Abitazione
Il termine indica sia il risiedere, lo stare in un luogo, sia il luogo concreto in cui si abita, la dimora, la casa. Espressione di un'esigenza primaria per l'uomo, quale difesa, rifugio, delimitazione di un dominium personale, l'abitazione si è evoluta nel tempo in forme planimetricamente e funzionalmente sempre più articolate: dalla casa archetipo dei primordi, un secondo abito a protezione del corpo, a quella organizzata in un unico ambiente indiviso, adibito a funzioni private, conviviali e rituali, si arriva all'elaborazione di una pluralità di modelli edilizi e tecniche costruttive rispondenti alla specializzazione e differenziazione dei ruoli tipiche delle società complesse. L'abitazione riflette nella varietà delle tipologie l'incidenza di fattori ambientali (sito, clima, suolo, relazione con i luoghi circostanti nella presenza o assenza di un tessuto, e con il contesto nel binomio città-campagna) e culturali (codici della vita associata, principi aggregativi, morfologie, valori estetici e simbolici, tecnologie). Per il rapporto di stretta strumentalità rispetto agli interessi fondamentali della persona fisica, l'abitazione concretizza di fatto l'oggetto della libertà del domicilio, concepita come un'ulteriore tutela che viene assicurata dall'ordinamento giuridico alla possibilità per ciascuno di gestire autonomamente il proprio corpo.
La documentazione archeologica sulle prime fasi e forme di organizzazione dello spazio privato - ben prima dell'abitazione stricto sensu - attesta l'importanza di alcune esigenze psicologiche permanenti che si manifestano nel corso della storia con aspetti sempre più articolati e complessi. Come non riconoscere nella funzione di riparo, di guscio protettivo per l'individuo, poi di 'abito' allargato ad accogliere il gruppo, una valenza rassicurante che va ben al di là della pura necessità meccanica? Come scrive B. Edelman, la casa, il domicilio, è il solo bastione contro l''orrore del nulla'; essa chiude nelle proprie mura tutto ciò che l'umanità ha pazientemente raccolto nei secoli; si oppone all'evasione, alla perdita, all'assenza, in quanto organizza il suo ordine interno, la propria civiltà. La sua libertà fiorisce in ciò che è stabile, rinchiuso, non all'aperto e nell'infinito. L'identità dell'uomo è dunque domiciliare ed è per questo che 'il rivoluzionario', colui che non ha luogo, condensa in sé tutta l'angoscia dell'erranza (Edelman 1984, pp. 25-26).L'estrema precarietà delle prime sedi umane utilizzate come rifugi provvisori ‒ rudimentali ripari in legno e fogliame, più raramente caverne ‒ non consente di rintracciare nelle fasi in cui l'uomo è ancora nomade e si procura il cibo cacciando, l'archetipo funzionale dell'abitazione: mancano, infatti, i presupposti di un'appropriazione, rituale o convenzionale, del territorio, attraverso un atto deliberato e volontario di occupazione, senza il quale non si dà la dimensione antropologica dello 'stare'.
La maggiore stabilità nelle consuetudini di vita connesse allo sviluppo delle prime tecniche di coltivazione che contrassegna il periodo mesolitico sembra riferibile a una mitigazione dei climi dopo l'era delle glaciazioni. È noto, a tale riguardo, che alcune società a forte base rurale hanno registrato, più o meno consapevolmente, spesso anche nelle pieghe del linguaggio, quell'associazione tra 'risiedere', 'coltivare', 'edificare', che è una caratteristica strutturale comune delle comunità autarchiche dagli albori dell'agricoltura: valgano per tutti gli esempi dell'ambivalenza della radice latina col (colere, "coltivare, abitare") e della radice tedesca bau (bebauen, "coltivare", Bauer, "contadino", bauen, "costruire"). Con la sedentarietà si consolidano il culto dei morti e la pratica della sepoltura; è opinione corrente tra gli archeologi che le prime rudimentali tecnologie costruttive abbiano investito inizialmente la sfera del sacro, e soltanto successivamente si siano trasferite anche alla realizzazione della dimora dell'uomo.
Fin qui lo spazio domestico, benché spesso concepito per resistere oltre la vita del singolo, resta espressione di necessità primarie. Irrinunciabili esigenze di funzionalità investono l'insediamento nel suo complesso: da un lato, la disponibilità dell'acqua, che condiziona le scelte localizzative del gruppo allargato, e la possibilità di accendere un fuoco; dall'altro, requisiti di sicurezza, con riferimento alla dimora del gruppo ristretto risultato di una tecnologia costruttiva in via di evoluzione. Queste condizioni anticipano in qualche misura le categorie della utilitas e della firmitas, introdotte da Vitruvio nel suo trattato De architectura (1° sec. a. C.), con diversa flessione per sistematizzare le modalità di un linguaggio architettonico ben altrimenti complesso: in entrambi i casi, comunque, il 'valore d'uso' predomina su ogni altro aspetto. Il piano delle aspirazioni, che appartiene a una sfera psicologica meno elementare e si concilia soltanto con la disponibilità di un plusvalore economico, introduce l'ultimo elemento della triade vitruviana, la venustas, e l'attività artistica. Gli straordinari graffiti ritrovati nelle grotte di Lascaux (Francia) e Altamira (Spagna), come in numerose altre caverne, evidentemente frequentate, ma non necessariamente abitate, già nella fase del Paleolitico Superiore, sono testimonianza di una ricerca formale condivisa dal gruppo: ma è senz'altro in una fase assai più recente che si è sviluppata una sorta di estetica consapevole dello spazio privato. Essa si è probabilmente esercitata in un primo momento sugli oggetti di uso quotidiano e all'interno degli ambienti, se è vero che la casa 'introversa', disadorna all'esterno ma interiormente ricca, è un archetipo dell'architettura domestica, costante di lunga durata nei paesi del bacino mediterraneo; essa compare come tipologia edilizia tradizionale anche in alcune regioni lontane, come i territori settentrionali e centrali della Cina. La pratica dell'ostentazione pubblica di ricchezza, che è estranea a queste culture, si manifesta in altri momenti dell'evoluzione storica, probabilmente in connessione con periodi di maggiore floridità economica: le facciate rinascimentali dei palazzi aristocratici, così come i frontoni lavorati delle case anseatiche, che rivaleggiano per grandiosità o eleganza, propongono codici di comunicazione figurativa di immediata comprensione.
Alcune proprietà generali dello spazio privato sono caratteristica comune di ogni latitudine, in quanto strettamente connesse con le strutture della psicologia umana, almeno a partire da un certo stadio dello sviluppo civile. Il fenomeno della recinzione di uno spazio circoscritto a misura delle proprie esigenze costituisce per il singolo la prima operazione di designazione di un dominium inviolabile (si pensi al valore simbolico della soglia), apribile, in alcune sue parti e sotto determinate condizioni, solo a cerimoniali e rituali della comunità. Tale circostanza evidenzia un meccanismo di identificazione tra gruppo familiare, sia esso ristretto o allargato, e abitazione, che nel corso dei secoli ha codificato diversi livelli di privacy, rispetto agli ospiti e rispetto agli stessi membri della casa, contribuendo a una specializzazione funzionale degli ambienti dell'alloggio, quelli destinati al ricevimento, quelli di abitazione privata, quelli di servizio. Nel linguaggio corrente, la corrispondenza tra abitazione e nucleo familiare veniva in passato sancita con il termine 'fuoco', che ha lungamente designato ogni singolo nucleo familiare. Tale costante nelle prerogative dell'abitare, almeno nel mondo occidentale, suggerisce di escludere dal campo di osservazione il fenomeno delle cosiddette residenze collettive e di tutte le forme di coabitazione che lo alimentano.
L'articolazione funzionale dello spazio domestico, codificata da pratiche d'uso, prima che da una vera e propria specializzazione degli ambienti, allude a una visione del mondo gremita di riferimenti simbolici, che si riproduce anche nell'organizzazione e gerarchizzazione degli spazi di relazione esterni. Il suo archetipo è un ambiente chiuso ma indiviso, in cui si dispongono, secondo un ordine concordato dal gruppo, gli spazi dell'intimità, quelli per la convivialità e quelli per la celebrazione del rito: si ritiene che la tipologia arcaica anticipatrice della domus fosse costituita da un ambiente unico con un'apertura superiore (l'impluvium), probabilmente destinata sia alla raccolta dell'acqua piovana che al tiraggio del focolare.
In virtù della ricchezza e molteplicità dei richiami consuetudinari e simbolici, le varianti di questo semplice modello propongono, pur avvalendosi di linguaggi espressivi assai simili, concezioni dell'abitare molto distanti tra di loro, in relazione a diverse economie e pratiche d'uso, visioni del mondo che giustificano declinazioni ed evoluzioni locali della cellula fondamentale. Possiamo citare, con riferimento al nostro Mezzogiorno, da un lato le consuetudini costruttive codificate e tenute in vita sino a una trentina di anni or sono nei borghi rurali e, dall'altro, quelle testimoniate sino ad anni recenti presso le comunità di pescatori. In entrambi i casi, l'abitazione è costituita da un unico vano di circa 30 m2, approssimativamente quadrato, coperto da una volta a botte e collegato con l'esterno unicamente attraverso la porta di accesso. Planimetricamente, l'aggregazione dei singoli alloggi dà luogo a schiere semplici o doppie.
La vita del villaggio marino si svolge all'aperto, oltre la soglia, nel vicolo, sui terrazzi delle case, di cui le stesse imbarcazioni sono il naturale prolungamento. L'abitazione è divisa internamente da semplici tendaggi che occultano gli spazi più intimi addossati alla parete di fondo: tra questi, l'alcova nuziale, che, a parte un breve periodo dopo il matrimonio, viene occupata nuovamente soltanto quando l'espansione del nucleo familiare lo rende inevitabile. L'esiguità della dimora, che non sembra aver subito significative evoluzioni nei secoli, non costituisce problema: gli uomini della casa sono spesso in mare o in rada con le loro barche, e il territorio domestico appartiene alle donne.
Nel borgo rurale la vita si svolge prevalentemente nell'abitazione, divisa internamente con tramezzi in legno o in muratura. Contadini e braccianti impiegano la casa anche come ricovero per gli animali e come magazzino per le masserizie e i foraggi, che spesso trovano collocazione su di un tavolato al di sopra della stalla vera e propria. È questo il motivo per cui, a partire dal modulo fondamentale, la 'casetta', si è verificata nel tempo una trasformazione del tipo base consistente nell'accorpamento di due unità gemelle affiancate nel senso della profondità. Il cosiddetto lammione, che deriva da questa fusione, è generalmente provvisto di accessi indipendenti su due strade, spesso a quote differenti, in virtù di uno sfruttamento dei pendii naturali, che disimpegnano rispettivamente gli spazi domestici e quelli destinati alle stalle e alle attrezzature del lavoro contadino.
Gli aspetti simbolici dell'abitare, che ancora oggi si colgono presso le società a componente tradizionale e presso alcune comunità ristrette dell'Occidente cristiano, sono completamente eclissati nelle cosiddette società affluenti. Le prime avvisaglie di questa 'riduzione' funzionale sono rintracciabili già nel mondo greco: l'individualismo razionale del pensiero classico ha precocemente preso le distanze da una visione 'arcaica' e olistica del mondo, sul cui sfondo si disegnava la prospettiva di un destino collettivo. In questa fase cruciale dello sviluppo le componenti immateriali della tradizione civile e religiosa si sarebbero inscritte nella sfera individuale in forma di immaginario interiore e privato, comportando una scissione tra esperienza etica ed esperienza del mondo, inaugurando il processo di secolarizzazione delle strutture sociali: la concezione del libero arbitrio e la prospettiva di un destino individuale si affacciano compiutamente con il cristianesimo e subiscono un'ulteriore sistematizzazione concettuale in seno all'etica protestante. I portati della diversificazione e della specializzazione delle società occidentali si avvertono anche all'interno delle mura domestiche, che racchiudono ambienti sempre meglio definiti planimetricamente e connotati funzionalmente: il perfezionamento delle pratiche dell'abitare, che rispecchia l'adattarsi del corpo alle nuove funzioni, comporta un arricchimento del linguaggio formale e delle tecniche costruttive, ma contiene il rischio di un impoverimento semantico. È questa forse la discriminante più significativa tra habitat tradizionale e abitazione moderna.
Nell'impossibilità di ripercorrere le diverse storie e geografie della casa, possiamo limitarci ad accennare ad alcuni fattori condizionanti delle differenti modalità dell'abitare. Se consideriamo la casa come 'variabile geografica', dovremo innanzitutto sottolineare l'incidenza di fattori naturali, come le condizioni climatiche e meteorologiche, nei riguardi delle scelte del sito, dell'esposizione, delle tipologie e dei materiali più appropriati.La difesa dalle avversità climatiche si basa, in situazioni estreme, su accorgimenti analoghi: tanto nel caso di climi rigidi che in quello di climi torridi continentali con un'elevata escursione termica tra giorno e notte, si registra la predilezione per impianti tipologici compatti che espongono all'esterno superfici limitate e aperture di modeste dimensioni. Le costruzioni vengono realizzate di preferenza con materiali pesanti e coibenti, in grado, nel primo caso, di evitare la dispersione all'esterno del calore di un elemento riscaldante collocato entro l'alloggio, e, nel secondo caso, di assorbire e trattenere il calore diurno incamerato dalle pareti esterne, per trasmetterlo all'interno durante la notte. Questi opposti obiettivi sono inoltre generalmente perseguiti adottando, per l'involucro esterno, rispettivamente, colori scuri e tinte chiare, oppure, più raramente, costruendo sotto il livello del suolo e adottando, per pareti e coperture, strati coibenti di materiali reperibili in loco. Nei climi caldi e umidi, i modesti sbalzi di temperatura, l'intenso irraggiamento e le forti piogge suggeriscono l'adozione di tipologie costruttive isolate realizzate con materiali leggeri, poco coibenti, con tettoie aggettanti e grandi finestrature per una ventilazione efficace.
Gli insediamenti stabili strettamente ancorati al terreno non esauriscono l'universo abitativo; presso le società nomadi, la necessità del trasporto e di una rapida posa in opera orienta la scelta verso strutture leggere sottoposte a sforzi di tensione e tecniche di prefabbricazione: la tenda, che con le sue varianti planimetriche e tipologiche ritaglia un ambiente circolare o rettangolare, talvolta provvisto di supporti interni per ottenere la copertura di luci maggiori, è realizzata da una membrana leggera ed elastica, in feltro o in pelle. L'evoluzione della tipologia costruttiva raggiunge talvolta, in relazione alle condizioni dell'ambiente esterno, un livello di elaborazione difficilmente perfettibile: è, per es., il caso della dimora tradizionale dei contadini normanni, solido edificio in pietra sormontato da un tetto con profilo aerodinamico a chiglia di nave rovesciata per assecondare la direzione dei venti dominanti.
Se consideriamo l'abitazione come 'variabile storica', la ricorrenza di impianti tipologici ben definiti entro determinate aree geografiche e la loro stabilità nella durata inducono a sottolineare la persistenza di alcuni codici di vita associata. In primo luogo, è opportuno introdurre una distinzione tra la durata del singolo manufatto abitativo, coincidente con la sua vita utile, e la stabilità della corrispondente tradizione insediativa che, pur facendo inevitabilmente registrare evoluzioni e innovazioni tipologiche, mostra capacità di tenuta in virtù dei continui adattamenti alle esigenze della società. Un'attività di manutenzione continua dell'involucro domestico e più generiche pratiche conservative applicate all'insieme delle preesistenze, rivelando la dimensione più prettamente economica della utilitas, rendono duraturi tessuti urbani che sono dei veri e propri palinsesti. Così, per es., la rielaborazione, a partire dall'Alto Medioevo, di modelli insediativi esportati nei territori annessi all'Impero Romano durante i secoli della sua espansione, è ascrivibile non solamente alla sostanziale continuità della tradizione abitativa, la quale denota una matrice culturale indelebile, ma anche alla concreta necessità di sopravvivere e alla disponibilità al riuso delle strutture murarie di epoca precedente; sono queste ultime a fornire nell'Europa continentale - prevalentemente in area mediterranea - ospitalità a generazioni prostrate da guerre e carestie.
Tali considerazioni non sono generalizzabili: in alcune regioni dell'Inghilterra, che pure avevano subito, con la dominazione romana, l'introduzione di una tecnologia costruttiva basata sull'uso della pietra o del laterizio prodotto in loco, le popolazioni autoctone si orientano nei secoli di decadenza verso l'impiego del legno, abbondante e a buon mercato, per realizzare le proprie precarie abitazioni raggruppate in villaggi di nuovo impianto. Gli antichi presidi si spopolano, le solide e confortevoli costruzioni dei dominatori, abbandonate, cadono in rovina. La questione dell'imposizione di pratiche abitative profondamente estranee alla cultura dei luoghi è una costante nelle modalità di affermazione di un dominio da parte dei colonizzatori, che è possibile riscontrare anche nelle vicende storiche dell'Evo moderno, seppure con alterni successi. Così, per es., in America latina, a fronte di città intere edificate secondo modalità europee a uso delle classi dominanti, le pratiche dell'abitare proprie delle popolazioni autoctone sembrano sopravvivere prevalentemente presso le classi o i gruppi etnici meno emancipati. È emblematico il caso degli indios brasiliani nomadi, i quali negli anni Venti di questo secolo furono costretti a risiedere stabilmente in minuscoli villaggi costruiti a spese del Governo federale. Successivamente gli indios si sono progressivamente riappropriati delle passate consuetudini di vita, cosicché oggi le capanne di paglia tradizionali affiancano le case di legno 'istituzionali', disabitate e adibite a magazzini.I materiali rivestono nell'evoluzione della casa un ruolo primario. L'immagine estetica stessa è fortemente condizionata dalla disponibilità e dalla lavorabilità dei materiali: nei tessuti medievali delle città italiane e dell'Europa centrale, il carattere serrato e il ritmo verticale tipico dei fronti delle case a schiera, accentuati nelle versioni nordiche dal linearismo delle strutture portanti in legno, risentono del vincolo costituito dalla disponibilità di travi in grado di coprire la luce dei solai, che raramente oltrepassano i 6 metri.
Tuttavia, non si può assumere in forma deterministica la correlazione tra indirizzi di stretta economia e logiche di approvvigionamento di materiali per l'edilizia domestica corrente. Nelle società cittadine, ma talvolta anche presso le comunità rurali più modeste, l'acquisto di materiali costosi e rari è segno di prestigio e distinzione sociale: si è stimato che, quando nel 16° secolo si diffuse in Francia l'impiego della muratura anche per le abitazioni private, i costi superassero di oltre dieci volte quelli di analoghe costruzioni in materiali leggeri, peraltro più deperibili ed esposti al rischio di incendio. Esempi, questi, che confermano la centralità degli aspetti 'comunicativi' nella rappresentazione del privato.
Indipendentemente dalla ricchezza dei riferimenti simbolici, le scelte espressive vanno comunque sempre interpretate come il risultato di una ricerca estetica che si orienta sul duplice registro del disegno delle dimensioni e proporzioni generali d'impianto - planimetrico e prospettico - e della definizione e disposizione degli elementi di finitura e dei dettagli decorativi. Per es., nei paesi europei fortemente influenzati dall'architettura classica, l'applicazione dell'impalcato concettuale degli ordini architettonici ha imposto a lungo andare, anche per l'edilizia corrente, un'idea di decoro basata su principi di coerenza formale ratificati e divulgati dai trattatisti del Rinascimento: i partiti architettonici e le decorazioni sono tra loro rigorosamente connessi attraverso l'impiego di una gamma particolare di rapporti di proporzione. A prescindere dalle innovazioni costruttive, l'adesione al linguaggio tradizionale è generalmente rispettata, con l'effetto di una sorta di cristallizzazione dei moduli figurativi: di fatto tuttavia il lessico aulico tende non di rado a stemperare la sua ortodossia incorporando arditamente nuovi spunti e nuovi materiali - è senz'altro il caso del cosiddetto manierismo e del liberty - con apporti originali di tradizioni maturate in seno a contesti locali.
La storia dell'abitazione, in quanto declinazione particolare delle parallele storie dell'estetica e della tecnologia, registra una perenne oscillazione tra finzione scenica e sincerità d'impianto; da un lato, la propensione al trompe-l'oeil, l'illusione di finiture costose attraverso un sapiente trattamento delle superfici, la simulazione di comportamenti statici diversi da quelli effettivi; dall'altro, il rifiuto dell'orpello e della finzione statica in nome di una coerenza strutturale di cui l'architetto francese E.-E. Viollet-le-Duc è un veemente, ma non isolato, esponente prerazionalista. Con riferimento a un progetto di abitazione che è anche un programma pedagogico, egli afferma che in esso ogni dettaglio è la conseguenza di una necessità, sia della struttura, sia dei bisogni degli abitanti, e che 'l'individuo-edificio' una volta costruito lascerà vedere sempre i 'suoi organi' e il modo in cui funzionano.
Dal momento che ogni concezione dell'abitare è portatrice di un particolare ordine sociale, le diverse propensioni nei riguardi di quello che, con linguaggio moderno, viene considerato mero 'ornamento', sono non di rado inquadrabili all'interno di quel codice di comunicazione simbolico sancito tra i membri di una comunità di cui si è già fatto cenno. In questa chiave può essere interpretata, per es., la pratica, mutuata evidentemente dalla sfera religiosa, diffusa in tutta l'area mediterranea dall'Alto Medioevo, consistente in un'offerta votiva visibile sulle facciate delle abitazioni: tale consuetudine, originariamente imperniata sull'introduzione nel paramento murario di inserti in pietra scolpita raffiguranti il proprietario-costruttore, forse in continuità con antichi riti pagani, si è lentamente evoluta verso la forma della dedica dipinta. Così, se da un lato il proprietario, rimettendo nelle mani di Dio, insieme alla casa, la propria sorte, legava perennemente il suo nome a un atto di pietas, dall'altro, assai più prosaicamente, l'abitazione, che presso le società occidentali è oggetto di trasmissione ereditaria, legava la propria durata a un'intera discendenza, in virtù di un vincolo di proprietà quasi altrettanto sacro. Questo legame si è notevolmente affievolito nel corso del nostro secolo: i ritmi dell'esistenza impongono condizioni di mobilità che nei paesi d'oltre Oceano conoscono avvicendamenti addirittura frenetici. A tale proposito S. de Beauvoir osserva che la casa ha perduto il suo splendore patriarcale: per la maggior parte degli uomini è "solo una abitazione", su cui non pesa più la "memoria delle generazioni defunte", e che non tiene "imprigionati i secoli futuri" (de Beauvoir 1970, passim). Del resto, le modificazioni sul piano antropologico riflettono le trasformazioni nei procedimenti costruttivi: le mura domestiche sono oggi più fragili che in passato, i materiali impiegati più deperibili.
Nel caso dei paesi industrializzati si può concordare, almeno in parte, con un'ulteriore spiegazione di tale fenomeno, che insiste sulle modificazioni nelle pratiche costruttive che hanno progressivamente marginalizzato ed espulso l'utenza, gli abitanti, dalla definizione e dalla realizzazione del progetto domestico. Dell'intero processo essa enuclea tre distinte fasi, ammettendo tuttavia la labilità dei rispettivi limiti in termini meramente cronologici: nella fase cosiddetta arcaica, i tipi costruttivi erano relativamente limitati e la costruzione in proprio era un fenomeno diffuso; in un secondo momento, nel corso della loro evoluzione, le società, già più complesse nella divisione dei ruoli, avrebbero codificato un maggior numero di modelli abitativi e di tipi costruttivi, declinabili in varianti individuali affidate all'opera di artigiani con competenze specifiche; con l'ultima fase, inaugurata dalla rivoluzione industriale, l'apporto delle tecniche di organizzazione dei cantieri e dei procedimenti di standardizzazione avrebbe moltiplicato le tipologie edilizie, chiamando in causa competenze sempre più settoriali. Tale ipotesi si presta ad articolazioni più puntuali con riferimento a contesti circoscritti e specifici. È un dato evidente per es. che nelle campagne, in cui nella maggioranza dei casi vi è identità tra proprietario e occupatore della casa, l'autocostruzione ha resistito assai più a lungo che nelle città: qui il processo edilizio è stato precocemente complicato da fenomeni di intermediazione finanziaria (era frequente il ricorso al credito), da meccanismi di compravendita in riferimento al lotto edificabile prima ancora che all'alloggio, e da forme giuridiche di godimento assai articolate.
Provando a precisare con maggior dettaglio i termini di alcune delle opposizioni accennate - città/campagna, edilizia estensiva/edilizia intensiva, proprietà/affitto - che qualificano e alimentano la vicenda storica europea, conviene senz'altro ricondursi a quello che ne sarebbe stato il prototipo abitativo, la casa mediterranea imperniata sull'atrium, che trova riscontro nella descrizione della dimora di Ulisse: l'eroe greco aveva riservato al di là dell'atrium uno spazio per la propria camera nuziale includendo nel nuovo ambiente un possente ulivo. Un'esigenza di privatezza gli aveva imposto di circondare di muri lo spazio prescelto, chiudendolo con robuste porte e coprendolo con un tetto, prima di utilizzare il tronco dell'albero reciso come supporto del letto. Questo schema planimetrico attraversa una fase di complicazione tipologica e di specializzazione funzionale ascrivibile alla rielaborazione del mondo romano. In età repubblicana il primitivo ambiente preceduto da una corte diventa il fulcro della vita sociale, il tablinum, e separa gli spazi degli uomini da quelli delle donne: raccolti intorno all'atrium i primi, affacciati di preferenza su un cortile interno, il viridarium, gli ambienti dell'intimità femminile. L'articolazione funzionale include, nelle ville più ricche, fornite di acqua e provviste di un sistema di smaltimento, spazi destinati a servizi igienici e, talvolta, impianti termali veri e propri.A partire dagli ultimi anni della repubblica, nelle città fa la sua apparizione una tipologia abitativa plurifamiliare a svariati piani, l'insula, in concomitanza con fenomeni di massiccia immigrazione. Al piano terreno, ambìto per la comodità nell'approvvigionamento dell'acqua, trovano collocazione gli alloggi di taglio maggiore, spesso riservati alla famiglia del proprietario, ed eventualmente alcuni esercizi commerciali (tabernae); le abitazioni ai piani superiori sono prevalentemente destinate in locazione al ceto operaio e artigiano. Con l'insula decadono alcune invarianti consuetudinarie e tipologiche introdotte dalla domus: l'abitazione, non più progettata e realizzata sulle esigenze personali del proprietario, nella sua nuova accezione di 'bene economico' fornisce al proprietario un'inedita forma di accumulazione della ricchezza. Inoltre, la disposizione delle unità abitative intorno a uno spazio aperto di ridotte dimensioni ribalta la concezione della 'casa introversa' sviluppata intorno all'atrium, luogo di raccordo tra uno spazio interno privato e inviolabile e uno spazio esterno completamente pubblico. Nell'insula l'accesso agli alloggi avviene infatti direttamente dalla strada, sulla quale affacciano i balconi dei piani superiori (Ostia Antica registra la compresenza di almeno tre diverse modalità costruttive dello sporto). Il 'protagonismo della strada' resterà una costante dell'edilizia nelle città occidentali sino agli anni del razionalismo, ossia fino alla prima metà del Novecento.
L'Alto Medioevo segna il declino delle concentrazioni urbane; la campagna si popola di unità produttive autosufficienti, spesso ricavate reimpiegando le strutture residue di ville tardo imperiali. Nelle zone abitate dai franchi, il sovrano e i signori sono soliti spostarsi periodicamente da una dimora all'altra con la famiglia, un guarnito seguito e gli elementi più preziosi del mobilio e delle suppellettili, in omaggio a una tradizione di seminomadismo mai totalmente estinta: ciò consente di consumare le provviste accumulate sul posto grazie ai canoni in natura e di vendere le eccedenze. Presso le comunità rurali, che sino al 19° secolo segnano i territori ben più delle comunità urbane (secondo una stima attendibile, ancora intorno al 1500, la percentuale della popolazione urbana europea si sarebbe attestata ad appena il 6,1% del totale), lo spazio domestico è diretta espressione delle esigenze della comunità ristretta che dà vita a un'economia autarchica, sia essa il nucleo familiare o una piccola comunità. La 'casa' nell'Alto Medioevo è un complesso organico, che si identifica con un gruppo eterogeneo di uomini, animali e beni di vario genere: a ben vedere, questa sorta di animismo domestico che descrive la cellula, spesso totalmente autosufficiente, di una società a uno stadio di aggregazione ancora primitivo, non è un portato esclusivo dell'epoca. Già Esiodo raccomandava: "Per prima cosa prepara una donna, la casa e un bue per l'aratro" (Le opere e i giorni, 405 sg). Tanto nella Grecia arcaica quanto nell'Europa continentale del Medioevo, a delimitare lo spazio privato non sono le mura domestiche, ma un appezzamento di terreno, una 'zolla', che consente il sostentamento del nucleo familiare. Un pozzo e un focolare completano, nelle dimore isolate, la dotazione funzionale.
Nell'11° secolo si assiste a una ripresa della cultura delle città, che vanno potenziandosi con le libertà comunali. In termini di organizzazione del tessuto urbano, si registra generalmente la compresenza di fenomeni di rielaborazione dell'edilizia di impianto romano e di episodi di lottizzazioni pianificate ex novo, con tipologie a schiera e a corte: qui, il ceto artigiano trova la propria convenienza nel realizzare la bottega al piano terra, ricavando l'alloggio ai piani superiori. Aspetti innovativi manifesta il modello abitativo a carattere sovraregionale della casa-torre, appannaggio esclusivo dell'aristocrazia e del ceto mercantile, che fa la sua comparsa già nell'11° secolo.
Se la civiltà postfeudale, in forme spontanee, viene sempre più affermando le distinzioni al proprio interno, non è un caso che il tema della correlazione tra abitazione e rango sociale venga affrontato sistematicamente dai trattatisti dell'età umanistica. Attorno alla metà del Quattrocento, nel De re aedificatoria, L.B. Alberti tratta prioritariamente la forma rurale del domicilio privato del signore, la 'villa', terreno ideale per lo sviluppo di una teoria non mortificata dai condizionamenti di spazio così pressanti nelle città. L'adesione al linguaggio classico dell'antichità e la predilezione per planimetrie simmetriche orientano la produzione domestica cittadina di prestigio verso la realizzazione di tipologie di palazzo. Accorpamenti sistematici di case in linea accompagnano operazioni di 'rinnovo' che comportano una radicale trasformazione delle città in termini di immagine, senza richiedere sostanziali apporti di nuovi materiali. Gli interventi più frequenti consistono in una regolarizzazione degli allineamenti, in una revisione dei fronti su strada, intesa a distribuire le aperture secondo criteri di simmetria, e in una loro gerarchizzazione in verticale secondo la canonica scansione che prevede l'enfatizzazione di un piano nobile. All'intonaco, o a un rivestimento in pietra, viene affidato il compito di creare l'illusione di unitarietà del risultato figurativo.
Nelle aree rurali o periferiche, modi figurativi e costruttivi tradizionali tendono a opporsi con maggior tenacia alle innovazioni: le produzioni architettoniche civili riferibili a canoni edilizi largamente diffusi nei centri maggiori vi giungono con ritardo e spesso stemperate da una sfumatura dialettale. Le fasi di inurbamento rapido sono sempre contrassegnate da una febbre edilizia che stimola la produzione di tipologie innovative: tale è la situazione a partire dalla metà del Seicento, che registra una massiccia densificazione dei tessuti edilizi: nel quartiere della Suburra, a Roma, si realizzano i tipici 'palazzetti' alti sino a cinque piani che, nell'apparente adesione formale a tipologie più nobili, disimpegnano a ogni quota appartamenti di affitto indipendenti. Un pozzo nel cortile alimenta tutti i gruppi familiari. Nella capitale si diffondono anche contratti di enfiteusi: l'aristocrazia laica ed ecclesiastica concede al ceto artigiano e operaio il diritto di edificare su terreni di sua proprietà, regolando l'accordo attraverso contratti non particolarmente esosi agenti nel lungo periodo. Il rapporto con il concessionario del terreno permane quindi ben oltre i passaggi di proprietà della casa per vendita o per trasmissione ereditaria.Fin qui, la ricostruzione storica sembra confermare l'ipotesi di un sostanziale continuo adattamento reciproco tra esigenze dell'utenza e caratteristiche dell'alloggio.
La rivoluzione industriale del 19° secolo, richiamando in città dalle campagne manodopera attratta dal miraggio di un salario, altera questa dinamica di crescita 'morbida' e produce squilibri abitativi gravissimi sottolineati con grande enfasi dalla letteratura utopica e riformista. Nelle grandi città, le indagini sulle condizioni abitative commissionate dalle municipalità o in seno al volontariato accertano invariabilmente lo stato di precarietà e degrado degli slum, dei sobborghi di abitazioni in affitto. Tuttavia, i primi strumenti normativi, come l'inglese Public Health Act, risalente al 1847, sono in sostanza dei regolamenti di igiene volti a razionalizzare i processi edilizi, senza assunzione di un ruolo attivo da parte dell'autorità. I più antichi sobborghi pianificati per i ceti popolari si devono prevalentemente a iniziative filantropiche di industriali illuminati.
Con l'affermarsi della centralità del fenomeno urbano, il ciclo edilizio, ancorandosi alle logiche della rendita e del mercato, è dominato dalla borghesia emergente e dalla grande impresa, cui l'establishment fornisce strumenti di autorappresentazione particolarmente efficaci: a cavallo degli anni Cinquanta del 19° secolo nella Francia di Napoleone III e di G.E. Haussmann, prefetto di Parigi incaricato di dare una nuova struttura urbana alla città, la realizzazione di appartamenti in affitto è il risultato spettacolare di una densificazione edilizia controllata attraverso regolamenti municipali. Il decoro austero dei prospetti in pietra da taglio allineati lungo i boulevard, le nuove arterie cittadine, è ribadito dalla presenza di balconature disposte secondo un modello regolamentare e dall'uniformità della linea di gronda, oltre la quale si sviluppano gli alloggi mansardati: i cinque piani principali sono infatti sormontati da un coronamento a colmo spezzato che consente di ospitare nel sottotetto talvolta due o addirittura tre ulteriori livelli. La stratificazione sociale che ne deriva è duplice: essa si manifesta in verticale, ma anche relativamente al prospetto su strada, con il corpo di fabbrica che si approfondisce per la realizzazione di ambienti arieggiati da una teoria di corti e chiostrine interne. In una prima fase, sono più apprezzati i piani bassi e gli affacci sui boulevard, nobilitati da grandi finestrature; dopo la Prima guerra mondiale, la diffusione dell'ascensore provocherà un'inversione sociale, rendendo più appetibili i piani superiori e destinando gli ammezzati e i piani seminterrati, esposti all'inquinamento e ai rumori molesti della strada, ai ceti popolari e alle persone di servizio.
Gli anni del primo dopoguerra fanno registrare nelle società più avanzate un'acuta coscienza sociale del problema abitativo suscitato da fenomeni di immigrazione nelle grandi città e nelle aree industriali: le avanguardie intellettuali sollecitano l'impegno delle amministrazioni centrali e locali nella costruzione della città e nella gestione dei processi di produzione edilizia altrimenti in mano agli speculatori privati. In alcuni Stati europei, la sfera pubblica interviene nella produzione di alloggi attraverso crediti e agevolazioni concessi ad associazioni private sotto il vincolo dell'osservanza di regole distributive e igieniche prestabilite, oppure attraverso la costruzione diretta. I costi di realizzazione vengono abbattuti grazie alla standardizzazione dei procedimenti costruttivi e dei tipi edilizi. In Germania, negli anni della Repubblica di Weimar (1919-33), le sperimentazioni sono tra le più interessanti: l'uniformità d'impianto e la serialità dei quartieri di edilizia popolare vengono generalmente neutralizzati attraverso un'alternanza di tipologie estensive e intensive e un sapiente sfruttamento delle caratteristiche orografiche dei terreni. Il dibattito in seno al Movimento moderno, nei primi decenni del Novecento, si incentra intorno alla componente elementare dell'aggregazione, la cellula abitativa, individuandone i requisiti minimi di abitabilità. Per W. Gropius il problema dell'alloggio minimo (Minimalwohnung) è quello di stabilire il 'minimo elementare' di spazio, di aria, di luce e di calore richiesto dall'uomo per poter sviluppare pienamente le sue funzioni vitali senza limitazioni dovute all'alloggio medesimo, cioè un minimo modus vivendi anziché un modus non moriendi.
Nelle sperimentazioni legate direttamente o indirettamente alle teorizzazioni di Le Corbusier, gli strumenti per un controllo dimensionale dell'alloggio sono costruiti su alcune misure e rapporti invarianti dettati dalla statura e dalle proporzioni umane (il Modulor): una gamma di dimensioni in serie armonica (tali per cui ogni misura è medio proporzionale tra le due misure a essa contigue) presiede alle regole di progettazione tanto dell'abitazione unifamiliare che di quelle 'macchine per abitare' intensive che sono le 'unità di abitazione' di Marsiglia, di Nantes e di Berlino, realizzate nel secondo dopoguerra. L'unità, gigantesca utopia del Movimento moderno, è il risultato di una riflessione sulla cosiddetta dimensione conforme: la sottende un'ideologia dell'efficienza come requisito fondamentale per il funzionamento di un sistema complesso in cui la componente biologica tempera l'eccessivo determinismo di quella meccanica. Le Corbusier afferma che il compito del presente è la determinazione delle unità di grandezza conforme, frutto della rivoluzione architettonica compiuta e di un'urbanistica innovatrice, e che occorre creare un'attrezzatura fatta di unità che siano soddisfacenti in maniera specifica. Egli sostiene inoltre che pensare in questo modo significa concepire delle unità efficaci per la loro disposizione interna, per una qualità in un certo senso biologica, nel definire le dimensioni più opportune. Nel rifiuto degli schemi tradizionali di città (tessuti edilizi impostati su percorsi, gli chemins des ânes), l'unità-quartiere, che contiene dai 400 ai 500 alloggi, si propone come innovativo elemento di mediazione tra microcosmo domestico e macrocosmo comunitario: una logica di introversione ribalta sulle rues intérieures gli accessi agli alloggi tipologicamente differenziati (vere e proprie schiere interpretate in chiave moderna), mentre sulle terrazze e nelle vicinanze dell'unità trovano collocazione gli spazi per le relazioni della vita sociale e i servizi collettivi.
Gli esempi portati sottolineano il contributo normativo della ricerca architettonica e urbanistica ai fini della definizione degli apparati legislativi tecnici predisposti su scala nazionale. Tuttavia, se da un lato l'introduzione di standard ha elevato mediamente la qualità dell'abitare, dall'altro essa ha comportato inevitabilmente un'omologazione degli esiti progettuali sulla base di un'offerta dell'industria edilizia scarsamente articolata e flessibile. In altri termini, il 'progetto' moderno, livellando le diverse pratiche abitative, ratifica e generalizza il principio dell'adattabilità dell'uomo alla casa. Se dal secondo dopoguerra gli standard dimensionali e prestazionali codificati dalla ricerca tipologica hanno presieduto a una produzione edilizia attestata su tagli di alloggi e caratteristiche distributive convenzionali, occorre tuttavia segnalare, negli Stati maggiormente impegnati sulle questioni sociali, una serie di studi incentrati sul tema delle residenze protette riservate agli anziani e degli alloggi speciali per gli studenti, per le comunità di immigrati con proprie tradizioni dell'abitare, per portatori di handicap.
Alcuni recenti contributi teorici si caratterizzano infine per un'elaborazione che assume come sfondo un'inedita dimensione dell'abitare: i nuovi paradigmi della comunicazione tendono a configurare lo spazio domestico come luogo di ricezione e operazione a distanza, come terminale di una rete telematica, come dispositivo in grado di gestire i processi di lavoro, il consumo, il gioco, le relazioni sociali, il tempo libero. Il 'ciclo delle funzioni quotidiane' - abitare, lavorare, ricrearsi - si proietta in forma di bene immateriale, di flusso di informazione, all'interno dell'alloggio, sorta di microcosmo artificiale e autoreferenziale. In un'accezione meno totalizzante, l'automazione domestica, frutto di tecnologie microelettroniche, informatiche e telematiche, viene impiegata al servizio dell'economia, del comfort ambientale e della sicurezza del singolo alloggio. Nella cosiddetta casa intelligente i diversi impianti funzionano in modo automatico e integrato al fine di aumentare la propria efficienza; tra i dispositivi di sicurezza si distinguono quelli preposti alla security, ovvero alle condizioni complessive di protezione dell'edificio, delle persone e delle cose da attacchi di terzi, che richiamano il tema antico dell'inviolabilità della dimora, e quelli destinati alla safety, alla salvaguardia dell'incolumità delle persone, che riprendono in chiave moderna il concetto di firmitas di vitruviana memoria. In un'accezione ancora più discreta, ma non meno sofisticata, la tecnologia su scala domestica si avvia a diventare un elemento irrinunciabile nelle esperienze più avanzate di progettazione ambientale. Nella realizzazione di nuovi quartieri, essa assume come campo applicativo la problematica complessa del riuso dei materiali e del riciclo delle risorse, predisponendone un trattamento in loco, a ridosso degli alloggi; da un lato il ricorso a materiali edili tradizionali e biocompatibili, dall'altro l'introduzione di dispositivi in grado di consentire forme di risparmio energetico, di trattamento dei rifiuti e delle acque reflue, recuperano in modi consapevoli fisionomie e consuetudini costruttive caratteristiche, fornendo al tempo stesso risposte competenti e convincenti alle preoccupazioni utilitarie proprie di ogni habitat umano.
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