accentuazione
. L'a. quale appare nell'uso dantesco coincide, salvo pochissimi casi, con quello che possiamo presumere fosse l'uso del suo tempo, e in grandissima parte ancora con l'uso odierno.
Di regola, nelle parole ereditarie l'a. permane sulla stessa vocale su cui cadeva in latino : agósto, àlbero, amìco, àrgine, àvolo, corόna, dàttero, piùvico, uccìde, ecc.
Le poche eccezioni sono le seguenti:
a) spostamento d'a. per la consonantizzazione di ĭ in gruppi di vocali (lat. filiŏlum, ital. figliòlo); per un analogo fenomeno, di età molto più tarda, ma già usuale al tempo di D., si avrà movièno, moviènsi in luogo di movìeno, movìensi; b) metaplasmi verbali, cioè mutamenti di coniugazione (lat. ardēre, movēre, cadĕre, ital. àrdere, muòvere, cadére; nelle Rime troviamo seguére XLV 14; cfr. seguette accanto a seguì nella Commedia; morére, Rime dubbie XX 4; cherére, XXII 2); c) i rifacimenti di composti latini, avvenuti in gran copia nel latino volgare e nelle più antiche fasi romaniche : p. es. le voci latine convĕnit, remŏvet, retĭnet sono state ricomposte in modo da rimetterle in connessione (per l'a. e per il vocalismo) con le rispettive forme semplici: conviene (o convene), rimuove (o rimove), ritiene (o ritene). Altri esempi di questo fenomeno si hanno nelle voci dantesche commòve, confàce, consòna, dispièga, diviène, percòte, reprème, rinòva, soggiòga, sostène.
In qualche caso, l'a. continua a cadere sulla vocale su cui cadeva in latino, dopo una sincope : opra (o ovra), adovra (Rime XLVII 11).
Anche i latinismi, siano essi comuni ai suoi contemporanei, o propri di D., portano l'accento sulla medesima vocale su cui lo portavano in latino : p. es. àbito, àrduo, bàiulo, càndido, cràstino, dèbile, mòbile, seròtino; anèlo, concubìna, presàgo, predìco, ecc. Strano è inòpe (Pd XIX 111), che nei passi di classici che D. poteva conoscere presenta sempre una ŏ (p. es. Georg. I 186 " Curculio, atque inŏpi metuens formica senectae ") : ma può darsi che il poeta pensando a inopos = sine ope ricomponesse la parola. Si noti che è in rima. Umìle non è latinismo, ma provenzalismo.
In latino, com'è noto, davanti al gruppo ‛ esplosiva + liquida ' la vocale breve per natura può essere considerata breve oppure lunga: nell'uso dantesco gli esempi in cui la rima o il ritmo ci permettono di riconoscere con sicurezza l'a., l'hanno sempre sulla penultima: con -tr, farètra (Rime CIII 7), geomètra, impètro, penètra (perpètra in una rima apocrifa, E' non è legno, attribuita a Cino da Pistoia), con -gr, intègra, con -br, colùbro, latèbra, tenèbra : nel Pd XXX 89 palpebra teoricamente potrebbe avere l'una o l'altra a., ma i riscontri qui additati ci consigliano di leggere palpèbra.
Discordano dagli esiti attuali, ma perché risalgono al nominativo anziché all'obliquo, i latinismi pièta, che è già in poeti anteriori (e nasce da pìetas con lo spostamento da ìe a iè che già abbiamo considerato) e podesta (If VI 96). Nel Fiore XC 1 si legge poverta.
Nella flessione verbale dei verbi di origine colta si hanno, probabilmente per una relativa libertà dovuta all'oscillazione dell'a. entro l'ambito del medesimo paradigma, numerosi casi in cui l'a. latina non è riuscita a far valere la sua norma : abbiamo così dissìpa, divóra, elìce, invóla, occùpa, redòle, replìco, replùo, supplìco. Non abbiamo forme rizotoniche del verbo ‛ destinare '; ma il sostantivo ‛ destìno ' ci fa ritenere che D. pronunziasse anche ‛ io destìno '.
Anche nei latinismi si è avuta talvolta una sincope: merlo (e merta), persevra.
Fra le parole di origine non latina, meritano particolare attenzione i grecismi, e specialmente i nomi della serie comedìa e i nomi propri come Atropòs, Semelè ecc. (v. GRECISMI). Qualche altro nome di origine germanica lascia perplessità: p. es. Ottacchero (Pg VII 100) sembra si debba leggere sdrucciolo, mentre le varianti Ottacchiero e Ottacharo potrebbero alludere a una pronunzia piana; Opizzo (If XII 111) e Cunizza (Pd IX 32) si pronunziavano certo sdruccioli nell'età più antica, mentre per l'età di D. non abbiamo indizi sicuri. Nel verso di Pd XXVIII 99 t'hanno mostrato Serafi e Cherubi, l'a. della seconda parola (Cherùbi) può indurci a pronunziare anche la prima come Seràfi: si tratta di regressioni da Serafini e Cherubini considerati come diminutivi, mentre risalgono a Seraphim e a Cherubim, che in ebraico erano plurali.
Bibl. - Non consta che l'argomento sia stato specificamente trattato. Oltre alle grammatiche storiche italiane, v. qualche cenno su parole singole in Parodi, Lingua, passim.