az-ZARQĀLĪ, Abū Isḥāq Ibrāhīm ibn Yaḥyà an-Naqqāsh
Astronomo arabo di Spagna, del sec. XI (detto anche Ibn az-Zarqālah o Ibn az-Zarqiyāl; negli scritti medievali spagnoli Azarquiel o El Zarquiel, nei latini Azarchel o, assai più spesso, Arzachel), la cui fama e la cui influenza durarono in Europa sin verso la metà del sec. XVI. Luoghi e date di nascita e di morte sono ignoti. La sua attività si svolse in massima parte a Toledo; si conoscono sue osservazioni astronomiche del 453 eg. (1061 d. C.) e del 473 (1080-81). Per la longitudine di Toledo compose le famose Tavole Toledane dei moti celesti, precedute da Canoni per il loro uso e poi tradotte in spagnolo e in latino; in esse le longitudini degli apogei dei pianeti sono calcolate per il 473 eg., verosimilmente data approssimativa della composizione del libro.
Il disaccordo fra le sue numerose osservazioni e quelle dei suoi predecessori (inclusi Ipparco e Tolomeo) lo indusse a riprendere l'ipotesi di Thābit ibn Qurrah (v.) della trepidazione od oscillazione dei punti equinoziali (e quindi delle longitudini delle stelle fisse), adattandola ai dati delle osservazioni sue proprie. Fu il primo astronomo che riconoscesse la lenta variazione secolare dell'eccentricità e dell'equazione del centro del Sole (variazione che ancora nei secoli XVI-XVII era negata da molti astronomi europei); e parimenti il primo astronomo che scoprisse il movimento proprio dell'apogeo solare (distinto dal moto della precessione degli equinozî), da lui valutato ad 1° in 299 anni giuliani, ossia 12′′ 12/299 l'anno, valore vicinissimo agli 11″.46 assegnatigli dall'astronomia moderna. Tuttavia è da rilevare ch'egli suppone tale moto causato dal fatto che l'apogeo solare andrebbe percorrendo la circonferenza d'un piccolo cerchiello il cui centro cade sull'eclittica. Senza fondamento e dovuta a un curioso equivoco è l'asserzione, ancor oggi ripetuta da alcuni, che egli desse all'orbita di Mercurio una forma ellittica, quasi precorrendo Keplero.
Non meno famoso egli è per il suo nuovo tipo d'astrolabio, detto Şafīḥah zarqāliyyah (la lamina d'az-Z.), in spagnolo açafeha, in latino saphaea, costiuito dapprima per il re al-Ma'mūn di Toledo (435-467 eg., 1043-75) e poi perfezionato durante un suo soggiorno presso al-Mu‛tamid ibn ‛Abbād re di Siviglia (461-484 eg., 1069-91). Sostituendo alla proiezione stereografica polare la stereografica orizzontale, riuscì a ridurre a una sola lamina e a due piccoli pezzi sussidiarî gli astrolabî complicatissimi usati prima di lui. Quindi lo strumento fu apprezzatissimo in tutto l'Occidente europeo, e il trattato che az-Z. aveva composto per insegnarne la costruzione e l'uso, fu tradotto in latino da Gherardo da Cremona (v.), in ebraico e, nel 1277, in spagnolo per ordine di Alfonso X. di Castiglia, che inserì la versione nei suoi Libros del saber de astronomía (ed. M. Rico y Sinobas, Madrid 1863-67, III, p. 135-237, e ch. 272-284). Questa versione spagnola (ch'ebbe anche una trad. italiana medievale) è il solo libro d'az-Z. che sia stato stampato.
Bibl.: M. Steinschneider, Études sur Zarkali... et ses ouvrages, Roma 1884-87 (essenzialmente bibliogr. di mss.; è raccolta, con l'aggiunta di indici e di due pagine in ebraico, di articoli stampati nel Bullettino di bibliogr. e di storia delle scienze matemat. e fis., t. XIV, XVI-XVIII, XX); P. Duhem, Le système du monde, II, Parigi 1914, pp. 246-259 (vuol attribuire ad az.-Z. l'opuscolo De motu octavae sphaerae, che i mss. attribuiscono a Thābit); C. A. Nallino, nelle note ai voll. I e II dell'Opus astronomicum di al-Battānī, Milano 1903-07 (v. ind.); id., Asṭurlāb, in Encycl. de l'Islām, ed. franc., I (Leida 1911), pp. 509-510.