ABIURA (fr. abjuration; sp. abjuración; ted. Abschwörung, Lossagung; ingl. abjuration)
In base all'etimologia, abiura (lat. ab-iuro "nego con giuramento") significa la rinunzia libera e perpetua, sotto la fede del giuramento, a cose o persone o idee, alle quali prima si aveva aderito, e più specialmente - in forza dell'uso ecclesiastico - alla fede che prima si aveva professato, e alla chiesa alla quale prima si aveva appartenuto.
Nelle religioni politeistiche, che ammettono la pluralità degli dèi e delle religioni, ordinariamente non è sentito il bisogno d'imporre, a chi le abbraccia, l'abiura di altra fede professata prima, salvo che questa, per natura sua, neghi i principî stessi del politeismo, come è il caso soprattutto dell'ebraismo e del cristianesimo. Così, i cristiani di Bitinia, i quali sotto Traiano furono costretti da Plinio il giovane a ritornare al paganesimo, non solo dovettero adorare, in segno della loro sincerità, le immagini degli imperatori e degli dèi, ma anche Christo maledixerunt: era, sebbene il nome non fosse ancora in uso, un'abiura vera e propria.
In linea di principio, soltanto una religione rivelata può sentirsi in diritto d'imporre, insieme con la propria fede, l'abiura di qualsiasi altra. Anche in queste religioni, però, dal punto di vista del fòro interno, l'abiura pubblica e solenne può apparire superflua, in quanto che la professione di una fede implicitamente già contiene la rinuncia ad ogni altra. Quindi è che nello stesso cristianesimo, in cui primamente l'abiura pubblica fu istituita, essa si ebbe relativamente tardi; sul principio, e per molto tempo, non esisteva come cerimonia a sé, distinta dalla penitenza; ed anche in seguito non vi furono obbligati coloro che per la prima volta entravano nella Chiesa con il battesimo, ovvero vi ritornavano in una età inferiore ai quattordici anni, quando non potevano essere tenuti responsabili delle azioni commesse.
L'abiura è dunque un istituto propriamente giuridico, nato dalla disciplina penitenziaria, nei casi in cui si trattava di riammettere nel seno della Chiesa quelli che erano caduti nell'eresia o nello scisma, dopo che se ne erano pentiti e ne avevano fatto condegna penitenza. La cerimonia della loro riammissione per molto tempo in occidente - cioè fino ai tempi di S. Agostino (De Baptismo contra Donatistas, VI, 15) - ha consistito semplicemente nella imposizione delle mani (per la pratica del doppio battesimo, v. questa voce e cipriano, s.; donatisti; lapsi; penitenza), alla quale più tardi talvolta si è anche aggiunta l'unzione col sacro crisma.
Fu nel sec. V, dopo che sorsero le eresie di Nestorio e di Eutiche e parallelamente alla legislazione imperiale contro gli eretici, che si credette opportuno di esigere dai loro fautori, e in seguito anche da altri eretici (specialmente i manichei), che si convertivano, la professione di fede, la quale constava di due parti: nella prima il nuovo convertito anatematizzava tutte le eresie in generale, ma in ispecie quella a cui aveva aderito, e nella seconda professava la sua fede in tutte le verità insegnate dalla Chiesa. Questa disciplina fu definitivamente determinata in occidente dall'epistola di S. Gregorio Magno a Quirico e ai vescovi dell'Iberia (Epist. XI, 67), e in oriente dal can. 7° del concilio di Costantinopoli, che poi, incorporato nel can. 95 del concilio Trullano, entrò stabilmente a far parte del diritto canonico bizantino.
Nel Medioevo il tribunale della Inquisizione s'impossessò naturalmente dell'istituto giuridico già esistente dell'abiura; e se ne valse non solo per l'assoluzione degli eretici pentiti, imponendola loro come maniera pubblica di rinunziare al proprio passato, ma anche nel giudizio contro i sospetti di eresia, offrendola loro come mezzo di purgare sé stessi da ogni sospetto, secondo la triplice gradazione: de levi, de vehementi, et de violento. Il diritto ora vigente nella Chiesa cattolica è regolato dal canone 2314, § 2, del codice di diritto canonico, in cui si stabilisce che tutti gli apostati dalla fede cristiana, gli eretici e gli scismatici convertiti, per ottenere la pubblica assoluzione, debbano prima fare l'abiura giuridicamente, cioè dinanzi al vescovo del luogo o ad un suo delegato e alla presenza di almeno due testimonî.
Bibl.: Formule di abiura: contro i Manichei, in Migne, Patrologia graeca, I, col. 1648; contro i Pauliciani, ibid., CVI, col. 1333; altre in Martène, De antiquis Ecclesiae ritibus, Anversa 1736, II, pp. 917 segg.; Benedetto XIV, De synodo diocesano, V; II, 9, 10; IX; IV, 3; Berardi, Commentarium in ius ecclesiasticum, Milano 1947; V. Ermoni, in Dict. d'Archéol. Chrét. et de liturgie, I, s. v.; Deshayes e Petit, in Dict. de Théol. Cathol., I, s. v. (v. anche apostasia, conversione ed eresia).