Vedi Abuso ed elusione del diritto dell'anno: 2015 - 2016
Abuso ed elusione del diritto
L’art. 1 d.lgs. 5.8.2015, n. 128, ha codificato l’abuso del diritto come figura residuale di illecito, nella quale è confluita l’elusione. La disciplina è sostanzialmente mutuata dalla giurisprudenza di legittimità quanto alla definizione dell’abuso, all’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale e alla distribuzione dell’onere della prova. Tra le novità, il divieto di rilevare d’ufficio l’abuso e la sua non perseguibilità penale. Come in ogni riforma, non mancano problemi interpretativi ed applicativi, specialmente in tema di sanzioni.
Il 2015 è stato l’anno della codificazione dell’abuso del diritto in materia tributaria, attuata con il d.lgs. 5.8.2015, n. 128 (Disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente, in attuazione degli articoli 5, 6 e 8 comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23).
Nella figura dell’abuso è confluita anche quella dell’elusione fiscale1. La riforma è stata preceduta di pochi giorni dalla sentenza 7.7.2015, n. 132, della Corte Costituzionale che ne ha anticipato gli effetti nella parte in cui la stessa prevede ora espressamente che l’avviso di accertamento dell’abuso deve essere preceduto a pena di nullità dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti (cd. contraddittorio endoprocedimentale).
1.1 Norma generale antiabuso e scelta del regime fiscale
L’art. 1 d.lgs. n. 128/2015 ha attuato la riforma modificando lo Statuto dei diritti del contribuente. Il co. 1, ha inserito nella l. 27.7.2000, n. 212 l’art. 10 bis, intitolato Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale. Il co. 4 di tale articolo conferma innanzitutto «la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale». Il contribuente può legittimamente scegliere di aderire al cd. regime dei minimi, se lo ritiene conveniente, così come può liberamente scegliere di dare luogo alla estinzione di una società mediante fusione invece che mediante liquidazione2.
La collocazione sistematica della norma, dopo l’art. 10 dello Statuto, che regola la tutela dell’affidamento e della buona fede nei rapporti tra contribuente ed amministrazione, deriva dalla dottrina civilistica per la quale l’abuso del diritto inquina tali rapporti3 ed ha il pregio di evidenziare che l’abuso del diritto è un istituto di carattere generale applicabile a tutti i tributi4. La scelta denota la preoccupazione del legislatore di riaffermare il diritto al legittimo risparmio fiscale, senza che questo costituisca di per sé un indizio di abuso.
Lo scopo dichiarato della riforma, però, è quello di definire e disciplinare l’abuso del diritto come istituto che attiene alla patologia fiscale, costruito intorno al concetto dell’indebito vantaggio fiscale. Per questa sua connotazione, la norma avrebbe potuto trovare idonea collocazione anche nell’ambito del d.lgs. 18.12.1997, n. 472, che reca la disciplina generale dell’illecito fiscale extrapenale, di seguito all’art. 3, relativo al principio di legalità, posto che il divieto dell’abuso mira a garantire il rispetto della legalità sostanziale.
«Configurano abuso del diritto – secondo la novella del 2015 – una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti» (art. 10 bis, co. 1).
Presupposto dell’abuso è il rispetto formale delle norme fiscali. Ne sono elementi costitutivi le operazioni prive di sostanza economica e la realizzazione di un indebito vantaggio fiscale.
Il legislatore chiarisce (art. 10 bis, co. 2) che:
a) si considerano «operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali»5;
b) si considerano «vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario».
Sono comunque fuori campo di applicazione dell’abuso, e rientrano quindi nei limiti del legittimo esercizio del diritto di libertà delle scelte economiche, «le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente » (art. 10 bis, co. 3).
1.2 Contestazione, interpello e regole procedurali
L’accertamento dell’abuso deve avvenire mediante notifica di un apposito atto (cd. accertamento parziale), specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione a tutti gli elementi sui quali si regge la contestazione dell’abuso: condotta abusiva, norme e principi elusi, indebiti vantaggi fiscali e insufficienza dei chiarimenti forniti dal contribuente (art. 10 bis, co. 58). Ha come effetto il disconoscimento dei vantaggi indebiti realizzati e l’obbligo di pagare i giusti tributi dovuti (art. 10 bis, co. 1, seconda alinea).
Il contribuente conserva la facoltà dell’interpello preventivo che può essere proposto anche dopo la realizzazione della operazione dubbia, ma prima della presentazione della dichiarazione fiscale o dell’assolvimento di altri obblighi connessi (co. 5). In caso di esito negativo, il contribuente potrà redigere la dichiarazione senza tenere conto dei vantaggi fiscali connessi alla operazione-mezzo, determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi (art. 10 bis, co. 5, seconda alinea)6. Accanto all’interpello “consultivo”, la riforma ha conservato l’interpello “disapplicativo”, già previsto dall’art. 37 bis, co. 8, d.P.R. n. 600/1973, inteso a dimostrare che nella particolare fattispecie gli effetti elusivi previsti da specifiche disposizioni non possono verificarsi (art. 1, co. 3, d.lgs. n. 128/2015). Il d.lgs. n. 128/2015 ha anche introdotto il regime dell’adempimento collaborativo tra l’Agenzia delle entrate ed i contribuenti di maggiori dimensioni (artt. 37), al fine, tra l’altro, di prevenire le controversie fiscali connesse al rischio di operare «in contrasto con i principi o con le finalità dell’ordinamento tributario», anche quando si operi nel rispetto formale delle norme (art. 3, co. 1). L’adesione al regime dovrebbe eliminare il rischio di contestazioni basate sull’abuso del diritto, perché l’Agenzia delle entrate ha l’obbligo di esaminare preventivamente le situazioni suscettibili di generare rischi fiscali e di dare subito risposte alle richieste del contribuente (art. 5, co. 1, lett. e) e il contribuente deve dare comunicazione tempestiva ed esauriente delle operazioni che possono rientrare nella pianificazione fiscale aggressiva (art. 5, co. 2, lett. b)7.
Il contribuente conserva il diritto di essere invitato a fornire chiarimenti, prima della notifica dell’atto di contestazione dell’abuso, a pena di nullità dello stesso (diritto al contraddittorio endoprocedimentale) (art. 10 bis, co. 67), già previsto dall’art. 37 bis, co. 4, d.P.R. n. 600/1973 per i soli casi di elusione tipizzata8.
I co. 9, 10 ed 11 dell’art. 10 bis, infine, dettano rispettivamente la disciplina dell’onere della prova, della riscossione in pendenza del processo e quella del rimborso spettante all’extraneus che abbia versato tributi per l’operazione abusiva i cui vantaggi fiscali siano stati disconosciuti9.
Completano la riforma i co. 2, 4 e 5 dell’art. 1 d.lgs. n. 128/2015 che sanciscono l’abrogazione dell’art. 37 bis d.P.R. n. 600/1973 (co. 2), fanno salve le speciali procedure doganali di controllo ed accertamento (co. 4) e disciplinano vacatio legis ed efficacia retroattiva dell’art. 10 bis (co. 5).
1.3 La giurisprudenza in tema di contraddittorio
Vigente l’art. 37 bis d.P.R. n. 600/1973, la Corte di cassazione ha dubitato della legittimità costituzionale di tale disposizione, sotto il profilo della razionalità, nella parte in cui prevedeva l’obbligo del contraddittorio preventivo a pena di nullità, mentre analoga garanzia non era prevista in caso di contestazione dell’abuso del diritto, figura generale, alla quale erano riferibili le specifiche fattispecie elusive codificate dal citato art. 37 bis10.
Il giudice delle leggi ha escluso l’esistenza di asimmetrie procedurali tra elusione codificata ed abuso del diritto, sul rilievo che secondo la stessa giurisprudenza di legittimità (sopravvenuta all’ordinanza di rimessione11) «l’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento, operante anche in difetto di una espressa specifica previsione normativa, a pena di nullità dell’atto finale del procedimento, per violazione del diritto di partecipazione dell’interessato al procedimento stesso (Cass., S.U., 18.9.2014, n. 19667)»12. La Corte di cassazione, infatti, prima ancora che intervenisse la pronuncia della Corte costituzionale, sviluppando le linee di tendenza della propria giurisprudenza, ha stabilito che «anche nel caso in cui l’Ufficio finanziario intenda contestare fattispecie elusive, indipendentemente dalla riconducibilità o meno delle stesse alle ipotesi contemplate dal d.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 3, è tenuto a richiedere preventivamente chiarimenti al contribuente e ad osservare il termine dilatorio di gg. 60, prima di emettere l’atto accertativo che dovrà essere specificamente motivato anche in ordine alle osservazioni, chiarimenti, giustificazioni, eventualmente fornite dal contribuente: risultando inficiato dal vizio di nullità l’atto impositivo emesso in difformità da detto modello procedimentale»13.
Secondo questa giurisprudenza, ancor prima della riforma, gli atti impositivi con i quali sia stato contestato un comportamento elusivo o un abuso del diritto, sono nulli (a) se non è stato attivato il contraddittorio preventivo, (b) se l’atto stesso non sia specificamente motivato in ordine ai chiarimenti forniti dal contribuente o (c) se l’atto sia stato notificato prima del decorso del termine di 60 giorni dalla richiesta di chiarimenti (art. 37 bis d.P.R. n. 600/1973) o dal rilascio della copia del processo verbale di constatazione, nel caso di accesso (art. 12, co. 7, l. n. 212/2000).
La novella ha introdotto una norma generale, di chiusura del sistema, intesa a contrastare ogni forma di indebito risparmio fiscale innominato, che non ricada nell’orbita della violazione di specifiche disposizioni tributarie (art. 10 bis, co. 12).
Il divieto dell’abuso, anche dopo la sua codificazione, deriva dai principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, in forza dei quali «il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale»14.
Le operazionimezzo attraverso le quali viene realizzato l’indebito vantaggio fiscale, pur vuote di sostanza economica, restano fiscalmente valide, ma gli effetti «non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni» (art. 10 bis, co. 1, seconda alinea). Se però il vantaggio fiscale deriva dalla realizzazione di un illecito tipizzato, non si può parlare di abuso, ma deve trovare applicazione la disciplina specifica dell’illecito. L’abuso si dissolve in presenza della violazione formale di una norma o del legittimo esercizio del diritto.
Giova ora esaminare alcuni profili della nuova disciplina.
2.1 Contraddittorio, onere della prova e poteri del giudice
Il co. 6 dell’art. 10 bis stabilisce che l’abuso del diritto «è accertato con apposito atto15, preceduto a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile l’abuso del diritto». La richiesta deve essere notificata al contribuente ai sensi dell’art. 60 d.P.R. n. 600/1973 entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell’atto impositivo e il contribuente deve disporre di almeno sessanta giorni per rispondere alla richiesta16. La pronuncia della nullità non richiede la verifica della fondatezza o della non manifesta infondatezza delle ragioni che il contribuente avrebbe potuto esporre17.
In tema di obbligo del contraddittorio si impongono due riflessioni, la prima relativa alla non rilevabilità di ufficio della nullità in caso di violazione di tale obbligo e la seconda relativa alla sussistenza dello stesso nei confronti del contribuente che abbia omesso la dichiarazione.
La verifica del rispetto della procedura relativa al contraddittorio attiene alla ricostruzione dei fatti che sono alla base della pretesa fiscale, con la conseguenza che, se la questione non è stata proposta con il ricorso introduttivo del giudizio, opera la preclusione di cui all’art. 57 d.lgs. 11.12.1992, n. 546, ed il giudice non può rilevare di ufficio l’eventuale omissione.
La giurisprudenza di legittimità ha affermato di recente che la contestazione dell’abuso, in caso di omessa dichiarazione, non richiede il preventivo contraddittorio18. Dopo la riforma, che esclude ogni ipotesi di abuso in caso di violazione di specifici precetti, il problema è fuori del campo di applicazione della riforma perché ha come presupposto la violazione dell’obbligo della dichiarazione, la cui esistenza preclude la contestazione dell’abuso.
Nell’intento di consolidare i principi di certezza del diritto e di prevedibilità delle decisioni, il legislatore del 2015 ha stabilito, in linea con la giurisprudenza di legittimità, che l’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, ma che, in disaccordo questa volta con la detta giurisprudenza, l’abuso non è rilevabile di ufficio.
La regola della non rilevabilità di ufficio, però, presenta profili di dubbia costituzionalità. Innanzitutto perché è priva di copertura nella legge delega, nella quale non vi è alcuna indicazione in tal senso. In secondo luogo, il legislatore ordinario non può limitare il principio iura novit curia, che ha radici nell’art. 101, co. 2, Cost.
Proprio in tema di abuso del diritto, il giudice di legittimità ha chiarito che il principio secondo cui le ragioni poste a fondamento dell’atto impositivo segnano i confini del processo tributario, che è un giudizio di impugnazione dell’atto, sicché l’Ufficio finanziario non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse e modificare la motivazione dell’atto nel corso del giudizio, va coordinato con il potere che ciascun giudice ha – in quanto connaturale all’esercizio stesso della giurisdizione, quand’anche abbia ad oggetto il mero riesame di atti – di qualificare autonomamente la fattispecie demandata alla sua cognizione, a prescindere dalle allegazioni delle parti in causa. Ne discende che, nel processo tributario, la suddetta necessità di perimetrare l’ambito del giudizio entro i confini posti dalle ragioni poste a base dell’atto impositivo, non impedisce al giudicante di operare una diversa qualificazione giuridica della fattispecie concreta, che abbia dato luogo all’esercizio della pretesa fiscale sottoposta al suo esame. E neppure può ritenersi precluso, allo stesso giudice, l’esercizio di poteri cognitori d’ufficio, non potendo ritenersi che i poteri del giudice tributario siano più limitati di quelli esercitabili in qualunque processo di impugnazione di atti, come quello amministrativo di legittimità»19.
2.2 Abuso, principio di specialità e (ir)rilevanza penale
I rapporti dell’abuso con gli illeciti codificati sono definiti dai co. 12 e 13 dell’art. 10 bis, secondo il principio di esclusione e di specialità.
Il co. 12 stabilisce che «In sede di accertamento l’abuso del diritto può essere configurato soltanto se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizione». La norma sancisce il carattere residuale e di chiusura del divieto dell’abuso del diritto nel sistema dell’illecito fiscale e ribadisce il principio di specialità, in forza del quale quando uno stesso fatto è sussumibile a diversi paradigmi di illecito20, deve applicarsi la disposizione speciale21. Il precetto non è di grande utilità perché, per definizione, non può ipotizzarsi il concorso tra abuso del diritto ed altri illeciti: il presupposto del primo, «il rispetto formale delle norme fiscali», esclude a priori il concorso con altri illeciti. Non è privo però di rilievo pratico perché dovrebbe eliminare la prassi di contestare l’abuso del diritto ogni volta che l’amministrazione finanziaria non sappia come qualificare fatti ritenuti “in odore di evasione”.
Il co. 13 dell’art. 10 bis stabilisce che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, ma per esse resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie. Come si legge nella nota sentenza della C. giust., 21.2.2006, causa C255/02, Halifax, «la constatazione dell’esistenza di un comportamento abusivo non deve condurre a una sanzione, per la quale sarebbe necessario un fondamento normativo chiaro e univoco, bensì e semplicemente a un obbligo di rimborso di parte o di tutte le indebite detrazioni iva assolta a monte» (punto 93 della motivazione)22. Il nostro legislatore, invece, ha ritenuto che l’abuso sia compatibile con un intervento sanzionatorio di tipo afflittivo, che si aggiunge all’obbligo del pagamento dell’imposta elusa, ma ha escluso che l’indebito vantaggio fiscale possa assumere rilevanza penale.
La scelta appare irrazionale ed illegittima. È irrazionale, perché, se l’evasione (è questo il risultato economico dell’indebito risparmio fiscale) mediante abuso merita un intervento sanzionatorio di tipo afflittivo, non si comprende il motivo per cui si debba escludere a priori l’applicazione di sanzioni di maggiore deterrenza quando il fatto sia di maggiore gravità. É illegittima, perché l’art. 5 l. 11.3.214, n. 23, non contiene alcuna delega per legiferare in tema di rilevanza penale dell’abuso. L’art. 8 della stessa legge, relativo alla revisione del sistema sanzionatorio, prevede soltanto che si proceda alla «individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie». Ma, tracciare la linea di confine tra tipi di illecito è cosa diversa dallo escludere ex lege che le operazioni abusive possano dar luogo a fatti punibili penalmente.
2.3 Vacatio legis ed efficacia retroattiva
L’art. 1, co. 5, d.lgs. n. 128/2015 stabilisce che le disposizioni dell’art. 10 bis hanno efficacia a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto. Il decreto pubblicato sulla G.U. n. 190 del 18.8.2015, è entrato in vigore il 2.9.2015, e quindi la disciplina sull’abuso del diritto produce effetti dal 1.10.2015.
Il co. 5 dispone altresì che l’art. 10 bis si applica «anche alle operazioni poste in essere in data anteriore alla loro efficacia per le quali, alla stessa data, non sia stato notificato il relativo atto impositivo».
La retroattività della nuova disciplina può trovare applicazione soltanto in bonam partem, ad esempio in relazione alla “depenalizzazione” dell’elusione codificata, ma non anche in malam partem, non consentita dai limiti della legge delega. Questa infatti, all’art. 1, co. 1, ha stabilito che il legislatore delegato dovesse operare nel «rispetto del vincolo di irretroattività delle norme tributarie di sfavore». Posto che la riforma ha escluso che l’abuso possa essere perseguito penalmente, ne deriva che in forza dell’art. 3, co. 2, c.p. coloro che siano stati incriminati per un reato tributario realizzato mediante operazioni abusive o elusive (praticamente per una delle fattispecie tipizzate di cui al co. 3 dell’art. 37 bis.d.P.R. n. 600/1973) non possono più essere puniti «e se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali» (cd. favor rei)23.
La riforma però non ha realizzato una abolitio criminis, non ha ridotto il catalogo dei reati tributari, ha soltanto escluso che un fatto costituente reato possa essere contestato come abuso e che questo possa assumere rilevanza penale. Ne deriva che anche per i fatti passati la rilevanza penale viene meno soltanto se gli stessi, qualificati come abuso, non integrino di per sé una fattispecie di reato.
Per il regime transitorio dell’obbligo del contraddittorio valgono le considerazioni già svolte (v. infra, §1.3).
L’opera di codificazione dell’abuso del diritto si pone al centro del crocevia nel quale confluiscono i principi della autonomia negoziale, della certezza del diritto e della riserva di legge, del giusto prelievo fiscale e della prevalenza della legalità sostanziale su quella formale24.
Non è difficile prevedere che saranno numerosi i problemi interpretativi ed applicativi, in particolare nella formulazione del giudizio di comparazione tra le ragioni extrafiscali delle operazioni elusive e i vantaggi fiscali realizzati.
In questa fase di prima lettura i punti di maggiore criticità sono quelli già ricordati del difetto di delega della norma che preclude al giudice tributario di rilevare di ufficio l’abuso del diritto e di quella che ne esclude la rilevanza penale.
3.1 Il problema delle sanzioni
Il tema delle sanzioni merita qualche ulteriore riflessione.
La contestazione della figura residuale dell’abuso implica che non sia ipotizzabile nessun illecito tributario e quindi che non sia applicabile nessuna delle sanzioni previste per tali illeciti. Il principio di legalità impone che ciascun illecito sia corredato di apposita sanzione e non è possibile effettuare trapianti da un illecito ad un altro. Pertanto, il precetto che prevede la conservazione delle sanzioni amministrative, compatibile (forse) prima che venisse sancito il principio della alternatività tra illecito ed abuso, risulta oggi inapplicabile in forza di tale principio. Il legislatore avrebbe dovuto farsi carico di stabilite specificamente tipo ed entità della sanzione da applicare in caso di abuso. Se fosse stata scelta come sedes materiae dell’abuso quella della disciplina degli illeciti tributari, probabilmente, vi sarebbe stata maggiore attenzione per questo profilo.
Ne deriva che l’abuso, in quanto non sussumibile ad alcun paradigma di illecito già codificato, non è sanzionabile se non con la misura risarcitoria del pagamento dell’imposta dovuta25.
Se questa conclusione è corretta, ci si deve attendere un incremento delle pratiche elusive: quando l’unico rischio che corre il contribuente nel tentativo di realizzare un indebito vantaggio fiscale è quello di perdere il vantaggio stesso, il tentativo è d’obbligo. E diventa anche inutile la pratica dell’interpello, che ha un senso soltanto per evitare il rischio di sanzioni, altrimenti diventa soltanto un pericoloso mezzo per “aprire gli occhi” all’amministrazione finanziaria.
1 Le due figure, dell’elusione e dell’abuso, hanno però una diversa estensione concettuale ed un diverso fondamento costituzionale. La prima attiene alla posizione di soggezione del contribuente che tenta di affrancarsi, aggirandoli, dai vincoli fiscali ma incappa nella violazione dell’art. 53 Cost. (v. Cass., S.U., 23.12.2008, n. 30055, n. 30056 e n. 30057). La seconda invece attiene alla posizione attiva del contribuente che esercita i propri diritti senza tenere conto dei limiti derivanti dagli obblighi di correttezza e di buona fede (v. artt. 833 e 1175 c.c.) e dei vincoli di utilità sociale (ex art. 41 Cost.). Fransoni, V.G., Abuso ed elusione del diritto, in Il libro dell’anno del diritto 2015, Roma, 2015, 410.
2 L’esempio è tratto dalla Relazione illustrativa dello schema del d.lgs, nella quale si legge: «É vero che la prima operazione [fusione] è a carattere neutrale e la seconda [liquidazione] ha, invece, natura realizzativa, ma nessuna disposizione tributaria mostra “preferenza” per l’una o l’altra operazione; sono due operazioni messe sullo stesso piano, ancorché disciplinate da regole fiscali diverse.» (p. 11).
3 É stato però osservato che affidamento e buona fede attengono alla lealtà e solidarietà nei rapporti tra parti contraenti, mentre l’abuso del diritto attiene alla ragionevolezza ed economicità dei comportamenti giuridici. Sul tema, v. Scognamiglio, C., L’abuso del diritto nella disciplina dei contratti, in Il libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 39 ss.
4 Le disposizioni antielusive, introdotte dall’art. 7, co. 1, d.lgs. 8.10.1997, n. 358, furono inserite invece nel contesto delle norme che disciplinano le procedure specifiche dell’accertamento delle imposte sul reddito (art. 37 bis d.P.R., 29.9.1973, n. 600, aggiunto dall’art. 7, co. 1, d.lgs. n. 358/1997).
5 Tra gli indizi che rivelano la mancanza di sostanza economica, lo stesso legislatore indica, in particolare, «la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato» (art. 10 bis, co. 2, lett. a). Il requisito della assenza della sostanza economica è mutuato dalla Raccomandazione della Commissione europea del 6.12.2012, sulla pianificazione fiscale aggressiva.
6 L’interpello antielusivo era già previsto dall’art. 21 l. 30.12.1991, n. 413, in relazione alle fattispecie previste dall’art. 37 bis d.P.R. n. 600/1973 ora abrogato.
7 Il par. 4.1 della Raccomandazione, cit., invita gli Stati membri ad adottare una norma generale antiabuso proprio per contrastare la pianificazione fiscale aggressiva.
8 Obbligo generalizzato poi dal diritto vivente v. infra, §1.3.
9 Analoga disciplina, in tema di riscossione e rimborso, era già dettata dai co. 6 e 7 dell’art. 37 bis d.P.R. n. 600/1973. È nuova la norma sull’onere della prova
10 Fransoni, V. G., Abuso ed elusione, op. cit., 407 ss.
11 Cass., ord., 5.11.2013, n. 24739.
12 V. punto 3.1.della motivazione della sent. della C. cost., 7.7.2015, n. 132, nella quale viene anche evidenziato che si tratta di giurisprudenza formatasi dopo l’ordinanza di rimessione.
13 Cass., 14.1.2005, n. 406, punto 3.9 della motivazione. Conf. Cass., 5.12.2014, n. 25759.
14 V. Cass., n. 30055/2008 e n. 30057/2008, rispettivamente ai punti n. 2.2 e 3.2 della motivazione, ricordate anche dalla Relazione illustrativa, cit., 5.
15 Secondo quanto si legge nella Relazione illustrativa, cit., p. 12, «L’“apposito atto” di accertamento dell’abuso non può contenere altri eventuali addebiti, i quali pertanto dovranno essere separatamente contestati». In realtà il testo della norma non autorizza questa lettura restrittiva e comunque certamente l’eventuale violazione dell’obbligo della separatezza dell’atto è privo di sanzione. La nullità colpisce soltanto la violazione dell’obbligo del contraddittorio.
16 Se in pendenza di tale termine scade quello di decadenza dell’ufficio, questo è automaticamente prorogato fino alla concorrenza dei sessanta giorni (art. 10 bis, co. 7).
17 La questione se la nullità degli atti notificati al contribuente senza il preventivo invito al contraddittorio operi anche quando questo non sia espressamente previsto ed il contribuente non dimostri che le ragioni che avrebbe potuto esporre non sono meramente pretestuose è stata rimessa alle Sezioni unite civili da Cass., ord., 14.1.2015, n. 527.
18 Cass., 29.7.2015, n. 16036.
19 Cass., 11.5.2012, n. 7393, punto 2.1 della motivazione, dove vengono richiamati anche i precedenti Cass., 21.10.2005, n. 20398, e 29.9.2006, n. 21221.
20 Sul tema della sanzionabilità dei comportamenti elusivi e della relativa giurisprudenza di legittimità, v. Della Valle, E., Rilevanza sanzionatoria dell’elusione, in Il Libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 428 ss.
21 In materia di illecito fiscale il principio di specialità è sancito dall’art. 19 d.lgs. 10.3.2000, n. 74, in forza del quale quando uno stesso fatto è punito da una disposizione che prevede una sanzione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale. In occasione della recente riforma dei reati tributari (d.lgs. 24.9.2015, n. 158) il legislatore si è ulteriormente preoccupato di evitare ogni possibile sovrapposizione tra abuso del diritto ed illeciti penali. Infatti, il reato di dichiarazione fraudolenta ora può essere commesso anche compiendo operazioni simulate, purché queste non siano qualificabili come abuso del diritto (v. artt. 3, co. 1 e 1, co. 1, lett. g-bis del d.gls. 10.3.2000, n. 74, nel testo oggi vigente). Il problema che si pone è: se la figura dell’abuso è residuale rispetto a quella degli illeciti, non è possibile che la definizione di un illecito sia condizionata alla esclusione dell’abuso. Il circolo vizioso è evidente.
22 Alla tradizionale bipartizione dei comportamenti tenuti dai contribuenti in tema di Iva, fra quello fisiologico e quello patologico (proprio delle frodi fiscali), l’ordinamento eurounitario prevede una sorta di tertium genus in relazione ai comportamenti abusivi ed elusivi del contribuente (v. Cass., 5.5.2006, n. 10353, in motivazione). Sulla influenza della giurisprudenza comunitaria ed internazionale in materia di abuso del diritto, v. Marini, G., Le ricadute della giurisprudenza internazionale nell’ordinamento italiano: l’abuso del diritto nel settore tributario, in L’abuso del diritto nel dialogo tra corti nazionali ed internazionali, Merone, G., a cura di, Napoli, 2014, 145 ss.
23 Sul tema della retroattività va segnalata la recente sentenza della Cass. pen., 7.10.2015, n. 40272, secondo la quale la notifica dell’atto impositivo non può ostacolare l’efficacia retroattiva della depenalizzazione.
24 Il divieto dell’abuso del diritto è già codificato nell’art. 17 della CEDU e nell’art. 54 della Carta di Nizza.
25 Si tratta comunque di illecito di rilevanza pubblica perché lede l’interesse pubblico dell’integrità del gettito fiscale.