ACANTO (dal gr. ἄκανϑος; lat. acanthus)
Le voci ἄκανϑος, ἄκανϑα "spina" furono adoperate dagli scrittori greci per designare parecchie piante spinose e pungenti; invece i Romani le applicarono, si può dire, esclusivamente a due specie del genere Acanthus, l'acanto molle a foglie non spinose (A. mollis L.), chiamato anche branca ursina per la pretesa rassomiglianza delle foglie a una zampa d'orso (fig. 1), e l'acanto a foglie con lobi spinosi (A. spinosus L.).
Architettura. - È a tutti noto il racconto che fa Vitruvio circa l'origine del capitello corinzio, attribuendone l'invenzione all'orafo Callimaco, che volle in un capitello imitare un cespo di acanto fiorito intorno ad un paniere. Alcuni hanno voluto riconoscere in questo racconto una favola inventata dalla vanità greca per attribuirsi l'invenzione del capitello corinzio; altri, giustificando l'invenzione dei Greci, lasciano tuttavia alla storia di Callimaco tutto quello che di vero essa può contenere. Infatti semplici raffronti stilistici dimostrano chiaramente come la forma campaniforme del capitello corinzio è certamente passata all'arte greca dall'arte egizia del 3° periodo; quanto alla decorazione, mentre in Egitto essa era costituita quasi esclusivamente da imitazioni e stilizzazioni di canne e di fiori di loto, in Grecia fu invece più varia e più ricca, per motivi o di religione, o di capriccio, o di varietà di gusto: quindi è probabile che Callimaco sia stato davvero il primo ad applicare al capitello l'ornamento della foglia di acanto. Circa l'epoca a cui può fissarsi tale invenzione, l'Hancarville osserva che forse Vitruvio è caduto in errore, confondendo questo architetto con un altro Callimaco, detto κακιζοτέχνος (guastamestieri), vissuto all'incirca nella 120ª olimpiade, autore, secondo Plinio, di una statua di Zenone, filosofo stoico fiorito appunto in quella epoca; naturalmente egli non può essere l'inventore del capitello corinzio, se noi troviamo questo capitello applicato da Scopa nel tempio di Atena costruito in Tegea circa cento anni prima.
Si distinguono, in architettura, tre tipi di acanti: l'acanto greco, il romano, il gotico. L'acanto nello stile greco primitivo appare negli acroterî e in ornamenti simili di stele come una copia abbastanza fedele e sincera delle foglie naturali, ma mostrando, sia nelle foglie radicali comparse prima, sia nelle foglie grandi, un'acutezza dei bordi eccessiva, che dà all'acanto l'aspetto dell'agrifoglio o del cardo; o al contrario, una rotondità troppo molle delle dentellature. Solo dopo l'invenzione di Callimaco, e cioè a partire dal sec. V, l'acanto prende nelle arti vera importanza: e viene adoperato come elemento decorativo di prim'ordine nel capitello corinzio. Alcuni degli esempî migliori ci sono offerti dal capitello isolato del tempio di Apollo in Basse presso Figalia del 430 a. C. (fig. 2), e, nel secolo seguente, dal colonnato interno del tempio di Atena in Tegea; e nell'edificio rotondo per la tholos presso Epidauro, i cui capitelli contengono già gli elementi fondamentali del tipo divenuto classico (fig. 4); da alcune antefisse e stele funerarie, e soprattutto dal monumento di Lisicrate in Atene, ove non solo i capitelli, ma anche il grande trionfo del tetto che sosteneva il tripode, è riccamente ornato di acanto, che, sebbene reso con dentellature più acute di quelle proprie dell'acanto spinoso, è tuttavia improntato ad una squisita grazia e finezza di linea (figura 8). Nel periodo ellenistico tipi varî e originali di acanto stilizzato con foglie arrotondate si osservano nei monumenti greco-romani, come nel sontuoso tempio della Madre degli Dei sul Palatino, nel tempio rotondo sul Tevere (forse di Ercole), nel Foro Boario (il materiale, marmo pentelico, e la forma dei capitelli simile a quella dell'Olympieion di Atene indicano chiaramente la sua origine greca), nelle case di Pompei, nel tempio rotondo in Tivoli, ove tuttavia le foglie sono simmetricamente e quasi geometricamente disposte (fig. 9).
Nello stile romano, soprattutto verso la fine della repubblica e nel periodo aureo dell'impero, l'acanto e il capitello corinzio hanno grande sviluppo d'applicazioni. Ma l'acanto è trattato in un modo diverso da quello che si osserva nella architettura greca. Più rotondo nel taglio e nell'estremità delle foglie, esso tende ad assomigliare qualche volta a foglie di quercia: ma è sempre trattato con larghezza e morbidezza di forme, come nel tempio dei Dioscuri detto di Giove Statore, nel tempio di Marte Ultore, al Foro di Augusto (fig. 3), nella Maison Carrée a Nimes, nell'arco di Augusto in Susa. Alla fine dell'impero romano, la foglia di acanto tende a complicarsi: si accartoccia nei bordi, si frastaglia in moltissime sottili dentellature, si geometrizza nei contorni, pur conservando una certa morbidezza di fattura, come si può giudicare dai fregi scolpiti nell'epoca degli ultimi imperatori. Di varia ispirazione locale sono invece le imitazioni, fortemente stilizzate, dell'acanto spinoso nelle colonie romane di Oriente (Palmira nell'Asia Minore, la Porta Aurea in Gerusalemme). L'arte bizantina, la quale è tutta ispirata alle forme orientali, ci offre un tipo stranamente trasformato: le foglie imitate dall'acanto spinoso diventano geometriche e simmetriche (capitello teodosiano nella Porta Aurea di Costantinopoli del 388, e capitelli della loggia superiore di S. Vitale di Ravenna: figura 5); formano archetti fra loro, o sono a pochissimo rilievo, dimodoché più che scolpite sembrano incise. L'architettura araba assai raramente adopera per scopi decorativi le foglie d'acanto: qualche raro esempio si può osservare a Cordova e a Damasco: quasi sempre esse vengono sostituite dalla smagliante e caratteristica ornamentazione musulmana (arabeschi). Nel periodo romanico-lombardo il capitello qualche volta mantiene la semplice forma geometrica, come nel caratteristico capitello cubico; spesso è rivestito delle più varie figure, alcune decorative, altre simboliche, ispirate all'iconografia dei bestiarii. Il capitello a calice di foglie continua a comparire qualche volta nel territorio romano; nei capitelli del secolo XI, a mala pena si ravvisa la foglia raggomitolata nelle punte e coi contorni appena distinti. Solo verso la fine del periodo, riappare il capitello a calice di foglie: ma il forte rilievo dell'orlo, le nervature, i nastri ornati con teste di chiodi rammentano la tecnica metallurgica.
Nel periodo gotico (fig. 10) l'imitazione fine e svelta dell'acanto spinoso è spesso assai simile all'agrifoglio e al cardo per l'asprezza e l'acutezza delle punte e la durezza delle nervature, come, ad es., nel Duomo di Siena (1259-1298) e nel vicino Battistero di S. Giovanni, mirabile opera di Mino del Pellicciaio (1332). Del resto, l'arte gotica assai spesso preferisce l'imitazione varia della flora e della fauna locale, trattata con vera maestria.
Solo nel Rinascimento, dopo un periodo di transizione in cui l'acanto, pur risentendo ancora le acutezze sottili gotiche, ha già in sé quell'eleganza che si manifesta, all'inizio del Quattrocento, in tutte le arti, esso diventa elemento fondamentale e inseparabile in ogni tipo di ornamentazione (fig. 6); e l'armoniosa larghezza di forme romana, sentita attraverso le vicende varie del Medioevo e animata dal fervore del nuovo spirito umanistico, acquista nelle opere dei grandi cinquecentisti italiani elegante flessuosità e sottile finezza di linea insuperabili (fig. 7). E con tali pregi fondamentali noi vediamo nell'arte barocca, nel Settecento e sino ad oggi frequentemente adoperato l'acanto nell'arte decorativa.
L'abuso fatto in tutte le età, in Italia e fuori, della foglia d'acanto è dovuto non solo alla bellezza della pianta, ma soprattutto alla sua natura flessuosa, per cui può facilmente prestarsi, senza subire variazioni disarmoniche, alle decorazioni più varie.
Bibl.: R. De Visiani, in Memorie Ist. veneto, di scienze, lettere e arti, VII (1858); M. Meurer, Vergleichende Formenlehre d. Ornamentes u. d. Pflanze, Dresda 1909; A. Riegl, Stilfragen Grundlegungen zu einer Gesch. d. Ornamentik, Berlino 1893; W. v. Alten, Geschichte d. Altchristlichen Kapitells, Monaco-Lipsia, s. a.