ACCADEMIA (I, p. 186 e App. I, p. 3)
L'istituzione della reale Accademia d'Italia ebbe per fine di contrapporre questa, creata con evidenti, se pure non dichiarati, scopi politici, alle altre accademie italiane e principalmente a quella dei Lincei. Queste accademie avevano per lunghi anni dimostrato di voler mantenere la propria indipendenza e dignità rispetto alle decisioni governative interessanti la cultura. Per renderle più docili, fu imposto, negli statuti dei corpi scientifici, riformati nel 1934, l'obbligo per i loro membri di prestare il giuramento fascista; chi si rifiutò venne espulso. Più tardi, il r. decr. 8 giugno 1939, n. 775 ordinò la fusione dell'Accademia dei Lincei con quella d'Italia.
Dato il carattere di quest'ultima, la caduta del regime fascista doveva logicamente provocarne la soppressione, ma questa non avvenne subito, quantunque il presidente L. Federzoni si tenesse obbligato, per gli avvenimenti del 25 luglio, a rassegnare le sue dimissioni.
Il governo della "repubblica sociale italiana" cercò di dare nuova vita all'Accademia d'Italia, trasferita con deliberazione del nuovo presidente, G. Gentile (v. in questa App.), succeduto a L. Federzoni, da Roma a Firenze, nel gennaio del 1944. Morto il Gentile, gli successe nella carica di presidente G. Dainelli che, sotto l'incalzare dell'avanzata degli Alleati, trasferì di nuovo la sede dell'Accademia da Firenze a Villa Carlotta, nei pressi di Tremezzo, sul lago di Como, nel giugno 1944. Quivi la vita dell'Accademia d'Italia, che intanto era stata soppressa dal governo Bonomi con decreto legge 28 settembre 1944, n. 363, si protrasse di fatto fino alla insurrezione partigiana del 25 alprile 1945, sebbene l'attività dell'istituto fosse venuta a mancare quasi del tutto da più di un anno. Un decreto legge dello stesso governo Bonomi, in data pure del 28 settembre 1944, n. 359, aveva ricostituito l'Accademia Nazionale dei Lincei e affidato a questa tutte le funzioni e le attività della soppressa Accademia d'Italia.