Accentramento-decentramento
I termini 'accentramento' e 'decentramento' indicano particolari modi di organizzazione dell'attività umana e in primo luogo del potere politico e amministrativo. È con questi termini che si evoca l'accentramento politico britannico impersonato dal potere del Parlamento e coniugato con il forte decentramento della gestione degli affari a livello locale (self-government devolution) o che si critica, come faceva Tocqueville, il doppio accentramento politico e amministrativo della Francia. Per estensione, i termini accentramento e decentramento sono utilizzati per descrivere la localizzazione delle attività economiche sul territorio (per esempio l'accentramento bancario), o modalità di organizzazione (l'accentramento ferroviario), e per analizzare la ripartizione del potere all'interno di un gruppo sociale (comunità, impresa, chiesa, partito politico ecc.). In questa sede si tratterà soltanto della loro utilizzazione per descrivere le modalità di organizzazione e di funzionamento dello Stato nelle sue dimensioni politiche e amministrative. Tuttavia è necessario precisare che intendiamo analizzare le modalità di accentramento e di decentramento spogliandole da ogni carica passionale, critica o ideologica, che esse contengono spesso, e superando l'ambito della stretta norma giuridica. In effetti, un sistema giuridico-politico può essere formalmente accentrato pur avendo creato degli antidoti, delle convenzioni, che attenuano notevolmente il significato dell'ordinamento giuridico. È questo, per esempio, il caso della Francia, che costituisce certo il prototipo del paese accentrato, ma più come tipo ideale che come realtà concreta. Al contrario, un sistema federale che eleva a principio la concessione di una larga autonomia alle entità federate può rivelarsi estremamente accentrato, sia in certi settori (per esempio l'economia) sia nella quasi totalità delle attività politico-amministrative (per esempio negli pseudosistemi federali di alcuni paesi dell'America meridionale o nelle democrazie popolari). È quindi necessario denunciare immediatamente l'abusiva assimilazione, troppo frequente, tra Stato unitario e accentramento. In realtà esiste tutta una gamma di situazioni che è necessario valutare nella loro dimensione storica e nazionale specifica.
In Occidente la formazione degli Stati moderni ha seguito delle strade e si è realizzata secondo modalità estremamente differenziate: talvolta lo Statonazione si è costituito sulle rovine della feudalità a vantaggio di un potere centrale forte, incarnato dal monarca (Francia) o dal Parlamento (Gran Bretagna), talvolta si è formato a partire dalla federazione progressiva e più o meno forzata di entità territoriali autonome, poco omogenee e coscienti della loro specificità. L'unità tedesca si è fatta in più riprese successive, prima sotto i colpi di Napoleone e poi di Bismarck; l'unità italiana fu realizzata attraverso l'eliminazione delle occupazioni straniere, ma anche attraverso la 'conquista' del Sud, conquista che non avvenne senza dolori né senza difficoltà (si veda il fenomeno del brigantaggio). Gli Stati Uniti, d'altra parte, passarono dallo stadio confederale allo Stato federale, con la Convenzione di Filadelfia, solo grazie alla decisione dei rappresentanti degli Stati di non limitarsi ai poteri ristretti che erano stati loro affidati dai rispettivi mandanti, e per così dire 'in mancanza di meglio', tanto la situazione confederale appariva come una impasse. Sarà ancora necessaria la guerra di secessione, settant'anni più tardi, per superare definitivamente l'ostilità dei fautori dei diritti degli Stati, dei quali Calhoun fu il portavoce più eloquente.La forma e l'organizzazione interna degli Stati è quindi per larga parte il prodotto della sedimentazione storica e delle lotte politiche interne ed esterne. Ma sarebbe riduttivo prendere in considerazione solo l'elemento specificamente politico nelle relazioni tra governo centrale e autorità infranazionale. Infatti, quale che sia il grado di accentramento e di uniformità di uno Stato, il governo centrale deve appoggiarsi su strutture locali per l'esercizio della propria autorità e per l'erogazione dei servizi. Ora, dalla fine del XIX secolo, l'industrializzazione, l'urbanizzazione, i conflitti militari e le crisi economiche hanno richiesto un intervento continuo e crescente, sotto forma di prestazioni di cui le autorità locali sono state per larga parte i dispensatori e gli strumenti. L'importanza assunta tanto nel settore degli investimenti quanto in quello dell'erogazione dei servizi rende irrealistica la concezione tradizionale del sistema locale come semplice espressione di una specifica comunità: il campanilismo o il senso della comunità non sono scomparsi, ma costituiscono ormai solo uno degli elementi della legittimità del sistema locale.
Misurare il maggiore o minore accentramento di un sistema politico è un compito probabilmente vano. Tutt'al più si può tentare di collocare su un continuum, che va dall'estremo accentramento al federalismo integrale, i diversi sistemi politico-amministrativi. Ma per lo più questo genere di allineamento è effettuato a partire da considerazioni puramente istituzionali, che costituiscono soltanto la parte emersa dell'iceberg. La classificazione diventa allora facile: gli Stati Uniti e la Repubblica Federale Tedesca sono più decentrati, in quanto federazioni, dell'Italia con le sue regioni o della Gran Bretagna o della Francia. Di solito la Gran Bretagna è presentata come il paese del local government e la Francia come il prototipo, quasi caricaturale, dell'accentramento. In realtà, questo tipo di analisi costituisce una miscela sorprendente di formalismo istituzionale e di stereotipi obsoleti. Infatti, se la situazione fosse così come troppo spesso viene descritta, sarebbe difficile spiegare, al di là delle apparenze, la tendenza all'uniformizzazione che si registra negli Stati Uniti, a dispetto dei discorsi localistici e federalistici, o l'accentramento della Repubblica Federale Tedesca, a dispetto di una Costituzione che, almeno a prima vista, concede delle larghe autonomie ai Länder; sarebbe altrettanto difficile spiegare come la Francia centralizzata non sia riuscita, in trent'anni di sforzi incessanti, a riformare in profondità il proprio sistema comunale, mentre la Gran Bretagna ha colpito senza mezze misure le sue autorità locali, riducendole a poco più di 500. In questa sede non ci proponiamo di rovesciare sistematicamente luoghi comuni per sostituirli con altri luoghi comuni, ma semplicemente di ricordare che una valutazione in termini di accentramento o di decentramento sulla base dell'organizzazione istituzionale è soltanto uno degli elementi di giudizio accanto a molti altri: il grado di concentrazione economica o finanziaria, l'organizzazione dei sindacati e dei partiti, il sistema fiscale o bancario, le convenzioni politiche, quale ad esempio il cumulo dei mandati ecc. Per tentare una prima diagnosi del ruolo delle autorità infranazionali se ne analizzerà anzitutto il 'peso' rispettivo, per arrivare poi ad analizzare il loro ruolo come elemento di un sistema di separazione territoriale dei poteri di checks and balances. Per far questo si farà riferimento all'esperienza delle principali democrazie occidentali (Stati Uniti, Gran Bretagna, Repubblica Federale Tedesca, Italia, Francia).
Contrariamente a un'idea diffusa, secondo cui la Francia, con i suoi quattro livelli territoriali (Stato, regione, dipartimento, comune), costituirebbe l'esempio aberrante e dispendioso della iperamministrazione e della complessità, la divisione del potere in quattro livelli costituisce la norma in Italia (Stato, regione, provincia, comune), nella Repubblica Federale Tedesca (Bund, Land, Kreis, Gemeinde), negli Stati Uniti (Federazione, Stato, contea, autorità locale). In questa lista si potrebbero anche aggiungere il Belgio, la Spagna, il Portogallo ecc. La vera eccezione è rappresentata dalla Gran Bretagna, la cui organizzazione locale è costituita soltanto su due livelli (contea e distretto). L'importanza, il numero e la forza di questi livelli non sono tuttavia identici ovunque: l'anello debole negli Stati Uniti è rappresentato dalla contea, nella Repubblica Federale Tedesca dal Kreis, in Francia dalla regione. In Italia l'equilibrio è assicurato in modo migliore: da una parte c'è la regione, che dispone di importanti competenze e costituisce una posizione di ripiego per il PCI, escluso dal sistema centrale, e dall'altra la provincia, che resta malgrado tutto la struttura di base del sistema partitico e quindi politico. I 50 Stati americani sono divisi in 3.041 contee e in circa 80.000 unità locali, delle quali 19.076 municipalità, 16.734 townships e towns, 14.851 distretti scolastici e 28.558 distretti specializzati. Queste cifre costituiscono una prima indicazione dell'estremo frazionamento e del groviglio caotico di un sistema la cui complessità non può essere paragonata che a quella della Francia. La situazione delle autorità locali degli altri paesi è meno frammentaria. I 10 Länder (più Berlino) sono divisi in 235 Kreise e 8.500 comuni (Gemeinden), 88 dei quali assommano sia le competenze del comune che quelle del Kreis. Occorre sottolineare che il numero dei comuni in seguito alle riforme avviate negli anni sessanta è stato ridotto a un terzo. Si tratta, d'altra parte, di un bell'esempio di uniformità nel decentramento, poiché il movimento è stato generale, mentre in linea di principio ogni Land era libero rispetto al momento, all'entità e alle modalità della riforma.
Anche in Gran Bretagna il movimento di concentrazione delle autorità locali è stato assai drastico e il loro numero è stato ridotto a un terzo. Ma l'operazione è stata ancora più spettacolare che nella Repubblica Federale Tedesca, poiché delle circa 1.500 unità del sistema precedente la riforma del 1972 aveva conservato, in Inghilterra e nel Galles, solo 47 contee non metropolitane e 6 contee metropolitane, suddivise rispettivamente in 333 e 36 distretti. A queste si dovevano aggiungere il Consiglio della Grande Londra, diviso in 32 boroughs, più la City di Londra, la quale, grazie al suo favorevole statuto, quasi feudale, è divenuta una piazzaforte della finanza internazionale. Dopo il 1° aprile 1986, e dopo un aspro scontro tra la signora Thatcher e i laburisti, il governo ha soppresso il Consiglio della Grande Londra e le 6 contee metropolitane. Oggi quindi vi sono soltanto 47 contee (più 9 regioni in Scozia), 370 distretti, 32 boroughs di Londra (e 53 distretti in Scozia con uno specifico sistema locale). Quindi in totale solo 511 unità locali (più la City di Londra e 3 Island Authorities per le isole minori). Anche l'Italia, come la Francia, non è riuscita a realizzare la riforma delle sue strutture locali, ma in Italia il frazionamento comunale è assai meno accentuato. Il territorio è diviso in 8.074 comuni e comprende altresì 94 provincie e 20 regioni (5 regioni a statuto speciale, istituite nel primo dopoguerra, e 15 regioni a statuto ordinario, egualmente previste dalla Costituzione ma istituite soltanto nel 1970). Una prima constatazione si impone a questo punto: se si esclude la Gran Bretagna, dove il governo può esercitare un controllo minuzioso sulle autorità locali, a causa soprattutto del loro numero assai limitato, tutti gli altri Stati, siano essi federali o centralizzati, devono fare i conti con una complessa rete di istituzioni più o meno autonome e sono sottoposti alle costrizioni e alle difficoltà del "governo della frammentazione", per riprendere una suggestiva espressione di Bruno Dente (v., 1985).
D'altra parte, la relazione tra i diversi livelli diverge a seconda che si consideri l'aspetto giuridico o l'aspetto finanziario. Secondo il primo punto di vista lo Stato federale americano o il Bund non hanno praticamente alcuna autorità sul livello locale, in quanto lasciano questo compito agli Stati e ai Länder (occorre anche precisare che negli Stati Uniti le autorità locali non hanno alcuna garanzia costituzionale e potrebbero, teoricamente, essere soppresse con un tratto di penna dalle assemblee statali). Al contrario, in Italia, in Francia e in Gran Bretagna sono i Parlamenti e i governi centrali che si assumono la responsabilità di determinare le competenze locali. Il sistema francese arriva fino a vietare (legge del 1982-1983) l'eventualità della tutela di un'autorità locale su un'altra. Nella pratica, e soprattutto se si prende in considerazione il punto di vista finanziario, si può constatare anzitutto un crescente intervento dei governi federali, che scavalca spesso i livelli intermedi (revenue sharing, negli Stati Uniti, per esempio), e dei finanziamenti 'incrociati' o 'congiunti' che creano situazioni di dipendenza o di interdipendenza che la gerarchia giuridica non è sufficiente a spiegare. (Finanziamenti incrociati sono quelli mediante i quali enti pubblici si finanziano reciprocamente, mentre con i finanziamenti congiunti molteplici enti - come il comune, la provincia, la regione o lo Stato - finanziano insieme, ma ciascuno in diversa misura, un investimento pubblico). Con l'eccezione della Gran Bretagna, caratterizzata da una netta separazione dei livelli e dei compiti, tutti gli altri paesi considerati tendono a iscriversi nel modello di tipo 'intergovernativo', nel quale la cooperazione e la collaborazione tra livelli si sostituiscono alla separazione e alla gerarchia formale.
La suddivisione dei mezzi umani e finanziari è estremamente disparata, ma anche in questo caso è opportuno analizzare i dati con la massima prudenza per non ricavarne conclusioni errate o frettolose. Sul piano dei mezzi umani (il personale dell'amministrazione) la situazione è sintetizzata nella tab. I. Sono cifre che forniscono degli ordini di grandezza, più che delle indicazioni precise, in quanto le tecniche di elaborazione delle statistiche variano da un paese all'altro. Per fare un solo esempio, il personale sanitario non è compreso tra i dipendenti delle amministrazioni locali né in Francia né in Italia, mentre lo è negli Stati Uniti. Oppure, ancora, l'inserimento o meno di alcune categorie di personale (che pure esercita le stesse funzioni nei diversi paesi) dipenderà dallo status giuridico dell'organizzazione di appartenenza: in un caso ente pubblico, in un altro caso impresa municipale. Da tutto ciò derivano conseguenze assai diverse per la distribuzione del personale nella tabella, anche se il servizio si trova in entrambi i casi sotto la giurisdizione di un'amministrazione locale.Fatte queste precisazioni, emergono con chiarezza due gruppi di paesi: quelli che affidano la parte più grossa dell'esecuzione dei compiti al livello infranazionale (Stati Uniti, Repubblica Federale Tedesca, Gran Bretagna) e quelli in cui lo Stato resta il principale datore di lavoro (Italia, Francia). Il rapporto tra autorità intermedie e autorità locali sembra rendere il caso della Repubblica Federale Tedesca un caso isolato, nel quale i Länder hanno evidentemente la preminenza (con il doppio dei dipendenti dei Kreise e dei comuni), mentre gli Stati americani si trovano nella situazione opposta.In materia di spese correnti, e più ancora d'investimenti, il ruolo delle autorità sub-nazionali è notevole, come si può rilevare dalle tabb. II e III.
Tuttavia è anche necessario prendere in considerazione l'origine delle risorse e la loro destinazione per misurare i margini reali di autonomia dei diversi livelli. Negli Stati Uniti, per esempio, una pioggia di trasferimenti finanziari si riversa dallo Stato federale verso i diversi Stati e di qui verso le autorità locali. Ma le spese locali si dividono tra contee, municipalità, towns e, infine, distretti scolastici. Gli Stati, che sovvenzionano largamente i livelli inferiori, hanno quindi di fatto un margine di manovra assai maggiore. Allo stesso modo, nella Repubblica Federale Tedesca un terzo delle risorse locali proviene dai Länder, mentre in Italia la quasi totalità delle risorse locali e regionali è costituita da trasferimenti finanziari operati dallo Stato. In questo paese l'entità delle spese regionali (75.000 miliardi di lire nel 1983, rispetto a 8.000 miliardi per le provincie e 78.800 miliardi per i comuni) può essere ingannevole: infatti la metà di questa cifra è destinata alle spese per la salute e si valuta che il 90% del bilancio delle regioni sia determinato dalle prescrizioni e dagli obblighi imposti dallo Stato.
La tradizione politica liberale comporta un doppio limite al potere: una separazione funzionale dei poteri - il legislativo, l'esecutivo e il giudiziario - e una divisione territoriale che bilancia il potere centrale attraverso contrappesi locali. I paesi centralizzati, come la Francia o la Gran Bretagna, hanno tenuto conto solo parzialmente di questo secondo limite, in particolare la Gran Bretagna che considera il Parlamento, per la sua sola esistenza, come la migliore difesa contro gli eccessi del potere. In Francia, benché la Repubblica una e indivisibile non abbia accettato per molto tempo che vi fossero corpi intermedi né autorità territoriali troppo potenti, il potere centrale è dovuto venire a patti con la realtà locale rappresentata a un tempo dal Senato, da notabili influenti e da una numerosa congerie di eletti locali. Significativo di questa realtà è il titolo della legge sul decentramento del 1982, relativa ai Diritti e libertà delle Regioni, dei Dipartimenti e dei Comuni, che ripete i termini in cui le città avevano affrontato, proprio per liberarsene, il potere feudale. L'affermazione del potere regionale e locale come contrappeso al potere centrale è più forte in Italia per ragioni che dipendono dall'esperienza fascista e dalla congiuntura politica del dopoguerra. In effetti, la designazione dei podestà da parte del regime mussoliniano e il rafforzamento dell'accentramento a vantaggio della dittatura avevano convinto gli antifascisti della necessità di indebolire l'esecutivo non solo attraverso l'affermazione del primato del Parlamento, ma anche con la creazione di controlli (Corte Costituzionale, referendum abrogativi) e di contrappesi di natura locale. In questo modo le regioni sono apparse come delle possibili garanzie contro gli eccessi del potere personale favorito dall'accentramento. Inoltre, la congiuntura politica del 1945-1947 ha dato luogo a un singolare gioco delle parti tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista. La prima, temendo una vittoria della sinistra alle elezioni legislative, difese all'Assemblea Costituente la creazione delle regioni che sperava di poter controllare nella maggior parte dei casi. Ma dopo la schiacciante vittoria della Democrazia Cristiana nel 1948 e dopo che il Partito Comunista si trovò relegato all'opposizione, fu quest'ultimo a farsi avvocato di una regionalizzazione che gli avrebbe permesso almeno di impiantarsi solidamente nei suoi feudi dell'Italia centrale.
La stessa preoccupazione, ma questa volta dei governi alleati rispetto alla Germania nazista, si presentò al momento della creazione della Repubblica Federale Tedesca. Gli Stati Uniti erano naturalmente favorevoli a un sistema federale, considerato come un elemento di libertà, e gli Inglesi, come i Francesi, vi vedevano uno strumento per impedire la ricostituzione di una forte Germania. I Francesi, convinti che federalismo significasse debolezza, erano i sostenitori più accesi di un sistema che, secondo loro, avrebbe impedito alla Germania di tornare a essere una grande potenza. Ma questa pressione in favore di un'organizzazione federale si sposava altresì con la tradizione tedesca di autonomia degli Stati all'interno dell'Impero, anche se, dopo i cambiamenti di frontiera e i trasferimenti massicci della popolazione, i nuovi Länder non avevano quasi più - ad eccezione della Baviera, di Amburgo e di Brema - omogeneità storica o culturale.Il federalismo americano può essere definito 'verticale', vale a dire che federalismo e Stati possiedono dei poteri specifici e indipendenti rispetto ai quali ciascun livello assume in linea di principio l'intera responsabilità: dalla legislazione fino alla sua attuazione. Questo principio di autonomia è corretto da quello del coordinamento e dei controlli reciproci, il che significa che nella pratica le linee di divisione sono confuse e in particolare che il livello federale è indotto a intervenire di frequente (sia a livello giudiziario che legislativo o esecutivo), trasformando il federalismo classico della Costituzione in un 'federalismo cooperativo'.
Questo stesso aggettivo è stato applicato al federalismo tedesco, che pure poggia su principî organizzativi diversi: nella Repubblica Federale Tedesca il sistema federale è di natura 'orizzontale', nel senso che, ad eccezione di alcune competenze interamente devolute ai Länder (istruzione e collettività locali, per esempio), la divisione passa tra il potere legislativo da una parte, detenuto essenzialmente dal Bund e, dall'altra parte, l'esecuzione e l'amministrazione delle decisioni sia federali che federate, affidate quasi esclusivamente ai Länder. La posizione dei Länder tedeschi può sembrare a priori più sfavorevole di quella degli Stati americani, poiché il loro potere legislativo specifico è residuale e le competenze legislative esercitate d'intesa con il Bund sono state di fatto quasi interamente assorbite da Bonn (l'art. 74 della Costituzione dispone che i Länder possano legiferare finché il Bund non intervenga). Ma questa valutazione poggia su una visione arcaica e poco realistica del potere esecutivo, concepito come strumento passivo di un'autorità superiore. Al contrario, tutti gli studi politologici hanno sottolineato fortemente come la fase dell'attuazione sia cruciale e richieda uno stretto coordinamento tra colui che decide e colui che esegue, in quanto quest'ultimo diviene beneficiario della decisione per garantirne una buona esecuzione. In questo modo i sistemi di separazione funzionale e territoriale americano e tedesco hanno, a dispetto delle loro differenze di organizzazione, un obiettivo comune: quello di limitare il potere, di stabilire dei contrappesi che evitino una troppo forte concentrazione dell'autorità nelle mani di un uomo o di un'istituzione. La separazione dei poteri, sia funzionale che territoriale, non significa che ciascun organo sia autonomo e indipendente nella propria sfera, ma, al contrario, che le varie chiavi che permettono di far funzionare il meccanismo sono nelle mani di autorità diverse e concorrenti tra loro. Tali costruzioni sono allo stesso tempo fonte di un relativo immobilismo politico e produttrici di consenso. Ma, come è stato egregiamente affermato dal giudice Brandeis, della Corte Suprema americana, l'obiettivo non è "di promuovere l'efficacia, ma di impedire l'esercizio arbitrario del potere".
Sarebbe inutile negare, tuttavia, che il federalismo cooperativo ha comportato la centralizzazione del sistema a vantaggio delle autorità federali. Sono appunto tali autorità che dispongono delle competenze chiave (difesa, moneta, affari esteri) e delle maggiori risorse, che sono in grado di far fronte ai bisogni di eguaglianza dei cittadini e alla concentrazione delle forze economiche. La centralizzazione americana o tedesca non è in primo luogo amministrativa e successivamente politica: essa si colloca nel punto di incontro tra il due process of law o il Rechtsstaat e gli imperativi dell'economia e del commercio. Le istituzioni federali, che sono le migliori garanzie dell'applicazione egualitaria dei diritti (corti supreme) e dell'esercizio delle libertà economiche, sono allo stesso tempo il punto focale dove convergono le pressioni degli interessi più diversi: sindacati, forze economiche, ma anche gruppi di pressione istituzionali come quelli delle autorità locali, spesso alleate obiettive del potere centrale nella competizione tra la federazione e gli Stati federati.
La Gran Bretagna, da parte sua, avrebbe potuto evolversi verso un sistema quasi federale se le riforme del 1978, che prevedevano una larga devolution a vantaggio di assemblee elette in Scozia o nel Galles, fossero state adottate. Il Parlamento britannico sarebbe stato in effetti spogliato di numerose competenze (ad eccezione delle materie relative agli affari internazionali, alle imposte e alla politica economica) e in Scozia sarebbe stato creato un esecutivo paragonabile a un governo (nel Galles le competenze da trasferire erano meno numerose - alloggi, educazione, salute, pianificazione dello spazio, governo locale - e le funzioni esecutive erano esercitate dai presidenti di commissione). Curiosamente, i progetti di legge sottoposti a referendum federalizzavano il Regno Unito senza consultare l'insieme del paese e senza istituire meccanismi di regolamentazione dei conflitti tra Parlamento, assemblee ed esecutivi (centrali e non centrali). Ma, dopo il fallimento dei referendum sulla devolution, il contrappeso all'accentramento governativo è assai limitato e risulta più rappresentato dalle consuetudini che dalle norme che regolano lo Scottish Office o il Welsh Office. In entrambi i casi si tratta di un'organizzazione particolare dell'accentramento (che non è senza rapporti con i caratteri dell'amministrazione coloniale) che permette un trattamento specifico dei problemi grazie a meccanismi che combinano un accentramento orizzontale, sotto l'egida di un segretario di Stato, con un forte decentramento delle amministrazioni sotto la responsabilità dello stesso.
Dal 1892 in Scozia, e dal 1964 nel Galles, i segretari di Stato assicurano all'interno del governo britannico la copertura di quelle responsabilità che sono normalmente garantite da altri loro colleghi nel resto della Gran Bretagna. Per esempio il segretario per la Scozia ricopre le competenze di nove ministeri e supervisiona le corrispondenti amministrazioni decentrate a Edimburgo. Ma questo ruolo ufficiale di quasi governatore di un territorio rende conto solo in parte di una realtà più complessa: come il prefetto francese - rappresentante dello Stato che diventa il portavoce degli interessi del dipartimento o della regione in cui esercita le sue competenze - i segretari di Stato per la Scozia e il Galles assumono all'interno del gabinetto una funzione di difesa territoriale che non ha equivalente negli altri ministeri. Benché questa funzione non sia né prevista né codificata, essa costituisce però un elemento specifico del loro statuto politico e contribuisce a fare di una forma particolare di accentramento un contrappeso assai concreto a vantaggio della periferia celtica (the celtic fringe). Inoltre, questa organizzazione politi~co-ammini~strativa su base territoriale trova il suo parallelo all'interno del Parlamento. Dal 1907 lo Scottish Grand Committee e, dal 1960, il Welsh Grand Committee della Camera dei Comuni dibattono (a Londra, ma spesso anche a Edimburgo) i progetti di legge che hanno un rapporto specifico con la regione. Dopo il 1966 sono stati anche creati dei select committees per seguire le politiche condotte in Scozia e nel Galles, ed essi contribuiscono a garantire l'efficacia dei gruppi di pressione regionali, rafforzando le differenziazioni territoriali a detrimento di quelle politiche.
A dispetto delle profonde differenze istituzionali tra i diversi Stati, si possono constatare quindi alcune convergenze significative: l'innegabile accentramento dei processi politico-amministrativi, per le ragioni che sono state ricordate, negli Stati federali; una altrettanto incontestabile tendenza al decentramento e alla regionalizzazione negli Stati più accentrati; un intreccio inestricabile di regole, di convenzioni e di pratiche che tendono a compensare o a correggere quello che le une o le altre potrebbero avere di eccessivo e a creare un sistema di relazioni complesse, dove potere centrale e poteri periferici non sono affatto separati, ma, al contrario, legati da meccanismi - formali o non - di cooperazione, di interazione, di decisione e di finanziamenti congiunti o incrociati. Solo la Gran Bretagna va in direzione opposta rispetto a questa generale evoluzione: l'accentramento si rafforza tanto da diventare un accentramento puntiglioso; la tensione tra potere centrale e potere locale si accentua e costituisce una delle espressioni del crescente antagonismo tra maggioranza e opposizione; il consenso e le convenzioni che legavano tradizionalmente le autorità locali al governo e al Parlamento sono messi in difficoltà dal radicalismo dei politici thatcheriani e dalle reazioni non meno radicali delle autorità locali laburiste. Il tradizionale accentramento politico e amministrativo della Gran Bretagna non è oggi compensato dal contrappeso del governo locale. Curiosamente, proprio i conservatori, tradizionali difensori dell'autonomia locale, sono stati gli strumenti determinanti di questa evoluzione, in primo luogo con la riforma del 1974 (che ha ridotto di due terzi il numero delle autorità locali e ha permesso così un facile controllo del governo su ogni collettività), in secondo luogo attraverso le riforme degli anni ottanta, che hanno fatto stringere la morsa governativa.
Le differenze tra uno Stato americano e, per esempio, una regione francese, sono così notevoli a priori da impedire ogni confronto significativo. In effetti l'obiezione è importante, ma non decisiva, e questo per diverse ragioni: anzitutto perché le differenze più notevoli sono di ordine giuridico, ma queste sono spesso attenuate o addirittura annullate quando sono presi in considerazione i modi di gestione o le strutture fondamentali dei processi di decisione piuttosto che il loro aspetto formale; inoltre perché, quali che siano il paese o l'istituzione considerati, variabili quali l'entità o l'importanza finanziaria modificano notevolmente l'impatto dell'organizzazione strutturale. Anche se le strutture e la loro organizzazione restano elementi fondamentali per la comprensione dei fenomeni politico-amministrativi, le loro variazioni e le loro differenze non devono rappresentare un ostacolo al confronto, se non si vuol cadere in una visione riduttiva del potere politico. Il confronto può essere instaurato a due livelli principali: quello della capacità di auto-organizzazione e quello delle competenze esercitate sia sul piano legislativo che amministrativo.
A differenza della Francia, che possiede una solida tradizione di statuti uniformi decisi dal potere centrale (sia sul piano funzionale che territoriale), gli Stati Uniti, la Repubblica Federale Tedesca e l'Italia hanno lasciato ai loro States, Länder e regioni una notevole autonomia. Occorre subito precisare, però, che questa autonomia si iscrive nel quadro di limiti sia costituzionali che politici. In effetti, non solo gli elementi periferici devono rispettare un certo numero di regole fondamentali sanzionate dal potere federale o centrale nelle sue diverse componenti, ma le loro iniziative si iscrivono nel quadro di una 'ingegneria' istituzionale ispirata dal modello centrale: i sistemi federati o regionali sono spesso caratterizzati dal mimetismo. Questa situazione è del tutto logica, in quanto le opzioni in materia di ingegneria istituzionale non sono poi così numerose ed è normale che in un dato contesto storico e culturale si impongano alcune soluzioni piuttosto che altre. Pertanto negli Stati Uniti le strutture del potere statale sono assai vicine a quelle del potere federale e l'evoluzione non fa che rafforzare questa simmetria. Benché la Costituzione americana imponga agli Stati un solo vincolo, quello di "stabilire una forma di governo repubblicana" (art. 4, par. 4), questi stessi Stati si sono dotati di istituzioni simili a quelle fissate dalla Costituzione federale, tutte fondate sul principio della separazione dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Dovunque, ad eccezione del Nebraska, le assemblee sono bicamerali e dovunque l'esecutivo è rappresentato da un governatore, i cui poteri tendono a crescere come quelli del presidente degli Stati Uniti.Tuttavia sussistono alcune differenze: le modalità degli scrutini variano da un posto all'altro e le due Camere sono reclutate su base demografica, dal momento che la Corte Suprema ha ritenuto che le ragioni che avevano portato a dare a ciascuno Stato un numero identico di senatori non potevano essere invocate a livello statale; i governatori sono eletti per quattro anni, ma in alcuni Stati solo per due; essi devono venire a patti con il vice governatore o il segretario di Stato - anch'essi eletti, ma non sullo stesso ticket, come a livello federale - che possono quindi non avere né le stesse opinioni né le stesse idee politiche; a differenza del presidente, essi possono esercitare il loro potere di veto non solo in blocco, ma anche selettivamente, rispetto a disposizioni legislative che non approvano.
È soprattutto a livello giudiziario però che le differenze sono più accentuate, non solo nell'organizzazione dei tribunali, ma anche e soprattutto nelle modalità di reclutamento dei giudici. I giudici degli Stati sono generalmente eletti (ma alcuni Stati prevedono anche la possibilità di una nomina da parte del governatore, secondo procedure variabili) e sono vicini ai partiti politici.
Tuttavia esistono fattori unificanti anche in questo settore: dappertutto vi sono delle Corti Supreme analoghe alla Corte Federale e a partire dagli anni venti si applica pienamente il bill of rights federale (dopo l'eliminazione del concetto di dual citizenship fino allora riconosciuto dalla Corte Suprema, secondo cui i cittadini erano a un tempo cittadini della Federazione e cittadini degli Stati).
In definitiva, la vera originalità delle Costituzioni di ciascuno Stato risiede nella massa di disposizioni minuziose che fanno di alcune delle massime leggi degli Stati dei veri bric à brac o delle caverne di Ali Babà. La Costituzione della California contiene degli articoli sulla tassazione dei molluschi e dei crostacei; la Costituzione della Georgia enuncia le condizioni che permettono agli studenti di ottenere un'assistenza economica ecc. Evidentemente, più la Costituzione è stata oggetto di emendamenti, più numerose sono le disposizioni eteroclite (dal 1879 la Costituzione della California è stata emendata più di 350 volte) e più il testo risulta lungo (250.000 parole nella Louisiana contro le 10.000 del Connecticut o del Vermont).
Come negli Stati Uniti le modalità di organizzazione dello Stato sono ispirate al sistema presidenziale federale, così i Länder tedeschi si ispirano al modello parlamentare in vigore a Bonn: un governo costituito sulla base di una maggioranza parlamentare e collocato sotto la direzione di un ministro-presidente dirige il Land sotto il controllo di una Camera eletta (come il Bundestag) per quattro anni, di fronte alla quale egli è responsabile. Occorre tuttavia sottolineare alcune differenze minori: a livello dei Länder esiste una sola Camera (salvo in Baviera, dove il Senato, composto da rappresentanti degli eletti locali e degli ambienti socioprofessionali, dispone di un potere consultivo); le elezioni al Parlamento del Land (Landtag) si svolgono secondo modalità diverse e i partiti minori possono conquistarvi alcuni seggi anche quando non sono rappresentati al Bundestag. Ma nonostante queste riserve di poca importanza, occasionalmente accentuate dallo stile politico predominante in questo o in quel Land, quel che stupisce `e l'omogeneità del panorama istituzionale.
L'osservazione della situazione italiana conduce alla stessa conclusione, a dispetto della volontà di numerose regioni (del Centro e del Nord in particolare) di dotarsi di statuti originali, soprattutto durante l'attiva fase costituente degli anni 1970-1972. In realtà le regioni più innovatrici, o che si volevano tali, si sono soprattutto distinte per belle dichiarazioni dei diritti, cui non è però corrisposta un'effettiva realizzazione. Per il resto, le istituzioni regionali si collocano a metà strada tra il modello parlamentare nazionale e il modello provinciale locale: un'assemblea, il Consiglio regionale, elegge una giunta diretta da un presidente. I lavori dei Consigli regionali assomigliano a quelli del Parlamento in modo quasi caricaturale (per esempio, l'unico eletto di un partito può, in alcune regioni, costituire da solo un 'gruppo' e beneficiare di tutti i vantaggi procedurali, funzionali e finanziari legati all'esistenza di un gruppo), ma l'organizzazione del lavoro dell'esecutivo assomiglia a quella delle collettività locali e si caratterizza soprattutto per la segmentazione delle competenze e l'autonomia di ogni assessore all'interno della giunta.Al termine di questo rapido giro d'orizzonte si impone una conclusione: dato il piccolo numero di varianti dei modelli istituzionali utilizzati dalle democrazie occidentali, la tendenza naturale è quella di conformarsi essenzialmente alla trama istituzionale nazionale. In altri termini, non è nei meccanismi istituzionali prescelti che bisogna cercare l'autonomia degli attori infranazionali, ma piuttosto nella loro capacità politica di mobilitare gli strumenti e le risorse di cui sono dotati.
Stati, Länder e regioni dispongono a un tempo del potere legislativo e del potere di attuare le loro politiche o quelle del governo centrale. Tuttavia queste competenze sono assai variabili, sia tra un sistema e l'altro, sia all'interno di ciascun sistema, a causa delle divergenze che si possono verificare tra testo scritto e pratica.Sono gli Stati americani che dispongono, soprattutto in virtù del X emendamento, delle competenze più estese: tutto ciò che la Costituzione non ha affidato al governo federale compete agli Stati. Questa garanzia costituzionale assicura, in linea di principio, che gli Stati beneficino delle maggiori competenze e blocca le competenze federali, mentre quelle degli Stati sono per definizione estensibili all'infinito, man mano che nuovi campi di intervento si aprono al legislatore. Nella pratica è avvenuto esattamente il contrario: le esigenze di armonizzazione, di eguaglianza e di uniformità sono state più forti delle aspirazioni all'autonomia degli Stati. La doppia pressione dell'economia e del diritto e l'azione degli ambienti economici e della Corte Suprema hanno notevolmente ridotto l'autonomia legislativa, al punto che alcuni legislatori hanno sottolineato delusi che essi si occupavano ormai quasi soltanto di affari secondari: "Noi adottiamo le leggi che limitano la velocità sulle autostrade e fissiamo i salari minimi per gli insegnanti; stabiliamo la percentuale di grassi nel latte di prima qualità; decidiamo le norme che regolano la purezza dell'acqua; decretiamo se un cittadino accusato di omicidio debba essere ucciso con una camera a gas o con una sedia elettrica, impiccato, fucilato o rinchiuso dietro a delle sbarre '. L'ultima frase di questa amara constatazione ricorda tuttavia che gli Stati esercitano un potere notevole nella vita quotidiana dei cittadini: essi fissano le regole del matrimonio e del divorzio, decidono dei rapporti sessuali, permessi o vietati, del consumo dell'alcool e del tabacco, della vita e della morte dei colpevoli.
È incontestabile che gli Stati abbiano perso una parte del loro potere, anche se questo non significa affatto che non ne abbiano più alcuno. Come sottolinea M.F. Toinet (v., 1987), se è vero che i poteri legislativi sono diminuiti, è vero però che "le funzioni assunte dagli Stati non hanno cessato di svilupparsi dal momento della loro fondazione". Come spiegare questo apparente paradosso? Da una parte quello che gli Stati hanno perso in favore dello Stato federale l'hanno tuttavia compensato riducendo costantemente l'autorità delle collettività locali. Dall'altra parte, in un contesto di aumento notevole della sfera pubblica a spese di quella privata (la percentuale della spesa pubblica sul PNL rappresentava meno del 10% nel 1900 e più del 40% nel 1985), tutti i livelli del potere hanno visto crescere la loro capacità d'azione. Essi hanno moltiplicato i loro mezzi di intervento, anche se hanno sempre più perso autonomia quanto più si sono trovati in basso nella piramide federale. Pur 'perdendo velocità' sul piano legislativo, gli Stati sono divenuti degli attori essenziali in settori quali quelli dell'educazione, delle infrastrutture (in particolare stradali) e della politica sociale. Questo aumento delle funzioni si è tradotto in una triplicazione dei funzionari in trent'anni: quasi 4 milioni di dipendenti lavorano per gli Stati, cioè un milione di più che a livello federale.
Un fenomeno simile si può constatare nella Repubblica Federale Tedesca, ma il punto di partenza è notevolmente diverso, in quanto le competenze legislative proprie dei Länder sono ridotte ai minimi termini: polizia, insegnamento, organizzazione delle collettività locali. Anche in materia di polizia e di insegnamento, tuttavia, il carattere esclusivo delle competenze dei Länder ha ceduto il posto a un sistema di collaborazione e di accordi reciproci con la Federazione. Per il resto la parte del leone spetta al Bund, al quale la Costituzione permette di intervenire in tre modi: con competenza esclusiva nelle materie elencate all'art. 73 (affari esteri, difesa, moneta, commercio, dogane ecc.); in collaborazione in 23 settori fissati dall'art. 74; con la fissazione di regole generali in materie quali lo statuto della stampa o i principî generali dell'insegnamento superiore. Nella pratica queste tre categorie hanno perso la loro singolarità. In particolare la legislazione in collaborazione è divenuta appannaggio pressoché esclusivo della Federazione grazie all'art. 74, che dispone che "in tutte le materie di pertinenza della legislazione in collaborazione, i Länder hanno il potere di legiferare fino a che e nella misura in cui la Federazione non faccia uso del suo diritto di legiferare". La Costituzione riconosce questo diritto in tre casi: quando un problema non può essere regolamentato efficacemente dalla legislazione dei diversi Länder; quando la legge di un Land potrebbe intaccare gli interessi degli altri Länder; infine quando lo richiedono la protezione dell'unità giuridica o economica e soprattutto la conservazione dell'omogeneità delle condizioni di vita al di là delle frontiere di un Land. È evidente che queste condizioni non sono delle limitazioni nei confronti del Bund, ma piuttosto un incitamento a intervenire. Ai Länder, quindi, in materia legislativa non restano che le briciole.
Questa situazione, unita al carattere nazionale delle elezioni regionali, spiega come si sia potuto parlare di un declino irresistibile del ruolo dei Landtage. "Certamente - scrive A. Grosser (v., 1985, p. 124) - continuano a esservi dibattiti assai animati, a volte perfino pittoreschi, soprattutto dopo l'arrivo dei Verdi. Ma i Parlamenti regionali girano sempre più spesso a vuoto, circondati da un crescente disinteresse dei media. La causa principale di questa situazione è l'evoluzione stessa del federalismo tedesco". Ai Länder restano quindi soltanto i mezzi politici e uno strumento istituzionale, il Bundesrat, per influire sulle decisioni, nell'impossibilità di fissarne liberamente i contenuti. Il Bundesrat, in quanto espressione e portavoce dei Länder, può proporre dei testi o opporre il suo veto, sia in forma assoluta per le leggi federali, sia in forma relativa per le altre (in quanto il veto può essere allora superato da un voto a maggioranza qualificata da parte del Bundestag). In pratica il Bundesrat ha fatto un uso assai moderato sia del suo diritto di iniziativa (il 2,2% delle leggi adottate tra il 1949 e il 1980 deriva da un'iniziativa del Bundesrat) che del suo diritto di veto, anche quando la maggioranza CDU-CSU del Bundesrat si contrapponeva alla maggioranza SPD-FDP del Bundestag. Delle 3.535 leggi adottate tra il 1949 e il 1980, 1.789 hanno richiesto l'approvazione del Bundesrat. Ora, quest'ultimo ha impedito l'adozione di una legge solo 43 volte durante il periodo cui si fa riferimento. Questo vuol dire che il compromesso e il bargaining si sono sostituiti al potere formale di veto.
Non è quindi a livello legislativo che occorre ricercare la capacità dei Länder di decidere o di influire sulle scelte politiche, ma nel processo di attuazione delle decisioni, soprattutto di quelle prese dalla Federazione. Infatti, tanto il Bund dispone di fatto di un quasi-monopolio legislativo, quanto i Länder hanno una incontestata supremazia in materia amministrativa. La parte essenziale della politica federale e la politica dei Länder sono attuate dai funzionari di ciascun Land, sia in maniera settoriale sotto l'autorità dei ministri del Land, sia in maniera orizzontale sotto l'autorità di una specie di prefetto, il Regierungspräsident, collocato a capo di una circoscrizione amministrativa intermedia tra il Land e il Kreis (di fatto questa circoscrizione è composta di numerosi Kreise). Questo ruolo amministrativo prevalente compensa il depotenziamento del potere legislativo, ma esprime anche uno spostamento del potere e dell'influenza dagli uomini politici locali verso i burocrati: i funzionari dei Länder erano più di un milione e mezzo nel 1980, a fronte di 300.000 funzionari federali.
L'ampiezza dei compiti amministrativi assicurati dai Länder e le loro competenze legislative residuali fanno apparire evidentemente assai modeste le competenze e i mezzi delle regioni italiane e, a fortiori, delle regioni francesi che appaiono al confronto dei 'pesi piuma'. Le competenze legislative delle regioni italiane non sono particolarmente importanti, ma sono più ampie nelle cinque regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige, Val d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia), in particolare nei settori economico e culturale. Tuttavia, nelle regioni a statuto speciale come anche in quelle a statuto ordinario, la proliferazione quantitativa dei testi non è stata sempre accompagnata da un miglioramento qualitativo delle norme. Si può constatare spesso come le leggi regionali siano 'sfasate' rispetto alle leggi nazionali o ad altre leggi regionali adottate precedentemente: questa constatazione non è affatto sorprendente, poiché la debole autonomia delle regioni permette loro solo un adattamento marginale. Inoltre, le competenze accordate alle regioni dalla Costituzione del 1947 si collocano in settori relativamente secondari: circoscrizioni comunali, assistenza sociale, artigianato, turismo, caccia e pesca ecc. I settori più importanti concernono la sanità e l'agricoltura, ma le regioni non dispongono di mezzi finanziari autonomi per affrontare il problema sanitario e sono state in larga parte espropriate delle loro competenze in materia di agricoltura per il trasferimento della politica agricola alla CEE. Infine, le regioni hanno dovuto lottare passo passo perché il trasferimento delle competenze operato per le regioni a statuto ordinario a partire dal 1970 non riducesse ai minimi termini i loro interventi nei diversi settori attribuiti loro dalla Costituzione. In effetti, l'art. 117 della legge fondamentale è redatto in maniera tale da consentire facilmente manovre e interpretazioni restrittive. "La regione - recita l'articolo - emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempre che le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre regioni".
È facile evidentemente giocare con tali disposizioni, in caso di cattiva volontà da parte delle istituzioni centrali. È appunto questo che è stato fatto agli inizi degli anni settanta, sia ritagliando all'interno di blocchi di competenze dei nuclei attribuiti alle regioni, incapaci in queste condizioni di disporre di una qualunque autonomia (operazione definita appunto di ritaglio), sia rifiutando di stabilire i principî generali che dovevano permettere l'intervento delle regioni. Il primo ostacolo fu superato con la linea politica adottata nel 1977, soprattutto sotto l'impulso delle regioni di sinistra e del Partito Comunista (di cui il governo democratico-cristiano cercava il tacito appoggio nel quadro della politica detta di 'unità nazionale'); il secondo ostacolo fu eliminato dalla Corte Costituzionale, che ritenne che, in mancanza di una legge nazionale specifica, i principî generali ricordati dalla Costituzione potessero risultare dall'insieme della legislazione già in vigore.
L'attività delle regioni italiane si colloca essa pure a livello amministrativo, anche se questo non rappresenta la loro originale vocazione. Il costituente italiano e il legislatore avevano concepito le regioni come dei relè, dei centri di coordinamento e di impulso tra livello centrale e livello locale. Di conseguenza, i compiti di gestione avrebbero dovuto essenzialmente essere trasferiti dalle regioni ai livelli provinciali e comunali. Non avvenne niente di tutto questo, in quanto le regioni continuavano a cercare, in un clima istituzionale a loro poco favorevole, di conservare l'essenziale delle loro magre attribuzioni. È questa la ragione per cui le regioni, previste come strutture leggere, si trovano oggi, al contrario, a impiegare circa 50.000 dipendenti. Occorre peraltro sottolineare che essi rappresentano soltanto il 2% dell'insieme dei dipendenti pubblici, nonostante le regioni amministrino circa il 10% delle spese pubbliche. Anche in quest'ultimo campo, tuttavia, l'autonomia regionale è ristretta, in quanto il 90% delle risorse delle regioni proviene dallo Stato e si tratta di risorse per la parte essenziale già destinate. Il margine di manovra è quindi assai limitato. Quest'ultimo fattore consente d'altra parte di relativizzare la nozione di autonomia paragonandola a quello che avviene in Francia a livello regionale. Le regioni francesi hanno poche risorse, esercitano competenze limitate (soprattutto rispetto all'apparato istituzionale che - occorre sottolineare - si presenta piuttosto pesante) e hanno anche un personale assai scarso. Tuttavia la loro azione non è affatto trascurabile, in quanto la parte essenziale delle loro entrate è stata destinata, fino al 1984-1985, a finanziare spese di investimento realizzate da altre collettività. Esse disponevano di conseguenza di un potere di controllo nient'affatto trascurabile, che ha permesso loro di rafforzarsi progressivamente.
Le collettività di base (comuni, parrocchie, città) riflettono spesso tradizioni di vita sociale e politica che hanno resistito meglio di molte altre istituzioni ai cambiamenti economici e costituzionali. L'autonomia locale resta ancora concepita, in larga parte, come una difesa contro gli sconfinamenti del potere, come una libertà da difendere oggi contro lo Stato, così come dovette essere conquistata in epoca medievale contro il signore. Essa rappresenta, come scrive A. Mabileau (v., 1985), un mito fondatore. Anche se questa concezione è oggi in un certo senso obsoleta e non riflette più la vera realtà delle cose (le autorità locali sono essenzialmente degli erogatori di servizi), questa dimensione psicologica e sociale ha svolto un ruolo fondamentale nelle relazioni tra autorità superiori e poteri locali. Ha contribuito soprattutto a fare dell'unità locale un centro di democrazia considerato come qualcosa di specifico e di privilegiato. Certamente le configurazioni del potere locale sono assai variabili, come si potrà vedere in seguito, ma in nessun'altra dimensione meglio che a livello locale si realizza l'osmosi tra potere politico e rappresentanza territoriale.
Questo legame può esprimersi attraverso istituzioni più o meno collegiali e tecniche di democrazia diretta o, al contrario, attraverso una forte personalizzazione del potere, ma, a dispetto di queste differenze, è sempre una comunità politica e sociale insediata in un territorio circoscritto che si esprime.La forza di questa identità spiega come si siano manifestate forti resistenze quando i governi centrali (Francia, Gran Bretagna) o federali (Repubblica Federale Tedesca) hanno cercato di far coincidere con più precisione lo spazio politico con quello della popolazione e dei servizi. È significativo che né gli aggiustamenti costituzionali caratteristici di ciascun paese, né la maggiore o minore forza del governo al potere possano spiegare il fallimento o la riuscita delle politiche di fusione o di raggruppamento delle collettività locali: condotte con la sciabola in Gran Bretagna (fatto questo che la dice lunga sulla capacità di resistenza del local government) e con efficacia nella Repubblica Federale Tedesca, queste riforme hanno invece conosciuto un completo fallimento in Francia, mentre in Italia ci si è limitati a parlarne periodicamente (pur realizzando una riforma radicale, la 'nazionalizzazione' delle risorse locali). Quanto agli Stati Uniti, dove il campanilismo è forte quasi quanto in Francia, ci si è limitati a dei palliativi, nell'incapacità di affrontare l'opposizione delle comunità ostili, nella maggior parte dei casi, a ogni forma di consolidation. Il solo tentativo importante di ridurre le autorità locali è stato quello rivolto ai distretti scolastici, che sono passati da oltre 100.000 a meno di 15.000 nel corso del XX secolo. Ma questa tendenza è stata più il risultato di spinte e condizioni naturali (minor numero di allievi, insufficienza delle risorse finanziarie) che di una politica sistematica degli Stati. La crescita e la riforma delle collettività locali nell'Europa occidentale si sono sviluppate nel corso di tre fasi principali: la prima, che razionalizza le strutture dell'ancien régime, ha luogo anzitutto in Francia e, attraverso una 'contaminazione' forzata o pacifica, in numerosi paesi dell'Europa occidentale; la seconda, a cavallo tra XIX e XX secolo, realizza un aggiustamento delle strutture e delle funzioni del sistema locale rispetto ai nuovi bisogni dello sviluppo industriale: democratizzazione e interventismo locale; la terza fase, avviata nel corso degli anni sessanta, non è ancora giunta al termine. Ma fin d'ora l'insieme delle riforme effettuate, in corso, o previste nei paesi europei rappresenta uno dei cambiamenti strutturali più importanti del dopoguerra. Si tratta di un fenomeno di carattere generale: un fenomeno che riguarda tanto gli Stati con un sistema costituzionale stabile da molto tempo (Gran Bretagna, Paesi Bassi, Paesi Scandinavi), quanto quelli che, dopo la seconda guerra mondiale, hanno conosciuto importanti cambiamenti delle loro istituzioni centrali (Francia, Italia, Repubblica Federale Tedesca). Questa generale tendenza al cambiamento delle strutture periferiche di governo e di gestione è, tuttavia, assai diversificata.
La riforma delle collettività locali in generale e dei comuni in particolare deve superare una fondamentale contraddizione: la necessità della riforma è espressa a livello locale in termini di autonomia, mentre essa può essere portata a termine soltanto sotto il controllo del governo centrale o delle autorità federali. L'autonomia comunale è il risultato di numerosi fattori: anzitutto storici, in quanto il comune è una delle strutture più antiche e più solide nell'ambito degli Stati europei. Alcuni di questi, come per esempio i Paesi Bassi, sono vere e proprie 'federazioni di città', mentre altri, più centralizzati, sono caratterizzati da un'opposizione centro-periferia che contribuisce a mobilitare attivamente il livello locale. Ma si tratta anche di fattori sociologici, in quanto il comune trae una parte della sua forza di coesione dal fatto di essere una comunità sociale. Questo sentimento comunitario (esprit de clocher in Francia, 'campanilismo' in Italia) spiega, in parte, perché le riforme territoriali abbiano incontrato maggiori o minori resistenze. J. Sharpe vi ha visto una delle chiavi di interpretazione della resistenza francese alla riforma, resistenza che è invece mancata nel caso delle collettività britanniche, spazzate via dalla riforma del 1972 praticamente senza difficoltà. Gli Stati Uniti, che presentano una ricca gamma di esempi di local citizenship, sembrerebbero confermare questa interpretazione, per l'incapacità degli Stati di riformare il local government a dispetto delle sue incoerenze e della teoria costituzionale e giudiziaria secondo cui "the local governments are the creatures of the States".
Una terza serie di fattori è di ordine ideologico. A seconda della concezione dominante del ruolo delle collettività di base, la loro autonomia sarà più o meno ben garantita. Se queste collettività sono definite o percepite come organi di distribuzione dei servizi e di attuazione delle politiche centrali, la loro organizzazione dipenderà in primo luogo e anzitutto da criteri quali l'efficacia, la dimensione ottimale, la capacità di agire ecc. Se, al contrario, il comune e le altre collettività locali sono considerati come un elemento fondamentale e indispensabile del sistema democratico, diventa estremamente difficile modificarne lo statuto, sia pure in nome della razionalità. A dire il vero, i due elementi (erogazione di servizi e centro di democrazia) sono sempre presenti in tutti i sistemi occidentali contemporanei. Ma è il valore dominante in questo o quel sistema che facilita o frena le riforme.L'autonomia dipende anche da fattori politici. L'articolazione del sistema locale e del potere centrale, l'organizzazione dell'amministrazione e dei partiti politici, la reciproca compenetrazione tra istanze centrali e locali sono altrettanti elementi che possono svolgere un ruolo in favore o contro l'autonomia. La debole partecipazione delle autorità locali al potere centrale e la sovranità del Parlamento creano in Gran Bretagna le condizioni ideali per un intervento incisivo del governo di Londra; mentre l'organizzazione del Senato, le modalità per l'elezione dei deputati, il cumulo dei mandati, in Francia, sono tutti fattori che 'organizzano' la pressione dell'elemento locale sul potere centrale. Le iniziative di quest'ultimo sono immediatamente arginate, emendate, messe sotto controllo nel momento in cui cominciano a non soddisfare più le esigenze dei due gruppi di pressione fondamentali: quello dei piccoli comuni e quello delle grandi città.L'autonomia è dunque il risultato della combinazione - variabile da un paese all'altro e da un periodo all'altro - di strutture, modi relazionali, concezioni, funzioni democratiche e amministrative dell'autorità locale. Di conseguenza l'autonomia non rappresenta una condizione stabile e costante, ma una situazione precaria, frutto delle tensioni fra le autorità centrali e quelle locali e allo stesso tempo della volontà di queste ultime di utilizzare gli spazi di potere a loro disposizione.
La crisi dell'autonomia locale dopo gli anni cinquanta esprime bene i problemi di adeguamento che lo Stato nel suo complesso e le collettività locali in particolare hanno dovuto affrontare: urbanizzazione, trasferimenti dal settore primario verso il settore secondario e quindi terziario, esplosione demografica, sviluppo economico senza precedenti. Questo processo di crisi riflette il passaggio da una situazione di relativa inerzia, da una 'libertà di inazione', a uno stadio di attività intensa, di 'necessità di fare', senza tuttavia possedere tutti i necessari mezzi politici e finanziari. L'analisi delle carenze strutturali della maggior parte dei governi locali e i rimedi suggeriti sono stati essenzialmente formulati in termini di autonomia: maggiori poteri, maggiori risorse per rispondere alle sfide economiche e sociali. I governi centrali avevano generalmente da proporre risposte assai diverse, essendo preoccupati di conservare il controllo dell'attuazione delle politiche e dei flussi finanziari. Riforme strutturali e riforme funzionali divengono così strettamente interdipendenti. Le seconde condizionano le prime, ma quando le riforme organizzative si rivelano impossibili o difficili da realizzare, il potere centrale deve trovare altri mezzi (procedure di decisione, controlli, allocazione delle risorse) che gli permettano di raggiungere gli obiettivi nazionali nonostante la frammentazione dei suoi partners locali. I bricolages procedurali e finanziari diventano allora i sostituti della politica di riforme territoriali, in quanto il governo centrale deve poter differenziare le sue politiche in funzione delle situazioni contingenti locali, e allo stesso tempo raggiungere i suoi obiettivi complessivi a dispetto dell'inadeguatezza delle strutture locali. I Paesi Scandinavi, la Repubblica Federale Tedesca, la Gran Bretagna hanno potuto operare una redistribuzione dei compiti tra livelli territoriali mentre attendevano a ridisegnare la carta comunale: riduzione da 1.037 comuni a 279 in Svezia, da 744 a 451 in Norvegia, da 1.100 a 275 in Danimarca, da 25.000 a 8.500 nella Repubblica Federale Tedesca. Il numero delle autorità locali in Inghilterra e nel Galles è stato ridotto a un terzo. Anche il Belgio ha ridotto il numero dei suoi comuni, ma senza operare una redistribuzione funzionale paragonabile a quella dei paesi precedentemente citati. A parte l'eccezione del Belgio, sembrerebbe quindi che le strutture comunali nei paesi segnati dalla tradizione napoleonica abbiano cercato di evitare le trasformazioni: né l'Italia, né la Spagna o la Francia sono riuscite a ridefinire la dimensione e le strutture delle loro collettività di base.
Da molto tempo, e in particolare in Francia, questa incapacità di riformare le strutture locali è stata considerata come l'ostacolo principale a una buona distribuzione dei servizi e all'instaurazione di rapporti armoniosi tra Stato e comuni. Di fatto, questa valutazione era largamente influenzata dall'assommarsi di preoccupazioni politiche e tecnocratiche. I primi governi della V Repubblica cercavano, attraverso riforme territoriali, di sostituire la loro influenza a quella dei vecchi notabili, al punto che l'alta dirigenza pubblica (e i gruppi presso i quali la sua influenza era determinante, come il Club Jean Moulin) affermava che il decentramento (funzionale) non era vitale al di sotto di una certa dimensione (territoriale/demografica). L'esperienza per lo meno moderata dei paesi che avevano intrapreso la strada delle ristrutturazioni radicali e le disillusioni del famoso optimum dimensionale hanno permesso di relativizzare l'assenza di cambiamenti in Francia. Le vicissitudini delle riforme all'estero hanno mostrato che un concetto razionale si rivelava talvolta poco funzionale, centralizzatore e nella maggior parte dei casi costoso; che non vi era un quadro ideale per l'attuazione di tutte le politiche locali; che i potenziali guadagni in efficacia erano talvolta compromessi dalla lontananza geografica e democratica dai centri decisionali; che la diversità locale era uno strumento importante del pluralismo caro alle democrazie occidentali. A una riflessione attenta apparve chiaro che l'elezione di migliaia di consiglieri in migliaia di comuni rappresentava ancora il mezzo più democratico e meno costoso per far funzionare le comunità politiche e sociali locali. In breve, small era tanto più beautiful in quanto alcune strutture (distretti, comunità, sindacati in Francia, comprensori in Italia) o procedure (trasferimenti vincolati, norme-tipo) potevano contribuire a far superare gli inconvenienti del frazionamento. Il prezzo da pagare, tuttavia, è rappresentato dal mantenimento o addirittura dal rafforzamento dei controlli centrali: il frazionamento comunale non permette né di trasferire effettivamente la gestione delle politiche, né di trovare un assetto fiscale soddisfacente per il loro finanziamento.
La riforma operata dai socialisti tra il 1981 e il 1984 è, sotto molti aspetti, assai importante, ma non ha permesso di trovare soluzioni appropriate per far fronte al problema del frazionamento comunale. Le leggi Defferre rappresentano in qualche modo il negativo delle leggi del 1871 e del 1884, fatte essenzialmente per il mondo rurale, poiché le città vi si adattavano alla meno peggio seguendo il loro sviluppo. Le leggi del 1982-1983 sono fatte per i grandi comuni, i dipartimenti e le regioni dinamiche, anche se sembrano avere un carattere generale.Nella sostanza, la riforma francese presenta anche dei tratti specifici: ha voluto essere una riforma globale e affrontare sia i rapporti tra lo Stato e le collettività locali, sia le modalità di designazione e lo statuto degli eletti locali, sia la distribuzione delle competenze e la riforma delle finanze locali. Ma non c'è bisogno di essere degli esperti per constatare che la riforma francese non è affatto radicale e ambiziosa come, per esempio, le riforme britanniche o scandinave. Non si tratta di una riforma delle strutture territoriali e la stessa riforma funzionale, avviata con la legge del 7 gennaio 1983, è circoscritta entro limiti imposti dall'ineguaglianza di fatto dei diversi comuni francesi. Poiché non si è potuto realizzare una riforma territoriale radicale, la redistribuzione delle competenze ha funzionato secondo i meccanismi classici dell'economia di mercato. La capacità degli 'agenti' di procurarsi i beni è, di fatto, proporzionata alle loro risorse.
Questo significa che la posizione idealmente uniforme ed egualitaria degli attori locali si trasforma in una situazione differenziata dove alcuni non hanno difficoltà a esercitare pienamente le loro competenze, mentre altri non sono neppure in grado di reclamarle.Si tratti di urbanistica o di intervento economico, è fuori di dubbio che le capacità tecniche e finanziarie dei comuni variano considerevolmente. Le prime inchieste sul processo di decentramento già mostrano che tra un dipartimento e l'altro si registrano differenze notevoli. Queste divergenze dovrebbero essere, a priori, ancora più accentuate a livello comunale, dove le disparità tra un comune e l'altro sono molto più forti. Il tabù dell'eguaglianza e dell'uniformità non è stato violato, ma le leggi della selezione naturale si incaricheranno di ristabilire il sistema a doppia velocità che costituisce la regola di fatto. D'altra parte, fin d'ora, nel 1987, le prassi sottolineano e accentuano le divergenze tra i diversi tipi di comuni (individualizzazione delle sovvenzioni invece della dotazione globale di strutture per i piccoli comuni; ritorno alla tutela delle finanze dello Stato per i comuni con meno di 2.000 abitanti; rilevamento dei servizi urbanistici ed edilizi nelle piccole collettività ecc.).
Infine, la riforma francese è attuata con ritardo sul calendario europeo (quantunque in questi vent'anni la mancanza di riforme generali sia stata sostituita da una miriade di misure parziali). Essa si inserisce in un contesto economico e sociale assai diverso da quello degli anni sessanta. Il problema non consiste più soltanto nell'adattare o modernizzare un sistema locale obsoleto per farsi carico dei compiti crescenti dello Stato assistenziale. La riforma si sviluppa infatti in un momento in cui proprio l'espansione incontrollata di questo Stato è sempre più contestata.Quindi, in generale, si mettono in piedi istituzioni o meccanismi imposti dalle difficoltà finanziarie. I poteri centrali sperano non solo di creare dei sistemi di decisione e di gestione più efficaci, ma anche di decentrare le fonti di conflitto più vive o le pressioni più accentuate. Gli anni sessanta e settanta hanno, in effetti, assistito alla crescita dell'alleanza più pericolosa per il governo centrale: quella dei gruppi settoriali e dei rappresentanti eletti di un territorio. Questa alleanza supera gli ostacoli e le separazioni giudicati una volta insuperabili. Per salvare il lavoro, per impedire la chiusura di una fabbrica, tutte le divisioni vengono a cadere per far fronte comune contro lo Stato. La debolezza dello Stato mastodonte è, da questo punto di vista, palese: nella crisi siderurgica, per esempio, lo schermo europeo, da un lato, e quello regionale dall'altro non sono stati in grado di evitare un confronto diretto tra il governo centrale e le popolazioni interessate. In Gran Bretagna la crociata thatcheriana contro gli eccessi del Welfare State si è tradotta in controlli sempre più stretti sulle autorità locali.
Negli Stati Uniti, per raggiungere gli stessi risultati, le strategie sono state diverse. Il presidente Reagan ha giustificato il nuovo sistema di block grants (sovvenzioni globali) attribuite agli Stati con la necessità di restringere il potere dei burocrati di Washington e di sottoporne l'esercizio al controllo degli elettori; di fatto, il vecchio sogno populista di un governo attraverso il popolo è servito da copertura ideologica a realtà assai meno gloriose rappresentate dalle restrizioni di bilancio. In Francia il trasferimento delle spese sociali o scolastiche è avvenuto anch'esso all'insegna di una retorica di decentramento e di una valutazione realistica da parte dello Stato dei suoi limiti di bilancio e finanziari. La pressione delle richieste è stata smistata dal potere centrale verso le autorità politiche periferiche.Al di là della diversità dei sistemi e delle modalità delle riforme appare, in questo modo, qualche elemento comune: la sostituzione di un modello di complementarità al modello autonomo tradizionale, l'eliminazione dei sistemi di tutela formali o particolari a vantaggio di rapporti negoziati o di controlli globali, la politicizzazione del livello locale attraverso un rafforzamento dello statuto degli eletti e la penetrazione dei partiti. In breve, ora più che mai, il posto e il ruolo delle autorità locali divengono essenziali nell'elaborazione, nella condotta e, soprattutto, nell'attuazione della politica pubblica.
Data l'interdipendenza tra autorità centrali e locali nell'attuazione delle politiche scelte, l'adozione delle soluzioni è relativamente semplice: o praticare una politica autoritaria e centralizzatrice per garantire la buona esecuzione delle decisioni prese al vertice, oppure mettere in piedi strumenti di collaborazione destinati a ottenere consenso e interdipendenza. La signora Thatcher ha deliberatamente scelto la prima strada, che l'ha trascinata in una spirale di repressione e di centralizzazione sempre più accentuata. Le contee metropolitane (Londra e sei contee di provincia) vengono giudicate indocili e scialacquatrici? Il governo le cancella con un tratto di penna a partire dal 1° aprile 1986. Per ridurre le spese locali la signora Thatcher fa adottare il Local government planning and land act (1980) e il Local government finance act (1982), rafforza i controlli (soprattutto con la creazione dell'Audit Commission nel 1983) e obbliga le autorità locali a far pagare i servizi pubblici al prezzo di mercato con lo Housing act (1980), l'Education act (1980), lo Health and social security act (1983). Le collettività che spendono troppo sono colpite con multe e vedono diminuire le sovvenzioni da parte del governo centrale. Inoltre il Rates act del 1984, per la prima volta dopo la creazione dell'imposta sulla proprietà nel 1601 (rates), autorizza il governo a fissare i tassi di imposta per ciascuna collettività (rate-capping).
Poiché tutti questi interventi pesanti costituiscono in realtà soltanto degli espedienti, la signora Thatcher ha ulteriormente radicalizzato la sua politica dopo la sua terza vittoria consecutiva nel 1987. Nel 'discorso del trono', scritto appunto dalla signora Thatcher e letto dalla regina il 25 giugno 1987, ha annunciato una redistribuzione delle competenze a vantaggio del governo centrale nei settori dell'educazione e degli alloggi. I cittadini potranno richiedere che la scuola di quartiere venga collocata sotto l'autorità del Ministero dell'educazione piuttosto che sotto quella dei consigli locali o sollecitare che la gestione degli alloggi pubblici sia affidata a organismi indipendenti piuttosto che alle autorità locali. Infine il governo ha annunciato la sua intenzione di sopprimere le imposte locali in vigore in Inghilterra e nel Galles per sostituirle con una tassa nazionale redistribuita dal governo stesso. Gli antagonismi tra potere centrale e autorità locali sono quindi oggi assai esacerbati in Gran Bretagna e costituiscono la principale e più forte eccezione alla tendenza 'cooperativa' che va prevalendo negli altri paesi occidentali.
Negli Stati Uniti e nella Repubblica Federale Tedesca si è potuto in effetti parlare di 'federalismo cooperativo' per indicare la collaborazione sempre più stretta che si è instaurata, sostituendosi al principio del federalismo classico secondo cui ciascun livello era autonomo nella sua sfera particolare. Ma questo fenomeno non caratterizza solo i sistemi federali. I sistemi unitari praticano anch'essi questa cooperazione secondo modalità e con strumenti specifici che non differiscono particolarmente da quelli utilizzati dai sistemi federali. Questi strumenti amministrativi, finanziari, perfino politici, sono più o meno formalizzati, ma tendono tutti a sostituire la cooperazione alla separazione e/o alla tutela tradizionale.Gli strumenti formalizzati della cooperazione sono stati particolarmente numerosi e importanti nella Repubblica Federale Tedesca. Una delle più antiche forme di collaborazione si è instaurata con la Conferenza dei ministri dell'educazione, che prevede numerose strutture (assemblea plenaria, comitati, segretariato generale) ed è presieduta a turno dal ministro di uno dei Länder, che agisce allo stesso tempo come portavoce e come rappresentante, in particolare nei confronti del Bund o dei partners stranieri. Analoghe conferenze esistono negli altri settori ministeriali e soprattutto a livello dei primi ministri dei Länder.D'altra parte, centinaia di comitati di ogni tipo sono stati istituiti per permettere al Bund e ai Länder di discutere, negoziare e accordarsi sui problemi di interesse comune. Tra i più famosi si possono ricordare il Consiglio per la scienza (Wissenschaftsrat), il Consiglio per l'educazione (Bildungsrat) o, in materia economica, il Finanzplanungsrat. Spesso il consenso raggiunto è formalizzato con trattati o accordi di natura politica o amministrativa che hanno pieno valore giuridico.Un ulteriore passo avanti nell'istituzionalizzazione fu compiuto, nel 1969, con una revisione costituzionale che riconosceva e convalidava queste pratiche istituendo i 'compiti comuni' (Gemeinschaftsaufgaben) in alcuni settori quali la costruzione delle università, la politica economica regionale, la politica agricola e la costruzione di dighe. Il governo federale poteva intervenire e finanziare dei progetti, contribuendo così a una migliore distribuzione delle risorse e a una perequazione a vantaggio dei Länder più poveri. Questa riforma, consentita dalla grande coalizione dell'epoca (CDU-CSU-SPD), ha dato luogo in seguito a numerose critiche e molti deputati (specialmente del Sud) hanno richiesto la soppressione o la modifica dei 'compiti comuni'. Il sistema è stato tuttavia conservato, così come la cooperazione più o meno formalizzata che si è instaurata tra tutti i livelli.Italia e Francia non hanno creato un complesso così rigido di accordi formali, e tuttavia anche questi due paesi hanno i loro meccanismi di cooperazione tra potere centrale e autorità locali. In Francia il vettore privilegiato di questa politica è stato il 'contratto', che non è certo sempre concluso tra partners perfettamente uguali, ma esprime comunque la sostituzione del dialogo a una relazione di tipo gerarchico. Contratti di paesi, di città medie, di periferie, contratti di piano si sono sviluppati e moltiplicati durante gli ultimi quindici anni. Benché il valore giuridico di questi accordi sia assai incerto, l'essenziale tuttavia non è questo: è il modo nuovo di governare, con il nuovo tipo di relazioni che esso esprime, che costituisce l'aspetto principale di questi rapporti centro-periferia.
Per quanto concerne l'Italia, le modalità di cooperazione tra Stato e regioni si avvicinano, secondo Sabino Cassese, alle pratiche adottate nella Repubblica Federale Tedesca, anche se a un livello più modesto. "In diversi settori, egli scrive, che vanno dagli aiuti per finanziare la costruzione di un'università all'azione culturale, al lavoro, l'agricoltura, la salute, gli alloggi ecc., operano commissioni composte da rappresentanti dello Stato e delle regioni. Si tratta di non meno di un centinaio di organismi, spesso dotati di proprie strutture organizzative, che agiscono sia in settori di competenza dello Stato che in settori di competenza delle regioni, con funzioni di mediazione di interessi, di prevenzione di conflitti, di scambio di informazioni, di deliberazione ecc."(v. Cassese, 1981, p. 23).
Questi rapporti formalizzati si moltiplicano, si rafforzano (o sono eventualmente sostituiti) con relazioni informali, le quali, pur non essendo altrettanto stabili e solide, non costituiscono però legami meno essenziali tra potere centrale e autorità locali. Queste relazioni prendono forme diverse: cumulo dei mandati e regolamentazione incrociata politico-amministrativa in Francia; articolazione centro-periferia attraverso organizzazioni di partito nella Repubblica Federale Tedesca e in Italia; creazione presso il potere centrale o federale di portavoce locali o regionali (associazioni di sindaci e di presidenti regionali, in Francia e in Italia; 'missioni' dei Länder a Bonn dirette dal Minister für Bundesangelegenheiten, vale a dire dal ministro per la cooperazione con il governo federale; lobbies locali o statali a Washington). In particolare si costituiscono, su base settoriale o verticale, quelle che gli Americani definiscono come policy networks o policy clusters, vale a dire alleanze che uniscono segmenti del potere centrale o federale, degli Stati o delle diverse località, e i gruppi economici e sociali interessati da una data politica (per esempio il Ministero dell'industria, le località colpite dalla crisi siderurgica, il padronato che sollecita degli aiuti e i sindacati che vogliono salvaguardare il posto di lavoro).
Queste forme di collaborazione sono anche facilitate dal fatto che, a dispetto di tutti gli sforzi di razionalizzazione, la ripartizione delle competenze non è mai perfettamente rigorosa e definita. Le sovrapposizioni e gli intrecci sono quasi sempre la regola piuttosto che l'eccezione e sono fonti di innumerevoli intoppi che solo la cooperazione può risolvere, se non si vuole optare per soluzioni sempre più autoritarie ma non necessariamente efficaci.Infine, la cooperazione tra autorità centrali e locali passa attraverso i finanziamenti incrociati, le sovvenzioni e altri meccanismi fiscali e finanziari che istituiscono il rapporto di interdipendenza. Una constatazione si impone a questo punto: tranne alcune rare eccezioni, l'autonomia fiscale locale nel mondo contemporaneo rappresenta un'illusione. Come ha scritto Rémy Prud'homme, "non vi possono essere buone imposte locali" per la semplice ragione che non si può mai realizzare un adeguamento tra localizzazione delle risorse e localizzazione dei bisogni, soprattutto quando il territorio è frazionato, come in Francia, tra molteplici entità. Per risolvere questo problema si aprono diverse possibili opzioni: procedere alla nazionalizzazione delle entrate, come è avvenuto in Italia e in Olanda (e come avverrà probabilmente presto in Gran Bretagna), con il rischio però di trasformare la distribuzione in un groviglio di speculazioni; procedere con aggiustamenti o bricolages, come in Francia o negli Stati Uniti; razionalizzare il sistema e renderlo più giusto, come nella Repubblica Federale Tedesca.
In Francia o negli Stati Uniti le relazioni finanziarie esprimono a un tempo l'incapacità delle autorità locali di ottenere le risorse necessarie e il gioco complesso che si svolge tra il vertice, la base e il livello intermedio. In entrambi i paesi la situazione è caratterizzata da forti trasferimenti a pioggia, sotto forma di stanziamenti globali o di sovvenzioni specifiche. In Francia, sotto la pressione di potenti lobbies locali e allo scopo di permettere allo Stato di modernizzare il suo sistema impositivo (introduzione della TVA), gli stanziamenti globali hanno raggiunto un'entità considerevole a svantaggio delle assai criticate sovvenzioni settoriali. I dipartimenti, e subordinatamente le regioni, sono subentrati a fare da dispensatori principali delle sovvenzioni specifiche per i piccoli comuni. Negli Stati Uniti l'amministrazione Reagan, sotto la bandiera del new federalism, ha rinunciato anch'essa a finanziare direttamente numerose attività locali: sono invece gli Stati che beneficiano ormai di block grants facendosi carico di assicurarne la redistribuzione. In questo modo Washington non deve più subire le pressioni dei suoi numerosi clienti e può adottare degli stanziamenti non estensibili, lasciando Stati e comunità locali ad affrontarsi in un testa a testa talvolta tempestoso: gli Stati hanno spesso la fama di essere meno sensibili, per esempio, ai bisogni sociali di quanto non siano le burocrazie di Washington. Il tetto delle spese per il welfare assunte dallo Stato federale viene determinato con il decentramento verso gli Stati, come avviene in Francia per l'aiuto sociale gestito dai dipartimenti. D'altra parte, gli stanziamenti globali accordati alle autorità locali dal 1972 sotto la pressione di Nixon (revenue sharing) vedono la loro percentuale diminuire progressivamente (dal 12,3% dei trasferimenti federali nel 1975 al 4,3% nel 1985; nello stesso tempo i block grants sono passati dal 9,3 al 12,7% e le sovvenzioni specifiche dal 76,6 all'81%).L'equilibrio ottimale delle risorse tra autorità centrali e locali è quello raggiunto nella Repubblica Federale Tedesca, anche se anch'esso è stato oggetto di critiche oltre Reno. Il sistema poggia su una divisione tra i diversi livelli della quasi totalità delle entrate fiscali sulla base di percentuali rivedibili. Con questo sistema tutti possono beneficiare dei vantaggi della congiuntura economica o sopportarne le difficoltà, poiché tutti i livelli percepiscono una percentuale dell'insieme delle entrate, sia che esse provengano da imposte a maggiore o minore rendimento, sia da imposte elastiche o non elastiche (mentre negli altri paesi i governi centrali tendono a riservarsi il monopolio delle imposte più moderne e a maggior rendimento e a lasciare le briciole ai livelli inferiori). Per esempio, nel 1982 il Bund otteneva il 48,7% delle entrate, i Länder il 34,6%, i comuni il 13,2%, mentre il resto era destinato alla CEE. Appunto verso un tale modello potrebbe evolvere l'arcaico e complesso sistema francese, anche se con una difficoltà supplementare da superare, quella rappresentata dal numero delle collettività locali con le quali fare i conti.
La dimensione territoriale della separazione dei poteri, dei checks and balances, è assai variabile, come abbiamo visto, tra un sistema e l'altro. Ma la dimensione costituzionale del problema non lo esaurisce interamente. Si può anzitutto constatare che i fattori locali della vita politica nazionale si ritrovano tanto nel reclutamento delle élites politiche, nelle elezioni e nel funzionamento dei partiti, quanto nell'esercizio della funzione di governo.Il reclutamento e la circolazione delle élites manifestano relazioni più o meno forti tra livelli locali e livello nazionale. È probabilmente in Gran Bretagna che la separazione è più netta: gli eletti nazionali hanno assai raramente esercitato delle responsabilità a livello locale e sono più preoccupati della loro funzione parlamentare che di quella di rappresentanti locali di una circoscrizione; la stessa situazione prevale negli Stati Uniti, ma con un'importante differenza: gli eletti al Congresso e in particolare quelli alla Camera dei rappresentanti sono assai 'localisti', vale a dire più interessati ai problemi della loro constituency che alle questioni nazionali o internazionali. L'eletto americano deve anzitutto e prima di tutto essere in sintonia con la sua circoscrizione, in quanto l'etichetta di partito non ha per lui quasi alcun significato. Egli deve esprimere i valori locali del suo elettorato e, come ha scritto Frank Sorauf, "non importa molto quanto tempo il candidato abbia vissuto nella sua circoscrizione: se egli è atipico, è come uno che vi è stato paracadutato (newcomer)". Al contrario, nei sistemi a forte strutturazione partitica e con utilizzazione della rappresentanza proporzionale, gli apparati dei partiti hanno la loro longa manus nella designazione dei candidati, ma anche, di fatto, degli eletti, determinandone il posto nelle liste. Il partito tende quindi a creare, a uso dei suoi militanti, delle liste di attesa per raggiungere i posti più prestigiosi: prima di essere eletti al parlamento, i candidati del partito avranno dovuto, nella maggior parte dei casi, superare le loro prove ai diversi livelli locali. Il cursus politico è generalmente un cursus in salita, che permette ai migliori di arrivare al vertice per gradi, a meno che il loro estro, o un qualche genio protettore, non consenta loro di bruciare le tappe. Questa situazione è particolarmente evidente in Italia, dove la percentuale di deputati che hanno esercitato cariche elettive a livello locale non ha fatto che crescere in questi ultimi anni, ma lo è altrettanto nella Repubblica Federale Tedesca, dove la maggior parte dei membri dell'élite politica cominciano la loro carriera a livello locale.
Paradossalmente, è proprio in Francia, spesso presentata come l'archetipo dell'accentramento, che il fattore locale si rivela più importante: non solo molti deputati nazionali sono dovuti partire dalla periferia per arrivare al vertice, ma quelli che sono stati 'paracadutati' dagli apparati centrali dei partiti devono consolidare il loro seggio conquistandosi dei mandati locali. Il risultato è impressionante: oltre il 90% dei parlamentari francesi ha almeno due mandati e alcuni collezionisti impenitenti ne hanno addirittura quattro o cinque. La legge del dicembre 1985 che limita questi eccessi, divenuti spesso causa di disfunzioni, non ha tuttavia messo in discussione una delle convenzioni più radicate della vita politica francese. L'Assemblea eletta nel marzo del 1986 contava tra i suoi membri 265 sindaci, 273 consiglieri generali, 113 consiglieri regionali, 22 consiglieri di Parigi, 4 membri delle Assemblee d'oltremare, senza contare i consiglieri comunali. Occorre precisare altresì che un quarto dei Consigli generali e un terzo dei Consigli regionali sono presieduti da un deputato dell'Assemblea nazionale e che i senatori detengono 39 presidenze di Consiglio generale e 6 presidenze di Consiglio regionale. Carriere politiche nazionali e carriere politiche locali sono, in Francia, indissolubilmente legate, al punto che ogni mandato parlamentare o funzione ministeriale deve cominciare o quanto meno rafforzarsi su scala locale: il cursus tradizionale parte dalla base per salire al vertice, ma il cursus opposto, iniziato al centro, deve essere rapidamente consolidato attraverso la conquista di mandati alla base. La carta locale è essenziale nel gioco politico: nel marzo del 1978, per esempio, gli eletti locali rappresentavano più della metà dei candidati, ma circa i quattro quinti degli eletti. Come scrive Mabileau, "l'integrazione di una parte delle élites locali al vertice del sistema politico facilita la comunicazione tra il centro e la periferia; contribuisce alla stabilità del sistema assicurando una comunità delle élites dirigenti. Ma accentua la resistenza al cambiamento a causa dell'interesse comune delle due categorie di élites per la conservazione di strutture e di circuiti di relazioni che condizionano la loro permanenza al potere" (v. Mabileau, 1985, p. 582).
La presenza o l'assenza di stretti legami tra universo politico locale e apparato centrale non si manifestano soltanto a livello del reclutamento politico. Il loro impatto è anche rilevante sul funzionamento del sistema. Occorre anzitutto sottolineare che là dove esistono livelli intermedi (Stati, Länder, regioni) o forti autorità municipali (soprattutto nelle grandi metropoli) la circolazione delle élites è spesso intensa e permette a un tempo l'apprendistato e la formazione degli eletti da una parte, e dall'altra la cooperazione anche tra formazioni politiche opposte.Ma in ogni caso (ad eccezione degli Stati Uniti dove la polarizzazione politica è debole) la conquista del potere locale diventa una posta nello scontro tra i partiti e più in particolare tra la maggioranza che controlla il governo nazionale e l'opposizione. Le elezioni 'locali' sono sempre meno tali, nonostante la loro definizione (elezioni amministrative, elezioni locali), e il fenomeno più rilevante di questi ultimi anni è quello della dimensione nazionale delle etichette politiche, delle poste in gioco e delle campagne elettorali. Vi si è potuto vedere - a imitazione di ciò che accade negli Stati Uniti con le 'elezioni a medio termine' del Congresso - delle elezioni 'intermedie', vale a dire elezioni il cui carattere limitato in linea di principio (rinnovo parziale o elezioni a carattere locale) è trasformato dalla sovrapposizione di una posta di carattere nazionale. La vittoria dei socialisti francesi nelle elezioni amministrative del 1977 e la loro disfatta in occasione di quelle del 1983 prefiguravano in qualche modo la loro sorte nazionale futura e costituivano un avvertimento indolore per la maggioranza al potere. Lo stesso fenomeno si può constatare in Gran Bretagna (nonostante la scarsa partecipazione alle elezioni locali sia fonte di importanti distorsioni nel tentativo di operare dei raffronti) e soprattutto nella Repubblica Federale Tedesca, dove le elezioni nei Länder costituiscono sempre dei test per la coalizione al potere a Bonn e, in generale, per il programma dei partiti in lizza. Benché la regola abbia conosciuto delle eccezioni (soprattutto negli anni ottanta per la crisi interna della SPD), si può constatare che i partiti al potere a Bonn ottengono alle elezioni regionali risultati meno favorevoli dei partiti all'opposizione a livello federale.In Italia, benché le elezioni amministrative siano fortemente politicizzate sul piano nazionale, il messaggio indirizzato dagli elettori alla coalizione al potere a Roma non è sempre così semplice da interpretare almeno per due ragioni: la prima dipende dal ricorso a un sistema di rappresentanza proporzionale quasi integrale che non consente i fenomeni di swings di tipo britannico o francese e che, dato il numero di partiti (a differenza della Repubblica Federale Tedesca), disperde e riduce i guadagni e le perdite dei diversi protagonisti. Cambiamenti ed evoluzioni sono quindi marginali.
Una seconda difficoltà di lettura dipende dalla molteplicità di coalizioni passate, attuali o potenziali, da una regione o una collettività all'altra. D'altra parte è al livello della formazione delle maggioranze e della designazione dell'esecutivo che il piano infranazionale può servire come terreno di sperimentazione politica e divergere in parte dal modello centrale: in Italia, per esempio, le coalizioni di centrosinistra negli anni sessanta o il governo di unità nazionale (1976-1979) sono stati anticipati a livello locale o regionale da accordi che provavano la fattibilità di nuove coalizioni e, soprattutto, preparavano militanti ed elettori a cambiamenti d'alleanza che le campagne elettorali e il dibattito politico non avevano ancora lasciato intravedere. Allo stesso modo, in Francia, le alleanze locali tra socialisti e comunisti hanno preceduto la firma del programma comune e sono sopravvissute alla meno peggio all'uscita dei comunisti dal governo nel 1984. Anche la maggioranza nazionale di destra ha, nel 1986, concluso accordi con il Fronte Nazionale in cinque regioni allo scopo di ottenere la maggioranza assoluta.
Nella Repubblica Federale Tedesca i Länder hanno a più riprese formato coalizioni diverse o divergenti dalle coalizioni federali, ma questo fenomeno tende ad attenuarsi, salvo che nei periodi di transizione. Per esempio, a partire dal 1977 il Partito liberale, associato alla socialdemocrazia a Bonn, cominciava ad allearsi con la Democrazia Cristiana nei Länder, preparando così il suo cambiamento di alleanze del 1982. O ancora, i tentativi di coalizione SPD-Verdi del 1985-1986 costituivano un ballon d'essai da parte di una frazione del Partito socialdemocratico in favore di una eventuale alleanza a livello federale dopo le elezioni del gennaio 1987. Tuttavia questi tentativi di regionalizzazione della vita politica restano limitati e strettamente subordinati agli imperativi strategici dei partiti nazionali. Le coalizioni all'interno dei Länder tedeschi, per esempio, assai varie all'inizio degli anni cinquanta, si sono progressivamente allineate con la coalizione nazionale. Allo stesso modo, a partire dal 1965, nelle città francesi con più di 30.000 abitanti le assemblee municipali si sono sempre più avvicinate alla divisione nazionale sinistradestra e, a poco a poco, centristi e socialisti hanno rinunciato a collaborare a livello locale: nel 1977 tale separazione era definitivamente consumata. Infine, a partire dal 1980 la DC italiana, attraverso l'accordo stipulato con il PRI e il PSDI (detto 'patto di piazza del Gesù', dal nome della sede della Democrazia Cristiana), ha cercato di opporre il suo veto a ogni coalizione regionale con il PCI. La formazione del governo pentapartito sotto la direzione di Craxi condusse a sua volta alla rottura di numerose coalizioni tra comunisti e socialisti, ma gli accordi tra DC, PSI e partiti laici attraversarono, tra la fine del 1986 e gli inizi del 1987, un periodo difficile, direttamente legato alle tensioni che sfociarono nella crisi governativa e nelle elezioni della primavera del 1987.
Gli equilibri tra potere politico centrale e potere politico locale possono essere codificati costituzionalmente o regolati da tradizioni e convenzioni più o meno solide. Naturalmente è nei sistemi federali che questo patto si presenta più rigido. Il Senato e la sua rappresentanza egualitaria negli Stati Uniti, il Bundesrat tedesco e la sua rappresentanza ponderata, che avvantaggia i piccoli Länder, sono l'espressione di questa garanzia costituzionale.
Al contrario, nonostante le numerose proposte in merito, il Senato italiano non è mai stato trasformato in Camera delle Regioni e de Gaulle è andato incontro al fallimento nel suo tentativo di riformare il Senato francese. Ma gli equilibri istituzionali sono una cosa e l'evoluzione politica è un'altra. Il Senato americano ha in larga parte dimenticato la sua vocazione originale di rappresentante degli Stati per divenire la più nazionale delle due Camere del Congresso. Il Bundesrat si è sempre più comportato, soprattutto durante il periodo del governo SPD-FDP, come una Camera d'opposizione controllata dalla CDU-CSU, ma tuttavia, non foss'altro che per la sua composizione (di delegati dei governi dei Länder), non ha mai rinunciato a esercitare la sua funzione di Camera federale. Il risultato è che si possono determinare conflitti tra i rappresentanti di una stessa maggioranza quando gli interessi federali e quelli di un Land o di un gruppo di Länder non coincidono. Per esempio, l'attuale supremazia della CDU (1987) in entrambe le Camere non ha impedito dibattiti assai accesi a proposito della crescente espropriazione delle competenze dei Länder da parte del Bund in materia di politica comunitaria negoziata e sottoscritta dal governo federale. O ancora, la polemica per i controlli instaurati dalla Baviera sui portatori del virus dell'AIDS ha opposto il governo locale della CSU al governo federale CDUCSU-FDP. Tuttavia, in quest'equilibrio tra Bundesstaat e Parteienstaat sono i partiti, ormai largamente caratterizzati dalla dimensione nazionale, che tendono a esercitare l'influenza prevalente. La stessa ambiguità si può riscontrare in Francia, in un contesto a dire il vero opposto in linea di principio: quello di una Repubblica una e indivisibile. Il Senato, benché strutturato in famiglie e partiti politici (per la verità al suo interno le linee di demarcazione sono più fluide che in altri organismi) resta il vigile e fedele 'gran consiglio dei comuni di Francia', la cui influenza supera di molto i poteri formali che la Costituzione gli accorda. Benché non abbia gli strumenti giuridici per opporsi a una riforma delle collettività locali che andrebbe contro i suoi interessi (può, tutt'al più, rallentarla), il suo peso politico lo rende di fatto 'inaggirabile'. Esso dispone di un quasi diritto di veto convenzionale rispetto ai problemi locali e fino a oggi nessuno ha avuto il coraggio o la temerarietà di affrontarlo direttamente, tranne il generale de Gaulle, anche se ricorrendo a metodi e avanzando proposte di soluzioni che mettevano di fatto il Senato in una situazione di forza.
La divisione territoriale del potere resta uno degli elementi essenziali dei sistemi politici: in effetti è ancora il territorio che costituisce, oggi più che mai, la base della rappresentanza politica.Tutti i tentativi di sostituire alla rappresentanza territoriale un'altra di tipo funzionale sono andati incontro al fallimento (regime autoritario) o sono rimasti marginali (neocorporativismo). D'altra parte, la segmentazione del potere tra autorità politiche più o meno autonome fa parte di quei contrappesi, di quei checks and balances, senza i quali la democrazia rischia di essere soltanto una parola vuota. Infine, l'esplosione del Welfare State, dello Stato assistenziale, non è avvenuta soltanto a vantaggio degli apparati centrali.
Di fatto le autorità locali sono gli erogatori dei servizi che assicurano ai cittadini una vita quotidiana migliore, anche se gli standard, i contenuti e le modalità sono sempre più determinati dalle autorità superiori. Comunità sociali e politiche in primo luogo, poi centri di distribuzione dei servizi, le collettività locali costituiscono la sintesi di una forte tradizione politica, che in Europa risale al Medioevo, e della ricerca di un benessere sociale al quale esse portano un contributo nient'affatto trascurabile.L'equilibrio tra accentramento e decentramento è quindi per definizione instabile, in quanto è il risultato di aspirazioni contraddittorie: la volontà di autonomia e di limitazione del potere, che si esprime attraverso una separazione territoriale delle competenze, e la volontà di eguaglianza e di giustizia, che richiede spesso l'intervento di un potere centrale. Questa tensione, magistralmente analizzata da Tocqueville in La democrazia in America, non si manifesta soltanto nelle politiche e nelle misure adottate dalle autorità legislative e amministrative. Essa è presente in tutti i settori della vita sociale ed è significativo che oggi accentramento o decentramento costituiscano un problema di cui devono occuparsi anche banchieri e giudici, oltre ai 'principi che ci governano'. (V. anche Amministrazione, scienza della; Amministrazione pubblica; Burocrazia; Federalismo; Regionalismo).
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