ABLUZIONE (dal lat. ab-luo "lavar via, purificare"; fr. ablution; sp. ablución; ted. Abwaschung, Reinigung; ingl. ablution, washing)
Significa lavanda, e, in senso religioso, detersione di una impurità rituale per mezzo di un liquido purificatore. Questa concezione deriva da una fase di religiosità elementare, in cui l'impurità rituale è intesa non in senso morale ma fisico; e come tale può contrarsi anche senza volerlo, per lo più in contatto, essendo prodotta da una specie di fluido malefico emanante da certe sostanze ed azioni, ovvero da un'occulta potenza demoniaca, in esse e per esse operante. Naturalmente un'impurità di tal fatta si pensa che possa essere tolta per l'influsso contrario di altre forze sacrali, oppure di altri esseri di ordine spirituale operanti per mezzo di sostanze purificatrici. Fra queste l'acqua è stata sempre creduta massimamente efficace, in ispecie l'acqua corrente delle fonti e dei fiumi, ovvero del mare.
A contrarre l'impurità vanno soggette tanto le persone che le cose, e allora anche queste debbono essere lavate con l'acqua, perché tornino pure; anzi a questa funzione debbono talora essere sottoposte anche cose appartenenti agli dei e perfino le loro statue, come si faceva in Egitto, in ispecie la mattina all'apertura della cappella sacra; o, come si faceva a Roma, l'ultimo giorno delle feste della Gran Madre, detto appunto lavatio, perché la sua statua si portava processionalmente al sacro rivo dell'Almone per esservi lavata e purificata.
Il modo più completo di purificazione delle persone è il bagno intiero, specialmente nell'acqua corrente; ma talora bisogna accontentarsi di una lavanda parziale, per es. del viso e delle mani, o anche di una semplice aspersione, come fu uso presso gli ebrei coll'issopo (Salmo LI, 7), e come è tuttora, dietro il loro esempio, tra i cristiani. Queste pratiche non solo servono per allontanare qualche impurità speciale, ma anche per procurarsi una generale purità contro ogni eventuale immondezza contratta anche inconsapevolmente, affine di poter avere libero accesso alla divinità nel sacrificio e nella preghiera. Da ciò il costume frequente di far scaturire una fonte, o di porre un vaso d'acqua, all'ingresso dei templi.
Nello stesso ordine d'idee, anche la santità è qualche cosa che può parimenti acquistarsi per contatto nella vicinanza del divino. E poiché il sacro deve restare separato dal profano, la santità al pari dell'impurità impedisce, a rigore, chi ne è investito di tornare in mezzo alla vita comune, se prima non ne sia liberato, ciò che pure si ottiene per mezzo di abluzioni. Così il sommo sacerdote degli ebrei si lavava, sia prima d'indossare gli indumenti sacerdotali, per poter ufficiare puro da ogni macchia, sia alla fine, per liberarsi dalla santità acquistata nell'esercizio delle sue funzioni (Levitico, XVI, 4 e 24), e potere così essere di nuovo avvicinato dal popolo. Santità e impurità sono dunque l'aspetto positivo e quello negativo della sacralità.
L'uso dell'acqua lustrale si trova in quasi tutte le religioni, sia passate che presenti: ma mentre nelle religioni meno elevate ritiene esclusivamente il significato sopra descritto, nelle superiori tende ad acquistare un senso simbolico più o meno spirituale; p. es. il Deuteronomio (XXI, 6 seg.; cfr. Matteo XXVII, 24) prescrive alle persone sospette di omicidio di lavarsi le mani, in segno e protesta della propria innocenza; e in questo medesimo senso dice il Salmista: "Nella mia innocenza io mi lavo le mani" (Salmo XXVI, 6). Nel predetto senso simbolico, più elevato, deve intendersi il rito cristiano dell'aspersione e a fortiori quello del battesimo.
Bibl.: Toy, introduction to the History of Religions, 3ª rist., Cambridge Mass. (S. U.) 1924, p. 84 segg.; Hopkins, Origin and Evolution of Religion, New Haven 1924, p. 193 segg.; E. Lehmann in Chantepie de la Saussaye, Lehrbuch der Religionsgeschichte, 4ª ed. rifatta a cura di A. Bertholet e E. Lehmann, Tubinga, I, p. 58 segg. (v. inoltre purificazione e battesimo).