ABORTO
(dal latino aboriri; fr. avortement, fausse couche; sp. aborto; ted. Abortus o Fehlgeburt; ingl. abortion).
Ostetricia. - È l'interruzione della gravidanza in epoca in cui il feto non è capace di vita extrauterina. Tale limite in Italia, come in Francia, è, in accordo con le disposizioni legislative, fissato alla fine del sesto mese solare; mentre l'interruzione della gravidanza fra i 180 e i 265 giorni viene qualificata come parto prematuro e quella fra i 265 e i 275 giorni come parto precoce. Gli ostetrici tedeschi e inglesi fissano invece il limite dell'aborto alla 28ª settimana, cioè alla fine del settimo mese lunare. Il von Winckel e il Seitz distinguono anzi l'Abortus o Fehlgeburt, cioè l'interruzione entro le prime 16 settimane, quando la placenta non è ancora completamente formata, dal partus immaturus o unzeitige Geburt fra la 16ª e la 28ª settimana. Dalla 28ª alla 39ª settimana l'interruzione della gravidanza viene da loro chiamata partus praematurus o Frühgeburt. Da noi alcuni autori distinguono pure l'aborto embrionale dall'aborto fetale, intendendo indicare, con la prima di tali espressioni, l'interruzione della gravidanza nei primi due mesi, quando al nuovo essere spetta il nome di embrione, non avendo ancora raggiunto la forma umana.
All'interruzione (aborto) non sempre si accompagna l'espulsione all'esterno dell'uovo (parto abortivo), che può essere trattenuto morto in cavità anche per parecchi mesi, e fino oltre il termine della gravidanza normale (Landucci). In tal caso si parla di aborto interno o pretermesso. La possibilità del riassorbimento completo dell'uovo morto, trattenuto in cavità, nei primi mesi della gravidanza (intrauteriner Eischwund), sembra oggi dimostrata anche per la donna (Polano, L. Fraenkel, J. Müller), come è stata osservata negli animali.
Aborto tubarico è l'interruzione nei primi mesi di una gravidanza svolgentesi nella tromba uterina, e più propriamente quando l'uovo viene espulso per effetto delle contrazioni tubariche attraverso al padiglione verso la cavità peritoneale; mentre la sua ritenzione entro la tromba dà luogo alla formazione di una mola tubarica (v. gravidanza).
È molto difficile accertare con sufficiente approssimazione la frequenza reale dell'aborto. Probabilmente la più vicina al vero è quella calcolata dal Bossi, e corrisponde a 22 aborti ogni 100 parti a termine (1 : 4,5), pari circa al 18% di tutte le gravidanze. Dagli ostetrici di ogni paese è richiamata l'attenzione sul fatto che tale frequenza va da qualche tempo continuamente aumentando, probabilmente come effetto di un sempre maggiore impiego della donna nelle industrie e nei commerci, di una maggior diffusione delle malattie veneree, e soprattutto del dilagare dell'aborto criminoso. Le interruzioni abortive sono particolarmente frequenti nei primi mesi di gravidanza, specie nel terzo: più nelle pluripare che nelle primipare (Franz, Lantos = 1 : 5), e specialmente nei periodi corrispondenti alle ricorrenze mestruali (crisi mestruali gravidiche del Bossi).
Le cause dell'aborto sono numerose e svariate e non raramente parecchie di esse si possono trovare associate in uno stesso caso, agenti contemporaneamente per vie e con modalità diverse. La distinzione, che comunemente di esse si fa in cause ovulari e cause materne, in esterne ed interne, generali e locali, ecc., è quindi puramente scolastica. Ad ogni modo le cause insite nell'uovo sono indubbiamente nella realtà più frequenti di quanto comunemente non si noti in base ai comuni rilievi clinici. Esse sono rappresentate specialmente da anomalie di conformazione dell'embrione (His nel 30% delle uova abortive esaminate) o degli annessi (anomalie ed arresti di sviluppo dell'amnios, dell'allantoide e dei suoi vasi, del funicolo, del magma reticolare, idramnios, ecc.), da sviluppo morboso del corion (mola vescicolare), da infezioni (specie da sifilide paterna), o da intossicazioni dell'uovo (piombo, fosforo, alcool, ecc.), da inserzione anomala dell'uovo stesso (placentazione previa, angolare, o cervicale), o da lesioni della sua integrità (rottura o puntura dei suoi involucri).
Fra le cause materne esterne dell'aborto indubbiamente è stata fino ad oggi attribuita un'importanza eccessiva ai traumatismi, sia accidentali che derivanti da abitudini disadatte di vita (viaggi, danza, uso della bicicletta, ecc.), da necessità professionali (lavoro con macchina a pedale, mondatura del riso, posizioni coatte, ecc.), da interventi operativi (specie nella sfera genitale), o anche da impressioni violente o perturbazioni psichiche gravi. In generale peraltro l'influenza dannosa dei traumi è tanto maggiore, quanto più essi si esercitano in vicinanza dell'utero gestante, e più quando siano ripetuti e insistenti, anche se poco violenti. Per questo hanno in generale particolare importanza i traumatismi professionali, il coito ripetuto, l'eccitazione del capezzolo dovuta all'allattamento, le irrigazioni vaginali, specie se molto calde e a forte pressione, ecc. Alle azioni abortive esterne materne appartengono pure i bagni, i semicupî ed i pediluvî caldi, e l'introduzione di corpi stranieri nella cavità uterina o cervicale (zaffo cervicale, candelette, ecc.). Un posto intermedio fra le cause esterne e quelle interne occupano invece le etero-intossicazioni, sia professionali (saturnismo, idrargirismo, tabagismo, ecc.) che voluttuarie (morfinismo, alcoolismo, eterismo, cocainismo, ecc.), o terapeutiche e criminose (segale cornuta, ruta, sabina, capelvenere, rosmarino, tasso, zafferano, tuia, fosforo, ecc.).
Fra le cause interne si annoverano svariate malattie materne, sia generali che locali, interessanti la sfera sessuale. Fra le prime specialmente devono essere ricordate le malattie infettive febbrili acute (tifo, influenza, polmonite, ecc.), e per effetto del processo febbrile per sé stesso, e per la possibilità del passaggio all'uovo dei germi infettanti o delle tossine da essi elaborate, e per le alterazioni dell'endometrio che abitualmente vi si accompagnano. Delle malattie infettive croniche nota è più che mai l'influenza abortiva della sifilide, sia di origine paterna che materna. Azione abortiva possono pure esplicare le malattie dell'apparato respiratorio, quando si accompagnino a tosse stizzosa e insistente, ed a notevole accumulo di anidride carbonica nel sangue; quelle dell'apparato circolatorio, quando siano causa di scompenso con accentuata stasi nella pelvi; alcune malattie del ricambio (diabete, morbo di Addison, ecc.), e soprattutto le autointossicazioni, tanto se derivanti da alterazioni renali preesistenti (nefrite), quanto se di origine strettamente gravidica (nefropatie gravidiche).
Il primo posto fra le malattie locali ginecologiche spetta, come causa di aborto, a tutte quelle alterazioni dell'endometrio, specie di natura infiammatoria, che lo rendono disadatto ad albergare e nutrire l'uovo (endometrite, congestioni e iperplasie patologiche, atrofia, ecc.). Importanti sono pure le ipoplasie, gli spostamenti dell'utero (specie le retroversioni), le lacerazioni cervicali vaste e i fibromiomi dell'utero; ma anche in tali casi è verosimile, che la causa diretta dell'aborto risieda essenzialmente nelle alterazioni dell'endometrio, che ad esse appunto si accompagnano.
Il meccanismo, per il quale cause così numerose e svariate esplicano la loro azione, può essere ricondotto, come fatto primitivo, o alla morte dell'uovo, o all'insorgenza di contrazioni uterine, o ad alterazioni dei rapporti materno-ovulari per il prodursi di stravasi sanguigni nella sede d'inserzione placentare, favorito da forti congestioni pelvi-genitali o da particolare friabilità vasale. Rispetto poi al modo col quale l'uovo viene espulso, si può avere l'aborto in un sol tempo, quando si abbia l'espulsione dell'uovo in blocco, come pressoché di regola avviene nei primi due mesi di gravidanza; oppure l'aborto in due tempi, quando all'espulsione del feticino preceda la rottura dei suoi involucri, cosicché alla fuoruscita del feto solo segue in secondo tempo quella dei suoi annessi. Ciò avviene più spesso in periodi più avanzati della gravidanza.
I sintomi caratteristici dell'aborto, oltre quelli comuni della gravidanza, sono la perdita sanguigna, espressione del distacco ovulare, i dolori dovuti alle contrazioni uterine, e il dilatarsi del collo uterino (pur senza scomparire come nel parto a termine o prematuro), per dare passaggio all'uovo.
La diagnosi dell'aborto esige in ogni singolo caso anche il giudizio sulla possibilità o no di evitarlo (minaccia di aborto o aborto evitabile, piuttosto che aborto in atto o aborto inevitabile), in quanto che da tale giudizio deve dipendere essenzialmente la linea di condotta terapeutica. Talvolta il problema diagnostico riguarda invece la differenziazione fra l'espletamento completo, già avvenuto, dell'aborto (aborto perfetto), o la ritenzione in cavità di frammenti ovulari (aborto incompleto o imperfetto). Né raramente occorre di dover differenziare l'aborto incompleto protratto da una endometrite deciduale post-abortiva, dovuta a ritenzione e involuzione imperfetta della decidua parietale.
In ogni caso di aborto è necessario anche di ricercarne, nei limiti del possibile, la causa, soprattutto per evitare che dal permanere di essa possa derivare il ripetersi di nuove interruzioni abortive. L'aborto abituale è nella maggioranza dei casi dovuto ad infezione sifilitica dell'uno o dell'altro coniuge; ma può derivare anche da intossicazioni (nefrite, saturnismo), da stati infiammatorî permanenti dell'endometrio, da deviazioni uterine non corrette, da ipoplasia o da tumori (specialmente fibromiomi) dell'utero. Si dànno peraltro casi di aborto abituale senza causa rintracciabile, e verosimilmente dipendenti da una particolare eccitabilità della muscolatura uterina.
I pericoli principali dell'aborto sono l'emorragia e l'infezione. La mortalità per aborto è peraltro bassa, poiché quella fra l'i e il 5% registrata nelle Maternità e nelle cliniche ostetriche, dove si presentano specialmente i casi complicati e più gravi, non è certamente attribuibile alla generalità dei casi. La morbilità è invece molto elevata, e causata abitualmente o da ritenzione di residui complicazioni febbrili putride o infettive, favorite pur esse dalla ritenzione stessa. Ad esse seguono poi non raramente postumi ginecologici di non lieve entità.
La terapia dell'aborto deve essere sedativa e di riposo, quando ancora esso si ritenga evitabile; e invece attiva, per provocare lo svotamento completo e sollecito della cavità uterina, quando l'aborto non è più evitabile. La coesistenza però di complicazioni febbrili, specialmente se di origine settica accertata, devono consigliare circospezione e prudenza nella scelta della condotta terapeutica, fino a far preferire l'astensione, quando già il processo infettivo abbia superato la parete uterina per interessare il parametrio, gli annessi e il peritoneo pelvico.
L'aborto viene artificialmente provocato a scopo terapeutico, quando lo stato di gravidanza crei grave pericolo per la vita della donna. Si dànno per esso indicazioni ostetriche (mola vescicolare, emorragie ripetute e gravi, ecc.) e indicazioni mediche (vomito incoercibile, nefropatie gravidiche, vizî cardiaci scompensati, tubercolosi, ecc.). In Italia la provocazione dell'aborto a scopo eugenico non ha invece incontrato fino ad oggi favore (Pestalozza). L'aborto terapeutico, per quanto non tassativamente considerato nella legislazione italiana, è però in essa esente da imputabilità in base all'art. 49, n. 3 del cod. pen. come mezzo diretto a salvare altri da pericolo grave. Esso è però condannato dalla Chiesa come atto contrario alla "morale naturale".
L'aborto procurato criminoso rappresenta oggi una grave piaga sociale, comune con varia intensità a tutte le nazioni civili, e contro la quale finora si sono dimostrate insufficienti tutte le misure punitive. (v. qui sotto).
La sua frequenza è in continuo aumento. Per esso ogni nazione civile perde ogni anno diverse decine, e fors'anche qualche centinaio, di migliaia di vite nuove. La Francia si trova all'avanguardia con ben 500.000 aborti procurati all'anno (Luschau), dei quali 50.000 nella sola Parigi (Bertillon). L'aborto criminoso, a differenza dell'aborto spontaneo, dà un'alta mortalità materna (Maygrier 56,81%, in confronto di 0,57%) e un'altissima morbilità.
Diritto. - Sotto il titolo di procurato aborto si considera reato ogni fatto dolosamente compiuto al fine d'impedire il normale compimento del processo formativo del feto, cagionando l'uccisione del feto stesso.
Nel diritto romano non era stabilita alcuna sanzione diretta espressamente alla repressione del procurato aborto, giacché il feto era considerato parte integrante delle viscere materne. Mentre pertanto si riconosceva alla madre la facoltà di disporre liberamente del proprio corpo e quindi anche del feto in esso contenuto, si riteneva, rispetto ai terzi, che l'uccisione del feto, salva l'offesa verso la donna, non potesse come tale rientrare fra i delitti contemplati nella legge Cornelia (de sicariis et veneficiis) e in altre disposizioni complementari, che tutte presupponevano l'esistenza dell'essere umano distaccato dalle viscere materne. Le disposizioni punitive della legge Cornelia furono quindi, con un senatoconsulto, estese alla vendita e somministrazione dei pocula abortionis e amatoria. Con ciò peraltro non si volle assimilare l'aborto al veneficio per punire direttamente l'uccisione del feto, ma si volle unicamente allargare la sfera repressiva dei delitti di veneficio. Nell'epoca di maggiore decadenza dei costumi, le pratiche abortive ebbero in Roma la più larga diffusione, essendo considerate come mezzo per sottrarsi ai dolori e ai pericoli del parto, al peso della figliolanza e anche, solamente, per conservare la bellezza e la linea estetica del corpo. Contro di esse, in nome della morale, insorsero gli scrittori cristiani, tra cui particolarmente Tertulliano, che nell'Apologetico sosteneva di riscontrare nel feto i caratteri essenziali della personalità umana (homo est qui est futurus). Si venne così preparando la completa e radicale trasformazione del diritto preesistente, attuata nella compilazione giustinianea, nella quale il procurato aborto fu considerato esplicitamente come delitto e avvicinato all'omicidio (fr. 8, Dig., 48, 8).
Nel diritto canonico, ugualmente, il procurato aborto fu ritenuto come delitto contro la persona, assimilato all'omicidio e punito con le stesse pene di questo. Si richiedeva però l'esistenza di un feto formato come corpo che avesse ricevuta l'anima; e, sul fondamento delle antiche dottrine di Aristotele e di Plinio, si riteneva che il feto divenisse animato quaranta o ottanta giorni dopo il concepimento, a seconda che si fosse trattato di maschio o di femmina. Questa distinzione passò quindi nei pratici del diritto criminale, e fu accolta ancora nella Carolina (Codice penale emanato dall'imperatore Carlo V nel 1532 per i suoi vasti dominî) e in altre leggi anteriori alle moderne codificazioni, comminandosi, in generale, per l'uccisione del feto animato la pena della morte e per quella del feto inanimato pene minori.
Nelle moderne codificazioni, pur riconoscendosi universalmente la convenienza di tutelare con sanzioni penali la formazione della persona umana nell'utero materno, in vista dell'interesse sociale concernente la normalità delle gestazioni e delle nascite, si è ravvisato nell'aborto procurato un delitto di gravità minore di quella con cui si presenta l'omicidio, perché, mentre in questo delitto si ha la distruzione di una persona, nell'aborto si ha la distruzione di una semplice speranza, non potendosi sapere se il feto sarebbe effettivamente arrivato a maturità. Da ciò consegue che, secondo la terminologia del Carrara, non solamente la quantità naturale, ma altresì la quantità politica del delitto sia minore, per il più tenue allarme che ne deriva, e per la giusta considerazione nella quale debbono essere tenute le condizioni anormali della donna, che, commettendo il delitto, non poteva essere trattenuta dall'amore per un bambino che ancora non conosceva. Dal minore allarme sociale e dalla difficoltà della prova dell'aborto si è voluto da qualche moderno criminalista trarre la conseguenza che questo delitto debba essere punito a querela di parte, e solo eccezionalmente di ufficio, quando, essendo stato commesso da un estraneo sulla donna, sia ad essa derivata la morte o un grave danno alla salute. Trattasi peraltro di opinione rimasta isolata di fronte alla politica criminale degli stati contemporanei, che ha reagito e reagisce a tutte le tendenze dirette, anche in dipendenza delle dottrine malthusiane, ad attenuare, oltre misura, l'incriminabilità dell'aborto o addirittura ad abolirla. I codici oggi in vigore considerano universalmente l'aborto procurato come delitto, collocandolo in generale fra quelli contro la persona, ma non mancano esempî di diversa collocazione nelle legislazioni positive, né opinioni discordanti nella dottrina, essendosi sostenuto, quantunque con argomenti poco convincenti, che questo delitto debba essere annoverato fra quelli commessi contro la famiglia o contro il buon costume.
In base alle disposizioni del diritto positivo, l'aborto procurato può definirsi col Carrara "la dolosa uccisione del feto nell'utero, o la violenta sua espulsione dal ventre materno, dalla quale sia conseguita la morte del feto". Da questa definizione si desumono tutti gli elementi necessarî alla integrazione del delitto. Innanzi tutto appare elemento necessario la sussistenza della gravidanza, che intercorre fra la fecondazione e la espulsione naturale del feto, presumendosi in tale periodo, fino a prova contraria, la vitalità del feto stesso. In secondo luogo si richiede che il colpevole abbia conoscenza dell'esistenza della gravidanza e agisca coll'intenzione diretta all'eiezione del feto. Ciò costituisce l'elemento del dolo specifico nel delitto di procurato aborto. Non si ammette la possibilità dell'aborto colposo, pur non essendo mancato qualche accenno, fra i seguaci della scuola positiva, alla possibilità di concepire anche un aborto colposo per ragion d'onore, nel caso di una donna che, per non destare sospetti, non usasse i riguardi necessarî al suo stato. In terzo luogo si richiede che l'eiezione sia stata violentemente prodotta con mezzi esterni o interni, fisici (manovre meccaniche, trauma, ingestione di farmachi) o, nel caso che sia stato un estraneo a provocare nella donna l'aborto, morali (patema d'animo). Infine occorre che si verifichi la morte del feto, non sembrando elemento sufficiente la semplice espulsione prematuramente prodotta, benché essa possa gravemente influire sulla costituzione fisica e lo sviluppo del neonato.
Il delitto di procurato aborto è contemplato in Italia dal codice penale vigente (approvato con decreto 30 giugno 1889) negli articoli dal 381 al 385. Nelle disposizioni di questi articoli sono prevedute varie ipotesi: 1) Della donna che, con qualunque mezzo adoperato da lei, o da altri col suo consenso, si procuri l'aborto. La pena è della detenzione da uno a quattro anni. 2) Di chiunque procuri l'aborto col consenso della donna. La pena è della reclusione da trenta mesi a cinque anni. 3) Di chiunque fa uso di mezzi diretti a procurare l'aborto, senza il consenso o contro la volontà della donna. La pena è della reclusione da trenta mesi a sei anni, e da sette a dodici anni, se avvenga l'aborto. Nel caso dell'aborto procurato da un terzo, se ne deriva la morte della donna, la pena è aggravata: se il colpevole è rimasto nei limiti del consenso della vittima, sono comminati da quattro a sette anni di reclusione; se ha usato nezzi più pericolosi di quelli consentiti, la pena è portata da cinque a dieci anni; se, infine, ha agito senza alcun consenso, la pena sale da quindici a venti anni. Le dette pene sono aumentate, se il colpevole sia il marito, o persona che esercita una professione sanitaria o altra professione o arte soggetta a vigilanza per cagione di sanità pubblica. Per queste persone si aggiunge la sospensione dall'esercizio della professione per un tempo pari a quello della pena inflitta. Una diminuzione di pena è, invece, stabilita nel caso di aborto procurato per salvare l'onore proprio o della moglie, della madre, della discendente, della figlia adottiva, o della sorella. Oltre a queste disposizioni particolarmente stabilite negli articoli summentovati, si deve aver presente che comunemente si ammette che possa il procurato aborto essere totalmente scriminato in base allo stato di necessità (art. 49 del cod. pen.), quando il delitto sia commesso dalla donna rimasta vittima di violenza carnale: caso questo discusso particolarmente a proposito delle donne violentate in guerra. In ordine all'aborto procurato a sé stessa dalla donna (art. 381) e all'aborto procurato alla donna con il consenso di lei (art. 382), si ritiene comunemente, in giurisprudenza, che sia ammissibile il tentativo. In senso contrario si è manifestata invece la dottrina, la quale ha insistito nel rilevare che la incriminabilità del tentativo verrebbe ad arrecare soverchio disordine nelle famiglie con imputazioni di difficile prova. E anche in base all'interpretazione delle norme legislative vigenti si è voluto sostenere la non incriminabilità del reato nei casi sopra indicati, rilevandosi che, se il legislatore ha inteso il bisogno di fare espressamente menzione del tentativo nell'art. 383, ciò dimostra che egli ha ritenuto che, senza tale menzione, non sarebbe stato incriminabile. Ma contro questa interpretazione si è, d'altra parte, osservato che la disposizione dell'art. 383 non può essere stata dettata allo scopo d'incriminare in un caso particolare il tentativo, che è genericamente contemplato dal codice nella parte generale, ma piuttosto allo scopo di elevare l'ipotesi in cui siasi fatto uso di mezzi diretti a procurare l'aborto senza il consenso della donna, al grado di reato perfetto, per la maggiore gravità del fatto.
Nel progetto del nuovo codice penale pubblicato nell'agosto del 1927, lasciandosi immutata la configurazione giuridica generale di questo reato, sono aumentate le pene comminate nel codice ora in vigore, introdotte lievi modificazioni e alcuni miglioramenti nelle specifiche configurazioni delittuose e nella formulazione tecnica delle disposizioni, e sono infine prevedute come reati le ipotesi della istigazione di una donna incinta ad abortire, o la somministrazione, per tale scopo, di mezzi idonei all'aborto.
Bibl.: A. Cuzzi, A. Guzzoni, Mangiagalli e Pestalozza, Trattato di Ostetricia e Ginecologia, Milano 1892, II, ii, p. 250 segg.; Clivio, Ferroni, Pestalozza, Resinelli e Vicarelli, Trattato di Ostetricia, Milano 1924, II, p. 604; Bar, Brindeau e Chambrelent, La pratique de l'art des accouchements, Parigi 1927, III, p. 476; F. v. Winckel, Handbuch der Geburtshilfe, Wiesbaden 1904, II, ii, p. 1317; Halban e Seitz, Biologie und Pathologie des Weibes, Berlino-Vienna 1926, VII, ii, p. 407; Howard A. Kelly, Medical Gynecology, Londra 1908, p. 428; Rae Thornton La Vake, A Handbook of Clinical Gynecology and Obstetrics, S. Louis 1928, p. 188.
Per la teologia: A. Beugnet, in Dict. de théol. cathol., I, ii, col. 2644 segg.
Bibl.: Per il diritto mancano buone monografie complessive. Fra i trattati generali vedi: F. Carrara, Programma del Corso di diritto criminale, parte speciale, 8ª ed., Firenze 1906, I, p. 404 segg.; B. Alimena, Dei delitti contro la persona in Enciclopedia del Diritto penale italiano a cura di E. Pessina, Milano 1909, p. 696 segg.; V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, 2ª ed., Torino 1922, VII, p. 158 segg.
Veterinaria. - In zootecnia e in veterinaria si chiama aborto l'interruzione del periodo di gestazione prima che il feto sia vitale, cioè capace di vivere indipendentemente dalla placenta della madre, sia questa interruzione seguìta o no dall'espulsione del prodotto del concepimento. Nella cavalla si considera vitale il feto dopo il 10° mese; nella vacca dopo il 7°; negli ovini e caprini dopo il 4°; nei suini dopo i cento giorni.
Quando i casi di aborto sono numerosi in un tempo relativamente breve e in una zona limitata di territorio (magari in una sola stalla o mandria), dicesi enzootico; se invece si estende in un vasto territorio e colpisce numerosi animali e anche differenti specie, dicesi epizootico. L'aborto epizootico è infettivo e contagioso ed è dovuto al bacillo di Bang, microrganismo immobile, asporigeno, che si può riprodurre artificialmente in speciali terreni di coltura, ma non è molto resistente agli agenti sterilizzanti. Per lo più attacca i bovini, ma può colpire anche la pecora, la capra e la scrofa.
L'infezione può avvenire per mezzo delle urine, delle feci, del latte stesso anche delle vaccine guarite, ma più facilmente per opera dei liquidi e delle membrane fetali, per il catarro uterino o vaginale, per il contenuto dell'abomaso e dell'intestino. Sono fattori di diffusione del morbo la lettiera, gli attrezzi della scuderia e della stalla, le coperte, i finimenti, il pene del toro, le mani dei custodi. Il microbio, che normalmente nell'ambiente esterno non resiste a lungo, portato invece a contatto con la vulva della femmina gravida, passa facilmente nel vestibolo, nella vagina e nell'utero,inquinando il latte, la mucosa uterina e la placenta. La via di penetrazione del bacillo nella vacca è anche il sistema digerente, a causa di foraggi o di acque inquinate; da una femmina colpita, il contagio si propaga a poco a poco alle vicine fino ad infettare tutta la stalla o la mandra al pascolo. La durata dell'incubazione varia assai: secondo le ricerche del Bang, da 17 fino a 70 giorni. Se in una stalla colpisce il 10-20% delle femmine gravide, si può ritenere benigno, potendo colpire anche l'80%. L'aborto è raro nelle primipare; infatti colpisce per lo più le vacche al secondo e terzo parto. Nella vacca si presenta dal 3° fino all'8° mese di gravidanza. Dopo un paio di aborti, se non si sono avute gravi conseguenze, che consiglino l'abbattimento dell'animale, questo raggiunge una certa immunità duratura. Infatti, come conseguenza dell'aborto infettivo, si hanno ritenzioni delle secondine, la procidenza e il rovesciamento dell'utero e della vagina, metriti settiche, alle quali succede la sterilità.
La sintomatologia dell'aborto infettivo è varia: talvolta si presenta il cambiamento del latte, se la femmina era in piena lattazione, e dalla mammella si estrae un liquido simile al colostro. Se la mucca era asciutta, si nota invece l'inturgidimento della mammella, l'esantema forforaceo dalla vulva all'ano, talvolta una tumefazione vulvare con fuoruscita di un liquido sanioso, brunastro. L'espulsione del feto avviene dopo due o tre giorni, qualche volta con sforzi evidenti, ma spesso rapidamente, senza che l'animale cessi per questo di mangiare o di ruminare. La femmina di solito deperisce, si mostra febbricitante, specialmente se ritiene le secondine, che cadono in putrafazione; è facile la metrite, che può condurla alla morte. Come conseguenze secondarie si hanno emoglobinuria, manifestazioni di poliartrite, ecc.
La diagnosi può essere fatta con i dati epidemiologici e clinici, ed è confermata dalla ricerca del bacillo di Bang o nel feto o negli invogli. Praticamente, in maniera più rapida e più facile, si ricorre alla sierodiagnosi sul sangue delle vacche e dei tori sospetti.
Profilassi. - Bisogna impedire l'entrata nelle stalle delle femmine che hanno abortito, o provengono da zone dove si sa che esisteva l'aborto infettivo. Gli animali acquistati al mercato si sottopongano in quarantena alla prova sierodiagnostica. Si eviti l'entrata di cani e galline entro cortili, dove si è sviluppato l'aborto, e non si asporti stramaglia o fieno dalle località infette. S'impedisca la comunanza di pascoli e di abbeveratoi, introducendo nelle grandi vaccherie l'uso degli abbeveratoi automatici: uno per ogni posta. Se una vaccina ha abortito, si tolga subito dalla stalla, isolandola, e si disinfetti la posta, asportando la lettiera; è buona regola isolare anche le vicine. I feti e le secondine espulse saranno avvolti in panni grossolani e asportati dalla stalla entro secchi di lamiera, dopo averli immersi in disinfettanti energici.
La vacca che ha abortito e che è stata isolata, sarà disinfettata; in vagina si porranno bastoncelli assorbenti di carbone, finché non sia cessato lo scolo vaginale, poi candelette di vaginalyn o si praticheranno irrigazioni. Il Nocapel propone una soluzione di sublimato corrosivo (gr. 5), alcool diluito (gr. 50), glicerina (gr. 50) in trenta litri d'acqua distillata; giovano anche irrigazioni vaginali con acqua fenicata all'1% con aggiunta di carbonato sodico all'1%.
Non è consigliabile vendere le vacche che hanno abortito, fatta eccezione di quelle che hanno presentato gravi complicazioni secondarie, perché dopo un paio di aborti le vaccine guarite finiscono con l'essere immunizzate.
Sempre come misura profilattica, si disinfetteranno periodicamente tutte le vaccine di una stalla con un leggero disinfettante, lavando loro la vagina e i genitali esterni, evitando per i bovini il bicloruro mercurico per la leggera intossicazione e per gli sforzi espulsivi, che provoca anche in soluzione al 0,5‰. Si dovrà pure disinfettare il pene del toro prima e dopo il salto.
La cura che fino ad ora ha avuto maggior successo è quella proposta dal Brauer fino dal 1888, mediante iniezioni di 10-15 centimetri cubici di una soluzione di acido fenico al 2%, praticate nel connettivo sottocutaneo del fianco, e ripetute ogni due o tre settimane. Si potrebbe adoperare il siero antiabortivo, ma spesso il suo uso è limitato per l'alto costo del preparato, al quale l'allevatore non si assoggetta volentieri, preferendo sacrificare l'animale. Invece sono molto usate le siero-vaccinazioni, o anche i soli vaccini, che, pur non riuscendo a immunizzare l'animale nel primo anno, lo assicurano nel secondo, accelerando il processo d'immunizzazione naturale.
Da poco tempo è stata avanzata l'ipotesi che il bacillo di Bang sia patogeno anche per l'uomo, e che esso e il Micrococcus melitensis siano due varietà di una specie bacterica unica, ipotesi da altri negata (v. malta, febbre di). È però dimostrato che le vaccine, che hanno abortito, possono essere focolaio d'infezione per l'uomo, onde si rende necessaria una difesa anche riguardo all'igiene umana.
Anche le cavalle presentano un aborto infettivo, che non è provocato dal bacillo di Bang, ma da streptococchi e stafilococchi diversi e, con più frequenza, da un bacillo del gruppo del paratifo, che genera anche altre forme morbose. La malattia si previene con un vaccino paratifico e con le medesime cure profilattiche che si usano per i bovini.
Botanica. - In botanica il termine di aborto indica la scomparsa, o riduzione, morfologica e funzionale, di un apparato o di un organo, talora accompagnata dalla sua caduta. Vi possono essere, nel corso dell'ontogenesi, degli aborti normali di organi diversi (aborto essenziale), ma anche patologici, per influenze esteriori fisiche o parassitarie (aborto accidentale). Esiste anche un aborto genuino, paragonabile a quello degli animali superiori, quando cioè in un frutto a pericarpo, normalmente sviluppato, si ha la scomparsa o la riduzione dell'ovulo o dell'embrione, e quindi successivamente un seme imperfetto, o anche la mancanza di seme (apirenia, aspermia). Così avviene nel nocciuolo, nel mandorlo, nell'albicocco, nel pistacchio e in molti altri fruttiferi.
Bibl.: A. Trotter, Il concetto di aborto in patologia vegetale in Annali del R. Ist. Sup. Agrario di Portici, XX (1924), p. 3.