Abstract
L’adesione e la conciliazione, insieme con l’autotutela, l’acquiescenza e l’interpello, costituiscono i segni più evidenti del rinnovato favor verso l’attuazione consensuale della norma tributaria che il legislatore ha manifestato sin dai primi anni ‘90 e continua tuttora a manifestare introducendo nuovi istituti (quali l’adesione al verbale, l’adesione all’invito, il reclamo e la mediazione) finalizzati a rendere velocemente certo e stabile il tributo controverso. Al cospetto del dogma dell’indisponibilità si aprono tre principali metodiche ricostruttive del fenomeno. Due di esse spiegano l’adesione e la conciliazione “in continuità storica” con il passato e ripropongono il conflitto, antico, tra la tesi, strettamente privatistica, del contratto di transazione, che qualifica le nuove norme deroghe al dogma dell’indisponibilità, e la tesi, marcatamente autoritativa, dei modi/moduli consensuali di accertamento, ciò consentendo di preservare l’integrità del dogma dell’indisponibilità. L’altra metodica, muovendo, invece, dall’idea di un “nuovo corso” fondato sul rivolgimento copernicano realizzato dalla legge 7.8.1990, n. 241, vede nell’innovata adesione e nella nuova conciliazione la struttura dogmatica dell’accordo amministrativo tributario, idoneo a convivere con un’inedita tipologia ‘rovesciata’ dell’indisponibilità (peraltro estranea sia alla discrezionalità amministrativa, sia alla discrezionalità tecnica).
La l. 30.11.1994, n. 656 ha introdotto l’accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale e, dopo un travagliato iter legislativo, il d.lgs. 19.6.1997, n. 218 ne ha revisionato organicamente la disciplina, allo scopo di semplificarne e ampliarne l’iniziale ambito applicativo. Il corpo normativo del quale essi facevano parte comprendeva anche altri istituti, quali l’autotutela e l’acquiescenza, tutti caratterizzati dalla specifica finalità di deflazionare il contenzioso e dalla funzione di veicolare l’attuazione della norma attraverso forme e strutture dialettiche, a matrice collaborativa e/o consensuale. Ad analoghe rationes sono riconducibili altri istituti, deflattivi in senso lato, che il legislatore degli anni ’90 ha collocato sia sul piano dell’attuazione della norma, sia su quello dell’attuazione delle obbligazioni. Più recentemente, il legislatore ha ancora arricchito il quadro degli strumenti deflattivi, introducendo l’adesione al verbale, l’adesione all’invito, l’adesione all’invito in base a studi di settore, il reclamo e la mediazione. Insomma, è in atto da lungo tempo una tendenza a valorizzare sempre in maggior misura il consenso del privato ai fini di una «pronta», ossia certa, attuazione del tributo. Tuttavia, questo dato storico-evolutivo è stato diversamente interpretato. In un senso, fu evidenziato che l’introduzione della conciliazione (della quale il legislatore in passato non si era occupato in modo espresso) e le innovazioni apportate al precedente accertamento con adesione costituissero segni evidenti di un “nuovo corso” consensuale sviluppatosi principalmente sui rivolgimenti dogmatici e normativi prodotti dalla l. n. 241/1990 (Versiglioni, M., Contributo allo studio dell’attuazione consensuale della norma tributaria, Perugia, 1996, passim). In senso opposto, si osservò che adesione e conciliazione fossero invece parte di un fenomeno cronologicamente continuo, risalente al precedente “concordato tributario” (Marello, E., L’accertamento con adesione, Torino, 2000). Questa differenza di prospettive ha condizionato significativamente l’iniziale modo di concepire gli attuali istituti. Tuttavia, a quasi venti anni di distanza, se si pone in disparte la corrente “contrattuale-transattiva” (Batistoni Ferrara, F., Accertamento con adesione, in Enc. dir., Aggiornamento, II, Milano, 1998, 22; Russo, P., Manuale di diritto tributario, Milano, 2002, 322 ss., e Tosi, L., La conciliazione giudiziale, in Il processo tributario, in Giur. sist. dir. trib., a cura di F. Tesauro, Torino, 1998, 885), le divergenze strutturali tra le due principali correnti di pensiero ‘non contrattuali’, quella “accertativa” (Marello, E., Concordato tributario, in Diz. dir. pubbl. Cassese, II, Milano, 2006, 1134; Moscatelli, M.T., Moduli consensuali e istituti negoziali nell’attuazione della norma tributaria, Milano, 2007) e quella “compositiva” (Versiglioni, M., Accertamento con adesione, Padova, 2011) sembrano venute attenuandosi se ormai la legge, la dottrina e la giurisprudenza, anche costituzionale, usano normalmente il concetto dell’accordo (o dell’intesa) su piano paritario (Versiglioni, M., Accordo e disposizione nel diritto tributario, Milano, 2001, 487 ss.; v., ad es., da ultimo, Cass., 21.5.2014, n.11139; C. cost., 16.4.2014, n. 98). In effetti, le residue differenze tra queste due metodiche, ravvisabili, semmai, sui piani della funzione e dell’oggetto, sembrano riconducibili alla diversità del modo con il quale ciascuna delle tre concezioni ricostruisce l’indisponibilità.
Nella concezione contrattuale, l’adesione e la conciliazione rappresenterebbero deroghe ex lege al dogma dell’indisponibilità, anche se, talvolta, si osserva che tale dogma sarebbe difficilmente configurabile in materia tributaria, essendo la parte privata non soggetta ad alcuna forma di indisponibilità. Secondo la concezione accertativa l’indisponibilità sarebbe, invece, il presidio, di rango costituzionale, ex art. 23 o ex art. 53 Cost., all’inaccessibilità della discrezionalità amministrativa nella fase dell’attuazione della norma tributaria, tanto che dovrebbe escludersi la discrezionalità amministrativa dalla scelta sul se definire o sul quantum della definizione. Infine, la concezione compositiva, ritenuto inconferente e inconsistente il dogma tradizionale dell’indisponibilità, ricostruisce l’‘indisponibilità tributaria’ come insieme di ‘norme d’uso’ che, alla luce degli artt. 23, 97 e 111 Cost., vincolano l’operatore del diritto ad utilizzare il tipo di ragionamento giuridico e il tipo di strumento corrispondente al tipo di norma da applicare nel concreto. In particolare, se la norma da applicare è costruita dal legislatore intorno ad un fatto notorio (idealmente non controvertibile) o ad un tema scientifico puntuale (in pratica non controvertibile) o ad un fatto etico intervallare (controvertibile entro limiti certi), essa obbliga l’operatore del diritto ad accertare, rispettivamente, ‘la’ (ideale) verità data a priori ovvero le verità (ora quella praticamente puntuale, ora quella intervallare) comunque predeterminate dalla legge; se, invece, la norma da applicare è costruita dal legislatore intorno ad un tema controvertibile all’infinito (ossia, privo di limiti certi), l’indisponibilità obbliga l’operatore del diritto a cercare ‘al meglio’ la composizione, a prescindere dal fatto che, poi, l’accordo si concluda o no. Nei primi due casi, l’operatore deve accertare (e non tentare di comporre), e deve farlo puntualmente (indisponibilità puntuale) o entro un dato intervallo (indisponibilità intervallare). Nel terzo caso, invece, egli deve comporre, o almeno deve tentare di comporre, adottando una scelta priva di limiti certi (indisponibilità rovesciata). Solo in quest’ultimo caso sarebbero ammissibili l’adesione e la conciliazione (e la mediazione) perché strumenti (rectius: veicoli) con funzione esclusivamente compositiva, attuabili quando (e solo quando) la questione tributaria concreta non ha in sé ex lege soluzioni predeterminate e, perciò, impone il criterio del «male minore» (si pensi, ad es., alla lite sul valore venale del terreno edificabile o sul concetto di grave incongruenza). Segni recenti di indisponibilità rovesciata sarebbero l’art. 17-bis del d.lgs. 31.12.1992, n. 546, che obbliga l’ufficio al tentativo di mediazione o, più in generale, l’ultima parte aggiunta al comma 1 dell’art. 91 c.p.c. che, dinanzi alla proposta conciliativa della controparte, obbliga a scegliere responsabilmente. L’indisponibilità rovesciata accederebbe, pertanto, ad un ambito ben diverso da quello della discrezionalità amministrativa, che regola gli interessi in gioco e pondera l’interesse primario con interessi secondari. Infatti, la scelta insita nell’adesione e nella conciliazione (e nella mediazione) non regola e non pondera interessi. È, invece, una scelta imposta dal tipo (controvertibile all’infinito) del caso concreto, quale effetto giuridico disposto dalla norma che, in quel caso, bilancia i diversi fini della funzione impositiva (il fine accertativo e il fine compositivo), per la migliore cura dell’unico interesse (quello alla pronta e perequata attuazione del tributo). Questo interesse è ragione oggettiva della regola di metodo e ragione soggettiva della regola della scelta di merito da adottare, in tal caso, per garantire non solo il tipo di effettività (dovuto ex lege), ma anche l’efficienza e l’imparzialità (anch’esse dovute ex lege) della singola attuazione del tributo. Nulla in comune, quindi, neppure con la discrezionalità tecnica: infatti, tra l’altro, l’indisponibilità rovesciata implica applicazione di norme giuridiche e non già, come quella, applicazione di norme tecniche o di norme diverse da quelle giuridiche (per eventuali approfondimenti, v. Versiglioni, M., Accertamento con adesione, logica e responsabilità della scelta, in Giust. trib., 2008, 447 ss.).
Non è possibile dar conto qui delle numerose tesi formulate sulla natura dell’adesione e della conciliazione. Tanto più che per ciascuno dei due istituti sono elaborate soluzioni distinte sia dalle concezioni contrattuali (che muovono dalla qualificazione dell’adesione come transazione), sia dalle concezioni accertative (che muovono dalla qualificazione dell’adesione come modo/modulo di accertamento strutturato sulla somma di un atto unilaterale di autotutela con l’adesione del contribuente). E anche quando si segnala l’affinità funzionale esistente tra adesione e conciliazione si tende comunque a considerare la seconda come un modo di essere del primo e non viceversa (per tutti, v. La Rosa, S., Principi di diritto tributario, Torino, 2004, 250 ss.). La concezione compositiva offre invece un’ipotesi geneticamente unitaria, secondo la quale adesione, conciliazione e mediazione sono accordi tributari (la cui matrice dogmatica risalirebbe a quella degli accordi sostitutivi di cui all’art. 11 della l. n. 241/1990), costituiti da un veicolo pubblicistico (disciplinato da norme non civilistiche) e da un contenuto di tipo negoziale compositivo, con efficacia preclusiva (né dichiarativa, né costitutiva), sensibile alla sopravvenienza (tributaria e comune), disciplinato da norme civilistiche (non derogate da quelle tributarie e con queste compatibili) e postulanti, a pena di responsabilità, il comportamento efficiente del funzionario tenuto a perseguire la “verità-consenso”. Adottando, poi, una netta distinzione tra fatti di accertamento e fatti di composizione (Versiglioni, M., Prova e studi di settore, Milano, 2007), ne deriverebbe un quadro tipologico degli accordi amministrativi tributari (Versiglioni, M., Accordi amministrativi (dir. trib.), in Diz. dir. pubb. Cassese, Milano, 2006) nel cui ambito sarebbero riconducibili alla tipologia accertativa l’autotutela negativa da istanza, l’acquiescenza, la definizione agevolata della sanzione, il reclamo e l’interpello in senso stretto (nonché, come si dirà, l’adesione all’invito e l’adesione al verbale), mentre sarebbero riconducibili alla tipologia compositiva l’adesione, la conciliazione e la mediazione (sulla funzione compositiva della mediazione, v. da ultimo, C. cost., 16.4.2014, n. 98). Tale quadro si rivelerebbe utile al fine di colmare lacune e risolvere questioni applicative dovute ad uno stratificarsi di discipline non esaustive e non organiche.
Possono essere definiti mediante adesione gli accertamenti concernenti le imposte sui redditi quali l’IRPEF, l’IRES, l’ILOR, le imposte sostitutive delle imposte sui redditi, le imposte le cui norme disciplinano la liquidazione, l’accertamento, la riscossione o il contenzioso facendo rinvio alle corrispondenti norme dedicate alle imposte sui redditi (ad es., l’IRAP, l’imposta sul patrimonio netto delle imprese, il contributo straordinario per l’Europa), l’IVA, le principali imposte indirette (successioni e donazioni, registro, catastale, comunale sull’incremento di valore degli immobili), nonché i tributi locali per i quali i regolamenti degli enti locali ammettono la possibilità di definire mediante adesione. D’altro canto, la conciliazione giudiziale gode, anch’essa, di un ambito oggettivo assai esteso e, diversamente dall’adesione, può essere anche parziale. Analoga ampiezza di estensione è ravvisabile sul piano soggettivo. Dal 1997 l’adesione e la conciliazione sono utilizzabili da parte di tutti i soggetti passivi (compresi i sostituti di imposta), anche se speciali regimi di adesione sono previsti per le società di persone e i soggetti di cui all’art. 5 del TUIR, nonché per le società di capitali che hanno optato per la trasparenza fiscale o che hanno optato per la tassazione consolidata (Circ. 60/E del 31.10.2007). L’art. 1 del d.lgs. 19.6.1997, n. 218 pone il problema della c.d. plurisoggettività, prevedendo che, ai fini delle imposte indirette diverse dall’IVA, l’accertamento può essere definito «con adesione anche di uno solo degli obbligati». Questa scelta ha riaperto il dibattito sulla rilevanza (probatoria o non probatoria) dell’adesione ai fini della successiva rivalsa (cfr. Versiglioni, M., Le «ragioni» del frequente utilizzo degli istituti deflattivi, anziché del processo tributario, in Neotera, 3-bis, 2009, 29 ss.). Il tema in discorso va, inoltre, osservato alla luce dei non convergenti sviluppi giurisprudenziali i quali, in tema di solidarietà tributaria, hanno dapprima optato per la tesi del fascio di rapporti, ed hanno ora espressamente preferito, invece, la logica del litisconsorzio necessario (cfr. Cass., S.U., 19.2.2008, n. 14815). La concezione contrattualesi limita a richiamare le esaurienti e compatibili norme civilistiche ‒ dalle quali discendono effetti solo nei confronti del condebitore che voglia avvalersi dell’adesione trattata e conclusa da altri ‒, ed evidenzia probabili incoerenze dell’attuale disciplina rispetto agli artt. 24 e 53 della Costituzione (Fransoni, G., Osservazioni sui rapporti fra conciliazione giudiziale e accertamento con adesione, in Rass. trib., 2000, 1814-1815). La concezione accertativa, ammettendo la natura probatoria dell’adesione, può offrire un quadro teorico maggiormente coerente ai fini della giustificabilità, anche costituzionale, dell’attuale comma 2 dell’art. 1, anche se finisce anch’essa col ritenere “opportuno” che al concordato partecipino tutti i soggetti obbligati (Marello, E., Concordato tributario, in Diz. dir. pubbl. Cassese, Milano, 2006, II, 1134; in tal senso, v. già Circ. n. 235/E 1997). La concezione compositiva osserva, invece, che il litisconsorzio necessario, delineato per il processo che si conclude con la sentenza, appare difficilmente applicabile al procedimento che si conclude con l’adesione (idem per la conciliazione), e, d’altro canto, nota che esso contrasta con il predetto art. 1, co. 2. Inoltre, poiché l’art. 4 del d.lgs. n. 218/1997 esclude che l’adesione debba coinvolgere necessariamente la società di persone e tutti i soci, analoghe perplessità essa eleva a proposito dell’operata estensione del litisconsorzio necessario alle fattispecie di adesione al concordato di massa da parte di soci di società di persone (in tal senso, v. Cass., 16.12.2011, n. 27145; per un approfondimento critico, vd. Versiglioni, M., ‘Unità’ ed ‘uni’ del e nel diritto tributario. Riflessioni teoriche sul litisconsorzio necessario soci-società di persone, in Riv. trim. dir. trib., 2013, 149 ss.; in senso contrario al litisconsorzio necessario, v. Circ. 19.3.2012, n. 9/E).
L’eliminazione di “lacci e lacciuoli”, disposta dal d.lgs. n. 218/1997 dopo un dibattuto e caotico iter legislativo, ha infine conferito alla disciplina vigente la veste più remota: quella caratterizzata dalla pressoché totale inesistenza di limiti applicativi e di cause ostative. Dunque, in assenza di specifici riferimenti legislativi, il quadro degli accordi tributari dianzi tratteggiato sarebbe utile per individuare, in via di esclusione logica, le questioni definibili mediante adesione o conciliazione o mediazione, dovendosi queste ritenere logicamente diverse da quelle autotutelabili e da quelle rinunciabili in toto. Se ciò che è definibile non è autotutelabile e viceversa, allora mentre l’autotutela dovrebbe avere ad oggetto questioni accertabili, o perché non controvertibili (quale, ad es., il numero dei cavalli fiscali di un’autovettura), o perché controvertibili entro certi limiti (quale, ad es., la quantificazione di un valore tra un minimo e un massimo dati dalla legge), l’adesione e la conciliazione (nonché la mediazione) dovrebbero invece avere ad oggetto temi non accertabili, ossia controvertibili all’infinito (quale, ad es., il valore venale del terreno edificabile). Quanto, poi, al problema della dubbia concordabilità delle questioni di diritto o delle questioni di estimazione complessa, si è escluso (per tutti, Russo, P., Manuale, cit., 514) che la singola questione di diritto (come, ad esempio, quella concernente l’aliquota IVA) possa essere definita mediante conciliazione. La concezione accertativa osserva che la questione di diritto sarebbe definibile dall’Ufficio, con l’adesione del contribuente, così come sarebbe normalmente accertabile (Marello, E., L’accertamento, cit., 161 ss.). La concezione compositiva, posta a premessa l’indisponibilità tributaria (v. § 2.), ne ricava la definibilità o la conciliabilità della singola questione di diritto (anche in assenza della condizione della contestuale presenza unitaria di più capi controversi proposta da Lupi, R., Diritto tributario. Parte generale, Milano, 1999, 82-83, nota 70); in definitiva, si conclude, una qualsiasi questione accertabile, di fatto o di diritto, non è definibile, d’altro canto, qualsiasi questione, di fatto o di diritto, che fosse controvertibile all’infinito (ossia, non accertabile) sarebbe sempre definibile o conciliabile (Versiglioni, M., Accertamento, cit.,12).
Anche rispetto alle categorie di atti (veicoli) e di metodi (logiche) di accertamento, adesione e conciliazione hanno un campo di applicazione assai ampio e sostanzialmente privo di limiti prefissati. Ovviamente, le determinazioni sintetiche, qualunque sia il loro ambito di applicazione, costituiscono l’humus ideale dell’accordo compositivo, vale a dire l’ambito nel quale trova massima valorizzazione la logica della convenienza e della proficuità dell’azione amministrativa (rispetto al rapporto costi/benefici), ossia la logica dell’’efficienza consensuale’ alla quale, in tali casi, è tenuto il funzionario, fermo restando che la concreta definibilità/conciliabilità andrà comunque valutata in base alla natura della singola questione controversa. Se la questione controversa ‒ ancorché propedeutica all’applicazione del redditometro ‒ riguardasse un fatto non controvertibile (ad es., il numero dei cavalli fiscali dell’autovettura di cui il contribuente ha la disponibilità o il numero dei mesi decorsi dal momento dell’acquisto dell’autovettura), allora non potrà farsi luogo all’adesione o alla conciliazione, perché tali questioni non sono definibili, ma sono soltanto autotutelabili dall’Amministrazione Finanziaria o rinunciabili in toto dal contribuente (o parzialmente autotutelabili /rinunciabili se entrambe le parti sono cadute in un errore scientifico). Anche dinanzi ad un accertamento parziale la definibilità non dipende dalla tipologia (parziale o non parziale) dell’accertamento, ma ancora una volta dipende dalla natura della questione controversa (che deve essere quella tipica delle questioni controvertibili all’infinito). La parziarietà implica generalmente analiticità rispetto al controvertibile, ma non impedisce che la questione controversa, ossia la questione intorno alla quale è costruito l’accertamento parziale, sia risolvibile con logica sintetica. L’accertamento ben può essere la risultante di un accertamento ‘iniziale’ e di accertamenti ‘ulteriori’, il primo quanto gli altri definibili mediante adesione, se ne sussistono i presupposti di legge e se è logicamente divisibile la più ampia questione, di fatto o di diritto, alla quale tutti (l’accertamento iniziale e gli accertamenti ulteriori) concorrono, senza intersezioni, come somma di componenti distinti gli uni dagli altri o correlati gli uni agli altri in modo reversibile (per un approfondimento di questi temi, sia consentito il rinvio a Versiglioni, M., Le «ragioni», cit., 47). In riprova, non sono definibili/conciliabili le liquidazioni delle dichiarazioni di cui all’art 36 bis del d.P.R. 29.9.1973, n. 600, e i controlli formali di cui al successivo art. 36 ter dello stesso d.P.R., anche se qualche dubbio potrebbe tuttavia sorgere dall’incerta natura del controllo formale che si pone come attività di confine tra liquidazione e accertamento (vd. Assonime, Circ. n. 2/98, Cass., 13.11.2008, n. 27051, Versiglioni, M., Accertamento, cit., 20). Quanto poi alla conciliazione, fermo restando che la stessa, essendo alternativa alla mediazione, è esperibile solo per le liti di importo superiore ad euro ventimila, si ritengono appartenenti alla sua sfera di operatività, pur con qualche diversità di posizioni, le liti di rimborso, mentre sono escluse le questioni di ammissibilità del ricorso, le liti sulle sole sanzioni (anche se in senso contrario può ora argomentarsi dalla disciplina della mediazione), le ipotesi di completa rinuncia da parte dell’amministrazione finanziaria ma non quelle di completa rinuncia da parte del contribuente (v. Russo, P., Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2005, 209-210; Batistoni Ferrara, F., Conciliazione giudiziale, in Enc. dir., Aggiornamento, II, Milano, 1998, 233; Tosi, L., La conciliazione, cit., 898 e 927; Tesauro, F., Istituzioni di diritto tributario, Torino, 2011, 365; Basilavecchia, M., Funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2013, 171 ss.).
Il co. 3 dell’art. 2 del d.lgs. n. 218/1997 dispone che «l’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione». Tuttavia, la concezione contrattuale ritiene l’atto comunque impugnabile anche per vizi desumibili dalle norme civilistiche sul contratto (Batistoni Ferrara, F., Accertamento, cit., 31). L’impugnazione potrebbe essere proposta in via incidentale sia da parte del contribuente, agendo per la restituzione dell’indebito (in senso contrario, v. Cass., 7.11.2012, n. 19220), sia da parte dell’ufficio, resistendo all’eventuale ricorso proposto contro l’atto di accertamento riemesso (Russo, P., Manuale, cit., 314). La concezione accertativa vede invece nella formula un concetto pressoché assoluto (Miccinesi, M., Accertamento con adesione e conciliazione giudiziale, in Commento agli interventi di riforma tributaria, a cura di M. Miccinesi, Padova, 1999, 22) parificabile a quello dell’atto impositivo non impugnato nei termini (Marello, E., Concordato, cit.; Cass., 30.4.2009, n. 10086 e Cass., 28.9.2005, n. 18962) e ritiene, quindi, che il naturale alveo della patologia dell’adesione sia quello dell’autotutela (così, La Rosa, S., Amministrazione finanziaria e giustizia tributaria, Torino, 2000, 181, che esclude l’applicabilità della disciplina civilistica della nullità, dell’annullabilità, della risoluzione delle transazioni; per un esame analitico delle invalidità dell’adesione, v. Marello, E., L’invalidità dell’accertamento con adesione, in Giust. trib., 2008, 438 ss.). La concezione compositiva, che considera costituzionalmente incoerente l’incipit del co. 3 dell’art. 2, osserva la tematica delle invalidità (e più in generale quella delle lacune) scomponendo l’accordo tributario in due elementi e distinguendo l’elemento formale(il veicolo), che avrebbe natura pubblicistica (e quindi sarebbe disciplinato dalle norme di quel settore) dall’elemento sostanziale (il contenuto), che avrebbe invece natura negoziale compositiva e quindi sarebbe disciplinato, per quanto non previsto e compatibile, dalle norme del codice civile (per l’analisi dei casi patologici, v. Versiglioni, M., op. cit., 24 ss.). Il co. 3 dell’art. 2 d.lgs. n. 218/1997 prevede, inoltre, che l’accertamento con adesione «non è integrabile e non è modificabile da parte dell’Ufficio» (per una nitida applicazione giurisprudenziale del principio, cfr., ex multis, Cass., sez. trib., 28.9.2005, n. 18962). Da un punto di vista dogmatico, questa è una delle più significative novità contenute nel d.lgs. n. 218/1997. Infatti, risalta la ratio compositiva dell’accordo tributario laddove il co. 3 generalizza il prevalere del principio pacta sunt servanda sul principio rebus sic stantibus. In realtà, il co. 4, in via di eccezione, ammette ‘accertamenti ulteriori’ (per questo concetto, e per le ragioni che lo distinguono da quello degli accertamenti integrativi o modificativi, vd. Versiglioni, M., Le «ragioni», cit., 47 ss.) giustificati sia dall’inesistenza di intersezioni logiche tra questioni «trattate» in adesione e questioni diverse «accertate» ulteriormente (cosa che si verifica se l’adesione ha avuto ad oggetto accertamenti parziali o comunque accertamenti derivati dal principio di trasparenza), sia da ragioni di giustizia fiscale di dimensioni eccedenti la ‘zona d’intangibilità limitata’ (cosa che accade se, dopo l’adesione, sopravviene la conoscenza di nuovi elementi in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito superiore al 50% del reddito definito e non inferiore a 150 milioni di lire). Un’interpretazione costituzionalmente orientata suggerisce di relegare tale zona all’ambito circostante il solo capo controverso (Versiglioni, M., Accordo, cit., 403 ss. e 521 ss.). D’altro canto, lo stesso legislatore, ampliando l’ambito di operatività dell’accertamento parziale, riduce l’efficacia dell’intangibilità (anche ponendo in disparte l’art. 5, co. 1-bis e l’art. 5 bis), potendosi dar vita ad accertamenti ulteriori sia quando l’accertamento definito con adesione può qualificarsi come parziale, sia quando ricorrono i casi espressamente previsti dalla legge (come quello degli accertamenti basati sugli studi di settore ex art. 70, co. 1, l. 21.11.2000, n. 342).
Nella stessa logica compositiva, gli artt. 46 e 48 del d.lgs. n. 546/1992, che regolano l’effetto estintivo del giudizio a seguito di conciliazione (ossia per cessazione della materia del contendere), rappresentano una novità nell’ordinamento tributario. Infatti, se era stato sempre pacifico che la definizione tramite concordato estinguesse la lite in atto, era però rimasto incerto in quali termini processuali tale estinzione si realizzava. Del resto, l’argomento involge quello, ancor più discusso, dell’individuazione dei poteri di controllo attribuibili al giudice, a sua volta solitamente trattato nell’ambito della più ampia problematica della rilevanza dei vizi degli atti e dei provvedimenti della procedura conciliativa. La mancata reiterazione delle norme del d.P.R. n. 592/1994 (concernenti sia la non impugnabilità dell’ordinanza che dichiara inammissibile la conciliazione, sia la trattazione definitiva delle questioni sull’ammissibilità della stessa nell’ambito del giudizio di merito) ha posto in evidenza gli effetti della possibile illegittimità del decreto o della sentenza che accolgano ovvero neghino l’accordo in sede giudiziale. In quest’ottica, si è notato come l’uno o l’altra possano presentare vizi e che, in tal caso, debba ammettersi un’autonoma impugnabilità. Le soluzioni prospettate condividono in genere la reclamabilità dinanzi al collegio del decreto e l’appellabilità della sentenza davanti alla commissione tributaria regionale; poi, però, divergono nelle conclusioni riguardo al caso della sentenza che, negata la conciliazione e deciso il merito, non viene poi condivisa in sede di appello (Miccinesi, M., Accertamento, cit., 24; Batistoni Ferrara, F., Conciliazione, cit., 238; Tosi, L., La conciliazione, cit., 922). Questo perché taluni autori tendono ad attribuire al giudice il ruolo di parte attiva dell’atto e di controllore anche del merito, specie con riguardo all’inesistenza di eventuali profili dispositivi (Miccinesi, M., op. cit., 24; Batistoni Ferrara F., op. cit., 232) mentre altri autori ne sottolineano, seppure con differente intensità, il potere di valutazione dei soli aspetti formali e procedurali (Russo, P., op. cit., 207-208; La Rosa, S., Amministrazione, cit., 179). D’altra parte, si riconosce che il giudice, se non ha alcun ruolo nella valutazione del merito dell’accordo (essendo a lui indisponibile la deliberazione compositiva su una questione controvertibile all’infinito che la legge rimette in tale fase solo alle parti), ha tuttavia un ruolo decisivo nella verifica dei presupposti della conciliazione, essendo a lui deputato il compito di verificare che nel caso concreto il tema controverso non sia né un tema accertabile in modo puntuale, né un tema accertabile entro limiti certi (Versiglioni, M., Le ragioni, cit., 38 ss.).
Con l’adesione le sanzioni pecuniarie si applicano nella misura di un terzo del minimo previsto dalla legge. Quest’effetto premiale non si estende, invece, né alle sanzioni applicate in sede di liquidazione e di controllo formale, né alle sanzioni concernenti l’incompleta o la non veritiera risposta alle richieste formulate dall’Ufficio. Per la conciliazione, è previsto invece che le sanzioni amministrative si applicano nella misura del 40% delle sanzioni irrogabili sul definito, fermo restando che non possono scendere al di sotto del 40% dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo. La ratio legislativa degli anni ’90 è stata quella, graduale, di prevedere effetti premiali tanto maggiori quanto più efficiente (ossia quanto più pronta) fosse la chiusura della controversia, potenziale o attuale. Tale ratio ha continuato a manifestarsi anche negli interventi più recenti, mediante i quali sono stati introdotti l’adesione all’invito e l’adesione al verbale. Altro effetto premiale correlato all’adesione (e a fortiori, all’acquiescenza) è la mancata considerazione delle sanzioni applicate in sede di adesione ai fini della recidiva (art. 7, co. 3, d.lgs. 18.12.1997, n. 472). Oltre alla riduzione delle sanzioni amministrative, adesione e conciliazione producono un effetto premiale anche sulle sanzioni penali. L’art. 13 del d.lgs. n. 74/2000, che ha eliminato l’incentivo di cui è scritto ancora nell’ultima parte del co. 3 del vigente art. 2, prevede, infatti, una riduzione della pena principale fino alla metà e la non applicazione delle pene accessorie. Non è più disposta, invece, la causa di estinzione del reato. Perché l’effetto di attenuante si realizzi, occorre che, sempre ai sensi del citato art. 13, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti siano stati estinti prima dell’apertura del dibattimento di primo grado. Inoltre, il comma 2 dell’art. 13 prevede che, oltre all’imposta, debbano essere pagate anche le sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme tributarie, sebbene non applicabili all’imputato a norma dell’art. 19, co. 1, d.lgs. n. 74/2000. Infine, il comma 3 dello stesso articolo prevede che della diminuzione di pena non si tiene conto ai fini della sostituzione della pena detentiva inflitta con la pena pecuniaria a norma dell’art. 53 della l. 24.11.1981, n. 689.
L’accertamento definito con adesione «non rileva ai fini extratributari, fatta eccezione per i contributi previdenziali e assistenziali la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi». Insomma, in una logica che sembra corroborare la concezione compositiva, l’accordo tributario non costituisce ex lege fatto di accertamento, ma è fatto di composizione, perciò irrilevante a fini diversi da quelli, esclusivamente tributari, di eliminazione della lite potenziale (o in atto). Tuttavia, è anche previsto (e ciò sembra conferire maggior forza alla concezione accertativa) che la differenza tra quanto dichiarato e quanto definito con l’accordo debba essere assoggettato a quella contribuzione previdenziale la cui base imponibile è ex lege riconducibile a quella delle imposte sui redditi (v. Tosi, L.-Lupi, R., Controversie previdenziali collegate ad accertamenti fiscali, in Dialoghi, 2009, 522 ss., per approfondimenti, v. Versiglioni, M., Accertamento, cit., 34).
L’insieme degli istituti con finalità deflattiva del contenzioso delinea un percorso che presenta innumerevoli varianti contrassegnate da preclusioni e/o da graduazioni del profilo premiale. A parte strumenti collaterali, l’adesione e la conciliazione offrono molteplici ‘bivi decisionali’ rispetto ai quali il contribuente e il funzionario devono scegliere (il più delle volte in modo irreversibile) la strada più opportuna da seguire. È dunque centrale il contradditorio o almeno l’incontro fisco-contribuente, al punto che, all’uopo, l’istanza di adesione implica la sospensione di novanta giorni ‒ oltre al periodo feriale ‒ del termine di impugnazione (v. C. cost., 6.4.2011, n. 140). Così, è dibattuto il tema della obbligatorietà di esso. Sia la concezione accertativa sia la concezione contrattuale si esprimono per lo più in termini generali, come del resto fa la giurisprudenza (v. Cass., 30.12.2009, n. 28051); viene rilevato che in capo all’Amministrazione non sussista un obbligo, bensì una mera facoltà di convocare il contribuente anche laddove questi abbia presentato l’istanza di adesione (cfr. Russo, P., op. cit., 332; Cass., 30.10.2013, n. 24435). In definitiva, non sarebbe possibile far valere in sede contenziosa la mancata convocazione quale vizio inficiante l’atto di accertamento originariamente ricevuto, trattandosi, semmai, di mera irregolarità (Marello, E., L’invalidità, cit., 442-443; Cass., 5.12.2012, n. 21760, Cass., 27.4.2012, n. 6539). La concezione compositiva, mentre dà atto della (costituzionalmente corretta) mancanza di norme che impongano un obbligo generalizzato di attivazione del contraddittorio che prescinda dalla natura del tema controverso, ritiene invece esistenti norme logiche e giuridiche che impongano un obbligo generalizzato di contraddittorio nei casi dell’indisponibilità rovesciata (ossia, se i temi controversi sono controvertibili all’infinito). In tali casi, infatti, l’incontro sarebbe implicitamente necessitato dal dovere di ‘efficienza consensuale’, vale a dire dal dovere di valutare “al meglio” i rischi connessi alle ipotesi di soccombenza in giudizio. In definitiva, qui il contraddittorio costituirebbe il cruciale e necessario punto di snodo per procedere congiuntamente, mediante concessioni reciproche rispetto alle iniziali pretese, sulla scorta delle conoscenze acquisite con la diligenza dovuta e secondo buona fede, lealtà e correttezza, verso la composizione che costituisca il male minore. Così, diviene logico considerare gli incontri dialettici tra ufficio e contribuente quali trattative sul grado di sostenibilità della pretesa del fisco da tradurre in verbalizzazioni ‘meramente trasparenti’, come tali, non idonee a dotare di efficacia confessoria, per assenza della massima di comune esperienza, le dichiarazioni rese dalle parti solo al fine di trovare un componimento (in tal senso, Versiglioni, M., Accordo, cit., 478 ss.; con riferimento alla valenza non confessoria delle dichiarazioni di parte, vd. anche Ragucci, G., Il contraddittorio nei procedimenti tributari, Milano, 2009, 248). In senso opposto, i sostenitori della concezione accertativa; per tutti, v. Marello, E., Accertamento, cit., 147; in argomento, v. Cass., 28.4.2014, n. 9326).
Adesione e conciliazione si concretizzano mediante atti aventi necessariamente forma scritta sottoscritti dalle parti (Cass., 28.6.2006, n. 14945 ha ritenuto nullo un atto di accertamento con adesione sottoscritto dal solo rappresentante del contribuente, ancorché seguito dal versamento delle somme in esso indicate; per la nullità della definizione concordata per carenza di forma scritta e per assenza di sottoscrizione v., fra gli altri, Marello, E., L’invalidità, cit., 440 ss.; Versiglioni, M., Accordo, cit., 530, nota n. 241). Quanto al contenuto dell’atto di adesione gli essenziali requisiti sono: l’indicazione degli elementi di fatto e di diritto su cui la definizione si fonda; la liquidazione della/e maggiore/i imposta/e dovuta/e, con relativi interessi e sanzioni; la liquidazione delle altre somme eventualmente dovute, compresi i contributi di natura previdenziale; la/le motivazione/i su cui la definizione si fonda. L’atto di definizione/conciliazione deve contenere l’analitica indicazione di tutte le conoscenze sulla cui scorta ha preso avvio la procedura e si è svolto il confronto dialettico fra le parti, e sul cui fondamento si asside, presupponendole, la definizione concordata (per la tesi che esclude tali elementi, di per sé considerati, dal novero dei “fatti di accertamento”, riconducendoli invece alla categoria dei ‘fatti di mera conoscenza’ ‒ cioè dei fatti logici, ma non congetturali, e quindi, per quanto qui particolarmente interessa, inidonei a riversare in seno alla procedura di adesione effetti propriamente accertativi, ferma restando la loro propedeuticità logico-giuridica ai fini della deliberazione raggiunta dalle parti sulla base di ben diversi criteri di ‘efficienza consensuale’, si veda, Versiglioni, M., Accertamento, cit., 85 ss. Per la diversa impostazione, v. Marello, E., Concordato, cit., 6 ss. e 11 ss.). È opinione comune che l’obbligo di motivazione non sia funzionalizzato all’eventuale esercizio del diritto di difesa da parte del contribuente (il profilo è ben evidenziato da Miccinesi, M., Accertamento, cit., 20). In definitiva, le funzioni precipue e peculiari della ‘motivazione trasparente’ sarebbe almeno due: a) quella di rendere intellegibili, e quindi vagliabili alla stregua delle norme che regolano le responsabilità dei dipendenti dell’Amministrazione Finanziaria, le ragioni della deliberazione, rendendo possibili sia il controllo di legittimità sul metodo (ossia sul dovere, conseguente all’essere quello controverso un tema controvertibile all’infinito, di cercare al meglio una soluzione consensuale, a prescindere dal fatto che, poi, l’accordo si concluda o no), sia il controllo di efficienza sul merito della scelta concernente l’an ed il quantum dell’accordo o del tentativo di accordo; b) quella di “fissare” ‒ nell’ottica della validità/invalidità di eventuali atti successivi all’adesione ‒ gli effettivi contenuti dei presupposti di legittimità dell’ulteriore azione accertatrice, con ciò confermando la logica di tipo negoziale che vedrebbe gli effetti normalmente correlati all’oggetto di quanto convenuto, vale a dire, al caput controversum; (in ordine alle ragioni della deliberazione ‒ id est: la motivazione ‒, Versiglioni, M., Le «ragioni», cit., 34 ss., ed ivi riferimenti bibliografici pro e contra).
L’adesione si perfeziona solo con il versamento dell’intero importo risultante dall’atto, ovvero, in caso di rateizzazione, con il versamento della prima rata e con la prestazione della idonea garanzia. Adempimenti, questi, che il contribuente deve effettuare nel termine perentorio di venti giorni decorrenti dalla data di redazione dell’atto di adesione(per una nitida applicazione del principio, in giurisprudenza, cfr. Cass., 30.5.2012, n. 862 e Cass., 2.10.2013; n. 22510; in senso difforme, v. Comm. trib. reg. Bari, 30.9.2011, n. 103, con nota critica di M. Versiglioni, in GT ‒ Riv. giur. trib., 2012, 2, 157). Analoga è la disciplina prevista per la conciliazione (tra le altre v. Cass., 13.2.2009, n. 3560; Cass., 27.1.2012, n.1171 e Cass., 15.11.2013, 25683). La previsione del pagamento quale condizione necessaria per il perfezionamento ostacola la ricostruzione in terminiaccertativi e consolida invece la concezione compositiva. In effetti, se il mancato adempimento implica il riespandersi per l’Ufficio della propria libertà di azione (Cass., 31.5.2013, n.13570), ciò implica che la funzione del consenso raggiunto dalle parti non è accertare la realtà predeterminata dal diritto (come imporrebbe il dogma tradizionale dell’indisponibilità) ma concorrere ‒ insieme con il pagamento ‒ a comporre una controversia sorta su una realtà non predeterminata dal diritto (come impone l’indisponibilità rovesciata). Così, si esaltano l’opportunità e la coerenza logico-sistematica delle disposizioni dalle quali si ricava sia l’estraneità del giudice rispetto al merito della conciliazione raggiunta dalle parti (v. C. cost., 24.10.2000, n. 431, Cass., 18.4.2007, n. 9222), sia il carattere quasi reale, ad effetti reali, della transigendi causa ‒ idoneo a superare il vaglio dell’art. 23 Cost. e, al contempo, idoneo a rendere manifestamente superfluo lo schema della transazione novativa ‒ (cfr. Versiglioni, M., Accordo, cit., 513 ss.; nel senso non novativo, tra le altre, v. Cass., 13.2.2009, n. 3560).
Accanto all’adesione sin qui osservata, il legislatore, nel 2008, ha posto l’adesione all’invito e l’adesione al verbale. La prima si innesta nella procedura di adesione avviata ad iniziativa degli Uffici Finanziari che possono inviare al contribuente un invito a comparire nel quale devono essere indicati i periodi d’imposta o gli atti suscettibili di accertamento, il giorno ed il luogo della comparizione per addivenire, in contraddittorio, alla definizione concordata, nonché ‒ proprio in virtù della novella del 2008 ‒ le maggiori imposte, ritenute, contributi, sanzioni ed interessi dovuti in caso di adesione immediata al predetto invito, con espressa menzione, altresì, dei motivi che hanno dato luogo alla determinazione delle maggiori imposte, ritenute e contributi medesimi. Tutto è finalizzato a suscitare nel contribuente piena contezza dei presupposti, in fatto e in diritto, su cui si fonda la possibile pretesa fiscale oggetto dell’invito, consentendogli così una serena e consapevole valutazione circa l’opportunità di definire l’accertamento in via ordinaria (“adesione ordinaria”), ovvero di anticipare la definizione aderendo ai contenuti dell’invito (“adesione all’invito”). Naturalmente, il contribuente può anche decidere di restare inerte ma non potrà più accedere, per la medesima situazione, all’adesione ordinaria. L’altro tipo di adesione (“adesione al verbale”) è possibile in caso di ricevimento di un processo verbale nel quale si constatano violazioni sostanziali concernenti le imposte sui redditi e/o l’imposta sul valore aggiunto; il contribuente può prestarvi adesione, a condizione, però, che il verbale consenta l’emissione di un accertamento parziale. Perciò, presupposto di validità del nuovo accordo è la cd. ‘parzializzabilità’ del tema controverso. Anche qui l’adesione deve avere ad oggetto il contenutointegrale del verbale di constatazione, salvi, ovviamente, gli eventuali errori di calcolo in esso presenti, e ferma l’esclusione dei fatti e degli elementi che non integrano violazioni sostanziali o che costituiscono mere “segnalazioni” indirizzate al competente ufficio accertatore. Le nuove adesioni godono di un più intenso effetto premiale costituito dall’abbattimento delle sanzioni pari al 50% della misura già prevista per l’adesione ordinaria. Inoltre essi, in quanto avulsi dalla trattativa e dall’aliquid datum, aliquid retentum, sembrano avere una natura giuridica analoga a quella dell’acquiescenza e quindi sembrano riconducibili alla tipologia degli accordi amministrativi tributari di tipo accertativo (per l’eventuale approfondimento, v., Versiglioni, M., Accertamento, cit., 48 ss.; Basilavecchia, M., Nuove forme di definizione dell’accertamento, in Corr. trib., 2009, 656; Pierro, M., I nuovi modelli di definizione anticipata del rapporto fiscale (adesione al verbale e all’invito) in Rass. trib., 2009, 973).
La disciplina della conciliazione, sulla premessa unitaria che la stessa non possa avvenire oltre la prima udienza, prevede poi tre diverse tipologie (v. Cass., 13.2.2009, n. 3560; per una classificazione in due categorie, v. Tosi, L., La conciliazione, cit., 900 ss.; Russo, P., Il processo, cit., 199-200; Basilavecchia, M, Funzione, cit., 172). Le tre tipologie sono strutturate a seconda che la stessa avvenga fuori dell’udienza o in udienza e, in quest’ultimo caso, a seconda che si concretizzi per effetto del tentativo operato dal giudice o per effetto della proposta che almeno una delle parti abbia depositato presso la segreteria della commissione prima dell’udienza o formulato nel corso di questa. La conciliazione fuori dell’udienza è del tutto simile all’adesione. Infatti, essa si concreta tramite deposito, presso la segreteria della commissione tributaria, di una proposta dell’ufficio cui il contribuente abbia previamente aderito. La conciliazione in udienza si presenta, invece, con uno schema veramente inedito per il diritto tributario, che sembrerebbe in sintonia con quello, corrispondente, del rito civile. In effetti, oltre che dal giudice, la conciliazione può essere tentata da ciascuna delle parti; queste, anzi, hanno la facoltà di attuare la proposta anche prima dell’udienza, divenendo in tal caso necessario adottare solo alcune varianti procedurali sugli atti da compiere.
Artt. 1-15, d.lgs. 19.6.1997, n. 218; artt. 17 bis e 48, d.lgs. 31.12.1992, n. 546.
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