Acciaio: nuova metallurgia e nuovi prodotti
Nello svolgimento delle normali attività legate alla propria esistenza, l’uomo vive a contatto con una vasta gamma di acciai che sono il risultato di una millenaria evoluzione e di una ricerca incessante. Non esiste un altro materiale nella storia dell’umanità che come l’acciaio abbia portato alla realizzazione di un numero così alto di prodotti. Basti pensare alle lamiere plastiche e modellabili per le applicazioni di profondo stampaggio a freddo, alle robuste funi degli ascensori e delle funivie, alla resistenza dei binari del treno o dei prodotti per l’edilizia (barre, travi, lamiere, tubi ecc.), alla precisa durezza degli utensili o del bisturi usato in chirurgia. Un materiale che sembrava avere ormai raggiunto la sua piena maturità è pronto oggi per nuove sfide che l’economia globale sta ponendo alle imprese.
Nei decenni passati vari comparti industriali, quali il comparto automobilistico, quelli degli elettrodomestici, delle costruzioni e dell’informatica, sono stati trainanti per lo sviluppo industriale mondiale. Tutti hanno conosciuto grandi fortune e severi ridimensionamenti. L’acciaio ha sostenuto il loro sviluppo rimanendo centrale nei diversi contesti economici, geografici ed evolutivi per il suo ruolo sempre essenziale nelle attività di tutti i più importanti settori industriali. Il bilancio, in termini di ecocompatibilità del mercato, relativo ai molteplici prodotti di uso quotidiano, dall’auto alle abitazioni, dagli imballaggi agli elettrodomestici, dimostra l’ottima posizione occupata dall’acciaio tra i materiali disponibili. Non a caso i criteri di studio della valutazione del ciclo dei manufatti, che prendono in esame tutte le fasi di vita degli stessi, dimostrano in maniera inequivocabile come la scelta dell’acciaio risulti in moltissimi casi vincente rispetto ai materiali potenzialmente concorrenti. Esso continua a occupare un posto rilevante come materiale fondamentale per lo sviluppo economico e sociale. In un’epoca di incertezze tecnico-economiche, contribuisce al benessere della società, grazie alla capacità di trasformarsi e rinnovarsi continuamente, come dimostra la sua costante presenza nella storia dell’umanità. Nei primi anni del 21° sec. le linee di sviluppo siderurgico hanno riguardato aspetti sia di processo, con particolare attenzione all’uso razionale di energia e risorse, sia di prodotto, in vista del miglioramento delle caratteristiche meccaniche e di resistenza alla corrosione.
La siderurgia nel mondo
Il consumo mondiale di prodotti siderurgici si è sviluppato a ritmi sostenuti dalla rapida crescita economica di molti Paesi emergenti. Dal 2000 al 2006, in Cina il consumo ha raggiunto un tasso medio di aumento di oltre il 19%, quando nel mondo è stato inferiore al 7%. Anche in India, altro Paese asiatico in forte sviluppo, il consumo si è sviluppato abbastanza velocemente (9% medio annuo) pur restando su livelli relativamente bassi in relazione alla dimensione nazionale; negli altri Paesi del mondo l’aumento dei consumi è stato comunque significativo. In futuro ci si aspetta che la domanda globale di acciaio cresca, soprattutto nei Paesi asiatici e in America Latina. Il consumo pro capite di acciaio in Cina è infatti pari a 272 kg, contro i 375 dell’Europa, i 620 del Giappone e i 630 dell’Italia. Nei Paesi dove lo sviluppo sta procedendo a ritmo elevato si tende a soddisfare autonomamente il proprio fabbisogno interno riguardo a prodotti standard. L’industria europea ha la possibilità di mantenere un’importante quota del mercato mondiale se continuerà a realizzare prodotti a elevato valore aggiunto.
La produzione di acciaio mondiale nel 2006 ha superato 1,2 miliardi di tonnellate con una crescita a tassi più elevati a partire dall’inizio del 21° sec. quando si è avviato il rapido processo di decollo dell’economia cinese. La Cina, il mercato più dinamico, ha accresciuto produzione e capacità produttiva in maniera esponenziale (fig. 1). L’Unione Europea con 207 Mt prodotte nel 2006 è seconda soltanto alla Cina che, con 423 Mt nello stesso anno, ha prodotto il 34% del totale; il Giappone il 9,3%, la Repubblica di Corea il 3,9% e l’India il 3,5%. Gli Stati Uniti con l’8% hanno visto ridursi la quota produttiva, come tutti i Paesi industrializzati, a favore degli emergenti. Da anni l’industria siderurgica è completamente privatizzata in tutti i Paesi industrializzati e norme severe, che vietano la concessione di aiuti statali, regolano lo svolgersi di una corretta concorrenza fra i produttori. Tale prassi, tuttavia, non si estende a vari Paesi emergenti dove la proprietà pubblica dei produttori siderurgici è ancora diffusa e vengono concessi aiuti dallo Stato sotto varie forme, non ultima la gestione del tasso di cambio su livelli che favoriscono l’industria locale.
La siderurgia, da tempo considerata un settore con limitate possibilità di sviluppo, è divenuta un business estremamente vivace con nuove opportunità e ricco di attrattive per gli investitori. Le acquisizioni e gli accordi interaziendali di cooperazione strategica e di ricerca si sono moltiplicati e hanno dato luogo in vari casi a notevoli processi di concentrazione dell’offerta. In particolare due fra i maggiori produttori europei sono stati oggetto di acquisizione da parte di imprenditori indiani. Il complesso industriale multisettoriale indiano Tata group ha acquisito l’anglo-olandese Corus mentre Mittal steel, il primo produttore siderurgico al mondo per quantità, ha acquisito la lussemburghese Arcelor, già seconda per quantità e prima per fatturato. Pertanto, la quota di produzione dei primi dieci produttori mondiali sul totale è passata al 27,4%. La concentrazione del settore rimane, tuttavia, ancora bassa in relazione a quella dei settori fornitori di materie prime, quali il minerale di ferro (oltre il 90% per i primi 10 produttori) o di utilizzatori di acciaio, quali il settore automobilistico (oltre il 90% della produzione mondiale realizzata dai primi 10 produttori).
L’evoluzione del commercio mondiale dei prodotti siderurgici riflette l’elevato grado di liberalizzazione e internazionalizzazione raggiunto dal settore. Le tre maggiori aree interessate dagli scambi internazionali di prodotti siderurgici si confermano il Sud-Est asiatico, l’Unione Europea e gli Stati Uniti. L’elevata quota degli scambi internazionali rispetto alla produzione (40% circa in media negli ultimi anni) evidenzia come l’acciaio possa essere considerato un prodotto globalizzato.
Generalità sui processi di fabbricazione
L’acciaio viene attualmente prodotto prevalentemente attraverso due diversi cicli produttivi: ciclo integrale e forno elettrico (fig. 2). Nel ciclo integrale si parte dalle materie prime così come si trovano in natura (minerali e carbon fossile). Le materie prime vengono opportunamente preparate per renderle idonee alla carica nell’altoforno: il carbon fossile viene trasformato in coke metallurgico attraverso un processo di distillazione eseguito nelle cokerie, mentre i minerali vengono macinati e poi portati alla pezzatura adatta al processo chimico della riduzione che, nell’altoforno, trasforma il minerale di ferro in ferro metallico. I minerali in pezzatura fine, reperibili sul mercato a prezzi inferiori, vengono trasformati in materiale adatto alla carica attraverso l’impianto di agglomerazione dove avviene il processo di sinterizzazione.
L’altoforno costituisce il cuore del ciclo integrale e produce ghisa allo stato liquido con un tenore di carbonio intorno al 4-5%. La carica ferrifera dell’altoforno può essere costituita da minerale in pezzatura, agglomerato e pellet (minerale in pezzatura fine mescolato con fondenti e trasformato mediante cottura in piccole sfere compatte) in rapporto variabile da impianto a impianto. Il coke, che costituisce un componente indispensabile nel processo di altoforno, fornisce sia la fonte di calore sia l’elemento chimico riducente nella trasformazione da ossido di ferro a ferro metallico. La ghisa liquida viene successivamente affinata in acciaieria per abbassare il contenuto di carbonio e di impurezze (principalmente zolfo e fosforo). I moderni forni di affinazione si basano sul processo di conversione con ossigeno, nel quale gli elementi come carbonio, silicio, fosforo e manganese vengono completamente o in parte ossidati mediante l’insufflazione di ossigeno puro attraverso una lancia introdotta dall’alto (processo LD), mentre le reazioni di ossidazione esotermiche forniscono al processo il calore necessario per portare il bagno alla temperatura indicata per le successive operazioni (trattamenti fuori forno e colaggio). La carica del forno di affinazione viene termicamente bilanciata con piccole quantità di rottame (10-20% della carica metallica).
Il ciclo forno elettrico è estremamente più compatto del ciclo integrale, costituendo il solo rottame di acciaio la sua materia prima. Tale tecnologia, nata all’inizio del 20° sec., si è affermata grazie alla minore complessità rispetto al ciclo integrale e all’accresciuta disponibilità di rottame di acciaio consentita dallo sviluppo dell’era industriale; miglioramenti introdotti successivamente, tra cui l’impiego di ossigeno puro iniettato tramite apposite lance, hanno consentito di ridurre sensibilmente i tempi di elaborazione a meno di un’ora, di poco superiori a quelli di un convertitore a ossigeno. A causa del contenuto di elementi residui (come rame, cromo, nichel) e del maggiore contenuto di azoto rispetto all’acciaio da convertitore, l’acciaio da forno elettrico risulta meno adatto per alcune applicazioni, come, per es., la produzione di acciai da profondo stampaggio: per tale motivo la maggior parte dell’acciaio proveniente da forno elettrico viene impiegata per la produzione di prodotti lunghi (barre, tondo per cemento armato, vergella), meno sensibili alla presenza di detti elementi.
Trattamenti fuori forno
L’acciaio liquido, prodotto con entrambe le tecnologie descritte, passa quindi attraverso i cosiddetti trattamenti fuori forno, nati per soddisfare le diverse esigenze di affinazione del bagno che vanno dalla semplice omogeneizzazione della temperatura e della composizione chimica, fino a operazioni più complesse come la desolforazione, il degasaggio o la modifica della composizione inclusionale. I trattamenti più diffusi sono quelli relativi all’agitazione e al riscaldo dell’acciaio in siviera (ladle furnace, LF), quelli per il trattamento sotto vuoto dell’acciaio per sottrarre gas indesiderati o per favorire particolari reazioni chimiche, nonché altri realizzati per aggiungere elementi di lega in siviera o per migliorare la pulizia dell’acciaio tramite la captazione, per mezzo della scoria, di ossidi indesiderati presenti nel bagno.
Un settore particolare della siderurgia è quello della produzione di acciaio inossidabile, caratterizzato dagli elevati tenori di cromo necessari per garantire all’acciaio le proprietà di resistenza all’ossidazione. La tecnica utilizzata è quella dell’AOD (Argon Oxygen Decarburization) per cui si effettua la fabbricazione dell’acciaio in un apposito convertitore, in fasi successive, con miscele di argon-ossigeno opportunamente dosate, in modo da conseguire la reazione di decarburazione senza ossidazione del cromo, salvaguardando così la resa di questo costoso elemento. Per acciai che richiedono contenuti di carbonio particolarmente bassi si adotta la tecnologia del VOD (Vacuum Oxygen Decarburization) che si avvale dell’effetto del vuoto per realizzare una decarburazione spinta (fino ad avere nel bagno solo alcune decine di ppm di carbonio). La trasformazione dell’acciaio liquido in semilavorato avviene mediante il processo di colata continua, tecnologia che ha ormai soppiantato quella del colaggio in lingotti e successiva sbozzatura, consentendo enormi risparmi di energia e una sensibile riduzione dei tempi di lavorazione. Mediante l’impianto di colata continua, l’acciaio viene trasformato direttamente in bramme (semilavorati a sezione rettangolare) billette o blumi (semilavorati a sezione quadrata), eliminando il riscaldo del lingotto e la successiva sbozzatura. Allo scopo di ridurre gli spessori fino a ottenere quelli desiderati per l’impiego finale, i semilavorati di acciaio vengono sottoposti al processo di laminazione a caldo (effettuato a temperature superiori a 1000 °C), seguito dalla laminazione a freddo (a temperatura prossima a quella ambiente).
Dalla laminazione delle bramme si ricavano i cosiddetti prodotti piani, rotoli di acciaio di vario spessore (comunemente detti coil) e lamiere destinate all’impiego tal quale o alla produzione di tubi saldati. Per questi ultimi si possono utilizzare coil o lamiere, in relazione allo spessore del prodotto finito. Il processo produttivo è costituito da due fasi fondamentali: formatura e saldatura. Per i tubi di piccolo diametro i coil vengono tagliati in strisce di larghezza opportuna (slitting) e di seguito, mediante un processo continuo di deformazione a freddo con gabbie a rulli, viene formato il tubo; la saldatura viene eseguita per resistenza elettrica senza apporto di materiale; la formatura viene effettuata avvolgendo il coil a spirale e il processo di saldatura adottato è quello ad arco sommerso. Per i tubi di grande diametro e di spessore elevato, la formatura viene effettuata sul singolo foglio di lamiera mediante presse speciali. Gli impieghi principali dei tubi saldati sono le linee trasporto fluidi e gli utilizzi nel settore degli idrotermosanitari. Una parte significativa, inoltre, viene utilizzata nel settore automobilistico e per gli scambiatori di calore.
Impianti complementari ma non secondari del ciclo dei prodotti piani sono il decapaggio, impianto utilizzato per la rimozione dell’ossido di ferro generato sulla superficie del laminato durante la laminazione a caldo prima di sottoporre il rotolo alla laminazione a freddo, e l’impianto di ricottura (statica o continua) che ha lo scopo di ricostruire la struttura cristallina deformata dalla laminazione a freddo e conferire così all’acciaio caratteristiche idonee allo stampaggio. Il ciclo di fabbricazione dei prodotti piani può essere esteso ai processi per la realizzazione di lamierini rivestiti, allo scopo di preservare dall’ossidazione tali manufatti nelle successive applicazioni. I rivestimenti adottati sono principalmente metallici (cromo, stagno, zinco, alluminio), organici (pitture, film plastici) o inorganici (smalti vetrosi). Tra i rivestimenti più comunemente adottati, quello a base di stagno, applicato elettroliticamente, consente di ottenere un prodotto, la banda stagnata, particolarmente pregiato nonché adatto a essere impiegato negli imballaggi in generale, inclusi quelli alimentari. Il procedimento di zincatura, invece, impiega lo zinco come materiale protettivo sia applicandolo elettroliticamente (electro-galvanized), sia per immersione dell’oggetto nello zinco fuso (hot dip galvanized). I prodotti zincati ottenuti per immersione sono destinati principalmente al settore automobilistico. Per compattare il ciclo di fabbricazione, aumentandone la produttività e le rese, sono nate linee di zincatura abbinate in continuo all’impianto di ricottura.
Tra i manufatti siderurgici di sviluppo più recente sono da segnalare i lamierini preverniciati, prodotti allo scopo di eliminare le operazioni di verniciatura presso l’utilizzatore, con alcuni vantaggi per quanto riguarda sia l’impatto ambientale sia la riduzione dei costi, che hanno trovato efficace applicazione nel settore degli elettrodomestici e nell’edilizia. I blumi e le billette vengono laminati a caldo al fine di ottenere diverse tipologie di prodotto quali, per es., travi, profilati, barre, tondo per cemento armato, vergella, tubi senza saldatura. Le vergelle possono poi essere ulteriormente ridotte di diametro mediante il processo di trafilatura a freddo.
Quello dei tubi senza saldatura (seamless) è un settore a elevato contenuto tecnologico ove la materia prima è costituita da barre di sezione circolare o poligonale, per la grande maggioranza provenienti direttamente dalla colata continua. I lingotti vengono utilizzati esclusivamente per la produzione di tubi di grande diametro (di dimensioni tali per cui non è disponibile il prodotto di colata continua). Barre laminate vengono utilizzate solo per gli acciai alto legati. Le barre, spezzonate opportunamente, dopo il riscaldo vengono perforate con il laminatoio obliquo e successivamente, tramite un laminatoio allungatore, lo spessore del tubo viene ridotto fino ai valori richiesti. Attraverso una successiva laminazione, eventualmente preceduta da un ulteriore riscaldo, viene ottenuto il diametro finale del tubo. Il ciclo si completa con le operazioni di finitura (trattamenti termici, controlli non distruttivi elettromagnetici o ultrasonici, sul corpo e sull’estremità dei tubi, e il taglio a misura) e con la filettatura delle estremità per i tubi utilizzati nella perforazione e nella coltivazione dei pozzi petroliferi, che rappresentano una quota significativa della produzione di tubi senza saldatura. Per i tubi impiegati nel trasporto di fluidi, assumono particolare importanza le operazioni di rivestimento (con materiali plastici o vernici) per proteggerne le superfici dalla corrosione. Una quota del 10-15% dei tubi seamless viene ulteriormente trafilata a freddo per ottenere tolleranze dimensionali più ristrette. L’applicazione prevalente di tali prodotti è nell’industria meccanica e nel settore automobilistico.
Processi di ottimizzazione
Il ciclo siderurgico tradizionale da alcuni anni si è venuto arricchendo di soluzioni tendenti a compattare il processo di lavorazione dell’acciaio, concentrando in uno spazio di poche centinaia di metri quelle lavorazioni che, nella metallurgia tradizionale, sono suddivise in stadi diversi e richiedono spazi di gran lunga maggiori e consentendo anche significativi risparmi dal punto di vista energetico. I processi principali applicati secondo questo concetto sono: CSP (Compact Strip Production); ISP (In-line Strip Production); FTSC (Flexible Thin Slab Caster). Il loro principio comune è quello del colaggio di una bramma sottile (alcune decine di mm contro i 200-250 mm di una bramma tradizionale) e della laminazione diretta del semilavorato. Nel caso del processo CSP la bramma sottile proveniente dalla colata continua passa attraverso un forno di omogeneizzazione venendo subito avviata alla laminazione a caldo. Nel caso del processo ISP, invece, la lavorazione è articolata in due stadi, con l’ottenimento di un semilavorato di spessore 13-20 mm che viene avvolto in coil e, di seguito, inviato alla laminazione a caldo.
Nella storia della siderurgia sono stati effettuati molti tentativi per utilizzare il minerale di ferro per la produzione di acciaio senza passare attraverso il tradizionale processo dell’altoforno con gli impianti a esso collegati, come cokeria e impianto di agglomerazione, tutti a forte impatto ambientale. Uno dei processi sviluppati in tale ottica è quello della riduzione diretta, che consente la trasformazione del minerale in spugna di ferro, chiamata anche DRI (Direct Reduced Iron) se in forma di pellet, oppure HBI (Hot Briquetted Iron) se in pezzatura maggiore. La DRI ha un contenuto maggiore del 90% in ferro metallico e può essere direttamente utilizzata nella carica del forno elettrico, con indubbi vantaggi nella riduzione del contenuto di elementi non desiderati per alcuni impieghi come il profondo stampaggio. La produzione mondiale di DRI è dell’ordine di 60 milioni di t/anno ed è realizzata con i processi Midrex (60%), HyL (20%) e altri diversi sistemi (20%). Sia il processo Midrex sia l’HyL si basano sulla riduzione del minerale di ferro in forni a manica (shaft furnace), mediante gas riducenti prodotti per combustione parziale di idrocarburi gassosi su catalizzatore. Altri sistemi di produzione, come Accar, o SL/RN (Stelco-Lurgi/Republic steel National lead), prevedono invece l’uso di carbone e di forni rotativi. Tali processi hanno trovato sviluppo principalmente nelle aree dove sono presenti giacimenti di minerale di ferro. In alcuni Paesi, piccole quantità di ghisa vengono anche prodotte utilizzando la tecnologia detta smelting reduction (secondo cui la riduzione avviene in due fasi), in sostituzione del processo altoforno. I processi associati, che assumono nomi diversi secondo la tecnica adottata e i brevetti, sono essenzialmente di tre tipi: a forno rotante (Redsmelt), a letto fluido (Finex, DIOS, Direct Iron Ore Smelting), a reattore smelter-converter (Hismelt, Corex, CleanSmelt). Essi sono adottati particolarmente in impianti costruiti nelle vicinanze di giacimenti di minerale di ferro e, nelle più recenti configurazioni, possono produrre fino a 1,5 Mt/anno di ghisa liquida (impianti in Cina, Repubblica Sudafricana e Repubblica di Corea).
L’industria aerospaziale e tutto il settore energia richiedono l’impiego di processi sempre più raffinati e complessi per la produzione di materiali a elevate prestazioni. Un esempio di questi sofisticati processi è quello della rifusione sotto vuoto VAR (Vacuum Arc Remelting). L’impianto è composto da una camera dove viene inserito il lingotto da rifondere (elettrodo) e da una lingottiera in rame raffreddata ad acqua dove gradualmente si riforma il nuovo lingotto. Il resto della struttura si compone delle pompe per il vuoto, della meccanica necessaria alla movimentazione del lingotto, dell’impianto elettrico e dei controlli elettronici indispensabili alla gestione del processo.
Le linee guida per lo sviluppo dei nuovi processi siderurgici possono essere riassunti in tre concetti chiave: utilizzazione razionale dell’energia; utilizzazione razionale delle risorse; ottimizzazione della gestione del ciclo produttivo.
Sostenibilità
Il concetto di sviluppo sostenibile è stato ufficialmente introdotto nel 1987, quando la Comunità europea lo ha promosso con la finalità di garantire un equilibrio fra aspetti sociali, economici e ambientali nella futura legislazione europea. Non è diffusamente noto che il settore acciaio aveva messo in pratica tale concetto molto prima, almeno dagli anni Sessanta del 20° sec., in ragione di un progresso tecnologico mirato sempre a conseguire obiettivi di risparmio energetico e di riduzione dell’impatto ambientale dei processi. I risultati sono stati concreti: nell’intervallo di tempo considerato il consumo di energia da parte dell’industria siderurgica è stato ridotto del 50% mentre le emissioni di CO2 hanno subito una riduzione del 60%. Tali risultati, solo in minima parte attribuibili alla crisi che il settore ha affrontato fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, sono piuttosto la conseguenza di un poco conosciuto ma intenso andamento di continua modernizzazione ed evoluzione dei processi produttivi che ha portato, per es., allo spostamento dal ciclo integrato all’acciaieria elettrica della produzione di svariate tipologie di prodotti lunghi. Tale processo non è stato arrestato dalla privatizzazione dell’industria siderurgica di Stato; al contrario, il comparto siderurgico da un lato ha dovuto fronteggiare l’evoluzione della legislazione nazionale ed europea verso regimi sempre più restrittivi in materia di impatto ambientale, dall’altro deve confrontarsi con i costi sempre crescenti dell’energia e delle emissioni di CO2. Contestualmente in pochi settori come in quello dell’acciaio la spinta verso lo sviluppo di processi più efficienti e puliti è venuta proprio dall’interesse degli investitori.
I concetti di sostenibilità e di impatto ambientale hanno anch’essi subito una radicale evoluzione: è, infatti, emersa la difficoltà di scindere la considerazione delle tematiche legate all’ambiente da quelle di tipo socioeconomico, pertanto si parla con maggiore vigore di valutazione integrata di impatto, nella quale gli aspetti economici, sociali e ambientali vengono considerati nel loro insieme, non più come entità separate e distinte. L’essere umano è parte integrante dell’ambiente e la valutazione delle ricadute di un qualunque insediamento industriale sul luogo in cui è sito non può assolutamente prescindere dalla considerazione degli effetti che esso ha sulla comunità locale. Questo concetto allargato di sostenibilità si adatta molto bene alla peculiarità delle industrie del settore acciaio che hanno certamente una forte ricaduta economica e sono spesso motore di sviluppo delle aree in cui sono collocate.
I nuovi acciai
Le leghe ferrose sono utilizzate con successo da migliaia di anni, ma soltanto a partire dalla metà del 18° sec. divenne tecnologicamente possibile produrre grandi quantità di acciaio in maniera relativamente economica. Nei periodi successivi una lunga sequenza di scoperte ha permesso di controllare il tenore degli elementi di lega, limitare la presenza di impurezze, ottimizzare numerosissimi trattamenti termici. Questo sviluppo ha sempre tenuto conto di alcuni aspetti fondamentali: il comportamento meccanico, considerando sia la semplice resistenza a trazione sia modalità più complesse di sollecitazione (statiche, quasi statiche, dinamiche), applicate anche a forme geometriche complesse, tali da indurre eventualmente un’intensificazione degli sforzi (nel caso, per es., della presenza di intagli o comunque di evidenti variazioni di sezione); la resistenza all’aggressione dell’ambiente, considerando sia il caso di ambienti contenenti acqua allo stato liquido o di vapore (corrosione a umido, per es. un chiodo immerso in acqua di mare) sia il caso di ambienti privi di acqua o con acqua allo stato di gas (ossidazione a caldo, per es. la degenerazione delle marmitte delle automobili dovuta al passaggio dei gas caldi); il costo del prodotto finito, considerando l’intero processo produttivo, e quindi comprendendo sia il costo delle materie prime sia quello dei cicli di lavorazione, dei trattamenti termici e della messa in forma.
A partire dagli anni Quaranta del 20° sec., e per tutti i decenni successivi, sono state introdotte profonde innovazioni tecnologiche, grazie alla nascita e allo sviluppo dell’industria nucleare, alla profonda trasformazione di quella petrolchimica, all’incremento esponenziale dell’industria dei trasporti e delle costruzioni, rendendo necessaria l’ottimizzazione di leghe e trattamenti termici, per impieghi che soltanto pochi anni prima sarebbero stati impensabili. Contemporaneamente, sono stati sviluppati nuovi approcci all’analisi dell’interazione fra sollecitazioni e manufatti (come la meccanica della frattura) che hanno consentito una progettazione di questi ultimi basata su criteri innovativi, per es. il damage tolerant, in cui si accetta la presenza nel manufatto di un danneggiamento e che questo evolva nel tempo in maniera più o meno prevedibile. Il forte sviluppo della capacità di calcolo degli ultimi vent’anni ha quindi consentito di applicare tali criteri anche al caso di strutture particolarmente complesse. È storia del 21° sec., infine, l’espansione di realtà economiche emergenti che, richiedendo quantità immense di materie prime, ne hanno notevolmente incrementato il costo. Tutti questi fattori hanno fatto sì che un materiale relativamente antico, il ferro e le sue leghe appunto, sia tuttora oggetto di studio e di profonde innovazioni tecniche e tecnologiche. Queste possono prendere la forma di leghe completamente nuove, o di leghe ‘antiche’, magari identificate solo qualche decennio fa, e aggiornate mediante modifiche della composizione chimica oppure dei trattamenti termici.
Per quanto riguarda la resistenza meccanica, i principali meccanismi di rafforzamento sui quali si può agire sono tutti legati al possibile ostacolo del moto di difetti reticolari detti dislocazioni. Si tratta di difetti lineari contenuti nella struttura reticolare, con una densità crescente all’aumentare della deformazione plastica e che, purtroppo, consentono tale tipologia di deformazione, irreversibile, per valori della sollecitazione di alcuni ordini di grandezza inferiori rispetto al limite che sarebbe consentito raggiungere nel caso di una loro ipotetica completa assenza. Ostacolare il loro moto irreversibile implica, macroscopicamente, un aumento del carico di snervamento, ovvero della sollecitazione oltre la quale le deformazioni macroscopiche risultano irreversibili. Numerosi sono i meccanismi che possono microscopicamente ostacolare tale moto e talvolta anche agire sinergicamente: per es., considerato che la deformazione plastica di un metallo comporta un incremento della densità delle dislocazioni grazie all’attivazione delle sorgenti di Frank-Read, tale graduale aumento di densità implica una sempre maggiore resistenza al movimento delle dislocazioni, grazie al reciproco ostacolo, e quindi un incrudimento del materiale (eventualmente eliminabile mediante il riscaldamento dello stesso); inoltre se si aggiungono al metallo elementi di lega che tendono a circondare le dislocazioni e a stabilizzarle, ottenendo in tal modo le atmosfere di Cottrell, la singola dislocazione risulterà ancorata dalla propria atmosfera di Cottrell (meccanismo di soluzione solida) e lo sforzo per innescare il suo moto sarà superiore rispetto a quello richiesto per una generica dislocazione libera. Tenendo poi presente che i metalli di impiego usuale sono costituiti da numerosi grani cristallini, ovvero da porzioni dello spazio con identico reticolo cristallino ma differenti orientazioni (le cui dimensioni sono variabili con la lega e con il trattamento termico), e considerando che la diminuzione della loro dimensione media (affinamento) implica un aumento della superficie dei bordi grano, si comprende come i bordi di tali grani costituiscano un forte ostacolo al moto delle dislocazioni. Si realizza pertanto un notevole aumento del carico di snervamento con la diminuzione della dimensione media dei grani (legge di Hall-Petch). Infine, la precipitazione di particelle coerenti oppure incoerenti, ovvero con reticolo cristallino rispettivamente simile o dissimile a quello della matrice, si determina in precipitati fini (seconde fasi, carburi, nitruri ecc.) che, ostacolando il movimento delle dislocazioni, o deformando il reticolo cristallino, migliorano la durezza e la resistenza statica della lega.
Dinamiche di sviluppo dei prodotti
Gli acciai innovativi si caratterizzano per lo sfruttamento di detti meccanismi di rafforzamento, cercando talora di ridurre l’intervento degli elementi di lega, divenuti troppo costosi, e ottimizzando i trattamenti termici. Fra gli acciai che hanno visto ultimamente i maggiori sviluppi si possono ricordare (fig. 3): gli acciai microlegati (HSLA, High Strength Low Alloy); gli acciai a elevata resistenza avanzati di prima generazione (AHSS, Advanced High Strength Steel) e di seconda (acciai con plasticità indotta da geminazione, TWIP, Twinning Induced Plasticity). Se si considera la resistenza alla corrosione (sia generalizzata sia localizzata), essa appare sempre legata al controllo della composizione chimica, delle eventuali trasformazioni microstrutturali e di tutte le forme di protezione. La classificazione classica degli acciai inossidabili, scoperti nel primo ventennio del 20° sec., in grado di offrire una notevole resistenza alla corrosione in numerosi ambienti, prevedeva sostanzialmente una loro suddivisione in base alla microstruttura: gli acciai inossidabili austenitici, ferritici e martensitici erano quelli usualmente riportati nei testi a uso didattico, mentre le altre tipologie di acciaio inossidabile erano relegate in note come interessanti curiosità. Negli ultimi anni, alcuni fra questi acciai hanno conosciuto un notevole sviluppo, ed è stato incrementato considerevolmente il tonnellaggio prodotto.
Quelli sicuramente più interessanti sono: gli acciai indurenti per precipitazione (PH, Precipitation Hardening); gli acciai inossidabili austeno-ferritici innovativi (superduplex e duplex ‘economici’); gli acciai inossidabili supermartensitici. La necessità di incrementare la saldabilità degli acciai per impieghi strutturali comporta una diminuzione del tenore di carbonio, fino a valori inferiori allo 0,1%. La conseguente diminuzione di resistenza meccanica può essere compensata affinando il grano. Tale risultato è però difficilmente raggiungibile nel caso dei comuni acciai con basso tenore di carbonio, laminati ad alta temperatura in campo austenitico. Una soluzione viene offerta dagli acciai HSLA (anche detti microalligati) che, sebbene caratterizzati da un basso tenore di elementi aggiunti in lega, offrono elevate caratteristiche resistenziali. Questi acciai sono costituiti da una struttura ferritico-perlitica suscettibile di indurimento per precipitazione a partire da temperature tipiche delle lavorazioni a caldo, ovvero superiori alla temperatura di ricristallizzazione, con un successivo raffreddamento controllato. Ne conseguono elevate caratteristiche tensili nonché un’elevata tenacità, senza effettuare trattamenti termici successivi alla laminazione a caldo.
Si tratta di acciai caratterizzati da un tenore di manganese inferiore all’1,5% che contengono piccole quantità di vanadio, titanio, niobio, alluminio, di solito al di sotto dello 0,15% in peso. Questi elementi presentano una spiccata tendenza a combinarsi con il carbonio e con l’azoto, con la conseguente precipitazione di composti di dimensioni nanometriche, assai efficaci nel blocco del moto delle dislocazioni e nell’ostacolare lo spostamento dei bordi grano. Acciai HSLA a formabilità incrementata contengono aggiunte di calcio, zirconio o terre rare per il controllo della forma delle inclusioni contenenti zolfo. Oltre al rafforzamento dovuto all’affinamento del grano (per es., il carburo di niobio produce tale effetto, bloccando lo spostamento dei bordi) e a quello mediante precipitazione (per es., attraverso l’effetto del carburo di vanadio), è possibile anche un rafforzamento della ferrite mediante effetto di soluzione solida. È questo il caso del fosforo che, solitamente considerato deleterio per la sua forte tendenza a segregare a bordo grano, risulta anche un efficace rafforzatore, secondo solo al carbonio. Grazie alle elevate caratteristiche meccaniche che permettono di aumentare il rapporto resistenza/peso rispetto agli acciai a basso tenore di carbonio convenzionali, con un ridotto incremento del costo, gli acciai HSLA possono essere utilizzati con spessori inferiori: questo li rende particolarmente interessanti per impieghi nel campo del trasporto, per es. nella produzione di dettagli meccanici, alberi e barre cromate.
Gli acciai AHSS sono caratterizzati da una resistenza a trazione superiore a 500 MPa (fino a 1600 MPa) e microstrutture complesse contenenti bainite (miscela estremamente fine di ferrite e cementite), martensite e austenite residua. Questi aggiungono ai meccanismi di rafforzamento già visti nel caso degli acciai HSLA (affinamento del grano, precipitazione di particelle ed effetto di soluzione solida) un ulteriore meccanismo legato alle trasformazioni di fase, che si può assimilare in un aggiuntivo e più spinto affinamento del grano cristallino, eventualmente incrementato da azioni sinergiche tra le fasi coinvolte. Nonostante si tratti di acciai di recente commercializzazione, sono talora distinti in due generazioni.
La prima è costituita dagli acciai denominati DP (Dual Phase) oppure MP (Multi-Phase), dagli acciai denominati TRIP (TRansformation Induced Plasticity) e dagli acciai martensitici (MART). Gli acciai DP sono caratterizzati da valori di resistenza a trazione inferiori a 1000 MPa e da una microstruttura costituita da una matrice ferritica contenente martensite finemente dispersa con frazioni volumetriche dipendenti dalla composizione chimica e dal trattamento termico. La ferrite conferisce all’acciaio un’eccellente duttilità, mentre la martensite rappresenta la fase dura, capace di garantire un’alta resistenza. Sono acciai con basso tenore di carbonio (inferiore allo 0,2%), contenenti manganese (fino al 2,5%), alluminio, cromo, molibdeno e piccoli tenori di titanio, niobio, vanadio e boro. Gli acciai MP sono caratterizzati da una microstruttura contenente frazioni volumetriche variabili di ferrite, bainite e perlite (costituita da lamelle di ferrite e cementite e, quindi, più grossolana della bainite). Possono raggiungere valori di resistenza simili ai DP, ma con valori dimezzati della deformazione a rottura (a parità di resistenza). I meccanismi di rafforzamento sono simili a quelli descritti precedentemente, anche se meno efficaci. Nel caso degli acciai TRIP si osserva un ulteriore aumento della deformazione a rottura, e quindi della duttilità, rispetto agli acciai MP e DP, sempre considerando i medesimi valori di resistenza a trazione. Sono caratterizzati da una struttura complessa, costituita essenzialmente da una matrice ferritica contenente circa il 10% di austenite residua, non trasformata e metastabile. Questa, durante il processo di deformazione plastica per la formatura, può trasformarsi in martensite per deformazione plastica e non a causa di un raffreddamento rapido come avviene normalmente. Ne conseguono elevati valori della resistenza a trazione e della deformazione plastica. Oltre al manganese, questi acciai presentano contenuti inusuali di silicio. Entrambi gli elementi aumentano la stabilità dell’austenite residua, ritardando la precipitazione dei carburi durante la trasformazione bainitica; il manganese inoltre, fino a tenori pari al 15%, promuove la trasformazione dell’austenite in martensite per deformazione plastica (effetto TRIP). Gli acciai martensitici sono caratterizzati da una microstruttura completamente martensitica, con valori della resistenza a trazione compresi fra 900 e 1500 MPa e valori dell’allungamento a rottura piuttosto modesti (4-7%). I meccanismi di rafforzamento sono essenzialmente la trasformazione di fase e la soluzione solida. Si tratta di acciai non legati con un tenore di carbonio inferiore allo 0,2% e contengono manganese, silicio, cromo e piccole quantità di vanadio, niobio e titanio. Come conseguenza dell’elevata temprabilità, possono essere necessarie alcune accortezze nei processi di saldatura.
La seconda generazione di acciai AHSS è costituita da materiali estremamente resistenti con plasticità indotta, gli acciai TWIP, caratterizzati da un elevato tenore di manganese (17-24%) e tenori di carbonio fino allo 0,7%: la microstruttura che ne consegue è completamente austenitica anche a temperatura ambiente. Durante la deformazione plastica, ha luogo nei grani un’evidente geminazione (twinning). I geminati sono difetti della struttura cristallina originati dalla modifica della sequenza di sovrapposizione dei piani a maggiore densità atomica: il risultato della formazione di un geminato consiste in due cristalli speculari rispetto a un piano di geminazione. L’effetto della formazione dei geminati durante la deformazione plastica è quindi analogo a quello di un crescente affinamento della dimensione dei grani cristallini: la formazione di un gran numero di geminati durante la deformazione plastica comporta un evidente ostacolo al moto delle dislocazioni con un meccanismo come quello dei bordi grano. Gli acciai TWIP sono quindi caratterizzati da valori elevati della resistenza a trazione (si possono ottenere valori superiori a 1600 MPa) e della duttilità (la deformazione a rottura può arrivare anche al 60%). Tali acciai hanno, inoltre, come caratteristica una tenacità all’impatto decisamente elevata, anche per temperature molto basse e per alte velocità di deformazione (condizioni che per molti acciai possono invece implicare una transizione da una rottura di tipo duttile a una di tipo fragile, con una forte riduzione dell’energia necessaria alla rottura del metallo). Questo peculiare comportamento meccanico rende i TWIP molto interessanti per numerose applicazioni, in particolare nel settore dei trasporti, considerato che le elevate resistenze meccaniche consentono una forte riduzione delle sezioni resistenti dei manufatti, con un conseguente alleggerimento dei medesimi. Inoltre, l’alta resistenza alle sollecitazioni dinamiche permette un palese incremento della capacità dei manufatti di assorbire energia durante gli urti, con un evidente aumento della sicurezza per i passeggeri. Appartengono alla seconda generazione anche gli acciai L-IP (Lightweight steels with Induced Plasticity) e AUST.SS.
Gli acciai PH sono inossidabili e contengono cromo e nichel che riescono a offrire in maniera combinata le proprietà degli acciai inossidabili martensitici, arrivando a una resistenza meccanica alta mediante trattamento termico, e quelle degli austenitici, con una resistenza alla corrosione che li rende adatti anche per impieghi particolari (per es., contenitori per scorie nucleari). La resistenza meccanica alta è legata al meccanismo di rafforzamento per precipitazione di fasi intermetalliche attraverso trattamenti a temperature non elevate, grazie all’aggiunta di rame, alluminio, titanio, niobio e molibdeno. Per es., un acciaio PH ormai considerato classico, il 17-4 PH, contiene il 17% di cromo, il 4% di nichel, il 4% di rame e lo 0,3% di niobio. Questi acciai sono commercializzati come solubizzati, ovvero con gli elementi di lega in soluzione solida: tale condizione comporta un’elevata lavorabilità alle macchine utensili. Successivamente alla lavorazione, si deve effettuare il trattamento detto di invecchiamento, che consiste nella permanenza per alcune ore a una temperatura compresa fra 500 e 600 °C, in funzione delle proprietà meccaniche desiderate: la temperatura relativamente non elevata consente di effettuare tale trattamento evitando il rischio di distorsioni. Considerando la microstruttura finale, gli acciai PH possono essere suddivisi in: acciai martensitici (a questo gruppo appartiene il classico 17-4 PH), semi-austenitici (riescono a formare martensite solo se raffreddati a temperature estremamente basse) e austenitici (meno duri delle altre due tipologie). I valori di resistenza a trazione possono superare il 1300 MPa, con un allungamento a rottura che supera il 15%. Tali proprietà meccaniche sono associate a una resistenza alla corrosione che in numerosi ambienti riesce a eguagliare quella dei più tradizionali acciai inossidabili austenitici.
Gli acciai inossidabili austeno-ferritici duplex presentano caratteristiche di elevata resistenza meccanica e di buona resistenza alla corrosione generalizzata e localizzata. Per questi motivi, sono sempre più largamente utilizzati nell’industria chimica, petrolchimica, nucleare e alimentare. Questi acciai inoltre presentano un costo competitivo, se comparati ad acciai inossidabili austenitici di analoga resistenza alla corrosione, grazie al tenore contenuto di un elemento molto costoso quale il nichel. Scoperti in maniera piuttosto fortuita negli anni Trenta del 20° sec. in differenti laboratori e acciaierie, questi materiali erano ottenuti originariamente mediante forni elettrici ad alta frequenza. Veniva utilizzato un vuoto parziale per assicurare la decarburazione e la disossidazione, proteggendo il bagno metallico dall’interazione con l’aria ed evitando in questo modo il conseguente arricchimento indesiderato del bagno di ossigeno e azoto. Attualmente i metodi moderni di elaborazione al forno elettrico, seguiti da un’affinazione (processi VOD o AOD, per un massimo di 200 t) permettono di ottenere colate caratterizzate sia da una notevole riproducibilità della composizione chimica, specialmente per quanto riguarda l’azoto, sia da bassi valori di carbonio, zolfo e fosforo. Proprio grazie a tale controllo è possibile ottenere le frazioni volumetriche di austenite e di ferrite desiderate e le conseguenti peculiari caratteristiche.
L’acciaio che è considerato come lo standard di riferimento degli acciai inossidabili duplex contiene circa il 22% di cromo, il 5% di nichel, il 3% di molibdeno e lo 0,15% di azoto. L’ottimizzazione di questa tipologia di acciai ha seguito due differenti direzioni. La prima è stata finalizzata a ottenere acciai con buone, ma non eccezionali, caratteristiche meccaniche e di resistenza alla corrosione. È il caso dei cosiddetti acciai duplex poveri o economici, in cui il ruolo del nichel viene quasi completamente svolto dal manganese e dall’azoto: sono in grado di essere utilizzati nel caso di ambienti non particolarmente aggressivi in alternativa ad alcuni dei più tradizionali, e costosi, acciai inossidabili austenitici (si può, per es., ricordare il recentissimo duplex economico contenente il 21% di cromo e l’1% di nichel, con il 5% di manganese). L’altra direzione di sviluppo è orientata verso l’incremento del tenore degli elementi più pregiati (cromo, nichel, molibdeno, azoto) al fine di ottenere prestazioni decisamente elevate. Questi acciai, in cui il tenore di cromo può superare il 25% e quello di nichel il 7%, sono caratterizzati da una resistenza alla corrosione decisamente più elevata dei precedenti, ponendosi come valide alternative rispetto a leghe molto più costose. La resistenza a trazione degli acciai inossidabili austeno-ferritici non è eccezionale, anche se certamente superiore a quella degli acciai inossidabili austenitici con cui sono commercialmente in competizione. Se i duplex poveri possono arrivare a una resistenza a trazione di 800 MPa, i superduplex possono anche superare i 1000 MPa, sempre conservando buoni valori della deformazione a rottura (25%). Tali valori vanno confrontati con quelli tipici degli acciai inossidabili austenitici più comuni: l’AISI (American Iron and Steel Institute) 304 o il 316, per es., restano sempre al di sotto di 700 MPa.
A partire dagli anni Settanta del 20° sec. si è iniziato a ottimizzare una serie di acciai inossidabili definiti super. L’incremento del contenuto di elementi pregiati come il cromo, il nichel e il molibdeno ha permesso di mettere a punto acciai inossidabili superaustenitici e superferritici, caratterizzati da un comportamento superiore rispetto agli acciai inossidabili considerati come normali con medesima microstruttura, ma anche da costi di produzione decisamente più elevati. L’industria petrolchimica ha incoraggiato, negli ultimi anni, lo sviluppo di leghe resistenti alla corrosione, con costi di produzione accettabili. Le specifiche richieste sono numerose: resistenza ad ambienti contenenti anidride carbonica, ioni cloro e idrogeno solforato, con temperature fino a 150 °C e acidità piuttosto elevate (anche pH=3); carico di snervamento elevato, almeno di 550 MPa, in modo da poter diminuire lo spessore delle tubazioni, risparmiando così in peso e costo; buona tenacità a bassa temperatura; buona saldabilità. Considerando le differenti famiglie in cui possono essere suddivisi gli acciai inossidabili, i duplex rispettano tutte queste condizioni, ma sono caratterizzati da un tenore di nichel e di cromo che a volte è ancora economicamente troppo elevato. Partendo da acciai inossidabili martensitici considerati classici, ovvero contenenti tenori modesti di cromo (inferiori al 14%), di carbonio (inferiori allo 0,15%) di nichel e di molibdeno, sono stati ottenuti i supermartensitici, contenenti tenori più elevati di nichel (fino a quasi il 7%) e di molibdeno (oltre il 2%), e più bassi di carbonio (anche di un ordine di grandezza), con un incremento notevole di resistenza a trazione, tenacità e saldabilità.
Bibliografia
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