Accertamento tributario. Termini di accertamento delle imposte
In presenza di fatti che obbligano il pubblico ufficiale alla denuncia penale per i delitti previsti dal d.lgs. n. 74/2000, l’art. 37 del d.l. n. 223/2006 dispone che i termini di accertamento delle imposte dirette e dell’IVA siano «raddoppiati». Questa disciplina ha posto numerosi problemi interpretativi che sono stati in buona parte affrontati dalla Corte cost. con la recente sent. n. 247 del 2011. Le soluzioni date dalla Corte, spesso difformi da quelle prospettate dalla maggioranza della dottrina, riguardano punti nodali dell’istituto, come la ricostruzione della ratio legis; l’individuazione dei presupposti legittimanti il «raddoppio»; la precisazione dei rapporti tra il «raddoppio» ed il procedimento penale; l’affermazione della controllabilità giudiziale di tali presupposti. La valutazione della pronuncia costituisce la base per la ricostruzione sistematica del «raddoppio» e l’esame dei problemi interpretativi ancora irrisolti.
La sent. 25.7.2011 n. 247 della C. cost. ha ritenuto non incostituzionale − in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 97 Cost. ed all’art. 3, co. 3, della l. 27.7.2000, n. 212 − il combinato disposto del co. 3 dell’art. 57 del d.P.R. 26.10.1972, n. 633, e del co. 26 dell’art. 37 del d.l. n. 223/2006. Tali norme raddoppiano i termini di accertamento dell’IVA ed hanno contenuto identico a quelle, coeve, in tema di imposte sui redditi. Esse assumono speciale importanza nella situazione italiana, in cui all’esigenza di tutelare i diritti del contribuente si contrappone quella di ostacolare una rilevante evasione fiscale. Ciò spiega sia i numerosi scritti in tema di «raddoppio» (oltre settanta), sia la mobilitazione di associazioni imprenditoriali di categoria (a sostegno dell’incostituzionalità delle norme), sia le contrastanti aspettative sulla pronuncia della Corte1, sia, infine, i primi vivaci commenti alla sentenza.
1.1 Il quadro normativo
Gli artt. 43, co. 1, del d.P.R. 29.9.1973, n. 600 e 57, co. 1 e 2 del d.P.R. n. 633/1972 fissano i termini decadenziali di notificazione al contribuente degli avvisi di accertamento, rispettivamente, delle imposte dirette e dell’IVA. In materia affine, l’art. 84, co. 3, del d.P.R. 23.1.1973, n. 43, stabilisce che il termine triennale di «prescrizione» dell’azione doganale per il recupero dei diritti doganali non pagati decorre, nel caso in cui il mancato pagamento abbia causa da un reato, dalla data in cui il decreto o la sentenza penali siano divenuti irrevocabili. Nell’ambito di tali norme, i co. 24 e 25 dell’art. 37 del d.l. 4.7.2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla l. 4.8.2006, n. 248, hanno introdotto, rispettivamente, nell’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 e nell’art. 57 del d.P.R. n. 633/1972 un co. 3, in forza del quale, «in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione». In tal modo (semplificando) i termini passano da 4 o 5 anni a 8 o 10 anni a decorrere dall’anno successivo a quello in cui, rispettivamente, è stata presentata la dichiarazione o doveva esserlo. In via transitoria, il co. 26 dello stesso art. 37 del d.l. 223/2006 stabilisce che «Le disposizioni di cui ai commi 24 [imposte sui redditi] e 25 [IVA] si applicano a decorrere dal periodo d’imposta per il quale alla data di entrata in vigore del presente decreto [4.7.2006] sono ancora pendenti i termini di cui al primo e secondo comma dell’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 [imposte sui redditi] e dell’art. 57 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 [IVA]». Una disciplina analoga è prevista per l’atto di recupero dei crediti indebitamente utilizzati anche in compensazione, per il quale è fissato il termine decadenziale dell’ottavo anno successivo a quello dell’utilizzo (art. 27, co. 16, d.l. 29.11.2008, n. 185, convertito, con modificazioni, in l. 28.1.2009, n. 2): tale disposizione si applica a decorrere dagli anni con riferimento ai quali, all’entrata in vigore del decreto (29.11.2008), erano pendenti i termini di accertamento di cui al co. 1 dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 57 del d.P.R. n. 633/1972 (co. 17 dello stesso art. 27) e, comunque, «salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia» ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per il reato di indebita compensazione di cui all’art. 10 quater del d.lgs. n. 74/2000. Infine, per l’accertamento basato sulla presunzione di evasione nei paradisi fiscali, i termini sono raddoppiati (art. 12, co. 2 bis, d.l. 1.7.2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla l. 3.8.2009, n. 102).
Numerose le questioni esaminate nella citata sentenza n. 247/2011 della Corte costituzionale.
2.1 La richiesta di condono da parte del contribuente ed il «raddoppio»
Il primo problema affrontato nella sentenza attiene agli effetti inibitori, sul potere accertativo, del «condono tombale» (art. 9 l. n. 289/2002), richiesto dalla contribuente per l’IVA 2001 e 2002 e sulla cui base la parte aveva fatto valere un credito per compensare il debito tributario. Per la Corte, il rimettente ha correttamente negato detti effetti inibitori, perché ha (implicitamente) invocato i seguenti due principi: a) il condono, se impedisce di accertare i debiti tributari coperti dal beneficio, non incide sul potere degli uffici di accertare la sussistenza dei crediti fatti valere dal contribuente2; b) il contrasto − rilevato dalla C. giust. CE3 – tra il «condono tombale» IVA e l’ordinamento comunitario comporta la disapplicazione delle norme sul condono4, l’inefficacia dell’agevolazione, la riespansione del potere accertativo e l’applicabilità del «raddoppio». Di qui l’ammissibilità delle questioni.
2.2 I termini prorogati ai sensi dell’art. 10 della l. n. 289/2002 ed il «raddoppio»
La sentenza ha escluso che nella specie (in cui era controversa l’efficacia del beneficio) fosse applicabile la proroga biennale dei termini di accertamento prevista per i contribuenti che non si siano «avvalsi delle disposizioni» relative alla definizione (art. 10, l. 27.12.2002, n. 2895). La Corte ha innovativamente affermato6 che si «avvale» delle disposizioni anche chi abbia presentato una richiesta di condono non accolta, come risulterebbe: a) dalla littera legis; b) dalla ratio della proroga7; c) dalla natura eccezionale della proroga stessa. Gli avvisi di accertamento impugnati, dunque, potevano essere considerati tempestivi solo in applicazione della disciplina censurata.
2.3 L’impossibilità di una interpretazione adeguatrice
Secondo la sentenza, non è possibile interpretare le disposizioni in modo diverso dal rimettente. Il raddoppio si applica, pertanto: a) anche se la denuncia non sia anteriore al decorso del termine «breve», e ciò perché il raddoppio non presuppone né un accertamento penale definitivo (in coerenza con il principio del cd. «doppio binario» tra giudizio penale e procedimento e processo tributari8) né l’effettivo inoltro della denuncia9; ma solo l’insorgenza dell’obbligo di essa10; b) anche alle annualità per le quali erano pendenti i termini «brevi» alla data del 4.7.2006. La diversa tesi secondo cui per il raddoppio è necessaria la presentazione della denuncia penale nel termine «breve» non è confortata dalla lettera e dalla ratio della legge (§ 2.6). Inoltre, non è analogicamente estensibile al «raddoppio» la giurisprudenza che ha interpretato l’art. 84, co. 3 del d.P.R. n. 43/1973 (§ 1.1) nel senso che l’ordinario termine «prescrizionale» decorrente dalla contabilizzazione o dal sorgere dell’obbligazione è «prorogato» (e la comunicazione al debitore dell’importo dovuto può effettuarsi anche dopo la sua scadenza) solo nel caso in cui, prima del suo decorso, sia intervenuta «la formulazione di una ipotesi che sia quantomeno alla base di una notitia criminis, primo atto esterno»11. L’inestensibilità deriva dal fatto che: a) la disciplina del recupero dei dazi è diversa da quella censurata (presupponendo, a differenza di questa, una pronuncia penale irrevocabile di condanna ed un termine «prescrizionale» il cui dies a quo è incertus quando, perché coincide con detta pronuncia); b) l’esigenza − addotta dalla giurisprudenza per giustificare la propria interpretazione del cit. art. 84 − di evitare che il termine resti «privo di riferimenti temporali e dilatabile all’infinito»12 non sussiste per il raddoppio, i cui termini sono definiti e decorrono (in modo certo) dall’anno successivo a quello in cui è stata o doveva essere presentata la dichiarazione. Non v’è, quindi, la possibilità di una interpretazione adeguatrice.
2.4 Differenza tra il «raddoppio» e gli istituti della proroga e riapertura dei termini
La sentenza rileva l’inammissibilità dell’evocazione a parametro dell’art. 3, co. 3, della l. n. 212/2000 (che vieta la proroga dei termini di prescrizione e di decadenza degli accertamenti), perché tale disposizione non ha rango costituzionale13. Esclude, poi, che il «raddoppio» costituisca proroga o riapertura dei termini «brevi» non ancora o già scaduti: l’espressione «raddoppiati» vale solo a precisare l’ampiezza dei termini «lunghi», configurati anch’essi come ordinari ed autonomi, poiché non si innestano su quelli «brevi» né li fanno rivivere (se scaduti), ma dipendono da fattispecie per cui v’è obbligo di denuncia per i delitti di cui al d.lgs. n. 74/2000. Da ciò si traggono vari corollari: a) il termine «lungo» decorre − indipendentemente dal momento di insorgenza dell’obbligo di denuncia − dall’anno successivo a quello in cui è stata o doveva essere presentata la dichiarazione; b) è irrilevante che l’obbligo di denuncia sorga prima o dopo il decorso del termine «breve»; c) sono irrilevanti la presentazione della denuncia, l’esercizio dell’azione penale nonché l’esito di tale azione (§ 2.3); d) la normativa intertemporale del «raddoppio » è conforme alle regole della successione di leggi nel tempo14; e) il contribuente, non potendo escludere pro futuro l’insorgere dell’obbligo di denuncia, dovrà orientare il proprio comportamento al termine «lungo», il quale è certo quando, nel dies a quo e nella durata ed è soggettivamente incerto quanto al momento della rilevabilità (inconveniente di mero fatto, irrilevante nel giudizio di costituzionalità); f) la differenza cronologica tra il momento della percezione della notitia criminis e quello della (ipotizzata) realizzazione del crimen non toglie che il reato debba essere percepito come connotato da obiettivi elementi probatori (§ 2.7). Di qui l’inesistenza della violazione degli artt. 3 e 24 Cost.
2.5 La durata dell’obbligo di conservazione dei libri contabili
L’art. 22 del d.P.R. n. 600/1973 prevede l’obbligo di conservazione dei documenti contabili fino alla definizione degli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta e, quindi, anche fino alla definizione degli accertamenti con termine «lungo». Pertanto è inadempiente a tale obbligo il contribuente che, erroneamente ritenendo applicabile un termine «breve» (ad esempio, perché l’obbligo di denuncia sia sorto solo successivamente), abbia eliminato (anticipatamente) la documentazione. È pertanto probabile che la soggettiva incertezza sulla durata dei termini (§2.4) induca il contribuente a conservare, in ogni caso, la documentazione per tutto il termine «lungo». Del resto, una tale protrazione della durata dell’obbligo di conservazione documentale non è eccessiva e non supera neppure il termine decennale decorrente dalla formazione dei documenti previsto dal co. 5 dell’art. 8 della l. n. 212/2002.
2.6 Determinatezza e non eccessività dei termini «raddoppiati»
Il termine «raddoppiato», in realtà, non è indeterminato né eccessivo, perché: a) la legge ne individua con precisione il quando, il dies a quo e la durata15; b) è di poco superiore a quello di prescrizione dei delitti di cui al d.lgs. n. 74/2000 (sei anni16); b) è coerente con quello di otto anni previsto, per ipotesi analoghe, dal d.l n. 185/2008 (§ 1.1); c) è adeguato alla ratio di mettere a disposizione degli uffici tributari un maggior lasso di tempo per acquisire e valutare dati utili a contrastare fatti integranti reati gravi e, di solito, di complesso accertamento. La Corte ha correttamente desunto tale ratio dal contenuto delle norme, distinguendola dalla mera intentio legislatoris (ricavabile dai lavori preparatori) di consentire la circolazione di elementi probatori tra giudizio penale e procedimento accertativo. Tale intentio, infatti, non è idonea a giustificare la disciplina, perché la circolazione probatoria è solo eventuale (il raddoppio consegue al mero obbligo di denuncia). Va comunque sottolineata l’ambiguità della Corte nell’individuazione della ratio legis: se questa venisse ricondotta alla complessità dell’accertamento, invece che alla gravità della violazione, sarebbe difficile sostenere la ragionevolezza del «raddoppio» con riferimento a delitti di facile accertamento (quali l’omesso versamento di ritenute certificate o dell’IVA: artt. 10 bis e 10 ter del d.lgs. n. 74/2000). Nella sentenza si precisa che il «raddoppio» è calcolato solo sui termini previsti dai co. 1 e 2 degli art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 e art. 57 del d.P.R. n. 633/1972, senza che rientrino nel computo i prolungamenti previsti da altre disposizioni (§1.1). Pertanto, nel caso in cui i prolungamenti previsti da piú disposizioni, tra cui quelle denunciate, siano astrattamente applicabili alla medesima fattispecie, gli uffici tributari non potranno applicarli cumulativamente al fine di superare il massimo dell’ampliamento temporale previsto dalla singola normativa piú favorevole per l’amministrazione.
2.7 I limiti del potere di valutazione dell’amministrazione finanziaria
Per la Corte, il collegamento tra obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. e raddoppio dei termini non comporta l’attribuzione agli uffici di un incontrollato potere di ampliare i termini, perché: a) il raddoppio opera solo se sono obiettivamente (e non discrezionalmente) riscontrabili gli elementi da cui deriva tale obbligo (cioè quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato)17; b) la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia è valutata, a richiesta del contribuente, dal giudice tributario (indipendentemente dalla presentazione della denuncia e dal suo esito), nel giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento notificato nel termine «lungo» (con onere per l’ufficio tributario di provare quei presupposti).
2.8 La natura non retroattiva e non sanzionatoria del «raddoppio»
Il contrasto con l’art. 25 Cost. viene escluso sul rilievo che il raddoppio non costituisce una sanzione penale impropria ad efficacia retroattiva, perché: a) consegue non ad un reato, ma alla percezione di fatti che obbligano alla denuncia; b) esplica la funzione, meramente procedimentale, di prolungare la fase amministrativa di accertamento, senza assumere valenza afflittivo- punitiva; c) protrae, con effetti ex nunc, i termini in corso al 4.7.2006 e, per le violazioni successive, dispone solo per l’avvenire.
La sentenza è un utile punto di riferimento, ma risolve solo in parte le difficoltà interpretative della disciplina. Restano irrisolte, ad esempio, le questioni circa l’estensibilità del raddoppio: a) da una società di persone (o di capitali a base ristretta o che abbia esercitato l’opzione per la trasparenza fiscale ai sensi dell’art. 115 t.u.i.r.) ai soci18; b) dalla società consolidata alla società consolidante19 (art. 117 t.u.i.r.); c) all’obbligato solidale20; d) all’IRAP, in considerazione, da un lato, del rinvio effettuato dall’art. 25 del d.lgs. 15.12.1997, n. 446, ai termini di accertamento di cui al d.P.R. n. 600/1973 e, dall’altro, della mancata previsione di reati riferiti all’IRAP nel d.lgs. n. 74/2000; d) alle annualità d’imposta successive a quella cui si riferisce la violazione, ma da questa influenzate21; e) ai delitti di omesso versamento (§ 2.6).
1 Per le interpretazioni della parte pubblica: a) Agenzia delle entrate, Direz. centr. normativa e contenzioso, circ. 4.8.2006, n. 28/E; b) Comando gener. Guardia di finanza, circ. 29.12.2008, n. 1; c) Agenzia delle entrate, Direz. centr. normativa e contenzioso, circ. 23.12.2009, n. 54/E.
2 C. cost., ord. 27.7.2005, n. 340; Cass. 12.1.2009, n. 375; Id., 8.3.2010, n. 5586; Id., ord. 31.8.2010, n. 18942; Cass. pen. 30.11.2010, n. 42462, emessa nella fattispecie di causa.
3 C. giust. CE, 17.7.2008, C-132/06; C. giust. CE, 11.12.2008, C-174/07. Carpentieri, Raddoppio dei termini per l’accertamento e condoni IVA: una strana vicenda, in Corr. trib. 2011, 142 ss.
4 Cass. civ., 3.12.2010, nn. 24586 e 24587; Id., ord. 4.5.2010, n. 10675; Cass., S.U., ordd. 17.2.2010, nn. 3673-3677.
5 In relazione agli artt. 7, 8 e 9 della stessa legge.
6 Già Comm. trib. reg. Lombardia, 12.2.2008, n. 32; Cass. civ., 23.7.2010, n. 17395, afferma solo che la proroga si applica a chi non voglia o non possa accedere al beneficio.
7 Diretta ad attribuire agli uffici tributari un termine piú ampio di accertamento nei confronti soltanto dei contribuenti che non abbiano portato all’attenzione degli uffici le loro posizioni tributarie attraverso la presentazione delle istanze di condono (C. cost., 31.10.2008, n. 356).
8 Art. 20 del d.lgs. n. 74/2000; artt. 3, 479 e 654 c.p.p.
9 Che, perciò, potrebbe anche non essere stata presentata, sia stata o no resa inutile dalla denuncia di un privato (art. 333 cp.p.) o dall’adempimento da parte della polizia giudiziaria dell’obbligo di riferire la notizia di reato (art. 347 c.p.p.).
10 Obbligo che deve essere tempestivamente adempiuto dal pubblico ufficiale, se non voglia incorrere nella sanzione penale di cui all’art. 361 c.p.
11 Cass., 6.9.2006 n. 19193 e n. 19195; Id., 4.10.2006, n. 21377; Id., 13.10.2006, n. 22014; Id., 23.4.2010, n. 9773.
12 Cass. civ. n. 9773/2010.
13 C. cost., sent. 27.2.2009, n. 58; Id., ordd. 15.1.2010, n. 13; Id., 26.6.2009, n. 185; Id., 7.6.2007, n.180; Id., 19.12.2006, n. 428; Id., 6.7.2004, n. 216.
14 Cass., 20.6.2008, n. 16927; Id., 9.9.2008, n. 22745; Id., 9.9.2008, n. 22748; Id., 22.10.2008, n. 25610; Id., 15.1.2010, n. 582; Id., 2.2.2010, n. 2376; Id., ord. 27.4. 2010, n. 10123.
15 L’espressione «relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione» va intesa come equivalente a «relativamente al periodo d’imposta con riferimento al quale è stata commessa la violazione».
16 Ora aumentato di un terzo per i delitti previsti dal d.lgs. n. 74/2000 (art. 17, co. 1 bis, quale modificato dall’art. 2, co. 36 vicies semel, del d.l. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. 14.9.2011, n. 148).
17 Non è sufficiente un semplice sospetto di attività illecita; l’esistenza di cause di estinzione del reato o di non punibilità non esclude l’obbligo di denuncia (Cass. pen. n. 14195/1978; Id., 6876/1980; Id., 30.6.2008, n. 26081; Id., 11.4.2008 n. 15400; Id., 6.7.2009, n. 27508; circ. n. 1/2008 della Guardia di finanza).
18 Cissello, Comm. trib. prov. Treviso n. 112/6/10. Raddoppio dei termini per violazioni penali nelle società di persone e nel consolidato, in Fisco, 2011, fasc. 2, 296 ss. (in senso negativo, senza però, valorizzare l’inscindibilità della fattispecie, tale da comportare litisconsorzio necessario società/soci).
19 Id., ibid., e Agenzia entrate circ. n. 54/E del 2009, favorevoli, pena la pratica irrilevanza del raddoppio.
20 Id., ibid., favorevole per la solidarietà paritetica; sfavorevole per quella dipendente.
21 In senso contrario argumenta dalla disposizione in tema di raddoppio (§ 1.1), secondo cui il prolungamento dei termini opera « relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione».