ABUKIR [Abū Qīr] (A. T., 115)
Villaggio dell'Egitto, posto a 24 km. a NE. di Alessandria, cui lo unisce la ferrovia, e a breve distanza da un antico ramo del Nilo, oggi abbandonato, che dalla città di Canopus prendeva il nome di canopico. Alcune rovine pare indichino la posizione di questa, mentre avanzi di edifici di varia età si osservano ad Abukir stessa, che è poi la Bukiris degli antichi. Recentemente si è popolata di ville, ed è residenza estiva dei ricchi alessandrini.
L'ampia baia di Abukir, posta fra il promontorio ove siede il villaggio, e quello formato dalle deiezioni del Nilo di Rosetta, fu teatro di fatti d'arme importanti durante la campagna napoleonica. Nelson vi sconfisse la flotta francese comandata da Brueys, il 1° agosto 1798: l'anno seguente, il 25 luglio, Bonaparte vi sconfiggeva alla sua volta i Turchi di Muṣṭafà pascià, sbarcati e trincerati sulla spiaggia: finalmente presso Abukir avvenne l'8 marzo 1801 lo sbarco delle truppe inglesi agli ordini di Sir R. Abercromby, segnando l'inizio della fine dell'occupazione francese.
Battaglia di Abukir. - Il combattimento navale tra le due armate inglese e francese, ebbe gravissime conseguenze sull'esito della spedizione d'Egitto e sulle sorti del Mediterraneo.
Sbarcando ad Alessandria, dopo essere sfuggito alla vigilanza della squadra inglese comandata da Orazio Nelson, Bonaparte, informato che la squadra navale francese, la quale aveva scortato il suo convoglio, non avrebbe potuto ricoverarsi tutta nel porto di Alessandria, perché alcuni vascelli pescavano troppo, aveva consigliato all'ammiraglio Brueys, comandante in capo, di ritraversare il Mediterraneo e di andare a ricoverarsi a Corfù. Il consiglio fu accolto, ma tardò ad essere eseguito per ragioni su cui gli storici non sono d'accordo: probabilmente l'ammiraglio desiderava di attendere notizie sull'esito dei primi scontri dell'esercito di terra coi nemici. Certo è che egli si ancorò temporaneamente nella rada di Abukir, che pareva ben protetta dai bassi fondi e dall'isolotto di Abukir, su cui per maggior sicurezza aveva fatto erigere una batteria. La sua armata era ancorata in linea concava da NO. a SE., avendo verso l'isolotto i suoi bastimenti meno forti e dall'altro lato, più pericoloso, i vascelli meglio armati. In tutto tredici vascelli di linea, divisi in tre squadre. Il vascello ammiraglio, l'Orient, di 120 cannoni, al centro: i due vascelli dei contrammiragli, il Franklin col contrammiraglio Blanquet, e il Guillaume Tell col contrammiraglio Villeneuve, rispettivamente al 6° e all'11° posto della formazione. Ma fu grave errore non aver lasciato, fuori della rada, al largo, qualche fregata che sorvegliasse l'orizzonte e segnalasse il non improbabile arrivo del nemico.
Il Nelson, dolente di essersi lasciato sfuggire i Francesi, incerto della loro mèta, li aveva ricercati prima ad Alessandria, dove essi non erano ancora arrivati, poi lungo le coste e le isole dell'Asia Minore, poi sulle coste sicule, dove finalmente ebbe sicure informazioni sulla presa di Malta e sul loro arrivo in Egitto. Non dubitò un istante di assalirli coi suoi dodici vascelli. Prevedendo di trovare i Francesi in navigazione, o almeno alla vela, aveva impartito i suoi ordini per attaccarne una parte e distruggerli, prima che il resto potesse accorrere in loro aiuto: ma aveva anche preveduto il caso che essi fossero all'àncora, e aveva preso le disposizioni per mettere anche in questo caso una parte delle navi francesi sotto il fuoco di tutta la squadra inglese. È, in sostanza, la tattica che egli seguì poi anche a Trafalgar, e basata tutta sulla maggiore abilità manovriera dei suoi ufficiali a confronto di quella dei Francesi.
Il primitivo piano del Nelson era di ancorare i suoi vascelli di fronte all'avanguardia e al centro francese, trascurando la retroguardia: ma, si discusse molto se per iniziativa sua o per spontanea manovra del suo vascello di testa, la sua avanguardia, passando audacemente nello spazio tra il vascello capofila francese e l'isolotto di Abukir, che la debole batteria non poté proteggere, girò l'avanguardia e una parte del centro francese, mettendoli così tra due fuochi, quantunque il vascello di testa inglese andasse sulle secche. Così otto soli vascelli francesi si trovarono a combattere contro dodici inglesi. Una parte degli equipaggi francesi era scesa a terra, e solo pochissimi marinai avevano potuto obbedire ai segnali di ritorno a bordo, quando furono avvistate le navi nemiche. Alcuni critici rimproverarono il Brueys per non aver dato subito l'ordine di salpare, combattendo alla vela e non all'àncora, come aveva proposto uno dei suoi ufficiali: ma la notevole inferiorità manovriera degli equipaggi francesi e la speranza di essere raggiunto da quelli rimasti a terra, lo indussero a non accettare il consiglio.
La battaglia, incominciata verso le sette di sera, durò fino a tarda notte: schiacciata dal fuoco terribile, preciso, continuo del nemico sui due fianchi, l'avanguardia francese era verso le dieci già fuori di combattimento. Al centro la nave ammiraglia francese l'Orient, posta sotto il fuoco di tre vascelli inglesi, con incendio a bordo, continuò a combattere fino agli estremi, mettendo fuori di combattimento uno degli avversarî; ma ad un tratto saltò in aria, gravemente danneggiando i vascelli nemici che la circondavano. Tutto l'equipaggio, compreso l'eroico ma incapace ammiraglio che gravemente ferito, era rimasto fino all'ultimo sul ponte, perì. Verso le due della notte, la battaglia poteva dirsi finita, poiché gli otto legni francesi, che avevano combattuto, erano o fuori di combattimento, o saltati in aria, o catturati.
Restava intatta invece la retroguardia, comandata dal contrammiraglio Villeneuve (quello che più tardi fu vinto dal Nelson a Trafalgar): essa avrebbe potuto, anzi dovuto, salpare fin dall'inizio del combattimento e manovrare per mettere a sua volta tra due fuochi quella parte dell'armata nemica che attaccava il fianco sinistro della formazione francese: e pare che l'ordine fosse stato dato dal Brueys e non fosse stato veduto il segnale. Il Villeneuve mancava di spirito d'iniziativa: la sua inerzia durante le prime quattro ore della battaglia fu un errore imperdonabile, perché egli avrebbe forse potuto mutare le sorti del combattimento, o almeno recare agli Inglesi gravissimi danni. Egli invece pensò a salvare alla Francia quei pochi vascelli, che erano, si può dire, tutto il suo tesoro, e si allontanò da Abukir, quasi indisturbato. Due soli di essi giunsero in salvo; uno, in séguito ad avaria, fu bruciato dall'equipaggio. In totale la Francia perdette 11 vascelli e quasi 3800 uomini, tra morti e feriti; gl'Inglesi ebbero circa un migliaio d'uomini fuori di combattimento. Le conseguenze della battaglia furono gravissime: Bonaparte rimase senza la sua base mobile d'operazione, senza speranza di poter rimbarcare, in caso di sconfitta, il suo corpo di spedizione: il dominio del mare restò incontrastato agl'Inglesi, che bloccarono l'Egitto, trasportarono dall'Europa in Africa le milizie turche, sconfitte da Bonaparte, in Abukir stessa il 25 luglio 1799, impedirono ogni rifornimento ai Francesi, fecero fallire la spedizione di Bonaparte in Siria (a S. Giovanni d'Acri), e poco mancò non catturassero lo stesso comandante supremo, quando, abbandonando alle sue sorti la spedizione, tornò in Francia nel 1799.
Non meno gravi furono per la Francia le conseguenze politiche, perché la vittoria inglese indusse la Turchia a dichiarar guerra alla Francia; trascinò il regno di Napoli ad affrettare la sua entrata in campagna, ebbe notevole effetto anche sulla politica di altre potenze. Nelson trovò accoglienze entusiastiche in Sicilia, dove con le sue navi malconce ebbe generosa ospitalità e il titolo di duca di Bronte: gl'Inglesi invece gli diedero il titolo di visconte del Nilo.
Bibl.: Chabaud-Arnault, Histoire des flottes militaires, Parigi 1889, p. 294 segg.; Vecchi, Storia generale della marina militare, Livorno 1895, II, p. 363 segg.; Mahan, Influence of Sea power upon the French Revolution and Empire, I, Londra 1892, pp. 256-77; id., Life of Nelson, I, Londra 1897, pp. 317-366; Guerrini, La spedizione francese in Egitto, Torino 1894, p. 172 segg.