Abusi di mercato
Il d.lgs. n. 107/2018 adegua l’ordinamento italiano alle previsioni del regolamento (UE) 596/2014 in tema di market abuse. Nonostante la parallela direttiva sulle sanzioni penali per gli abusi di mercato (direttiva 2014/57/UE) sia rimasta inattuata, svariate modifiche – dirette e indirette – hanno interessato la disciplina penalistica interna. La tecnica legislativa adoperata in sede di riforma appare criticabile sotto molti aspetti e finisce non soltanto per accentuare le preesistenti problematiche, ma ne crea nuove e non meno rilevanti.
Il d.lgs. 14.92018, n. 107 (attuativo della direttiva 2014/57/UE, d’ora innanzi MAD 2, e del connesso regolamento (UE) 596/2014, d’ora innanzi MAR) importa significative modifiche alla disciplina sanzionatoria in materia di market abuse.
Un travagliato percorso ha portato all’attuale testo normativo, che presenta lacune e inadeguatezze rispetto alle precise indicazioni provenienti dal legislatore eurounitario, sicché sarebbe azzardata affermazione ritenere che l’attuazione sia corretta e conforme.
Il cammino di detta attuazione era principiato con una svista non marginale: nella Relazione al Disegno di legge recante delega al governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione Europea – Legge di delegazione europea 2014, si affermava che «è stata espunta la Direttiva 2014/57/UE … poiché, come comunicato dal Ministero della giustizia …, non risultano necessarie misure nazionali per la sua adozione in quanto l’ordinamento interno è già conforme»: affermazione a dir poco stupefacente, posto che la semplice lettura della direttiva mostra che vi sono ambiti nei quali la normativa interna è tutt’altro che conforme.
A tale lacuna sembrava aver posto rimedio la sede parlamentare, che aveva inserito tra le direttive UE per le quali era attribuita delega legislativa al Governo la MAD 2. Il rimedio non poteva però dirsi adeguato, posto che «i ‘principi e criteri direttivi specifici’ dettati dalla richiamata delega lasciavano … non poco a desiderare, per due ordini di ragioni: da un lato, numerosi aspetti della disciplina penalistica, rimessi dal legislatore eurounitario alla discrezionalità degli Stati Membri, non erano affatto considerati; dall’altro, le linee-guida indicate dal delegante risultavano talmente vaghe e imprecise da far sorgere seri dubbi sulla legittimità costituzionale del provvedimento, per contrasto con gli artt. 25 e 76 della Carta fondamentale»1.
Decorso vanamente il termine per l’attuazione, i pur incompleti e precari suggerimenti del Parlamento non vengono còlti dal Governo, che – non senza sorpresa per qualunque lettore minimamente esperto e avveduto – rimane tetragono nella convinzione che il comparto penale della normativa interna contenuta nel d.lgs. 24.2.1998, n. 58 (t.u.f.) non abbia bisogno di alcun adeguamento.
Né miglior sorte hanno avuto i ricordati suggerimenti parlamentari se si guarda alla l. 25.10.2017, n. 163, recante Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2016 - 2017. A fugare ogni dubbio circa la deliberata assenza di interventi nel settore penale sta la constatazione che nell’art. 8 della citata l. n. 163/2017 non si rintraccia alcun riferimento (di nessun genere e in nessuna forma) a MAD 2.
Che in siffatto contesto il d.lgs. n. 107/2018 potesse risultare adeguato alla bisogna finisce con l’essere impossibile, stante il vincolo rappresentato dalla legge di delegazione n. 163/2017 che, come detto, non attribuiva al legislatore delegato spazi di manovra diversi da quelli (per vero angusti) ricavabili in via generale dall’art. 32, co. 1, lett. d), l. 24.12.2012, n. 234.
Si tratta ora di percorrere in modo cursorio le principali fra le modifiche apportate dal d.lgs. n. 107/2018 al t.u.f. limitatamente al versante penalistico.
L’art. 4, co. 3, d.lgs. n. 107/2018 modifica l’art. 180 t.u.f., disposizione definitoria di nozioni di spiccata rilevanza in ottica penalistica in quanto destinate a integrare (come elementi normativi) fattispecie d’incriminazione penale o a condizionarne l’ambito applicativo.
Quanto alla nozione cardine di “strumenti finanziari”, evidente l’esigenza di aggiornamento dell’assetto normativo domestico, posto che MAR stabilisce che la disciplina, a differenza di quanto previsto nella precedente direttiva 2003/6/CE, che riguardava strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati, abbia un più vasto ambito di applicazione, comprendente anche strumenti finanziari negoziati o per i quali è stata richiesta l’ammissione alla negoziazione in una qualsiasi “sede di negoziazione” (trading venue), sia essa un mercato regolamentato, un sistema multilaterale di negoziazione (MTF), o un sistema organizzato di negoziazione (OTF). Detto che a ciò provvedono i numeri 2 e 2-bis del “nuovo” art. 180, co. 1, lett. a), particolarmente significative appaiono le altre due integrazioni, sempre derivanti dal dettato del regolamento (UE) 596/2014.
Da un lato il numero 2-ter include nell’area di rilevanza anche gli strumenti finanziari negoziati al di fuori di sedi di negoziazione (OTC), nonché gli strumenti finanziari non quotati in sedi di negoziazione ma i cui prezzi dipendono da prezzi di strumenti ammessi in sedi di negoziazione o hanno effetto sugli stessi.
Rimane da segnalare che, considerata la ricaduta penale di siffatta definizione, non sembra particolarmente perspicua la formula di chiusura del citato numero 2-ter «compresi, non in via esclusiva, i credit default swap e i contratti differenziali»: riferimento specificativo delle categorie precedenti in funzione esemplificativa, tuttavia foriero di incertezze interpretative, posto che si potrebbe ritenere – per vero in modo assai discutibile – che le due figure espressamente richiamate fungano da parametro di riferimento della tipologia degli strumenti finanziari rilevanti se negoziati over the counter.
Dall’altro, la previsione della lett. b-quater del menzionato art. 180, co. 1, t.u.f. estende la disciplina alle condotte connesse agli indici di riferimento (‘benchmark’): estensione dell’ambito di tutela sicuramente opportuna e necessaria, posta la significatività di tali indici in relazione alla loro price sensitivity, dovendosi altresì notare che per la definizione di benchmark vien fatto rinvio a quella contemplata nell’art. 3, § 1, punto 29, del regolamento (UE) 596/2014.
Sempre alla tecnica del rinvio alla corrispondente definizione contenuta in MAR si affida il legislatore per nozioni ben significative, quali “programma di riacquisto di azioni proprie” (lettera b-bis, che rimanda all’art. 132 t.u.f., a propria volta modificato per adeguarlo alle previsioni MAR), “prassi di mercato ammessa” (lettera c, che stabilisce che per tale si intende quella ammessa da Consob «conformemente all’art. 13 del regolamento (UE) n. 596/2014»), “stabilizzazione” (lett. c-bis, che rimanda alla definizione dell’art. 3, paragrafo 2, lett. d, MAR).
La definizione di “informazione privilegiata” viene ora dettata dalla lettera b-ter dell’art. 180, co. 1 attraverso il rinvio a quella stabilita «dall’art. 7, paragrafi da 1 a 4, del regolamento (UE) n. 596/2014».
Notata la corrispondente necessaria abrogazione dell’art. 181 t.u.f., rimane da segnalare che la nuova caratterizzazione di una delle nozioni di maggior rilievo nella disciplina del market abuse (e non solo) ha contenuti non perfettamente sovrapponibili a quelli della disposizione abrogata, regolando altresì situazioni peculiari come la formazione progressiva dell’informazione all’interno di un processo prolungato, l’informazione relativa a strumenti derivati su merci, a quote di emissioni o prodotti oggetto d’asta, nonché l’ipotesi della trasmissione dell’informazione dal cliente alla persona incaricata dell’esecuzione di ordini relativi a strumenti finanziari2.
Le modifiche apportate all’art. 182 t.u.f. dall’art. 4, co. 5, d.lgs. n. 107/2018 si risolvono in una estensione dell’ambito di applicazione delle previsioni sanzionatorie contemplate nel titolo I-bis della parte V del t.u.f.
All’originaria disposizione si aggiungono due specifiche previsioni, l’una consistente in un ampliamento del primo comma, che include (in relazione ai reati e agli illeciti amministrativi del citato tit. I-bis) come oggetto delle condotte punibili secondo la legge italiana anche se commesse all’estero «strumenti finanziari negoziati su un sistema organizzato di negoziazione italiano». L’altra integrazione (nuovo comma 2-bis) stabilisce che «le disposizioni degli articoli 184, 185, 187-bis, 187-ter si applicano anche alle condotte o alle operazioni, comprese le offerte, relative alle aste su una piattaforma d’asta autorizzata come un mercato regolamentato di quote di emissioni o di altri prodotti oggetto d’asta correlati, anche quando i prodotti oggetto d’asta non sono strumenti finanziari, ai sensi del regolamento (UE) n. 1031/2010».
Sicuramente coerente con le modifiche introdotte nell’art. 180 t.u.f. e, più in generale, con l’assetto del regolamento n. 596/2014, il presente ampliamento dell’ambito applicativo delle norme penali – in assenza di una specifica delega – suscita non lievi perplessità sul piano della legittimità costituzionale, sempre che non si ritenga che, per le fattispecie in tal modo create, le figure di reato applicabili siano unicamente quelle contravvenzionali rispettivamente contemplate negli artt. 184 e 185 t.u.f. (ciò che peraltro suscita dubbi di segno diverso, tanto sul versante costituzionale, quanto sul piano della complessiva coerenza dell’intervento punitivo).
L’art. 183 t.u.f. è stato integralmente riscritto e la norma attuale – al pari di quella previgente – contempla le cd. esenzioni, situazioni rispetto alle quali non trovano applicazione le previsioni sanzionatorie stabilite nel titolo I-bis del capo V del t.u.f. L’area dell’esenzione attiene ora in primo luogo «alle operazioni, agli ordini o alle condotte previste dall’articolo 6 del regolamento (UE) n. 596/2014» ad opera dei «soggetti ivi indicati, nell’ambito della politica monetaria, della politica dei cambi o nella gestione del debito pubblico, nonché nell’ambito della politica climatica dell’Unione o nell’ambito della politica agricola comune o della politica comune della pesca dell’Unione» (così la lett. a dell’art. 183, co. 1), laddove la successiva lett. b) richiama le «negoziazioni di azioni proprie» di cui all’art. 5 MAR.
Sebbene la Relazione allo schema di decreto legislativo attribuisca alle modifiche apportate dall’art. 4, co. 7, all’art. 184 t.u.f. «una funzione di coordinamento e di chiarificazione del testo»3, la semplice lettura dell’attuale testo normativo convince che si è ben oltre tali semplici operazioni.
Nella descrizione della condotta integrativa del tipping (art. 184, co. 1, lett. b, t.u.f.) è ora prevista – in aggiunta alle situazioni nell’ambito delle quali la comunicazione a terzi dell’informazione privilegiata è considerata lecita – anche l’eventualità che ciò avvenga nel normale svolgimento di «di un sondaggio di mercato effettuato ai sensi dell’art. 11 del regolamento (UE) n. 596/2014». Nessun dubbio sulla doverosità dell’integrazione, posto che l’art. 11 MAR esplicitamente riconosce come lecita l’attività di market sounding. Appena il caso di rammentare che il sondaggio di mercato viene effettuato dal “disclosing market participant” (un intermediario incaricato di sondare la disponibilità di potenziali investitori a prendere parte a un’operazione di mercato, quale, ad esempio, un’OPA o un collocamento di strumenti finanziari con accelerated bookbuilding)4. L’art. 11 MAR detta precise e tassative prescrizioni procedurali, il cui adempimento determina una presunzione di legittimità della condotta, che si considera realizzata dagli autori del sondaggio e della comunicazione «nel normale esercizio di un’occupazione, di una professione o di una funzione»: siffatta integrazione estende esplicitamente un’area di liceità.
Il comma 3-bis dell’art. 184 t.u.f. è stato ora integrato con il richiamo alle tipologie di strumenti finanziari negoziati su qualunque trading venue nonché over the counter, coerentemente con le previsioni del rinnovato art. 180 t.u.f. (e, più in generale, con quanto previsto da MAR e da MAD 2).
A lasciar perplessi5 è la circostanza che siffatte condotte integrino figure contravvenzionali, il cui trattamento sanzionatorio è irragionevolmente diverso da quello stabilito dall’art. 184, co. 1, t.u.f. per le identiche condotte se poste in essere con riguardo a strumenti finanziari ammessi alla negoziazione o per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea. Ma v’è di più: la previsione del comma 3-bis limita l’estensione delle condotte punibili soltanto a quelle di trading (art. 184, co. 1, lett. a, t.u.f.): in mancanza di un esplicito rinvio alle ipotesi delle lettere b) e c), si deve concludere che le condotte di tipping e di tuyautage saranno penalmente irrilevanti se poste in essere con riguardo a strumenti finanziari negoziati su qualunque trading venue nonché over the counter.
Non meno scarsamente razionale il mancato richiamo agli indici di mercato come possibile oggetto delle condotte punibili, a meno di non voler comprendere i benchmark (prima della loro comunicazione) fra le informazioni privilegiate: argomento certamente plausibile, ma che oggi, dopo l’espressa considerazione della nozione fra le previsioni definitorie dell’art. 180 t.u.f., avrebbe meritato una specificazione idonea a fugare qualunque perplessità.
L’art. 4, co. 8, d.lgs. n. 107/2018 modifica l’art. 185 t.u.f. Detto che la descrizione dei comportamenti punibili è rimasta invariata, la prima saliente variante (nuovo co. 1-bis) dichiara «non punibile» chi abbia «commesso il fatto per il tramite di ordini di compravendita o operazioni effettuate per motivi legittimi e in conformità di prassi di mercato ammesse, ai sensi dell’art. 13 del regolamento (UE) n. 596/2014». La formula adottata (che parla di non punibilità per l’agente) potrebbe essere intesa come una vera e propria condizione di non punibilità, anche se appare preferibile ritenerla una scriminante seguendo una lettura sistematica della disposizione soprattutto nel suo collegamento alla previsione dell’art. 13 MAR (espressamente richiamato tanto dallo stesso comma 1-bis quanto dall’art. 180 t.u.f.).
Le medesime ragioni di coerenza interna (ed altresì rispetto alle previsioni del regolamento) hanno portato alla integrazione del comma 2-bis, che estende la fattispecie contravvenzionale ivi originariamente prevista, oltre che alle condotte aventi a oggetto strumenti finanziari negoziati su MTF, anche a quelle relative a strumenti finanziari negoziati su OTF, ai derivati e alle quote di emissioni.
Viene altresì introdotto un nuovo comma 2-ter, a mente del quale «le disposizioni del presente articolo si applicano anche a) ai fatti concernenti i contratti a pronti su merci che non sono prodotti energetici all’ingrosso, idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo o del valore degli strumenti finanziari di cui all’articolo 180, comma 1, lettera a); b) ai fatti concernenti gli strumenti finanziari, compresi i contratti derivati o gli strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito, idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo o del valore di un contratto a pronti su merci, qualora il prezzo o il valore dipendano dal prezzo o dal valore di tali strumenti finanziari; c) ai fatti concernenti gli indici di riferimento (benchmark)».
La disposizione risponde all’evidenza a un’esigenza di coordinamento interno al d.lgs. n. 107/2018, ma anche alla necessità di dare esplicita attuazione sul versante penale a quanto previsto dall’art. 2, § 1, MAR (nonché a MAD 2). La riportata clausola d’esordio non appare tuttavia perspicua, potendo la stessa generare una sostanziale ambiguità. Letta nella sua oggettività («le disposizioni del presente articolo») la clausola si attaglia tanto alle figure delittuose contemplate nel primo comma dello stesso art. 185 t.u.f., quanto a quelle contravvenzionali stabilite dal comma 2-bis.
A ragionare secondo il paradigma della coerenza delle scelte sanzionatorie (che dovrebbe guidare il legislatore avveduto), si dovrebbe propendere per tale soluzione ermeneutica: a tacer d’altro, sul piano dell’offensività è infatti ben arduo collocare comportamenti manipolativi concernenti gli indici di mercato in una scala valoriale sottordinata. Ma siffatta opzione interpretativa è preclusa dal rilievo che, così ritenendo, la disposizione andrebbe incontro a una più che probabile declaratoria d’illegittimità costituzionale, posto che nella legge di delegazione non vi è alcuna indicazione in proposito, sicché si dovrebbe doverosamente concludere che il legislatore delegato avrebbe operato al di fuori della delega. Non rimane allora che seguire il canone interpretativo che suggerisce di scegliere quella fra le letture possibili (in quanto compatibili con il dato letterale) che non confligga con un superiore vincolo costituzionale.
Sicché il richiamo alle «disposizioni del presente articolo» andrà letto come se valesse a evocare la figura contravvenzionale contemplata nel comma 2-bis dello stesso art. 185 t.u.f.
Spiccano per la loro assenza i mancati adeguamenti della disciplina dell’abuso di informazioni privilegiate e, su un piano più generale, la omessa regolazione delle situazioni nelle quali il doppio binario sanzionatorio genera criticità in rapporto all’esigenza di rispettare il superiore principio del ne bis in idem. Profili che converrà trattare partitamente.
Raffrontando la pressoché immutata disciplina penale italiana degli abusi di mercato con il nuovo assetto normativo eurounitario, spicca in primo luogo una constatazione non controvertibile: in palese inosservanza del combinato disposto degli artt. 3, co. 3, e 7 MAD 2 non è stata prevista la criminalizzazione dell’insider secondario, cioè del soggetto che abbia ottenuto l’informazione privilegiata a qualsiasi titolo (e non soltanto in ragione delle situazioni indicate nell’art. 184, co. 1, d.lgs. n. 58/1998 (t.u.f.), sostanzialmente identiche a quelle contemplate nell’art. 3, co. 3, lettere a), b) e c) MAD 2. Ne segue la mancata attuazione della direttiva in parte qua6, cui fa da contrappunto un vuoto di tutela irrimediabile sul versante interpretativo.
Di segno opposto lo scostamento da MAD 2 con riferimento ancora al comparto dell’abuso di informazioni privilegiate. Il legislatore eurounitario aveva stabilito una innovativa distinzione fra le tre originarie − e sempre equiparate sul piano sanzionatorio − condotte punibili. Distinguendo fra quelle di insider trading e tuyautage (mantenute affiancate quanto a misura della sanzione), l’art. 4 MAD 2 aveva contemplato in via autonoma la comunicazione illecita di informazioni privilegiate (tipping), fissandone il trattamento sanzionatorio in maniera differenziata (e meno grave) rispetto alle rimanenti ipotesi di abuso di informazioni (e, per vero, anche di manipolazione di mercato). L’art. 7, § 3, MAD 2 stabilisce infatti come «minimo del massimo edittale» per il tipping «la pena della reclusione per una durata massima non inferiore ad anni due», mentre per tutte le altre fattispecie di abusi di mercato punibili con sanzione detentiva (insider trading, tuyautage e manipolazione del mercato) la reclusione deve essere non inferiore nel massimo a quattro anni (art. 7, § 2 MAD 2). Sul punto l’art. 184 TUF, pur dopo l’intervento del d.lgs. n. 107/2018, rimane invariato e per certo tutt’altro che agevole è la ricerca di una soddisfacente ragione per giustificare siffatta opzione7.
Al cospetto di un sistema sanzionatorio immutato nella sua struttura a “doppio binario”, la problematica del ne bis in idem continua a rimanere irrisolta, pur trattandosi di un tema della cui complessità e delicatezza non è lecito dubitare8.
Inascoltato persino il richiamo di Consob durante l’iter parlamentare che ha condotto al d.lgs. n. 107/2018, nel senso di regolare in via legislativa la questione del cumulo procedimentale e punitivo9, non può certo dirsi che una questione di tanto vasta portata abbia trovato soluzione tramite gli aggiustamenti innestati con la modifica dell’art. 187 terdecies t.u.f., che si limita ad assicurare il coordinamento (una sorta di somma algebrica) delle sole sanzioni pecuniarie applicate da Consob e dall’Autorità giudiziaria.
In sintesi estrema il dibattito in argomento muove dal rilievo che, a differenza della precedente direttiva 2003/6/CE (MAD 1), il legislatore eurounitario nel 2014 accorda esplicita preminenza alla reazione sanzionatoria criminale, relegando quella amministrativa a un ruolo residuale. Al cospetto di gravi e diffusi comportamenti riconducibili alla generale categoria degli abusi di mercato e dei danni che ne possono derivare, «la irrogazione di sanzioni penali»10 viene individuata come strumento necessitato in quanto «avrà un effetto dissuasivo maggiore»11: ma anche sulla portata stigmatizzante e simbolica della comminatoria penale fa affidamento il legislatore eurounitario, affermando esplicitamente che la sanzione criminale trasmette al pubblico e ai potenziali contravventori il messaggio che i comportamenti per tal modo sanzionati sono considerati particolarmente gravi dalle autorità competenti12, posto che tal genere di sanzione dimostra «una forma più forte di disapprovazione sociale rispetto alle sanzioni amministrative»13.
Se la prevalenza del “penale” in senso stretto non appare dubitabile, rimane tuttavia aperto il problema dell’eventuale spazio da assegnare alla sanzione amministrativa, esplicitamente raccomandata, benché non imposta, dai considerando (71) e (72) reg. 596/2014.
Per altro verso, a risultare problematica è la complessiva riconducibilità del “doppio binario” punitivo domestico in tema di market abuse alla “materia penale”: ne rendono certi i tratti caratterizzanti le sanzioni amministrative sotto il profilo delle intrinseche finalità (non meramente ripristinatorie, ma anche general- e special-preventive) e del grado di afflittività (significativamente elevato sul piano patrimoniale e della compressione di libertà fondamentali del condannato). Al riguardo si pensi alle sanzioni interdittive (ad esempio: l’incapacità ad assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo di società quotate e di società appartenenti a gruppi di società quotate) e alle conseguenze inabilitative (sempre esemplificando: la perdita dei requisiti di onorabilità) previste per l’illecito amministrativo: esse hanno una portata afflittiva spiccatamente marcata, incidendo direttamente sulla libertà personale del soggetto.
Sulla conseguente area problematica delle sovrapposizioni fra i due sistemi sanzionatori, come pure sul doveroso rispetto del superiore principio del ne bis in idem, le indicazioni del legislatore eurounitario sono inequivoche, posto che nella sostanziale neutralità manifestata in relazione alla eventuale opzione del cd. doppio binario, regolamento e direttiva sono espliciti nell’esigere che, qualora i legislatori nazionali scelgano tale opzione, sia assicurato il rispetto del ricordato canone (sia sul versante processuale, sia su quello sostanziale).
Con riferimento alla disciplina italiana degli abusi di mercato – nel silenzio della legge-delega e del decreto legislativo in commento – tutto rimane come prima, affidato alla fatica dell’interprete, che assiste al dibattito fra le Corti (talvolta interno alla stessa Corte)14, sperando di ricavarne un criterio ermeneutico almeno univoco. La questione irrisolta consiste nel regolare i rapporti fra i due sistemi sanzionatori, sebbene la lettura complessiva del regolamento e della direttiva suggerisca una prospettiva diversa: più che universi punitivi in qualche misura paralleli e necessariamente separati, potenzialmente concorrenti sullo stesso fatto (sulla stessa fattispecie?), il legislatore eurounitario pare aver riguardo a un singolo modello chiamato a disciplinare il settore dell’abuso di mercato, univocamente definito dal considerando (7) reg. 596/2014. Se dunque l’obiettivo da perseguire è l’armonica coesistenza di apparati sanzionatori differenziati nel medesimo settore, tale risultato può essere raggiunto unicamente diversificando le fattispecie astratte, anziché mediante il conferimento al giudice del caso singolo del delicato compito di assicurare la proporzione della “pena” (indipendentemente dalle etichette formali delle varie componenti di un trattamento punitivo da ricondurre a unità)15. Ma l’esigenza di disciplinare siffatta duplicità al cospetto del canone inflessibile del ne bis in idem rimane del tutto insoddisfatta anche dopo l’intervento del d.lgs. n. 107/2018.
1 Così Basile, E., Una nuova occasione (mancata) per riformare il comparto penalistico degli abusi di mercato? Lo schema del d.d.l. di delegazione europea 2016, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2017, fasc. 5, 272; Id., Verso la riforma della disciplina italiana del market abuse: la legge-delega per il recepimento della direttiva 57/2014/UE, in Legisl. pen., 2015.
2 Per indicazioni sulla rinnovata (ad opera di MAD 2) nozione di informazione privilegiata, v. Consulich, F.-Mucciarelli, F., Informazione e tutela penale dei mercati finanziari nello specchio della normativa eurounitaria sugli abusi di mercato, in Società, 2016, 179.
3 Relazione, cit., 13, sottolineatura nel testo.
4 In argomento v. Reisberg, A., Article 11: Market soundings, in Market Abuse Regulation: Commentary and Annoted Guide, a cura di M. Ventoruzzo e S. Mock, Oxford, 2017, 306; nella dottrina italiana v., di recente, Mosca, C., Comunicazione selettiva dagli amministratori agli azionisti e presidi a tutela del mercato, in Riv. soc., 2018, 62 ss.
5 V. Basile, E., Contravvenzioni e contraddizioni in tema di abusi di mercato: tutela penale dei sistemi multilaterali di negoziazione, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2011, 747 ss.; nonché, volendo, Mucciarelli, F., Art. 184, in Il testo unico della finanza, a cura di M. Fratini e G. Gasparri, t. III, Torino, 2012, 2322.
6 In argomento sia permesso rinviare a Mucciarelli, F., La nuova disciplina eurounitaria sul market abuse, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2015, fasc. 4, 295, in part. 315.
7 Per la sottolineatura delle aporie a livello domestico derivanti dalla differenziazione sanzionatoria in tema di tipping v. Basile, E., Verso la riforma, cit.
8 In argomento v. Viganò, F., Ne bis in idem e contrasto agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i giudici italiani, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2016, fasc. 1, 186; Scoletta, M., Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem nella nuova disciplina eurounitaria degli abusi di mercato, in Società, 2016, 218.
9 Cfr. intervento del Commissario Consob G.M. berruti del 17.7.2018 avanti le Commissioni riunite Giustizia e Finanze.
10 Considerando (7) direttiva 2014/57/UE.
11 Ibidem.
12 Cfr. Considerando (6) direttiva 2014/57/UE.
13 Ibidem.
14 Tra i precedenti della Corte di Strasburgo fondamentale C. eur dir. uomo, sez. II, sent. 4.3.2014, Grande Stevens c. Italia, in www.penalecontemporaneo.it, 9.3.2014, poi parzialmente contraddetta da C. eur. dir. uomo, G.C., sent. 15.11.2016, A e B c.Norvegia, ivi, 18.11.2016, nonché da C. eur. dir. uomo, I sez., sent. 18.5.2017, Johannsson c. Islanda, ivi, 22.5.2017. Circa la dimensione eurounitaria del tema si vedano le decisioni C. giust. UE, GS, 20.3.2018, Garlsson Real Estate c. Consob; C. giust. UE, GS, 20.3.2018, Di Puma e Zecca c. Consob, tutte in www.penalecontemporaneo.it, 21.3.2018.
15 Sul punto, v. Cass. pen., sez. V, 16.7.2018, n. 45829 (dep. 10.10.2018).