Accertamento e contraddittorio endoprocedimentale
Il dibattito circa la sussistenza di un principio di contraddittorio endoprocedimentale immanente al sistema tributario nazionale (volto a scandire la legittimità dell’attività accertativa dell’amministrazione finanziaria), il suo concreto atteggiarsi e gli effetti della sua inosservanza, ha trovato approdo nella giurisprudenza delle Sezioni Unite, che, partendo dalla problematica dell’applicabilità dell’art. 12, co. 7, l. 27.7.2000, n. 212 ai cd. accertamenti a tavolino, ha risolto in
senso negativo la questione per i tributi non armonizzati, sottolineando opposte emergenze rivenienti dal diritto dell’UE, che riconosce il principio del contraddittorio sostanziale e generalizzato di diretta applicazione, in sede nazionale, ai tributi armonizzati. Il tema tuttavia non è ancora cristallizzato per l’incidenza dell’attuazione della l. 11.3.2014, n. 23, e per il prossimo esame da parte di C. cost. e C. giust.
3. I profili problematici 3.1 Le questioni di costituzionalità e pregiudiziale
Il legislatore, nel disciplinare, con l’art. 12, co. 7, l. 27.7.2000, n. 212, i diritti e le garanzie del contribuente sottoposto ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove questi esercita l’attività imprenditoriale o professionale, ha previsto al co. 7 un procedimento dell’attività accertativa (formazione di un verbale di chiusura delle operazioni; rilascio di copia del medesimo al contribuente; facoltà del contribuente di comunicare osservazioni e richieste e corrispondente dovere dell’Ufficio di valutarle; divieto per l’Ufficio di emettere avviso di accertamento prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio di copia del verbale, salva la ricorrenza di particolare e motivata urgenza) che si basa, da un lato, sul dovere dell’Amministrazione di informare tempestivamente il contribuente dei risultati della verifica fiscale, ove non ricorrano motivate ragioni di urgenza; dall’altro, sulla facoltà di interlocuzione da parte del contribuente, da esercitarsi entro il termine dilatorio predeterminato (sessanta giorni), preliminare all’emissione dell’atto impositivo.
La disposizione, improntata al principio di collaborazione tra le parti del rapporto tributario, non contempla un’espressa sanzione per il caso di inosservanza.
In proposito giova ricordare che C. cost., ord., 24.7.2009, n. 244 aveva dichiarato manifestamente inammissibile la questione di costituzionalità sulla considerazione che il rimettente, nel lamentare che la disposizione censurata non era assistita da alcuna sanzione di invalidità, aveva tuttavia omesso di prendere in considerazione, in relazione allo specifico obbligo di motivare anche sotto il profilo dell’urgenza l’avviso di accertamento emanato ante tempus, il combinato disposto delle norme che stabiliscono l’invalidità dell’atto amministrativo non motivato (art. 7, co. 1, l. n. 212/2000, e artt. 3 e 21septies, l. 7.8.1990, n. 241) e di quelle specifiche dettate per l’accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA (artt. 42, co. 2 e 3, d.P.R. 29.9.1973, n. 600, e 56, co. 5, d.P.R., 26.10.1972, n. 633).
Nell’occasione la Consulta aveva anche rilevato l’inconferenza degli evocati artt. 24 e 111 Cost. sulla considerazione che la norma censurata, diretta a regolare il procedimento di accertamento tributario, non aveva natura processuale ed era quindi estranea all’ambito di applicazione dei suddetti parametri.
Sulla spinta del dibattito, molto vivace sul punto, Cass., S.U., 29.7.2013, n. 18184, colmando in via interpretativa la prospettata lacuna normativa, ha sancito che l’inosservanza del termine dilatorio determina, di per sé, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso a seguito di verifiche fiscali con accesso ai luoghi dell’impresa, in assenza di motivate ragioni di urgenza1. Ha tuttavia ritenuto (in implicito parziale contrasto con la pronuncia della C. cost.) che l’accertamento emesso ante tempus sia legittimo ove l’urgenza sussista, ancorché non sia stata esplicitata nell’atto.
Tale pronunzia non ha tuttavia esaurito i temi controversi, focalizzatisi sulla possibile estensione applicativa della norma agli accertamenti conseguenti ad altri tipi di verifica fiscale e, in particolare, agli accertamenti derivanti dalle cd. verifiche a tavolino, cioè effettuate presso la sede dell’Ufficio finanziario, in base alle notizie acquisite da altre pubbliche amministrazioni, da terzi, ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio. Partendo da quest’ultima fattispecie, Cass., S.U., 9.12.2015, n. 248232, ha affrontato la questione della ricorrenza di un obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale nel diritto nazionale e, all’esito di un ampio percorso argomentativo, l’ha risolta negativamente, affermando il principio che «Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto».
La Cassazione è pervenuta a tale conclusione esaminando l’evoluzione giurisprudenziale nazionale e unionale, nonché la normativa vigente ratione temporis, con argomenti che è qui interessante ripercorrere nelle linee principali. Va poi valutata l’incidenza, sul punto, dell’attuazione della l. delega, 11.3.2014, n. 23.
La decisione in esame ha preso avvio dalla sentenza a S.U. n. 18184/2013, rimarcando che questa aveva ricondotto l’illegittimità dell’atto impositivo non già alla violazione di un generale principio del contraddittorio, ma alla considerazione che la sanzione dell’invalidità dell’atto conclusivo, adottato senza l’osservanza delle prescrizioni, pur non espressamente prevista, scaturiva dalla circostanza che la violazione procedimentale si risolveva in un’intollerabile deviazione dal modello normativo perentoriamente prescritto. Passando, quindi, a considerare le sentenze gemelle delle S.U., 18.9.2014, n. 19667 e n. 19668, che per la prima volta avevano evocato l’esistenza di principio generale di contraddittorio endoprocedimentale, immanente all’ordinamento anche per derivazione comunitaria, indipendentemente da una specifica previsione normativa positiva, ne ha escluso l’efficacia espansiva perché oggetto di quel giudizio era non un atto di accertamento, ma l’iscrizione ipotecaria di cui all’art. 77 del d.P.R. 29.9.1973, n. 602, rientrante nella fase della riscossione tributaria, per la quale il tema dell’assenza di contraddittorio si poneva soprattutto per la fase successiva al perfezionamento dell’atto impositivo. Ha quindi sottolineato che le pronunce sul contraddittorio necessario in merito ai cd. accertamenti standardizzati, fondati sui parametri di cui alla l. 28.12.1995, n. 549, art. 3, co. 181 e ss., o sugli studi di settore (Cass., S.U., 18.12.2009, n. 26635; Cass., 4.4.2014, n. 7960) erano pervenute a tale conclusione in ragione delle specifiche caratteristiche di detti accertamenti e non già supponendo la vigenza di una clausola generale.
Ulteriore argomento è stato desunto dalle sentenze secondo cui, in tema di imposte dirette (regolate dal solo diritto nazionale), l’obbligo del contraddittorio, sancito per gli accertamenti fondati sulle ipotesi di abuso di diritto nominativamente contemplate dall’allora vigente art. 37 bis, co. 4, del d.P.R. n. 600/1973, doveva ritenersi operante anche in relazione agli accertamenti basati su fattispecie atipiche (ex multis, Cass., 5.12.2014, n. 25759; Cass.,14.1.2015, n. 406), in applicazione del principio di eguaglianza ed in base al rilievo che le differenti ipotesi di abuso non si distinguono da quelle di matrice comunitaria. Quindi, è stato rammentato che le numerose decisioni (Cass., 21.1.2015, n. 961; Cass., 21.1.2015, n. 992; Cass., 29.7.2015, n. 16036) intervenute su controversie aventi a oggetto l’IVA e, dunque, un tributo armonizzato, avevano ritenuto, in tale ambito, operante la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, quale principio immanente nell’ordinamento europeo nell’accezione sostanzialisticamente restrittiva, di cui alla più recente giurisprudenza della C. giust.
È stato anche segnalato che C. cost., 26.5.2015, n. 132, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 bis, co. 4, del d.P.R. n. 600/1973, prospettata in tema di operazioni elusive, aveva precisato di non prendere posizione sul tema dell’esistenza di una clausola generale di contraddittorio.
Sul piano normativo, la valorizzazione del dato testuale dell’art. 12, co. 7, della l. n. 212/2000 è stata accompagnata dalla considerazione che la l. n. 241/1990 − nel regolare, al capo terzo, la «partecipazione al procedimento amministrativo» − esclude espressamente la propria applicabilità ai «procedimenti tributari, per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano» (art. 13, co. 2, l. n. 241/1990) e che a tale previsione corrisponde una normativa tributaria nel cui ambito non si rinviene alcuna disposizione che sancisca in via generale l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale e ne possa essere considerata la fonte.
Vi sono invece svariate disposizioni che tale contraddittorio prescrivono, a condizioni e con modalità ed effetti differenti ed in rapporto a specifiche fattispecie: tra le altre, l’obbligo del contraddittorio in tema di accertamento sintetico, introdotto dal d.l. 31.5.2010, n. 78, art. 22, co. 1, conv. dalla l. 30.7.2010, n. 122; in materia doganale, l’obbligo del contraddittorio anche per l’ipotesi di revisione eseguita in ufficio, e quindi, di accertamento cd. a tavolino, introdotto al fine di adeguare la disciplina nazionale in materia doganale a quella europea, con l’aggiunta del co. 4-bis all’art. 11 del d.lgs. 8.11.1990, n. 374 (in forza del d.l. 24.1.2012, n. 1, conv. con mod. dalla l. 24.3.2012, n. 27).
Ha, quindi, escluso che l’esistenza di un siffatto obbligo in campo tributario possa essere direttamente ancorato agli artt. 24 e 97 Cost., attenendo le garanzie dettate nel primo all’ambito giudiziale, e non ravvisandosi nel secondo alcun indice rivelatore dell’indefettibilità del contraddittorio preventivo. 2.2. Cass. n. 24823/2015 e il diritto dell’UE Rilievo centrale assume, nella medesima pronuncia, la disamina delle rilevanti differenze tra la disciplina unionale e quella nazionale sul tema.
La S.C., dopo aver premesso che, a differenza di quanto accade nell’ordinamento nazionale, nell’ordinamento unionale esiste un obbligo generalizzato di contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo, non escluso quello tributario, sancito da numerose sentenze e codificato nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (avente il medesimo valore giuridico dei trattati a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, cioè dal 1°.12.2009), ha sottolineato che, in coerenza con il successivo art. 51, le medesime disposizioni si applicano agli Stati membri esclusivamente ai fini dell’attuazione del diritto dell’Unione, atteso che la Carta non estende l’ambito di applicazione al di là delle sue competenze.
Ha quindi chiarito che il principio dell’obbligatorietà del contraddittorio di matrice unionale non si connota in termini assoluti e puramente formali: in particolare non investe l’attività d’indagine e di acquisizione degli elementi probatori (C. giust., 22.10.2013, C-276/12, Jiří Sabou c. Finanční ředitelství pro hlavní město Prahu, p. 41); può essere soddisfatto anche dalla possibilità di un’audizione successiva, effettuata in esito all’impugnazione del provvedimento sfavorevole, alla condizione che l’interessato possa ottenere in via automatica la sospensione del provvedimento. Soprattutto, la violazione del diritto ad essere sentito prima dell’adozione del provvedimento lesivo comporta l’annullamento dell’atto solo se, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento «avrebbe potuto comportare un risultato diverso» (C. giust., 3.7.2014, C-129 e C-130/2013, Kamino e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV c. Staatssecretaris van Financiën, p. 78-82).
Questi principi sono di diretta applicazione ai tributi armonizzati, a differenza di quanto accade per i tributi non rientranti nel campo del diritto dell’Unione europea.
La S.C. ha, inoltre, sottolineato che nel campo dei tributi armonizzati − al di fuori delle specifiche ipotesi, per le quali l’obbligo del contraddittorio è espressamente sancito anche dal diritto nazionale nel rispetto dei principi di «equivalenza» e di «effettività» (C. giust. C-129/13 e C-130/13, p. 82) – opera la clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale di matrice unionale, sanzionata, in caso di violazione, con la nullità del conclusivo atto impositivo:
secondo la S.C., tuttavia, nell’uno e nell’altro caso, il principio opera nella misura in cui, in mancanza di violazione dell’obbligo, il procedimento «avrebbe potuto comportare un risultato diverso», in senso sostanziale e non formale. In proposito ha precisato che la limitazione della rilevanza della violazione dell’obbligo del contraddittorio va intesa nel senso che la nullità dell’accertamento si verifica quando, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in un puro simulacro, fondato su elementi fittizi o strumentali.
Ne trae, quindi la conseguenza che il contribuente che intende far valere il difetto di contraddittorio non può limitarsi ad una eccezione formalistica, ma ha l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, dimostrando la non pretestuosità dell’eccezione.
La sentenza si chiude ribadendo la differenza tra i regimi giuridici nazionale e unionale ed auspicando una uniformazione normativa, anche in via di attuazione della legge delega.
Invero con la l. n. 23/2014 il legislatore, nel fissare i principi e i criteri direttivi della sua attuazione, aveva individuato, tra gli obiettivi primari da perseguire, l’incremento del contraddittorio anticipato tra Amministrazione finanziaria e contribuente e, segnatamente: l’agevolazione della comunicazione tra le parti, in un quadro di reciproca e leale collaborazione, da perseguire anche mediante «la previsione di forme di contraddittorio propedeutiche all’adozione degli atti di accertamento dei tributi» (art. 1, co. 1, lett. b); il rafforzamento dell’attività conoscitiva e di controllo dell’Amministrazione, conseguibile anche con il «rafforzare il contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale» (art. 9, co. 1, lett. b); il «rafforzamento e [la] razionalizzazione dell’istituto della conciliazione nel processo tributario, anche a fini di deflazione del contenzioso e di coordinamento con la disciplina del contraddittorio fra il contribuente e l’amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo, con particolare riguardo ai contribuenti nei confronti dei quali sono configurate violazioni di minore entità» (art. 10, co. 1, lett. a).
Questi obiettivi apparivano, inoltre, in stretta correlazione con la finalità di assicurare la coerenza e la tendenziale uniformità dei poteri in materia tributaria e delle forme e modalità del loro esercizio, attraverso «la definizione di una disciplina unitaria della struttura, efficacia ed invalidità degli atti dell’amministrazione finanziaria e dei contribuenti» (art. 1, co.1, lett. c).
Orbene, in questo quadro, il contraddittorio endoprocedimentale era uno dei possibili strumenti cui ricorrere per realizzare l’ambizioso progetto, ma la sua collocazione non assurgeva a quella di principio cardine del sistema; con l’eccezione della disciplina della repressione dell’abuso del diritto, per la quale la delega imponeva di: «prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l’amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario» (art. 5, co. 1, lett. f).
Nell’ambito dei decreti attuativi possono essere enucleati i seguenti punti, pertinenti al tema.
A) Con l’art. 6, co. 2, lett. c), del d.lgs. 21.11.2014, n. 175, è stata integrata la modalità di esecuzione dei controlli formali di cui all’art. 36 ter del d.P.R. n. 633/1972, dettata per le dichiarazioni dei redditi presentate avvalendosi dell’assistenza fiscale ed accompagnate dal visto di conformità. In particolare è stato introdotto, in sostanziale analogia con quanto previsto per le dichiarazioni presentate dal contribuente, un contraddittorio anticipato, giacché, ai fini della verifica del visto di conformità l’Agenzia delle entrate deve provvedere a richiedere documenti e chiarimenti relativi alla dichiarazione dei redditi al soggetto responsabile dell’assistenza fiscale, che deve trasmetterli all’Amministrazione entro sessanta giorni; quindi l’Agenzia deve inviare un’ulteriore comunicazione dell’esito del controllo − prima della emissione della cartella di pagamento − sempre al soggetto responsabile dell’assistenza fiscale per consentire anche la segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di controllo del visto di conformità entro i sessanta giorni successivi al ricevimento della comunicazione. Il legislatore, però, non ha indicato quale effetto derivi per l’Amministrazione dalla mancata richiesta di chiarimenti e dalla mancata comunicazione preventiva rispetto alla riscossione coattiva. È utile ricordare che – con riferimento alla previsione contenuta nell’art. 36 ter, co. 4, del d.P.R. n. 600/1973 − Cass., 4.7.2014, n. 15311 (ex multis), basandosi sulla ritenuta diversità rispetto alla liquidazione effettuata ai sensi del precedente art. 36 bis, ha ritenuto nulla (anche in difetto di espressa previsione di nullità) la cartella di pagamento non preceduta dalla comunicazione dell’esito del controllo, in quanto tale comunicazione assolve ad una funzione di garanzia e realizza la necessaria interlocuzione tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente prima dell’iscrizione al ruolo.
B) Con l’art. 1, d.lgs. 5.8.2015, n. 128 è stato introdotto nella l. n. 212/2000 l’art.10 bis, che ha ridisciplinato in toto l’abuso del diritto3. Per quanto di interesse, nel disegnare il procedimento accertativo dell’abuso, il citato art.10 bis, commi da 6 a 8, della l. n. 212/2000, prevede che l’atto impositivo sia preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, nella quale devono essere indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto; l’ordinario termine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è prorogato sino a sessanta giorni successivi alla ricezione dei chiarimenti o all’inutile decorso del termine per fornirli. Va rimarcato che è comminata la nullità per l’atto impositivo non specificamente motivato in relazione sia agli elementi costitutivi della condotta abusiva, sia ai chiarimenti forniti dal contribuente.
In tal modo, la novella supera la diversità prima esistente tra le modalità di accertamento previste per le ipotesi di abuso, a seconda che fossero state o no tipizzate (sulla quale era stata interpellata la C. cost. che, con la sentenza n. 132/2015, aveva dichiarato non fondata la questione), e recepisce la più recente pronuncia della C. di legittimità, che ha ritenuto sempre necessario il contraddittorio anticipato in caso di contestazione di condotte elusive (Cass. n. 25759/2014 e n. 406/2015).
C) Con l’art. 1, co. 2, d.lgs. 14.9.2015, n. 147, è stato introdotto l’art. 31 ter del d.P.R. n. 600/1973, che disciplina la possibilità di «accordi preventivi» tra le imprese con attività internazionale ed il fisco. In particolare, rientra nel possibile contenuto dell’accordo, la determinazione in contraddittorio del metodo di calcolo del valore normale da applicare nell’ambito della disciplina per la repressione del transfer pricing e per il computo delle attività e delle passività degli imprenditori commerciali in caso di trasferimento della residenza da o verso l’estero.
Nel periodo di vigenza dell’accordo l’Amministrazione può esercitare i poteri di cui agli artt. 32 e ss. del d.P.R. n. 600/1973 solo in relazione a questioni diverse da quelle oggetto dell’accordo. Il precetto non appare, però, corredato da esplicita sanzione.
D) Con il d.lgs. 24.9.2015, n. 156, il legislatore ha sostituito l’art. 11 della l. n. 212/2000 e riscritto la disciplina degli «interpelli». A pena di nullità, l’atto di accertamento successivo alla risposta ad interpello, avente ad oggetto deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo, deve essere preceduto, prima dello spirare del termine di decadenza per la notifica dell’atto impositivo, dalla notifica a cura dell’Amministrazione di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni (art. 6, co. 2, del d.lgs. n. 156/2015). La disciplina, molto articolata, prevede anche la possibilità di una proroga in deroga del termine per la notifica dell’atto impositivo fino ad un massimo di sessanta giorni (analogamente all’ipotesi di abuso del diritto indicata sub B). Anche in questo caso, l’attività dell’Amministrazione è sanzionata dalla nullità dell’atto impositivo, qualora questo non sia stato specificamente motivato sui chiarimenti forniti dal contribuente.
In conclusione, dall’esame dei decreti attuativi emerge la valorizzazione del contraddittorio endoprocedimentale: nella maggior parte dei casi, ciò avviene introducendo la richiesta di chiarimenti, con una connotazione maggiormente collaborativa e sostanziale, e non semplicemente fissando un termine dilatorio entro il quale il contribuente può far valere le sue ragioni. Tuttavia non è stata approntata una disciplina uniforme, sotto il profilo delle modalità di svolgimento, dei tempi e delle conseguenze della mancata osservanza delle disposizioni da parte dell’Amministrazione.
Implementando una casistica differenziata, il legislatore non sembra aver colto l’occasione per fare chiarezza sul tema, anche alla luce della disciplina europea improntata a criteri sostanzialistici, e ciò nonostante l’ampio spazio operativo concesso dalla trama dei principi e dei criteri della legge delega.
Le opzioni normative sul contraddittorio appaiono, infatti, molto diversificate e le pronunce della S.C. non appaiono tutte recepite o, comunque, considerate: in particolare, nessun intervento ha riguardato l’art. 12, co. 7, della l. n. 212/2000.
Come si è sopra sottolineato, Cass., S.U., n. 24823/2015 ha segnalato con chiarezza l’ampia ed articolata differenza tra il diritto interno ed il diritto unionale ed ha invano auspicato una soluzione normativa uniforme.
Invero i due sistemi, pur non inconciliabili, incontrano momenti di frizione che possono dar adito a difficoltà applicative: la differenza, infatti, riguarda non solo l’immanenza del principio del contraddittorio tra Amministrazione e contribuente ma, anche e soprattutto, l’opzione unionale per un contraddittorio di natura sostanziale piuttosto che formale, nel senso che la sanzione di nullità per inosservanza del previo contraddittorio deriva dalla dimostrazione che il contribuente avrebbe potuto in concreto prospettare efficaci elementi di difesa. Detta differenza può avere ricadute problematiche, laddove l’attività accertativa sia stata svolta per una pluralità di tributi, armonizzati e non, con possibilità di errori o equivoci nel rapporto tra contribuente ed Amministrazione e con differenti conseguenze sulla legittimità dell’attività accertativa; in una prima applicazione dei principi di cui alla sentenza S.U. n. 24823/2015 – salvo verifica degli ulteriori sviluppi giurisprudenziali −, Cass., 30.12.2015, n. 26117, ha ritenuto la doglianza circa il difetto del contraddittorio: a) infondata per i tributi non armonizzati, per assenza di previsione normativa interna; b) inammissibile per i tributi armonizzati, perché il contribuente non aveva assolto l’onere di enunciare le concrete ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio anticipato.
Sono indicative delle perduranti difficoltà applicative la questione di legittimità costituzionale sollevata da C.T.R. Toscana, ord. 18.1.2016 (G.U., 29.6.2016, n. 26) e la questione pregiudiziale rimessa alla C. giust. da Cass., ord. 6.5.2016, n. 9278.
La C.T.R., partendo dalle conclusioni di cui alla sentenza n. 24823/2015 di inesistenza nel sistema tributario nazionale di un principio generalizzato di contraddittorio procedimentale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, l. n. 212/2000, in quanto tale norma garantisce un previo contraddittorio solo per i contribuenti sottoposti a verifiche o accessi. Nel considerare che il processo tributario è caratterizzato dalla sostanziale assenza di una fase istruttoria da parte di un giudice terzo o in contraddittorio, ha sostenuto che il contraddittorio endoprocedimentale dovrebbe avere la funzione di garantire il diritto di difesa nel rispetto dell’art. 24 Cost., in modo da assicurare la condizione di parità delle parti processuali e la “giustizia” del processo.
Ha prospettato quindi un effetto irragionevolmente discriminatorio nell’applicazione dell’art. 12, co. 7, in quanto limitata ai soli accertamenti conseguenti a verifiche in loco, dato che tale previsione non tiene conto di tutte le possibili circostanze di fatto in ragione delle quali l’Amministrazione sia venuta in possesso della documentazione, non sempre riconducibile direttamente al contribuente, e sulla scorta della quale ha emanato l’avviso.
In attesa della decisione della C. cost., va però segnalato che Cass., 8.4.2016, n. 6966, e Cass., 4.4.2016, n. 6527, hanno escluso di poter sollevare la questione di costituzionalità.
Anche la citata ordinanza di rinvio pregiudiziale, pur relativa a diritti armonizzati, è espressione di una certa difficoltà di coordinamento attuativo ed interpretativo tra i principi unionali in tema di contraddittorio ed il sistema tributario nazionale.
Con essa, che ha preso in esame una fattispecie regolata dalla disciplina vigente anteriormente alla introduzione, nell’art.11 del d.lgs. n. 374/1990, del co. 4-bis, si è chiesto alla C. giust. di chiarire se contrasta con il principio generale del contraddittorio procedimentale di matrice unionale la normativa italiana che disciplinava l’impugnazione in via amministrativa dell’atto doganale (artt. 66 ss. del d.P.R., 23.1.1973, n. 43) senza prevedere, in favore del contribuente che non era stato ascoltato prima dell’adozione dell’atto impositivo da parte dell’amministrazione doganale, la sospensione dell’atto come conseguenza normale della proposizione dell’impugnazione.
Note
1 Virgilio, B., Contraddittorio e giusto procedimento, in Libro dell’anno del Diritto 2015, Roma, 2015, 414.
2 Ex plurimis: Perrino, A.m., Tributi in genere, tributi non armonizzati, avviso di accertamento, in Foro it., 2016, 103; Ferranti, G., Cassazione e legislatore in corto circuito sull’obbligo del contraddittorio, in Il fisco, 2016, 107; Iaia R., Il contraddittorio anteriore al provvedimento amministrativo tributario nell’ordinamento dell’Unione europea. Riflessi nel diritto nazionale, in Dir. prat. trib., 2016, 1, 55; Sepe, E.A., Contraddittorio endoprocedimentale: le Sezioni Unite fanno un passo indietro sul giusto procedimento tributario, in Il fisco, 2016, 407; Lamberti, C., Per le sezioni unite della cassazione il contraddittorio endoprocedimentale va attivato nei soli tributi armonizzati, in Riv. giur. trib., 2016, 26; Beghin, m., Il contraddittorio endoprocedimentale tra disposizioni ignorate e principi generali poco immanenti, in Corr. trib., 2016, 479.
3 Merone, A., Abuso ed elusione del diritto, in Libro dell’anno del Diritto 2016, Roma, 2016, 429.