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accento melodico

di Antonio Romano - Enciclopedia dell'Italiano (2010)
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accento melodico

Antonio Romano

L’accento melodico (o accento musicale) è un accento di parola (➔ accento) in grado di dare rilievo alla sillaba prominente per mezzo di una particolare configurazione melodica, cioè una variazione di altezza della voce che si manifesta con un movimento tonale in corrispondenza di una o più sillabe (verso valori bassi, alti, medi o combinati).

Nella pronuncia di parole piane come patàta, finìvi o fedéle, in un’enunciazione isolata e in modalità dichiarativa, le tre sillabe accentate di ciascun esempio (-tà-, -nì- e -dé-), oltre a essere le più lunghe e le più forti, sono anche quelle con la maggiore prominenza melodica. In altre modalità e in altri contesti di enunciazione, la salienza melodica può tuttavia essere affidata a valori (e movimenti) ben diversi in funzione dell’intonazione di frase.

In fonetica storica si usa riconoscere la presenza di un accento melodico in alcune lingue classiche, come il latino di epoca classica (o addirittura solo pre-letterario) o il greco antico (da cui discende l’uso di termini come grave, acuto, tonico, ossitono, ecc.: ➔ accento grave e acuto; cfr. Lepschy 1962, Marotta 2006). Si ritiene che nelle lingue romanze (ma già nel latino di epoca tarda) quest’accento abbia lasciato il posto a un accento dinamico, cioè un accento di forza in grado di marcare una sillaba, detta (a questo punto, impropriamente) tonica, nei confronti delle altre sillabe inaccentate, dette (altrettanto impropriamente) atone. L’indipendenza della posizione in cui nelle lingue classiche cadeva l’accento melodico, rispetto a quella in cui si presentavano distinzioni quantitative (verbo cónfaciō, con ultima vocale lunga ma rilievo sulla terzultima), le differenzia dall’italiano, nelle cui parlate l’accento melodico è invece sempre correlato all’accento di forza (e all’allungamento vocalico).

In lingue come l’italiano o l’inglese, la struttura fonologica delle parole è caratterizzata da un accento che può occupare diverse posizioni (si parla allora di accento libero), restando una proprietà delle radici lessicali (come in inglese) oppure presentando una certa mobilità nella ➔ derivazione (come in italiano). In italiano, per effetto dell’intonazione di frase e di altri fenomeni prosodici (➔ prosodia), l’enunciazione di parole isolate (o comunque inserite in un medesimo contesto di frase) fa risaltare una presenza piuttosto sistematica di movimenti melodici in corrispondenza delle posizioni accentate (come in càpito, capìto e capitò, con intonazione assertiva), di solito associati anche a variazioni di diversi parametri, tra i quali l’intensità (cioè gli aumenti locali dell’energia) e, soprattutto, la durata (cioè la presenza di allungamenti vocalici; sul carattere multi-parametrico dell’accento si veda Schmid 1999: 109; Bertinetto 1981; Marotta 2006).

La terzultima sillaba di càpito, scandita isolatamente, è di solito la più lunga, la più forte e la più alta, così come tendono a essere la penultima sillaba di capìto e l’ultima di capitò. Tuttavia, a causa di vincoli intonativi, l’accento italiano è solo in modo incostante un accento melodico, soprattutto perché la variazione melodica associata alla parola dipende molto dall’intonazione di frase: basti pensare che la resa interrogativa delle stesse parole modifica la natura dell’accento. Altre lingue, come il cinese mandarino, il cantonese o il vietnamita e molte lingue africane, si distinguono invece per la presenza di toni lessicali, cioè di particolari configurazioni melodiche che distinguono il significato delle parole in misura indipendente dall’intonazione di frase. Diversamente da queste lingue (dette lingue tonali) e, in parte, da quelle con accento mobile (come l’italiano), altre lingue presentano un accento lessicale tonale («melodinamico», secondo Canepari 1979) che si può manifestare con una particolare configurazione tonale in grado di caratterizzare la struttura fonologica della parola (v. gli esempi dal giapponese o da lingue scandinave, come il norvegese o lo svedese, in Malmberg 1974, trad. it. 1994: 231 e in Romano 2008: 69-70).

La scarsa sensibilità degli italofoni verso un uso dissociato di accento melodico, accento di forza e accento di lunghezza in lingue come il giapponese o il croato si riflette sui dubbi accentuali che si pongono nella pronuncia di parole provenienti da queste lingue. Il parlante di una lingua come l’italiano, in cui l’accento melodico è una conseguenza locale dello sviluppo imposto dall’intonazione nelle sedi accentuali, ignaro delle proprietà specifiche dei parametri coinvolti, è in dubbio nell’interpretazione degli indici presenti nella pronuncia delle parole di queste lingue e incerto sulla soluzione da adottare. Si pensi al giapponese sayo(o)nara o alla pronuncia croata di Sarajevo (con toni ascendente tra la quartultima e la terzultima sillaba e discendente tra la terzultima e la penultima), o anche solo all’inglese Belfast (con un accento sulla penultima sillaba, ma una vocale lunga nell’ultima), per i quali la pronuncia italiana oscilla tra sáyonara, sayònara e sayonàra (< [ˌsajo(ː)ˈnaɻa]), tra Sárajevo e Sarajèvo (< [ˌsaɾaˈjɛvɔ]), tra Bèlfast e Belfàst (< [ˈbɛɫfɑːst]).

Studi

Bertinetto, Pier Marco (1981), Strutture prosodiche dell’italiano. Accento, quantità, sillaba, giuntura, fondamenti metrici, Firenze, Accademia della Crusca.

Canepari, Luciano (1979), Introduzione alla fonetica, Torino, Einaudi.

Lepschy, Giulio C. (1962), Il problema dell’accento latino: rassegna critica di studi sull’accento latino e sullo studio dell’accento, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Lettere, storia e filosofia» serie 2a, 31, pp. 199-246.

Malmberg, Bertil (1974), Manuel de phonétique générale. Introduction a l’analyse scientifique de l’expression du langage, Paris, Picard (trad. it. Manuale di fonetica generale, Bologna, il Mulino, 1994).

Marotta, Giovanna (2006), L’algoritmo accentuale latino nel confronto di due teorie fonologiche, in Atti della Giornata di linguistica latina (Venezia, 7 maggio 2004), a cura di R. Oniga & L. Zennaro, Venezia, Cafoscarina, pp. 133-158.

Romano, Antonio (2008), Inventari sonori delle lingue. Elementi descrittivi di sistemi e processi di variazione segmentali e sovrasegmentali, Alessandria, Edizioni Dell’Orso.

Schmid, Stephan (1999), Fonetica e fonologia dell’italiano, Torino, Paravia.

Vedi anche
prominenza In linguistica, rilievo maggiore o minore di una sillaba, all’interno di una parola o di una frase fonetica, che si ottiene, nelle diverse lingue, combinando in proporzioni diverse quattro fattori: intensità, tonalità, durata e qualità timbrica. glottologia Scienza del linguaggio. Il termine, spesso sostituito da linguistica, è rimasto nell’uso amministrativo e universitario italiano. L’insegnamento della g. in Italia, dopo la formazione del Regno, cominciò a essere impartito da cattedre dette di linguistica o grammatica comparata o filologia comparata, ... prosodia Presso i grammatici greci, ogni particolarità accessoria che appare nella realizzazione di un suono nella parola, indipendentemente dall’articolazione essenziale di esso: intonazione, aspirazione, quantità ecc. In senso ristretto e più comunemente, ogni particolarità che concerne la quantità o durata ... accento Linguistica L’a. è il rafforzamento o elevazione del tono di voce (a. tonico in senso largo) con cui si dà a una sillaba maggior rilievo rispetto ad altre della stessa parola (a. di parola), della stessa frase (a. di frase o sintattico) o dello stesso verso (a. ritmico). L’a indica i due modi con cui ...
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ritmo-melòdico
ritmo-melodico ritmo-melòdico agg. [comp. di ritm(ico) e melodico] (pl. m. ritmo-melòdici). – Termine usato, soprattutto nel passato, nel campo della musica leggera, come attributo di orchestrine che combinano elementi tratti dal jazz con...
melòdico
melodico melòdico agg. [dal lat. tardo melodĭcus, gr. μελῳδικός] (pl. m. -ci). – Della melodia, attinente alla melodia, che ha carattere di melodia: pensiero, discorso m.; frase m.; sviluppo di un’idea m., di un tema o motivo m.; la parte...
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