoghi e rispondenti ad esigenze grosso modo comuni a tutta la civiltà odierna.
Gli organismi delle abitazioni moderne sono dominati, specie nei paesi a più alta civiltà, dall'uso dei nuovissimi processi costruttivi, come, ad esempio, i varî materiali metallici adatti per strutture portanti, i laterizî nelle loro recenti più complesse forme, i conglomerati cementizî e cementi armati, ecc. Di più trovano nelle abitazioni adeguata applicazione tutti i più moderni ritrovati scientifici e tecnici atti a rendere più agevole e piacevole la vita (sistemi di riscaldamento e raffreddamento, ventilazione e isolamento, impianti idrici ed elettrici, telefono, radio, ecc.). Insieme perdurano tutti i precedenti elementari sistemi costruttivi, come la muratura in pietra e in mattoni, il legno, i marmi, ecc. Dal punto di vista espressivo, dopo gli ultimi sviluppi dell'architettura classica, le abitazioni hanno assunto un aspetto non nettamente definito, benché prevalentemente orientato ancora verso qualcuna delle tante manifestazioni stilistiche del classico. Ma le fonti d'ispirazione sono oggi diversissime: si può dire che buona parte dell'architettura mondiale, dalle sue origini, è stata riesumata e riadattata alle strutture moderne, e, purtroppo, quasi sempre inadeguatamente. Anche nelle abitazioni dunque, il carattere estetico dominante è l'eclettismo, spessissimo insincero, vuoto e triviale. Nell'Europa settentrionale e nell'America, ove nuove ed originali esigenze stilistiche si manifestano, anche le abitazioni ne sono informate: si sta determinando in tutti i paesi una nuova tipologia stilistica, aderente alle nuove necessità strutturali ed alle nuove sensibilità formali, la quale, però, in nessun luogo ancora si è concretata in modo definitivo e permanente.
Dal punto di vista distributivo, abbiamo già detto come la radicale trasformazione delle condizioni economiche e sociali abbia recato nell'ultimo secolo una inaudita amplificazione e differenziazione dei tipi di abitazione. Genericamente, si può dire che il più umile tipo di abitazione moderna è oggi organizzato con tali accorgimenti di disposizioni planimetriche (per quanto si riferisce al disimpegno e alle comodità degli ambienti, alla loro aereazione ed illuminazione, ecc.) che un tempo non erano richiesti nemmeno per le abitazioni più sontuose. Nessuno oggi potrebbe tollerare sia pure in alloggi per famiglie di modestissime condizioni la deficienza d'ogni comodo che anche soltanto un secolo fa era giudicata sopportabile nonché dal popolo, dalla borghesia.
L'abitazione moderna.
Ogni abitazione moderna è costituita da un insieme di ambienti aventi tre distinte e bene individuate funzioni, e cioè: ambienti di ricevimento, nei quali si svolge la vita dell'abitatore in rapporto alle sue relazioni esterne; ambienti di abitazione privata, nei quali si svolge la sua vita intima; ambienti di servizio, nei quali si compiono gli atti sussidiarî, che non è necessario mettere in rilievo nell'edificio, ma è bene tenere appartati. Mentre nelle abitazioni grandiose, adatte alle persone molto ricche, ciascuna di queste tre classi di ambienti è rappresentata largamente, nelle abitazioni povere può essere invece ridotta al minimo. Il programma massimo può essere composto dei seguenti locali:
1. Classe degli ambienti di ricevimento. - Cortile d'onore anteriore o centrale, portico, alloggio del portinaio, vestiboli o halls, anticamere, saloni e salotti, scala monumentale, spogliatoi con toilette, corridoi e gallerie, sala da pranzo, offices, sale da bigliardo e da fumo, giardino d'inverno, terrazze, serre, verande, parchi o giardini, ecc.
2. Classe degli ambienti di abitazione privata. - Camere da pranzo particolari, depositi di argenterie, cristallerie, ecc., camere da letto, gabinetti da toilette, sale da bagno, camere per bambini, guardaroba, stanze da lavoro e da ufficio, studî e biblioteche, ecc.
3. Classe degli ambienti di servizio. - Offices, camere per domestici, stanze da pranzo per domestici, cucina, lavanderia e stireria, stanze di deposito per viveri, credenze, ghiacciaie e cantine, scuderie, sellerie e rimesse, cortili e scale di servizio, ascensori e montacarichi, scarico delle immondizie, stanze per termosifone o calorifero, depositi varî di carbone, di legna, ecc., telefono, gabinetti di toilette per servizio, cisterne, ecc.
Diminuendo il fasto e la grandiosità dell'edificio, il programma diminuisce. Così ad esempio nelle ricche case ad un solo alloggio per piano, vengono eliminati tutti gli ambienti descritti prima, esterni all'edificio, e molti altri, a seconda dell'ampiezza del piano e delle necessità dell'abitazione. Nelle case borghesi d'affitto si hanno ulteriori riduzioni, ed altre ancora nelle case popolari ed operaie, finché si può arrivare al programma minimo degli alloggi più piccoli composti d'una sola stanza e cucina con ingresso e gabinetto, o a certe baite di montagna composte di uno o due ambienti che corrispondono a tutte e tre le classi di locali sopradescritti.
In un'abitazione è importantissimo lo studio della mutua disposizione delle tre classi d'ambienti considerate, l'ingranamento fra di esse, il disimpegno e le reciproche dipendenze delle varie stanze, l'orientamento di ciascuna, la loro altezza in funzione dell'ampiezza, ecc.
In genere si può dire che, se l'abitazione comprende varî piani, gli ambienti di ricevimento sono ben collocati a pianterreno, quelli d'abitazione nei piani superiori, quelli di servizio nel sottosuolo, nel sottotetto o negli edifici annessi al principale. L'orientamento più vantaggioso è quello per cui le stanze principali, abitate di giorno, sono disposte a preferenza verso l'est e sud-est, gli ambienti di servizio a nord, gli ambienti di rappresentanza ad ovest o a sud se non vi sia l'abitudine di passare in essi la giornata. Altre regole innumerevoli di buona disposizione variano a seconda dei tipi di abitazione.
Abitazioni private. - Considereremo singolarmente i varî tipi di abitazione odierna, cominciando dai più modesti ed elementari e procedendo verso i più ricchi e complessi.
1. Case rurali d'abitazione. - Sono le abitazioni dei contadini e dei montanari. Esse vanno distinte in due classi: la prima comprende le dimore fabbricate dalla gente della terra per proprio uso diretto, a prescindere da ogni organizzazione di carattere industriale od agricolo più complesso. Risalgono spesso ad epoca antica, sono isolate o raggruppate in casali (poi in paesi, borgate, ecc.); così le baite ed i casolari di montagna, gli chalets, le cascine, le case di campagna ecc. Tali costruzioni hanno sovente piante casuali o assolutamente primitive, sono costruite con materiali del luogo e non rispondono ad alcuna esigenza tecnica o estetica che non sia richiesta dai bisogni elementari o dall'innato buon gusto dei primitivi abitatori. La seconda classe comprende invece le abitazioni rurali organicamente preordinate e costruite da imprenditori di aziende o industrie agricole. Esse vengono costruite con materiali più complessi e secondo disposizioni planimetriche rispondenti allo scopo pel quale furono fatte. Abbiamo così le case o borgate coloniche, le fattorie, ecc. Alcune di queste costruzioni, destinate ai proprietarî o conduttori delle aziende o alla villeggiatura, possono essere fabbricate con più cura e possono diventare sedi di soggiorno piacevole. Abbiamo così i villini e le case padronali di campagna, i cottages dei proprietarî in Inghilterra, ecc.
2. Case operaie e popolari. - Questo tipo di abitazioni collettive è assolutamente recente ed ebbe origine specialmente dalle necessità industriali del sec. XIX. Le case operaie popolari si possono ripartire in due classi, e cioè a tipo di costruzione intensiva, o estensiva, in base alla maggiore o minore densità dei vani di abitazione in confronto alla superficie di terreno fabbricabile su cui sono ripartiti, e secondo quozienti non assoluti, ma contenuti in limiti che verranno esposti a suo luogo. La prima classe comprende le costruzioni a blocco: sono case a molti piani, raggruppate generalmente in grossi lotti attorno a spaziosi cortili. Il blocco è servito da varie scale, di cui ciascuna disimpegna parecchi alloggi per ogni piano. Tale sistema è molto economico per evidenti ragioni di risparmio nell'area coperta e nella unificazione dei servizî, per la ripartizione del costo del tetto e delle fondazioni su gran numero di piani ecc.; è però poco conveniente all'igiene e alla morale. Si attua in genere in zone perimetrali delle grandi città, specialmente industrialì. Il secondo sistema delle costruzioni estensive, è molto più sano e piacevole, ma più costoso. Se la plaga adibita alle costruzioni è sufficientemente ampia, si hanno le città operaie, o i sobborghi-giardino. Questi sono costruiti nell'immediata vicinanza dei grandi centri industriali o minerarî, isolati nella campagna, oppure ad una certa distanza dalle metropoli, in zone ridenti e collegate ad esse con rapidi mezzi di trasporto. In tali organismi le abitazioni sono in genere circondate da un terreno coltivabile a giardino o ad orto, hanno soltanto uno o due piani fuori terra, contengono un limitato numero di alloggi: possono essere formate da pochi elementi planimetrici isolati, oppure essere raggruppate variamente in serie, o essere disposte a schiera.
Si può distinguere una terza classe di tali costruzioni, intermedia, a tipo semintensivo; usata molto di rado per case operaie e popolari. L'aspetto architettonico delle case operaie o popolari deve essere molto sobrio ed attingere la propria espressione soprattutto al giuoco dei volumi e ad altri elementi strutturali. I servizî interni e l'arredamento, pure essendo improntati alla massima semplicità ed economia, debbono essere rigorosamente rispondenti ai canoni dell'igiene e della indispensabile comodità.
3. Case civili di abitazione. - Anche le case civili di abitazione possono essere distinte in tre categorie e cioè a tipo di costruzione estensivo (fig. 40), intensivo (fig. 41), e semintensivo. La prima categoria comprende le case isolate, con pochi piani (due o tre fuori terra) e di scarsa superficie coperta. In genere, tali costruzioni non sono poste sul filo stradale, ma nell'interno di un lotto di terreno libero e cintato, e si fabbricano in zone piuttosto eccentriche della città, ove il terreno costa meno. La casa isolata comprende al limite superiore le costruzioni signorili di cui parleremo in seguito (palazzetti, ville, ecc.), a quello inferiore le casette popolari ed operaie di cui abbiamo già parlato. In mezzo sta l'ampia categoria delle case isolate per il medio ceto, che possono essere costruite in città o in campagna e hanno nei due casi requisiti diversi. Tutti i regolamenti edilizî statali e provinciali contengono norme circa la conformazione di questi villini o casette in città, circa la loro possibile superficie coperta in confronto all'area totale del lotto di terreno, i distacchi dai confini, le altezze, ecc. La loro composizione planimetrica può essere quanto mai varia, e svariatissimi sono i sistemi e i particolari costruttivi e decorativi.
Le costruzioni d'abitazione civile semintensive possono essere costituite nella città da palazzine o case isolate in lotti di terreni cintati, con un coefficiente di area edificabile maggiore dei villini e con un numero maggiore di piani (3 o 4 fuori terra); contengono un certo numero di alloggi in affitto o in condominio, serviti da una o più scale, con tutte le comodità necessarie al grado sociale degli abitatori, in genere abbastanza elevato.
Infine abbiamo le case civili di abitazione a costruzione intensiva, che costituiscono, nelle odierne grandi città, il nucleo più importante di fabbriche. Sono le grandi case da pigione, allineate lungo le arterie stradali, a contatto con le loro vicine, contenenti moltissimi alloggi disposti nei numerosi piani e serviti da varie scale, di cui ciascuna disimpegna parecchi alloggi per piano. Hanno organismi planimetrici diversissimi, a seconda dell'ubicazione e della destinazione, talvolta hanno cortili interni, spesso sono isolate tra pubbliche vie. Anche per tali costruzioni i regolamenti edilizî dànno norme specifiche per quanto riguarda le altezze, i distacchi, le chiostrine, e tutti i più importanti elementi influenti sulle caratteristiche tecnico-igieniche e sulla delimitazione giuridica dei diritti e degli oneri tra i confinanti. A seconda del grado di comodo e di lusso, queste abitazioni possono essere destinate al medio ceto (case economiche) o alle classi signorili. Nelle abitazioni signorili gli alloggi sono molto meno numerosi ma più grandi serviti da scale principali spaziose e da scale di servizio e con un organismo distributivo spesso grandioso.
Esistono altri tipi di abitazioni civili adatti al medio ceto ed alle classi ricche, le quali sono in parte adibite ad aziende commerciali e conformate a tal uopo. In genere, tali costruzioni sono in zone centrali della città.
I negozî, i magazzini, i varî studî ed uffici tecnici e commerciali, occupano in esse i piani inferiori, mentre i superiori sono adibiti ad abitazione. A questa categoria possono essere assegnati anche i grattacieli americani, i quali, ove non siano esclusivamente adibiti ad aziende industriali od all'uso di determinati enti pubblici e privati, com'è di regola, sono appunto a sistema misto.
4. Abitazioni signorili. - Anche oggi si continuano a costruire le sontuose abitazioni comuni a tutte le età passate: palazzi, ville e castelli. Le più ricche tra queste dimore servono tuttora di abitazione ad una sola famiglia; allora sovente il programma massimo degli ambienti, esposto dianzi, si effettua integralmente: frequente è anche la costruzione di case molto signorili con alloggi distinti, nei quali detto programma subisce riduzioni notevoli. I palazzi che fino a tutta l'età dello stile neoclassico erano costruiti secondo gli schemi della Rinascenza, oggi sono ordinati nel modo più libero e vario: possono essere completamente isolati, in parchi o giardini, ma talvolta anche a contatto con altre costruzioni. In campagna o in montagna le famiglie più facoltose edificano tuttora grandi ville o pseudo-castelli, spesso imitando i modelli antichi, ma anche con piante e tentativi stilistici del tutto originali. Naturalmente le più complete comodità moderne e la perfezione dei servizî le caratterizzano, insieme con la cura posta nel sistemare artisticamente il terreno nelle vicinanze, con lo sviluppo o la creazione di parchi e giardini.
Abitazioni collettive. - Come già è stato detto, sono sorti oggi molti tipi di abitazioni collettive, adibite alla vita domestica comune di gruppi o categorie speciali di individui. Alcune di queste costruzioni per i loro caratteri e per le loro funzioni sono simili alle abitazioni private, altre se ne differenziano notevolmente.
Fra le prime possono essere annoverati alcuni tipi di case modernissime in cui l'accentramento dei servizî collettivi (riscaldamento, illuminazione, asportazione delle immondizie, ecc.) è molto più accentuato. Così ad esempio le apartment houses americane sono costituite da molti piccoli alloggi privi di cucina in cui gli inquilini risiedono come in camere ammobiliate, mentre tutto il servizio è esplicato da una organizzazione centrale. Lo stesso sistema è attuato nella Ledigenheim (casa per i celibi) in Charlottenburg (Berlino), ed in altri edifici in ogni paese. Alcuni tipi di pensioni per categorie varie di persone (case per studenti, orfanotrofî, pensioni per madri nubili con figlio a carico, vedove, ecc.), sono simili a tal classe di abitazioni.
Qualora la permanenza degli individui ospitati sia più breve, com'è ad esempio nelle pensioni normali in città e in campagna, nelle residenze climatiche e di riposo, ecc., l'edificio rientra nella categoria degli alberghi (v. albergo).
Se le ragioni che consigliano la convivenza comune sono di natura sanitaria, l'abitazione si avvicina alla categoria degli ospedali e sanatorî (come ad esempio gli ospizî per i ciechi, sordomuti, od altri invalidi, brefotrofî e gerontocomî, manicomî, lebbrosarî e lazzaretti. istituti per cure climatiche, ecc.).
Se tali ragioni dipendono, invece, dalla necessità d'impartire un insegnamento agli ospiti, gli edifici d'abitazione si possono assimilare agli istituti di cultura (collegi, università private, istituti di educazione militare, seminarî, ecc.).
Le abitazioni collettive per i religiosi (conventi, monasteri, abbazie) si classificano tra gli edifici ecclesiastici.
Non è possibile elencare tutti gli edifici costruiti per usi specifici, i quali si possano considerare in qualche senso abitazioni di categorie distinte di uomini, giacché la specializzazione della vita moderna crea l'opportunità di costruirne incessantemente di nuovi.
Ricorderemo soltanto le prigioni, ramo importantissimo e d'antica origine, con le forme collaterali (reclusorî, ergastoli, istituti di correzione per minorenni ecc.); e le caserme, con le loro sottospecie (caserme per fanteria, cavalleria, artiglieria, genio, aviazione, ecc., ciascuna con speciali requisiti planimetrici e costruttivi; caserme per pompieri, gendarmi, guardie municipali, ecc.).
Bibl.: Il tema delle abitazioni in generale è trattato raramente in senso integrale in una sola opera, in tutto il suo sviluppo storico e nei numerosissimi rami in cui oggi si suddivide. La trattazione storica diffusa dell'abitazione nei varî empi si trova generalmente in tutti i buoni trattati di architettura o negli studî dell'architettura dei varî periodi storici: alle bibliografie generali comprese nelle voci apposite ci riferiamo dunque sotto questo aspetto.
D'altra parte l'analisi dei singoli tipi di abitazione moderna viene svolta o nei trattati generali di costruzioni civili o nelle infinite opere intese ad illustrare le singole categorie delle abitazioni odierne.
Vedi Cl. Sauvageot, Palais, châteaux, hôtels et maisons de France du XVe au XVIIIe siècle, parigi 1860-65; E. Viollet-le-Duc, Habitations modernes, Parigi 1874-75; A. Sacchi, Le abitazioni, Milano 1878; L. Klasen, Grudnrissvorbilder von Wohn-und Geschäfthäusern, Lipsia 1884; K. Lange, Haus und Halle, Lipsia 1885; Ch. Garnier e A. Ammann, l'Habitation humaine, Parigi 1891; A. Winkler, Die Wohnhäusen der Hellenen, Berlino 1898; A. Pedrini, La casa dell'avvenire, Milano 1902; Mathesius, Das englische Haus, Berlino 1904; E. Haenel e H. Tscharmann, Die Wohnung der Neuzeit, Lipsia 1908; C. Levi, Fabbricati civili di abitazione, 4ª ed., Milano 1910; G. Giovannoni-C. Albertini-F. Galassi, Costruzioni civili, Milano 1916; P. Wolf, Wohnung und Siedlung, Berlino 1926.
Le abitazioni nell'economia.
Il mercato delle abitazioni. - Il mercato degli edifici e il mercato dell'uso degli edifici, in un dato istante, sono per una data località "mercati chiusi", indipendenti dalla condizione dei mercati stessi in altre località.
Data la tecnica finora prevalente, occorre un certo tempo per produrre nuove case; questo tempo è ora alquanto più breve di quanto fosse nel passato, ma si aggira tuttavia intorno a un biennio. Pertanto l'offerta di edifici, rispetto a spazî di tempo non lunghi è priva di elasticità positiva.
Il capitale mobiliare impiegato nella costruzione degli edifici si incorpora con l'area in guisa da divenire pressoché irriversibile, privo di fluidità. Molto difficilmente e spesso con alto costo gli edifici costruiti per abitazioni possono trasformarsi per la destinazione ad usi industriali, commerciali, ecc. Se una città è decadente, non solo non si presenta la possibilità e convenienza di simili trasformazioni, ma non vi ha alcuna possibilità di diminuzione dell'offerta di abitazioni mediante disinvestimento del capitale; non si può prospettare la convenienza della demolizione di edifici per utilizzazione agricola dell'area e trasporto altrove del materiale edificatorio: conviene generalmente abbandonare l'edificio alla rovina. Pertanto, di fronte alla mancanza di elasticità positiva di offerta per brevi spazi di tempo, si ha la totale mancanza di elasticità negativa.
Fra gli elementi del costo di costruzione della casa spesso prevale l'area edilizia. In alcuni paesi il diritto positivo e la consuetudine economica ammettono che il produttore della casa acquisti il solo "uso dell'area", il "diritto di superficie" ottenuto per un tempo determinato (di solito, non breve), così che si ha una separazione fra la proprietà dell'area e quella del sovrastante edificio. Una tale istituzione non vige in Italia.
L'area edilizia, al pari dell'area agricola, non è producibile dall'uomo. In date località, formandosi dei nuclei di abitanti, vi ha passaggio di aree dall'uso agricolo all'uso edilizio. La retrocessione all'uso agricolo (teoricamente immaginabile) è praticamente rara. In piccole località rurali, ove i suoli edificatorî abbondino e ove la popolazione sia stazionaria, e in località decadenti ove la popolazione scemi e il flusso dei redditi vada diminuendo, mancando ogni stimolo a nuove costruzioni, le aree che sarebbero state suscettibili di uso edilizio continuano ad avere il valore connesso con l'uso agrario. Nei centri urbani progressivi (per numero o ricchezza degli abitanti o per entrambi i fattori) il caseggiato va estendendosi attraverso il tempo ed occupando via via nuove aree. Mano mano che le aree periferiche passano dall'uso agrario all'edilizio, il valore loro si eleva al di sopra della misura corrispondente all'uso agrario; ma mentre il distacco è minimo per le aree periferiche appena divengono edificatorie, il distacco va crescendo e diventa anche fortissimo per le aree ancora vacanti, site in zone più centrali, meglio appetibili. Si ha la formazione di una "rendita edilizia" analoga alla "rendita fondiaria". Più la città progredisce, e più la rendita edilizia tende a crescere. L'incremento nel valore attribuito al suolo aumenta anche per gli edifici già esistenti. Questa tendenza alla ascesa del valore dell'area non è però sempre costante e generale. In una città esistono parecchi "centri", parecchi tipi di "quartieri" (aristocratico, commerciale, industriale, operaio, ecc.); i centri mutano talora di posizione e mutano rispetto ad essi i gusti; ad es. negli ultimi tempi si è venuto diffondendo il gusto per i villini suburbani, per le "città giardino". Anche spostamenti di edifici pubblici, di stabilimenti industriali, di stazioni ferroviarie possono falcidiare il valore di date aree. L'ascesa di valore delle aree centrali è frenata dalla istituzione di mezzi economici agevoli di comunicazione (tranvie, ferrovie sotterranee) che rendono più comoda la dimora in punti periferici. Sullo svolgimento della rendita edilizia esercita anche influenza la possibilità giuridica (regolamenti comunali) e tecnica di costruire edifici molto alti; ne risulta una diversa utilizzabilità di date aree e un diverso fabbisogno di aree rispetto a una data massa di popolazione.
Accanto all'area si ha, fra gli elementi del costo, il complesso dei dispendî necessarî per la costruzione dell'edificio. L'industria edilizia è segnalata dalla lunghezza, già ricordata, del ciclo produttivo e dalla rilevanza del capitale mobiliare da impiegare. Lo svolgimento dell'industria edilizia è strettamente collegato con le vicende del mercato dei capitali, sia rispetto alla provvista del capitale, sia rispetto alla domanda di edifici. Riguardo alla prima, si hanno particolari connessioni fra l'attività edilizia e le alternative cicliche del movimento degli affari. Anche riguardo alla seconda le vicende cicliche influiscono variamente sulla domanda di edifici per l'uso loro, ma influiscono altresì sulla formazione di un nuovo stock di edifici, per la diversa posizione in cui attraverso il tempo viene a trovarsi lo speciale nucleo dei risparmiatori, i quali volentieri investono i loro risparmî in case, ritenendo che questo sia un investimento placido e sicuro (opinione ultimamente smentita dai fatti).
L'industria edilizia - attraverso spazî di tempo non lunghissimi - non presenta grandi variazioni di tecnica: mutano in misura relativamente tenue i coefficienti di fabbricazione. Data la importanza del capitale da impiegare, la lunghezza del ciclo produttivo, i caratteri della domanda ed altre circostanze economico-tecniche dell'industria, la produzione non si svolge per grandi masse di edifici, in serie; spesso si ha la formazione di imprese che curano la costruzione di un solo edificio o di pochissimi edifici contemporaneamente, con organizzazione tecnica distinta per ciascuno.
La mano d'opera applicata all'industria edilizia non è, in parte notevole, specializzata, ma è dotata di una grande fluidità specialmente in connessione con l'agricoltura; molti lavoratori "oscillano tra la zappa e la cazzuola". La maestranza è molto mobile da impresa ad impresa ed il volume dell'occupazione varia molto attraverso il tempo per circostanze stagionali e in dipendenza dell'intermittenza nella domanda di nuovi edifici. Il livello delle mercedi presenta una notevole variabilità; prima della guerra in Italia aveva subito notevoli aumenti, anche attraverso frequenti conflitti di lavoro.
Ai ricordati elementi di costo e caratteri dell'industria edificatoria, si riconnette la forma e posizione (in città progressive) della curva di offerta di case in locazione. Per i proprietarî di case di un dato tipo, il livello delle pigioni per quel tipo deve essere tale, che nel momento considerato convenga - in relazione ai prezzi delle aree vacanti e al costo di produzione degli edifici di quel tipo - continuare a costruire case per soddisfare alla domanda insoddisfatta e crescente. È cioè necessario che il livello delle pigioni assicuri alla casa ultima costruita o in corso di costruzione (alla "casa marginale") un reddito lordo tale che il rendimento netto sia almeno pari al rendimento che il capitale ricava normalmente da altri simili impieghi.
Così, adunque, per ciascun tipo di abitazione il livello delle pigioni tende a riannodarsi al costo della casa marginale. In condizioni economiche normali di mercato, il prezzo per l'uso delle case di un dato tipo tende ad essere unico sul mercato, e così anche per le case di vecchia costruzione, qualunque sia stato l'originario costo di produzione. Se il costo è crescente, risulta crescente la pigione percepita per le case già da tempo costruite. Il valore capitale di tali case cresce attraverso il tempo e l'incremento si palesa nel prezzo per i trasferimenti di proprietà. In questo incremento di valore si manifesta anche l'incremento della rendita edilizia.
Di fronte alla curva di offerta di case di un dato tipo da parte dei detentori di edifici, sta la complessiva curva di domanda da parte di tutti coloro che aspirano ad usare le case per soddisfare il bisogno di abitazione. La posizione di questa curva di domanda in un dato istante risulta dalla massa dei richiedenti, dalla intensità di tale bisogno in confronto con gli altri e dal flusso di redditi destinabile al complessivo soddisfacimento dei varî bisogni. Attraverso il tempo, cioè, la domanda aumenta (o diminuisce) a seconda che aumenta (o diminuisce) la massa della popolazione, l'intensità del bisogno di abitazione, la dimensione dei redditi. Così la dinamica nel livello delle pigioni si riconnette contemporaneamente con la dinamica demografica ed economica e col variare dei gusti. La domanda di abitazioni presenta una notevole elasticita, sia positiva, sia negativa, che varia secondo la classe sociale. Ad es. quando diminuiscono i redditi (o rialza il livello delle pigioni per effetto d'incremento nel costo di produzione delle case) si contrae la domanda: a) col passaggio di famiglie ad alloggi di tipo peggiore; b) col passaggio ad appartamenti più angusti; c) con l'ampliamento del subaffitto. Il trasferimento di una famiglia da un appartamento ad un altro importa un costo economico e talora anche un costo psicologico non lieve (mutamenti di abitudini, di relazioni, ecc.), e richiede per effettuarsi un certo decorso di tempo, connesso con la durata del contratto di locazione, con le consuetudini, ecc. Deve, pertanto, decorrere un lasso di tempo non breve, sia perché si dilati l'offerta sia perché varî la domanda di abitazioni. Nelle fasi molto dinamiche del mercato, il prezzo per l'uso delle abitazioni può cosi divergere sensibilmente da quello corrispondente alle condizioni del mercato.
Condizioni particolari si presentano nella formazione del mercato o del prezzo per le case abitate dalla classe meno abbiente. Indagini statistiche fatte ripetutamente, prima della guerra, mostrano come, in situazioni normali, le famiglie operaie destinino, al soddisfacimento del bisogno dell'abitazione, una quota del reddito pari a circa il 20%, quota presumibilmente maggiore di quella prevalente presso i ricchi. Le pigioni per le case povere sono proporzionalmente più elevate di quelle signorili e abitate da benestanti, perché spesso (soprattutto nella parte antica delle città) sono relativamente più abbondanti gli appartamenti grandi che i piccoli; perché gli operai sono inquilini meno graditi dei benestanti (risulta più costosa la gestione, più frequenti i traslochi, più numerosi i casi di morosità o mancato pagamento della pigione, più gravi le spese di riparazione e manutenzione, ecc.). L'investimento di capitali in case abitate da povera gente ha luogo solo se il reddito riesce alquanto più elevato che per le case signorili.
Per la classe operaia la domanda di abitazioni è più elastica che per le classi ricche, in relazione anche alla maggiore mobilità. Della elasticità negativa è dolorosissima prova il grado di addensamento della popolazione nei quartieri poveri, frequentemente accertato da censimenti e da inchieste in molte città; quando le pigioni rialzano e si abbassano i salarî, le condizioni di dimora delle famiglie operaie giungono a estremi incredibili di miseria, di abbandono, di sordidezza, che segnano deperimento fisico e rovina morale; si accresce la schiera dei "senza tetto"; in molte città italiane, in tempi anche a noi prossimi, nuclei non ristretti di povera gente hanno adottato consuetudini di vita primitiva, entro baracche malamente formate con materiale raccogliticcio.
Della elasticità positiva della domanda di case da parte della classe operaia è prova il notevole miglioramento nelle condizioni di abitazione presentatosi in Italia tra la fine del sec. XIX e il principio del XX, quando si elevò sensibilmente il livello delle mercedi reali.
Politica delle abitazioni. - Le considerazioni finora svolte si riferiscono al mercato delle abitazioni e al livello delle pigioni quali si presentano per effetto della libera ed unica azione delle spontanee forze economiche. Si accenna ora all'indirizzo che assume ed agli effetti che raggiunge la politica delle abitazioni, svolta dallo stato o da altri enti pubblici o da sodalizî, in quanto tipicamente rivolta all'aumento della quantità di case disponibili, al miglioramento delle case per i non abbienti e al ribasso nel prezzo.
Senza richiamare testi di leggi e dati concreti sui risultati, notiamo come in genere questa politica ha avuto una iniziale "fase qualitativa". Dalla constatazione delle desolate condizioni dei quartieri popolari sorse lo stimolo a costruire belli e sani edifici da offrire a prezzo mite, per beneficenza, alla povera gente, trasferendovela dai luridi abituri. Ben presto si constatò che talvolta i poveri si recavano effettivamente ad abitare i nitidi edifici deteriorandoli rapidamente e rendendoli ben presto non dissimili dai vecchi quartieri; più spesso nelle nuove salubri case venivano ad abitare famiglie dei gradi più elevati della classe operaia o anche borghesi, ingiustamente avvantaggiate dai prezzi mitissimi, mentre i poveri sfrattati da abituri dichiarati immondi si trasferivano in locali di tipo sempre infimo, accrescendone la sordidezza.
In una fase successiva di "politica quantitativa" si capì che ai nuclei più miserabili possono solo spettare locali molto modesti ed è vano artificialmente spostarli verso case notevolmente migliori; che il progressivo miglioramento dei tipi infimi di case deve essere accompagnato da un miglioramento dei tipi superiori; che torna più agevole ed economico provocare la costruzione di grossi nuclei di abitazioni per la classe operaia più elevata, per impiegati o medî borghesi o anche addirittura per le classi sociali superiori, perché avviene in processo di tempo una redistribuzione della massa della popolazione fra le case, con graduale miglioramento del mercato, via via per i diversi strati.
La politica quantitativa mira in generale: a) ad aumentare in genere l'offerta di abitazioni e non a migliorare un tipo speciale unico: b) ad offrire le abitazioni ad inquilini di qualsiasi categoria al prezzo di mercato, anche se, per qualsivoglia circostanza, l'organismo produttore raggiunge un costo inferiore al normale.
La migliore, più efficace forma di politica delle abitazioni consiste nel generale incoraggiamento all'azione privata: è conforme al beninteso interesse della collettività degl'inquilini che il capitale privato affluisca quanto più abbondante è possibile all'industria della costruzione di case. Sebbene il regime dei favori, dei premî, della protezione alle industrie, molte volte riesca esiziale alla collettività ed esiziale infine alle stesse industrie, di cui promuove un artificiale sviluppo, pure, per l'industria edilizia, quando il mercato delle abitazioni presenta gravi fenomeni di deficienza delle disponibilità e di alto prezzo, può essere conveniente provocare un intensificarsi di quella privata attività che, per gli attriti che così gravi si presentano sul mercato, si svolgerebbe troppo lenta. A giustificare l'intervento basta rammentare i danni sociali, sanitarî, morali che alla collettività tutta derivano quando la povera gente vive e soffre in luridi quartieri; le epidemie non si arrestano ai confini dei rioni miserabili.
Gli incoraggiamenti all'iniziativa privata qualche volta assumono la forma di premî concessi per dati tipi di costruzioni rispondenti a certe condizioni di dimensione, salubrità, prezzo; oppure di esenzioni da tributi indiretti (dazî doganali o interni) che colpiscono il materiale da costruzione; in entrambi i casi risulta (a spese dell'erario) una riduzione del costo delle case ultime costruite, di quelle, cioè, sul cui costo si commisura il generale livello corrente delle pigioni. - Il beneficio concesso può consistere anche nella esenzione parziale o totale per un certo numero di anni dal tributo sul reddito dei fabbricati; questo beneficio può essere consentito solo per taluni tipi di costruzioni o di costruttori (ad es. case riconosciute per legge come "popolari" o costruite da speciali sodalizî cooperativi o da pubblici enti) oppure per le case di qualsiasi tipo costruite da chi si sia; l'esenzione può essere disposta come istituto tributario permanente oppure essere consentita temporaneamente sino a un dato giorno, ripristinandosi, per le case iniziate posteriormente, il regime tributario normale. Non è possibile analizzare qui gli effetti economici di questi vari tipi di esenzioni. In massima può ritenersi che l'esenzione consentita per anni x a tutte le case nuove iniziate sino a una certa data, venga "scontata" dai costruttori di case, calcolata nel suo valote attuale, nei rapporti economici sorgenti fra i costruttori e gli acquirenti delle case. L'esenzione stimola a una più larga produzione di case lungo lo spazio di tempo durante il quale vige questa franchigia fiscale.
Altro incoraggiamento all'iniziativa privata per la produzione di case può consistere in facilitazioni alla raccolta del cospicuo capitale necessario per la loro costruzione, mediante creazione di istituti di credito edilizio operanti in condizioni specialmente propizie (esenzioni fiscali, ecc.) o mediante speciale offerta di prestiti, pure a condizioni propizie, da parte di altri istituti creditizî o finanziarî.
La politica delle abitazioni può svolgersi, anziché sotto forma di stimolo all'attività costruttrice privata, sotto la forma di attività costruttrice svolta da enti pubblici (stato, comuni, opere pie, istituti per le case popolari, istituti per le case degli impiegati, ecc.) o da organismi cooperativi. Questa politica raggiunge l'intendimento di rendere il mercato delle abitazioni più propizio in generale alla massa degli inquilini (secondo il principio "quantitativo" dianzi enunciato), a condizione che: a) questa politica per gli indirizzi e le modalità seguite, per il clamore che intorno ad essa si provoca, non torni di scoraggiamento all'iniziativa privata, non costituisca per questa una minacciosa concorrenza; b) gli organismi pubblici e cooperativi produttori di case raggiungano una buona organizzazione economica e tecnica, riescano a produrre edifici di un tipo tecnico non inferiore a quello normale presso i costruttori privati, e costruiscano ad un costo non superiore a quello normale presso i privati.
Non avviene sempre che le due condizioni si presentino. Manca spesso la seconda, specialmente presso gli organismi cooperativi, soprattutto nello stadio iniziale. Sono molto frequenti le società cooperative edilizie troppo deboli economicamente, non organizzate in maniera appropriata nei rispetti tecnici, che, perciò, costruiscono edifici brutti, non solidi, troppo costosi, e per la mancanza di sufficienti capitali, non possono resistere a vicissitudini che si presentino nel mercato delle case e del credito. L'industria edilizia è faccenda troppo difficile, troppo complessa perché possa, senza pericolo, venire esercitata da organismi deboli e impreparati.
Talune cooperative sono costituite sulla base della proprietà collettiva, da parte del sodalizio, delle case costruite; tali società reclutano gli aderenti prevalentemente nella classe operaia e gli edifici costruiti sono in genere rilevanti. Questi organismi si propongono essenzialmente di migliorare la situazione del mercato accrescendo l'offerta e di realizzare, a beneficio degli associati, la produzione di edifici a basso costo in virtù delle facilitazioni concesse dalla pubblica amministrazione; poiché la classe operaia è tanto mobile, tornerebbe inopportuno che le abitazioni divenissero proprietà dei singoli soci, di cui ostacolerebbero le migrazioni. Le cooperative che curano la costruzione di abitazioni destinate a divenire proprietà dei singoli soci reclutano i membri principalmente fra impiegati, piccoli borghesi, professionisti; spesso costruiscono villini, piccole casette con uno o pochissimi appartamenti: dopo la guerra sono divenute più frequenti le cooperative che, con larghi aiuti dello stato, costruiscono edifici anche di grandi dimensioni, per i quali si forma la proprietà divisa per singoli appartamenti, attraverso operazioni creditizie, con lento graduale ammortamento talora facilitato da sovvenzioni statali.
L'attività edilizia svolta da municipi o enti pubblici speciali riesce in genere più lenta, meno pieghevole, e talora più costosa che l'opera privata; ma questi organismi pubblici ben sovente si trovano in condizioni propizie per la provvista del capitale e per l'acquisto delle aree. L'esperienza italiana mostra risultati particolarmente favorevoli ottenuti in grandi città da enti pubblici speciali, i quali hanno raggiunto l'estensione della grande industria con continuità di svolgimento, e, abilmente gestiti, sono riusciti a realizzare condizioni convenienti nella provvista dei materiali e negli elementi generali del costo.
L'azione edilizia pubblica e cooperativa ha acquistato grande importanza dopo la guerra, nelle particolari condizioni che rendevano assai difficile l'attività privata.
Non è possibile segnalare i complessi svariatissimi fenomeni derivati dalla guerra nei rapporti economici relativi alle abitazioni. La guerra ha fortemente diminuita, addirittura annullata, l'elasticità nell'offerta di case. Con la mancanza di mano d'opera, col fortissimo rincaro nei materiali, nelle mercedi e negli elementi del costo, con le grandi incertezze intorno all'andamento della vita economica, è generalmente cessata ogni attività edilizia, sia durante gli anni di guerra, sia nei tempi immediatamente posteriori. E per tale circostanza e per lo svilimento della moneta, sarebbero intervenuti forti rincari delle pigioni e assai sensibili alterazioni nel sistema dei consumi, nella distribuzione dei redditi (ampliandosi i redditi dei proprietari di case) e vasta redistribuzione della popolazione negli alloggi. Questi fenomeni sono sembrati ai reggitori degli stati molto gravi nei riguardi economici, sociali, politici; ciò soprattutto nei paesi bhelligeranti, particolarmente rispetto alle famiglie dei richiamati. Così, per ragioni di ordine pubblico, si svolse dovunque una complessa intricata legislazione vincolativa relativa alle case già locate. In taluni paesi si determinò una moratoria per cui, per anni, praticamente gli inquilini disposero gratuitamente delle abitazioni. Più generalmente si vietarono i rialzi delle pigioni: poi, in processo di tempo, i rialzi furono consentiti, ma secondo massimi legali non corrispondenti alla svalutazione monetaria. Si vietarono gli sfratti e si determinò per legge il prolungamento dei contratti di locazione. Questo regine di vincolo, assai complesso ed intricato, proseguì con emendamenti e attenuazioni in guisa da essere in qualche misura ancora in vigore a un decennio di distanza dalla fine della guerra. Tale regime ha dato luogo a fenomeni reciproci, in confronto a quelli che si sarebbero determinati se i vincoli non fossero stati posti. Si è così fortemente ridotta la parte proporzionale rappresentata dalla spesa per abitazione nei bilanci famigliari; è avvenuta una vasta traslazione di ricchezza dai proprietarî di case alla rimanente popolazione; i titolari di contratti di locazione in corso nel luglio 1914 si sono trovati beneficiati; il valore venale delle case subì una forte riduzione. Una singolare differenza di posizione economica e giuridica si formò fra i vecchi e nuovi inquilini. I "nuovi inquilini" sono stati però poco numerosi poiché i vincoli portarono praticamente a una minore mobilità della popolazione, e a una scarsa redistribuzione delle famiglie fra gli alloggi. Dato il regime di vincolo, anche dopo la chiusura della guerra per parecchi anni venne a diminuire l'attività edilizia volta alla produzione di case da cedersi in locazione. Si svolse invece su scala assai vasta la costruzione di edifici da cedersi in proprietà divisa per singoli appartamenti. Il regime della proprietà immobiliare in condominio ha, in conseguenza, assunto uno sviluppo prima ignoto.
Così l'alterazione dello stato giuridico-economico delle abitazioni, operatasi durante la guerra, ha determinato uno squilibrio nel mercato ed una anormalità di condizioni a lungo svolgimento e a lenta risoluzione.
Bibl.: E. Anzilotti, La questione fondiaria nelle moderne città, Milano 1910; R. Bachi, La questione economica delle abitazioni, Milano s. a.; L. Einaudi, Il problema delle abitazioni. Lezioni tenute all'Università commerciale Luigi Bocconi, Milano 1920; L. Maroi, Il problema delle abitazioni popolari nei riguardi sociali e finanziari. Studio economico-sociale, con prefazione di Nap. Colajanni, Milano 1913; H. Biget, Le logement de l'ouvrier. Étude de législation des habitations à bon marché en France et à l'étranger, Parigi 1913; Les problèmes du logement en Europe depuis la guerre (Bureau int. du travail), Ginevra 1924; M. Halbwachs, Les expropriations et le prix des terrains à Paris (1860-1900), Parigi 1900; R. Eberstadt, Handbuch des Wohnungswesens und der Wohnungsfrage, Jena 1909; A. Damaschke, Die Bodenreform. Grundsätzliches und Geschichtliches zur Erkenntnis und Überwindung der sozialen Not, Jena 1911; K. Mangoldt, Die städtische Bodenfrage. Eine Untersuchung über Tatsachen, Ursachen und Abhilfe, Gottinga 1907.
Statistica.
La statistica delle abitazioni si propone di far conoscere per un determinato luogo la quantità e la qualità delle abitazioni in rapporto alla quantità e alla qualità degli abitanti, cui esse devono servire.
Le unità fondamentali di questa statistica sono: il terreno, la casa, l'abitazione, la stanza.
Come terreno è da prendersi in considerazione il suolo già costruito e coperto di case, distintamente da quello ove nuove case possono sorgere, ossia terreno aperto alla costruzione. Resta quindi escluso dalla rilevazione il terreno agricolo. Ma il terreno aperto alle costruzioni può essere distinto a sua volta in terreno aperto alla speculazione edilizia, ma ancora parzialmente coltivato, e in terreno parcellato, non più utilizzabile per usi diversi dalla costruzione.
Nel terreno già costruito può essere considerato: 1. tutto lo spazio occupato dal centro urbano (compresi acque, strade, giardini pubblici, stazioni ferroviarie, ecc.); 2. la sola superficie occupata da edifici e loro annessi; 3. il solo spazio materialmente coperto da case destinate ad abitazione.
Come casa di abitazione, deve intendersi ogni edificio isolato o separato dagli altri per mezzo di muri maestri che vanno dalle fondamenta alla sommità, e destinato in tutto o in parte ad abitazione. Le abitazioni di carattere eccezionale, come quelle in grotte, capanne, vagoni ecc., devono essere, come è naturale, considerate a parte.
Praticamente, questa definizione della casa di abitazione come unità di censimento presenta particolari difficoltà, cosicché si è dovuto qualche volta ricorrere alla numerazione stradale, ritenendosi che ad ogni apertura indipendente (su strada, cortile, ecc.), che porti un numero civico o altra segnalazione e che dia accesso ad abitazioni, corrisponda una casa; l'unità casa in senso statistico è venuta così a differire dalla casa intesa in senso tecnico.
Gli elementi principali da considerarsi nella rilevazione sono: la posizione topografica, vale a dire il quartiere o la zona in cui è situato l'edificio; il numero dei piani di cui l'edificio consta, gli speciali caratteri della costruzione (se essa sia su strada, su giardino, su cortile), il numero delle abitazioni comprese nella casa, eccetera.
Sotto il nome di abitazione deve intendersi:
a) in senso tecnico, una o più stanze aventi un ingresso comune e indipendente su strada, scala, cortile, ringhiera;
b) in senso demografico, la stanza o le stanze occupate da una famiglia, anche quando tali stanze abbiano con altre un accesso comune.
Il criterio tecnico è sempre da preferirsi, come quello che rende possibile studiare le forme di convivenza di più famiglie in una sola abitazione ed ottenere, evitando le complicazioni delle stanze in comune, una maggiore esattezza nella rilevazione del grado di affollamento.
Gli elementi principali da rilevarsi per ogni abitazione sono: il piano cui essa è situata (interrato, semi-interrato, terreno, mezzanino, primo, secondo, terzo, ecc., evitando la dizione ultimo piano, soffitta, ecc.); il numero delle stanze di cui è formata, intendendosi per stanza ogni ambiente in cui possa essere collocato un letto, e quindi anche la cucina o la stanza d'ingresso, se corrispondano alla condizione suddetta; l'indicazione se occupata o vuota, e, nel prino caso, il numero delle famiglie che la occupano, e quello complessivo degli abitanti; nel secondo caso, l'indicazione delle cause della mancanza di abitatori, e cioè se vuota ma affittata, se vuota perché non affittata, o perché in restauro, ecc.; il numero di abitazioni occupate per uso diverso da quello di alloggio, cioè adibite a uffici, a locali di commercio o d'industria, a scuole e simili; le condizioni giuridiche dell'abitazione di fronte agli occupanti (proprietà, affitto, subaffitto, servizio, ecc.); l'ammontare della pigione pagata o valutata; la condizione sociale degli occupanti.
Possono poi far parte di una statistica più analitica delle abitazioni altre indicazioni sulla presenza o mancanza di annessi e di servizî; giardino, terrazza, latrina, con specificazione dei diversi sistemi, luce, riscaldamento, eccetera.
Ancora più profondamente, ma anche con grande aumento di spese di rilevazione, possono essere studiate le condizioni delle abitazioni: per esempio, misurando la cubatura delle singole stanze e valendosi così di una unità di misura omogenea, contando le loro finestre, misurando la superficie che occupano, e così via con altri simili rilievi.
Tutte le indagini accennate fin qui s'intendono riferite alle abitazioni occupate da nuclei familiari; quanto ai locali occupati da convivenze (per es. alberghi, ricoveri, caserme ecc.) essi devono essere considerati a parte, per formare eventualmente oggetto di ricerche separate e distinte.
Senza entrare nei molteplici svolgimenti intesi ad esporre il rapporto fra il numero e la qualità delle abitazioni col numero e la qualità degli abitanti, si riporta qui sotto il quadro fondamentale ed essenziale di una statistica delle abitazioni, per mezzo del quale viene a stabilirsi il rapporto quantitativo fra abitazioni, stanze ed abitanti.
Da questa tavola si può infatti ricavare il rapporto fra abitanti e abitazioni, fra abitanti e stanze, non solo per il complesso ma anche per ogni singolo tipo di abitazione. Può anche ricavarsi il grado di sovraffollamento, quando si fissi con precisione il punto di affollamento che si debba considerare superiore al normale. Tale limite, generalmente, è stato stabilito in più di due abitanti per stanza.
Un aspetto particolare di questa statistica è quello che concerne le condizioni del mercato delle abitazioni. Tali condizioni possono rilevarsi in due modi, e cioè:
a) accertando, mediante un'indagine simile a quella di carattere più generale sopra indicata, il numero di abitazioni non affittate e disponibili (vale a dire non vuote per restauri in corso, per dichiarazione d'inabitabilità, ecc.). Tale numero ricavato periodicamente e distintamente per quartieri e zone, per tipo di abitazioni, per pigione richiesta, e posto in rapporto col numero complessivo delle abitazioni dei singoli quartieri o zone, dei singoli tipi, dei singoli prezzi di affitto, dà modo di constatare la sufficienza o l'insufficienza di abitazioni disponibili e, nel tempo, la tendenza del mercato;
b) rilevando per un periodo determinato e con distinzioni simili a quelle sopra indicate:
1. il numero delle nuove abitazioni offerte con nuove costruzioni, o sottratte ad usi diversi da quello di alloggio (uffici, locali ad uso di commercio o d'industria, scuole, ecc.);
2. il numero delle abitazioni sottratte alla domanda per demolizione, o tolte dall'uso di alloggio per adibirle ad uno degli usi sopra indicati;
3. l'eccedenza di famiglie immigrate.
Può anche essere messo in confronto col numero di abitazioni disponibili il numero di nuove coppie, aumentato della eccedenza di famiglie immigrate e diminuito del numero di coppie disciolte per la morte di uno dei coniugi; quest'ultimo confronto riesce bensì assai arduo, ma i suoi risultati possono servire di utile complemento nella valutazione della domanda di abitazioni.
La statistica delle abitazioni non ha avuto in Italia sviluppo molto largo. Per il complesso del regno se ne ha qualche accenno, in verità assai manchevole, anche nei più antichi censimenti del 1861 e del 1871. Una statistica particolareggiata si trova nel censimento del 1881; in quello del 1901 si riscontrano dati sulle abitazioni in 92 comuni, ma la relazione stessa ne denunzia lo scarso valore. Il censimento del 1911 fornisce notizie sui capoluoghi di provincia e sui comuni di oltre 15 mila abitanti, e così pure quello del 1921, limitando peraltro la pubblicazione dei dati a quei comuni che offrivano sufficiente garanzia di precisione.
Da quest'ultima pubblicazione si riportano per i maggiori comuni del regno le quote proporzionali delle abitazioni piccolissime sul complesso delle abitazioni e l'indicazione del grado di affollamento nelle abitazioni da 1 a 5 stanze.
Nessuna indagine regolare e periodica sul mercato delle abitazioni è stata fino al 1928 intrapresa in Italia; sull'attività edilizia, oltre alle notizie riportate negli annuarî o nei bollettini statistici di Milano, Venezia, Firenze, Roma, si hanno dati comparativi per un notevole numero di comuni nell'Annuario statistico delle città italiane (VII, Roma 1928). Si riportano quelli riferentisi al movimento edilizio dal 1913 al 1927 a Milano, Roma e Napoli, e cioè in tre città poste in condizioni differentissime, specialmente per quanto riguarda l'azione diretta e indiretta degli enti pubblici nella offerta di abitazioni:
In seguito alle decisioni di una Commissione internazionale convocata a Monaco di Baviera nel maggio 1928 dalla Union Internationale des Villes, si sono fissate dalla Confederazione generale degli enti autarchici le linee generali di una rilevazione periodica dell'attività edilizia e del mercato delle abitazioni, a datare dal 1928, in tutti i comuni capiluoghi di provincia (Bollettino amministrativo della Confederazione, n. 17, 1928).
La statistica delle abitazioni ha avuto invece amplissimo sviluppo in Germania, in Svizzera, in Svezia; particolarmente abbondante a questo riguardo è stata la produzione degli uffici municipali di statistica. Nella impossibilità di segnalare qui singolarmente tutte queste pubblicazioni, si ricordano per la Germania le varie annate dello Statistisches Jahrbuch Deutscher Städte e particolarmente la XXII, Lipsia 1927 (W. Morgenroth, Die Wohnungszählungen deutscher Städte im Jahre 1925), e la XXIII, Lipsia 1928; il Handbuch des Wohnungswesens und der Wohnungsfrage di R. Eberstadt, Jena 1909. Una vasta inchiesta su tutto il territorio dello stato, con particolare riguardo ai comuni di oltre 5000 abitanti, è stata fatta in Germania, nel maggio 1927. I risultati provvisorî di questa inchiesta sono stati pubblicati in Wirtschaft und Statistik, 1928, VIII, n. 1.
Tale inchiesta ha censito nei comuni sopra indicati 8.712.391 abitazioni, 9.304.368 famiglie, rilevando così che circa 591.000 famiglie non hanno una propria abitazione. Nei 46 comuni di oltre 100.000 abitanti, su 1000 abitazioni in complesso, 206 avevano 1 o 2 stanze, 303 si componevano di 3, 417 di 4 a 6 stanze, 69 di 7 stanze e oltre.
Nella Svizzera si ha una pubblicazione veramente fondamentale come tipo d'indagine analitica; la Wohnungsenquête der Stadt Basel di K. Bücher, Basilea 1889. Per la Francia può ricordarsi la Statistique des logements à Paris, Parigi 1922. Meritano poi particolare menzione le seguenti due pubblicazioni del Bureau international du travail: Les problèmes du logement en Europe depuis la guerre, Ginevra 1924; Les méthodes de la statistique de l'habitation, Ginevra 1928.
Bibl.: Notizie più o meno particolareggiate sulle abitazioni sono apparse in Risultati dell'inchiesta sulle condizioni igieniche e sanitarie del regno, Roma 1893; Notizie sulle condizioni demografiche, edilizie e amministrative di alcune grandi città italiane ed estere nel 1891, Roma 1893; Inchiesta sulle abitazioni degli impiegati d'ordine e subalterni in Roma e del personale ferroviario in Roma e in altre città d'Italia elaborata dall'Ufficio del lavoro (Ministero d'Agricoltura, Industria e Commercio), Roma 1908; Annuario statistico delle città italiane, 7 volumi fino al 1928, Firenze; U. Giusti, L'addensamento e l'affollamento nei centri urbani italiani al 10 giugno 1911, Firenze 1925; U. Giusti, Le grandi città italiane nel primo quarto del XX secolo, Firenze 1925.
Abbastanza numerose, specialmente in occasione di censimenti generali, sono le pubblicazioni sulle condizioni delle abitazioni in singoli comuni. Se ne ricordano soltanto le principali: Relazione della Commissione municipale d'inchiesta sulle abitazioni popolari (1903), Milano 1905; Annuario statistico del comune e bollettino La Città di Milano, Milano; R. Vivante, Il problema delle abitazioni in Venezia, Venezia 1910; Rivista mensile della città di Venezia, Venezia; Relazione della Commissione d'inchiesta sulle abitazioni popolari in Verona, Verona 1907; Inchiesta sulle abitazioni popolari nel comune di Firenze, Firenze 1908; Il comune di Firenze e la sua popolazione al 1° dicembre 1921, Firenze 1923; Annuari statistici del comune di Firenze (dal 1903), Firenze; G. Guicciardini e U. Giusti, Per il quartiere di Santa Croce in Firenze, Firenze 1921.
Per gli altri stati, v. indicazioni nel testo.