Abramo
Il più antico patriarca del Vecchio Testamento (Gn. 11, 26-25, 11), figura comune agli Ebrei, agli Arabi e ai Cristiani. Questa circostanza spiega l'abbondanza delle sue rappresentazioni, nelle quali di solito appare come un vecchio dalla barba e dai capelli bianchi, talvolta con in mano un coltello (in riferimento all'episodio più noto della sua vita, l'accettazione del sacrificio del figlio Isacco).
Rari sono i cicli tratti dalla storia del patriarca (per es. i mosaici del sec. 12° di S. Marco a Venezia), mentre si è preferito isolare singole scene che potessero offrire paragoni tipologici. L'arte cristiana ha infatti sempre privilegiato nelle sue rappresentazioni la scelta di scene viste come prefigurazioni della figura e della storia di Cristo. Così per es. uno degli episodi più frequentemente rappresentati, l'incontro di A. con Melchisedec, re di Salem (antico nome di Gerusalemme) e "sacerdote di Dio Altissimo" (Gn. 14, 18-21), racchiude più di un significato cristologico. A. che offre le decime a Melchisedec ed è da lui benedetto, oltre all'interpretazione paolina (Eb. 7, 1-28), secondo cui è espressione della superiorità del sacerdozio di Cristo su quello dell'antica legge (Melchisedec è infatti re e sacerdote come Cristo e di lui non viene data alcuna genealogia, necessaria invece per il sacerdozio levitico), sta anche a rappresentare l'offerta dei doni da parte dei Magi a Gesù bambino (dossale dell'altare del 1181 di Nicola di Verdun a Klosterneuburg).
Viceversa, l'offerta da parte di Melchisedec del pane e del vino è prefigurazione dell'Eucarestia. In questa simbologia, è poi naturalmente la scena dell'offerta del re-sacerdote con il suo significato eucaristico a prevalere e a essere più rappresentata; infatti questo episodio appare nei mosaici di S. Maria Maggiore a Roma, di S. Vitale e di S. Apollinare in Classe a Ravenna come più tardi negli affreschi del sec. 12° di Saint-Savin-sur-Gartempe (Poitou). Nel bassorilievo della controfacciata della cattedrale di Reims, conosciuto proprio sotto il nome di 'Comunione del cavaliere', un cavaliere rivestito da una armatura medievale riceve la comunione da un uomo in abiti sacerdotali: il cavaliere è A. (al ritorno da una guerra, quella contro gli Elamiti), al quale Melchisedec, in vesti sacerdotali, porge l'ostia consacrata.
Un altro episodio molto spesso raffigurato, la Visita dei tre angeli ad A. (Gn. 18, 1-16), ha dato anch'esso luogo a diverse interpretazioni. L'arte bizantina, seguendo l'interpretazione di alcuni Padri della Chiesa, vi ha visto infatti una manifestazione della Trinità ("tres vidit et unum adorat" scrive Agostino a proposito dell'incontro nella valle di Mamre; PL, XLII, col. 809). Varie sono le rappresentazioni di questo tema nella pittura monumentale (S. Vitale a Ravenna) e nelle icone. Nella più famosa, l'icona di Andrej Rublëv degli inizi del sec. 15° (Mosca, Gosudarstvennaja Tretjakowskaja Gal.), la figura del patriarca sparisce, lasciando spazio alla sola rappresentazione dei tre angeli trinitari (Alpatov, 1976). Se poi in Oriente questa scena è servita a illustrare il mistero della Trinità, in Occidente la Visita dei tre angeli e il loro conseguente annuncio della nascita di Isacco sono stati visti come prefigurazione dell'Annunciazione e come tali hanno ispirato la produzione figurativa, come nel caso delle porte in bronzo di S. Zeno a Verona (sec. 12°), dove sono riunite varie scene tratte dalla vita del patriarca. A. qui appare, oltre che con le grucce, simbolo di vecchiaia, con in testa il berretto a punta, tipico del popolo ebraico: A. è infatti il primo personaggio biblico a essere definito 'ebreo': "Abramo l'ebreo" (Gn. 14, 13; Butturini, 1982).
La scena più spesso rappresentata della storia di A. è quella del sacrificio del figlio Isacco (Gn. 22) che, mentre per gli Ebrei è l'esempio della assoluta sottomissione alla volontà di Dio, per i Cristiani è chiara prefigurazione del sacrificio di Cristo. In tale interpretazione, che risale all'epoca patristica (Leclercq, 1924, riporta i passi in questione), A. che si accinge a sacrificare l'unico figlio è l'immagine di Dio che sacrifica il proprio per la salvezza di tutti gli uomini, così come, dato che l'episodio è stato tutto letto in chiave allegorica, Isacco che porta da solo la legna per il proprio sacrificio è l'immagine di Gesù che porta la croce, prefigurazione della Via Crucis. Scrive il Venerabile Beda, diffondendo in epoca medievale l'interpretazione dei Padri: "Isaac ligna, quibus immolaretur, portantem et Dominum crucem, in qua pateretur, aeque portantem" (PL, XCIV, col. 720); e più tardi la Biblia pauperum nella sua Concordantia veteris et novi testamenti porrà proprio Isacco a confronto con Cristo che sale il Golgota. Il legame Isacco-Gesù Cristo è talmente forte che, come in un sarcofago paleocristiano alla figura di Cristo di fronte a Pilato si era sostituita quella di Isacco (sarcofago di S. Maria Maggiore; Leclercq, 1924, col. 115), così in una vetrata dipinta della cattedrale di Bourges (sec. 13°) si vede Isacco portare non la legna per il sacrificio ma addirittura la croce (Mâle, 1898).
Apparso con grande frequenza nell'arte funeraria paleocristiana, in vari sarcofagi, tra i quali basti citare quello del sec. 4° di Giunio Basso (Roma, Tesoro di S. Pietro), il sacrificio di Isacco ha grande diffusione anche nelle rappresentazioni medievali, tanto da essere scelto come soggetto per il famoso concorso del 1401 a Firenze per le porte del battistero, al quale parteciparono Brunelleschi e Ghiberti. La scena talvolta è suddivisa in vari episodi, anche se, per lo più, è rappresentato soltanto il momento del sacrificio vero e proprio, con A. che alza il coltello per uccidere il figlio inginocchiato ma è fermato o dalla mano divina che scende dal cielo o, più spesso, da un angelo che gli mostra un ariete impigliato per le corna in un cespuglio, pronto per essere immolato (porta in bronzo di S. Zeno a Verona). Nella scena, ricchissima di significati allegorici (Glossa Ordinaria; PL, CXIII, coll. 137-139), nell'asino che porta la legna, quando non la porta Isacco stesso, è stata vista un'immagine della Sinagoga, la quale riceve, senza comprenderla, la parola di Dio, mentre nell'ariete pronto per il sacrificio, impigliato per le corna nelle spine di un cespuglio, un'immagine del Cristo sospeso alla croce.
Infine da un passo del Vangelo di Luca, la parabola di Lazzaro e del ricco epulone (Lc. 16, 22), deriva una particolare rappresentazione di A., personificazione delle gioie del paradiso nelle scene del Giudizio universale, che ebbe speciale fortuna nelle sculture delle cattedrali gotiche (Parigi, Reims, Bamberga) per poi scomparire con il finire del Medioevo. Scrive Luca che Lazzaro, morendo, fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Questo passo, riferito dalla maggior parte degli esegeti al limbo dei Patriarchi, fu poi anche riferito al paradiso da Agostino (PL, XXXV, col. 1350) e fu questa interpretazione a imporsi nel Medioevo con s. Tommaso (Summa Theol., q.69, a.4). Seguendo così alla lettera l'insegnamento teologico, si illustrò il paradiso con Lazzaro seduto sulle ginocchia del patriarca, raffigurazione che da Lazzaro si estese a tutte le anime salvate, rappresentate da tre o più piccole figurine, poste non sulle ginocchia, ma in un drappo che il patriarca tiene di fronte a sé (timpano del portale della cattedrale di Bourges). Talvolta a questa scena si aggiungono uno o più angeli che portano altre anime su drappi verso il seno di A., luogo privilegiato di riposo dei giusti (portale del Giudizio universale della cattedrale di Reims).Mentre l'arte occidentale ha rappresentato in queste scene A. solo, l'arte bizantina lo ha posto accanto agli altri due patriarchi, Isacco e Giacobbe, opponendo così una trinità patriarcale a quella divina (mosaici del Giudizio universale del battistero di Firenze). Scrive Matteo: "e vi dico ancora che molti verranno dall'Oriente e dall'Occidente, e siederanno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli..." (Mt. 8, 10-12).
Bibliografia
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H. Leclercq, s.v. Abraham, in DACL, I, 1924, coll. 111-121;
K. Möller, s.v. Abraham, in RDK, I, 1937, coll. 82-102;
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M. Alpatov, Le icone russe, Torino 1976, pp. 222-226;
F. Butturini, Il segno e il tempo nella porta bronzea di San Zeno a Verona, Verona 1982, tavv. 31-33.