Vedi ABU MENA dell'anno: 1973 - 1994
ABU MENA (Karm Abu Mena)
Santuario nazionale dell'Egitto cristiano a circa 45 km a SO di Alessandria e mèta di innumerevoli schiere di pellegrùii di ogni nazione fino alla conquista araba. Della popolarità del culto di S. Mena è testimone il grandissimo numero di ampolle (v. vol. i, s. v. ampolla) trovato in tutto il mondo cristiano.
Decorate con l'immagine tipica del santo orante fra due cammelli, probabilmente copiata da un rilievo marmoreo fissato alla tomba del martire, queste ampolle furono fabbricate ad Abu M. e acquistate dai fedeli, piene di olio o di acqua miracolosa.
Il periodo culminante del culto di S. Mena fu il V e VI secolo. Sotto l'imperatore Zenone (474-491) l'abitato intorno al santuario si sviluppò fino a formare una città chiamata Martiropoli, difesa contro le tribù predatrici del deserto da una guarnigione di 1200 uomini. La città certamente contenne tutti gli istituti e gli edifici necessari per l'alloggiamento ed il mantenimento dei pellegrini, e certamente almeno un convento offriva la presenza di personale fisso che potesse occuparsi del culto e dei pellegrini e provvedere alla vendita dell'acqua miracolosa e degli altri oggetti sacri. Anche dopo la conquista araba il santuario fu così importante per l'economia della chiesa di Alessandria da provocare una disputa tra la chiesa copta e quella ortodossa sul suo possesso.
Nell'833 il santuario fu spogliato delle colonne marmoree, dei capitelli, dei rivestimenti dei muri, dei pavimenti e di ogni altro materiale da costruzione di valore da un certo Lazzaro, emissario del califfo al-Mutasim, che aveva bisogno di materiale da costruzione per la sua nuova capitale Samarra. Il tempio fu in parte ricostruito e sopravvisse fino a circa il XIII sec., quando il corpo del santo fu portato al Cairo. Il sito fu riscoperto nel 1905 da J. C. E. Falls e K. M. Kaufmann. Quest'ultimo fu a capo di una ininterrotta campagna di scavi dal novembre 1905 fino al giugno 1907. La storia degli scavi ed i rapporti dei nuovi scavi iniziati dal Museo Copto del Cairo e dall'Istituto Archeologico Germanico del Cairo nel 1961 e tuttora (1968) in corso, sono stati pubblicati nelle Mitteilungen dell'Ist. Arch. Germanico del Cairo (v. bibliografia).
Gli scavi hanno messo in luce numerose strutture secolari ed edifici di culto che ci danno una viva immagine della vita economico-religiosa di un grande centro di pellegrinaggi della prima Cristianità.
Il villaggio d'Este che precedette Martiropoli fu abitato, almeno fino dal periodo ellenistico. Nello stesso modo la catacomba in cui fu deposto il martire appartiene ad una necropoli in pieno uso dal IV o III sec. a. C., se non prima. Sembra che la tomba primitiva fosse delle più semplici, ma non si sa se qualche struttura ne indicasse la presenza sulla superficie. Dopo che si manifestarono i miracolosi poteri taumaturgici delle reliquie, fu eretto "un piccolo oratorio a forma di tetrapilo", secondo le parole di un Encomio a S. Mena scritto nel VII o nell'VIII sec., che è la principale fonte storica del santuario (ed. Drescher, v. bibl.). Come è stato suggerito, questo tetrapilo può essere stato una struttura quadrata, a cupola, in mattoni crudi del tipo noto da el-Bagawat (v.). Le fondamenta dei due piccoli recessi absidati proiettantisi verso E sul terreno sopra la tomba del santo sono forse appartenute a questo oratorio. Questa primissima attività costruttiva sopra la tomba può essersi svolta verso la metà circa del IV secolo. Alcuni decenni più tardi, Atanasio, arcivescovo di Alessandria dal 326 al 373, trasformò la catacomba con la tomba in una cripta e vi fece costruire sopra "una meravigliosa chiesa votiva". Dai resti archeologici nell'area sopra la cripta è difficile stabilire se questa chiesa votiva avesse una sola navata, oppure una navata centrale e due laterali; ad E, sopra la tomba, ci era invece un transetto sporgente con tre piccole absidi. Le misure della struttura saranno state più di 30 m nelle due direzioni. L'edificio potrebbe essere considerato una versione ridotta del martyrion di S. Pietro in Vaticano. L'opera di Atanasio non era destinata a durare a lungo. Dalla fine del IV sec., in un periodo di circa cent'anni il santuario, chiesa e cripta, fu ricostruito radicalmente e ad esso fu aggiunta una nuova grande basilica. Tali trasformazioni comprendono fasi di varia durata che hanno lasciato tracce spesso di difficile interpretazione e che, secondo l'opinione più attendibile possono così ricostruirsi: come informa l'Encomio, Teofilo (arcivescovo di Alessandria dal 385 al 412) fece erigere con l'appoggio dell'imperatore Arcadio (395-408) "una vasta chiesa votiva, annessa alla chiesa votiva che il santo Atanasio aveva già costruito". A questa devono essere attribuite le fondamenta trovate ad E e sull'asse della chiesa già esistente. Si tratta di una grande basilica di oltre 6o m di lunghezza e 40 di larghezza a navata unica e con transetto absidato orientale sporgente. Il transetto della preesistente chiesa di Atanasio venne usato come struttura di collegamento, essendo stata abbattuta l'abside centrale per far posto ad un passaggio congiungente le due basiliche. Probabilmente, la sistemazione della cripta, risalente ad Atanasio, non fu modificata.
Dopo questi lavori, il martyrium di S. Mena si presentò sotto l'aspetto di una doppia chiesa a transetto, in cui la chiesa più antica con la tomba del Santo fungeva da atrio coperto per la più grande chiesa nuova. Sia dal punto di vista estetico che da quello del culto la soluzione dell'atrio non può essere stata giudicata soddisfacente. La successiva fase edilizia individuabile, della quale però non parla l'Encomio, riguarda esattamente questa parte. L'edificio di Atanasio fu abbattuto. Al posto del transetto fu costruito un nartece con esedre semicircolari laterali a colonne, mentre sull'area della navata (o delle navate) fu eretto un magnifico atrio con, negli assi principali, quattro esedre a colonne, più grandi di quelle del nartece. Dato che racchiude la tomba di un Santo, la forma singolare di questo atrio quadrilobato può forse essere considerata ispirata dalla planimetria dei martyria, come ad esempio il S. Lorenzo a Milano. Contemporaneamente al nartece e all'atrio la cripta fu completamente rifatta, ingrandita e provvista di due lunghi corridoi con scale, che permettevano la circolazione continua delle masse di pellegrini. Questi lavori appartengono probabilmente alla prima metà del V secolo.
Neanche la chiesa di Teofilo durò per molto; essa forse non fu nemmeno terminata prima di essere grandiosaanente ampliata e ricostruita, sia per contenere le masse sempre più numerose di credenti, sia per creare un edificio in armonia con la elegante architettura a colonne dell'atrio. La pianta a T con abside orientale fu conservata, mentre navatelle laterali furono aggiunte sulla parte longitudinale e sul transetto. Le fondamenta dei muri esterni della chiesa teofiliana furono riusate per i sei colonnati della navata e dei bracci del transetto. Vi erano probabilmente delle gallerie, mentre la grandiosa basilica, di arca 70 m di lunghezza per quasi 55 m di larghezza, con la navata principale larga più di 15 m, era sicuramente coperta a capriate.
Da O tre porte immettono in ciascuna delle navate. Poiché le esedre laterali del preesistente nartece ostacolavano i due ingressi laterali, è probabile che siano state eliminate. Dati archeologici lasciano supporre che al posto delle esedre fu eretto uno schermo trasversale di colonne, che superava il nartece della chiesa nuova dall'atrio-martyrium quadrilobo. Agli stessi lavori di rifacimento possono appartenere i muri laterali di chiusura dell'atrio quadrilobato, entro cui sono due grandi nicchie in corrispondenza esatta all'apice dei due emicicli laterali dell'atrio. Nicchie simili furono aggiunte ai due fianchi dell'ingresso centrale della basilica e nei muri di fondo del transetto. Con questi lavori e con la rifinitura del presbiterio, il rivestimento in marmo dei pavimenti e delle pareti, la decorazione a mosaico dell'abside, il santuario nazionale dell'Egitto cristiano giunse al suo compimento. Anche se i lavori di rifinitura e di decorazione possono essersi protratti fino all'inizio del VI sec., un passo della Storia dei Patriarchi di Alessandria ci permette di attribuire quest'opera all'arcivescovo Timoteo, che resse la cattedra di S. Marco dal 458 al 480, e che, nei lavori a Karm Abu Mena, ebbe l'appoggio dell'imperatore Zenone (474-491), fondatore di Martiropoli.
Nell'asse principale della chiesa, ad O dell'atrio e collegato ad esso, si trova il terzo nucleo architettonico del santuario. Forse in origine qui si trovava l'atrio della prima chiesa del martyrium a transetto di Atanasio, con al centro una vasca per bagni di cura. Segue una costruzione di pianta quadrata, con tetto di legno e vasca centrale, circondata da cortiletti e vani secondarî. Più tardi, probabilmente contemporaneamente all'edificazione della grande basilica ad opera di Timoteo e Zenone, la pianta interna fu resa ottagonale con l'inserimento negli angoli di quattro nicchie fiancheggiate da colonne, le pareti furono decorate di marmi, pilastri ed archetti, mentre la cupola fu rivestita di mosaici. Se questo edificio servì sempre da bagno sacro o fu trasformato in battistero è opinabile.
Dopo la distruzione nell'833 da parte di al-Mutasim e del suo emissario Lazzaro, il santuario fu riparato alla meglio dal patriarca Giuseppe (830-849). A causa dei mezzi limitati, la grande basilica fu abbandonata ed una basilica a tre navate con transetto fu costruita sopra la cripta, al posto dell'atrio quadrilobato. L'abside ed i muri longitudinali di questa chiesa, la quarta basilica a transetto di Abu M., stanno direttamente sopra e forse riadoperano le fondamenta del primo martyrium del tutto simile, eretto da Atanasio quasi mezzo millennio prima.
Questa chiesa del patriarca Giuseppe fu l'ultimo santuario edificato sulla tomba prima che le reliquie del santo fossero trasportate al Cairo e che il tempio fosse abbandonato alle irrompenti sabbie del deserto.
Bibl.: C. M. Kaufmann, Die Ausgrabung der Menasheiligtümer in der Mareotiswüste, I-III, Cairo 1906, 1907, 1908 (rapporti preliminari) (ed. francese: La découverte des sanctuaires de Ménas dans le desert de Maréotis, Alessandria 1908]; id., Der Menas-tempel und die Heiligtümer von Karm Abu Mina in der ägyptischen Mariûtwüste, Francoforte 1909; id., Die Menasstadt und das Nationalheiligtum der altchristlichen Aegypter in der westalexandrinische Wüste, Lipsia 1910; id., Zur Ikonographie der Menasampullen, Il Cairo 1910; id., Die heilige Stadt der Wüste, Kempten 19213; E. Breccia, in Annuaire du Musée gréco-romain d'Alexandrie, 1931-1932, pp. 23-24; H. Leclercq, in Cabrol-Leclercq, Dict. Arch. Chrét., XI, i, 1933, coll. 324-398; s. v. Ménas (Saint); A. De Cosson, The Desert City of El Muna, in Bull. Soc. Arch. d'Alexandrie, 30-31, 1936-1937, pp. 247-253; F. W. Deichmann, Zu den Bauten der Menastadt, in Arch. Anz., 1937, pp. 75-86; J. B. Ward Perkins, The Shrine of St. Menas in the Maryût, in Papers Brit. Sch. Rome, XVII, 1949, p. 71; H. Schläger, Die neuen Grabungen in Abu Mena, (Christentum am Neil), Recklinghausen 1964, pp. 158-170; id., Abu Mena, Vorläufiger Bericht, in Mitt. Arch. Inst., Kairo, 19, 1963, pp. 114-120; id., ibid., 20, 1965, pp. 122-125; W. Müller-Wiener, ibid., pp. 126-137; id., ibid., 21, 1966, pp. 171-187; A. M. Schneider, in Bibliotheca Orientalis, 10, 1953, pp. 62-66; Severus ibn el-Muqaffa, The History of the Patriarchs of Alexandria, in Patrologia Orientalis, X, XI, 1904, 1915 (ed. Evetts); J. Drescher, Apa Mena (Publications de la Société copte. Textes et documents 16), Il Cairo 1946.