Acciaiuoli
. Le origini di questa famiglia non si possono far risalire criticamente più avanti del secolo XII, quando un Gugliarello venne da Brescia a Firenze per sfuggire ai bandi di Federico Barbarossa. Al tempo delle maggiori fortune degli A. si pretese che egli discendesse dai Ferreri, feudatari del contado bresciano, e che fosse stato esiliato per il suo guelfismo; ma le notizie che i cronisti e i genealogisti riportano a questo proposito sono solo un tentativo di giustificazione delle posizioni politiche assunte dagli A. in età più recente e, insieme, di anticipazione all'alto Medioevo della nobiltà di cui essi furono insigniti più tardi.
Gli A., infatti, non sono ricordati fra le casate fiorentine del periodo consolare e cominciarono a ricoprire cariche pubbliche nel comune solo nel 1282 (Leone di Acciaiuolo di Riccomanno, bisnipote di Gugliarello, partecipò nel 1267 alla spartizione dei beni confiscati ai ghibellini e nel 1282 fece parte del collegio dei priori), e ciò permette di assegnare loro piuttosto origini di popolo. Da Gugliarello ebbero origine in Firenze due rami, il primo dei quali (da Leone) si trasferì nel secolo XV a Lucignano e là si estinse nel 1830, mentre l'altro (da Riccomanno) partecipò alla vita politica fiorentina, si arricchì rapidamente e allargò l'ambito delle proprie iniziative commerciali e bancarie nell'Italia meridionale e nel Levante, assumendo posizioni politiche di grande rilievo alla corte angioina, suddividendosi a sua volta in numerose altre ramificazioni, che presero dimora anche fuori d'Italia, in Grecia e a Madera, e ne prolungarono la discendenza fino al 1834. Il consolidamento dell'influenza degli A. nella lotta politica fiorentina si accompagnò, fra Duecento e Trecento, all'espansione delle fortune economiche. Il capostipite Gugliarello aveva possedimenti fondiari in città e in val di Pesa, ove edificò una torre - poi distrutta - che dal suo nome fu detta per lungo tempo ‛ la Gugliarella '; il suo bisnipote Leone, morendo nel 1300, era già tanto ricco da poter lasciare un capitale sufficiente per l'edificazione della chiesa di Santa Maria Nuova in Monte Gufoni, nel centro dei possedimenti della famiglia. Di pari passo si ampliarono le iniziative bancarie e mercantili, alle quali diede forte impulso Dardano di Lotteringo (metà del sec. XIII - m. nel 1335), il quale allacciò rapporti commerciali con Tunisi, scalo del commercio fiorentino, e con Napoli angioina. In Firenze, gli A. sostennero vigorosamente la direttiva politica dell'alleanza fra il comune e gli Angiò, che costituiva la solida base delle fortune familiari, mentre col loro denaro sovvenzionavano Carlo I nelle imprese di Albania e di Grecia, e ne favorivano gl'interventi a favore delle forze guelfe nell'Italia centrale, finanziando, fra l'altro, le signorie angioine su Firenze. A questo fine, nel 1282 il già ricordato Leone di Acciaiuolo di Riccomanno fondò una compagnia mercantile con la partecipazione dei consorti. A favore di essa i sovrani meridionali largheggiarono nella concessioni di privilegi come contropartita dell'appoggio finanziario ricevuto. Gli affari della società si allargarono ai porti meridionali dell'Adriatico (Barletta, Manfredonia, Bari, Trani, Brindisi), all'Abruzzo (L'Aquila), agli scali del Levante, ove furono fondate numerose succursali del banco, che aveva i suoi centri principali in Napoli e in Barletta. Questa espansione economica si sarebbe, però, alla lunga, trasformata in un elemento di debolezza per gli A., perché suscitò contro di loro la reazione dei Veneziani, la quale fece sentire il suo peso negativo verso la metà del Trecento, nel momento in cui sulle compagnie mercantili operanti nell'Italia meridionale si ripercotevano gli effetti della crisi politica attraversata dal regno angioino. Gli stessi legami stretti con gli Angiò avrebbero procurato agli A. una rapida fortuna politica ed economica, ma, al tempo stesso, ne avrebbero procurato un altrettanto rapido declino. Il periodo dei maggiori successi coincise con i regni di Carlo I, Carlo II e di Roberto, il quale ultimo ne fu il migliore amico, bisognoso com'era del loro denaro, come lo era di quello dei Bardi e dei Peruzzi. In ricompensa e a garanzia dei prestiti, gli A. ottennero ripetutamente privilegi di natura fiscale, diritti di esazione delle imposte - analoghe concessioni ricevevano per gli stessi motivi dai Papi, in società con i Bardi e i Peruzzi - e, infine, il privilegio della monetazione che conservarono fino alla metà del secolo XIV. Inoltre, s'inserirono nella vita politica e amministrativa del regno, ottenendo a corte e nelle provincie cariche di grande rilievo, delle quali il siniscalcato e i feudi concessi a Niccolò di Acciaiuolo di Niccolò e ai suoi figli non sono che l'esempio più rilevante. Divenuti tanto potenti, i maggiori esponenti della famiglia favorirono a loro volta le piccole e grandi fortune personali di altri numerosi consorti, collocandoli nei posti chiave dell'amministrazione e della finanza dello stato meridionale. Un altro campo di avventure si aprì per i nuovi immigrati nella Grecia, sempre all'ombra delle aspirazioni egemoniche angioine sull'Egeo; qui, verso la metà del secolo XIV, alcuni membri della famiglia furono investiti in tempi diversi di grandi feudi, fra i quali il più noto e importante fu il ducato di Atene, durato fino al 1463 dopo circa un secolo di lotte fra i dinasti che lo detenevano, infine soffocato dalla preponderanza turca.
Fondate com'erano sul favore degli Angiò e sulla stretta alleanza tra comune guelfo fiorentino e regna meridionale, le fortune degli A. declinarono con la stessa rapidità con cui si erano sviluppate. Già nel 1313 la consorteria era stata compresa fra quelle bandite dall'imperatore Enrico VII, ma ben più potenti e dannose inimicizie le furono procurate dai successi medesimi che gli A. erano andati conseguendo sul piano politico ed economico all'ombra del guelfismo e della corte napoletana. Sempre più aperta venne facendosi nel regno l'insofferenza contro la loro presenza nei posti vitali dell'economia, della politica, dell'amministrazione angioina. Con la morte di re Roberto (1343) venne meno anche l'interessata protezione della casa reale; Giovanna I si mostrò indifferente verso la compagnia proprio nel momento in cui essa cominciava a provare sempre più fortemente il disagio derivante dai crescenti impegni assunti; né gran giovamento recò agli A. il rinnovato favore concesso, fra Trecento e Quattrocento, dai re Durazzeschi. Nuove succursali della banca, erano, infatti, state aperte ad Avignone, a Parigi, a Bruges, a Londra, allargando sempre più l'ambito delle operazioni, poiché ai prestiti concessi agli Angiò si erano venuti aggiungendo quelli, altrettanto grossi, fatti alla Chiesa e ai grandi prelati avignonesi, impegnando capitali ingentissimi in affari di dubbia riuscita, per la cronica insolvenza degli ecclesiastici a favore dei quali la compagnia era indotta a intervenire dalla convenienza politica.
Alla crisi dell'attività bancaria e all'indebolimento delle posizioni di potere godute nel regno, si accompagnò, nel quinto decennio del secolo XIV, anche il declino dell'influenza esercitata dagli A. sulla politica del comune di Firenze; essi furono coinvolti nell'ostilità destata nei fiorentini dall'inefficienza della signoria di Carlo di Calabria - che essi avevano anche largamente sovvenzionato - e nell'avversione popolare contro il re Roberto. Neppure in patria essi erano molto stimati, poiché mal se ne tollerava la spregiudicatezza con cui si comportavano nell'esercizio delle cariche pubbliche. Di questa diffusa insofferenza si fa eco Dino Compagni quando a più riprese ricorda le malversazioni e gli arbitri commessi dal giurisperito Niccola di Guidalotto di Acciaiuolo accusandolo di aver alimentato la corruzione negli uffici finanziari del comune, corrompendo anche il podestà dinanzi al quale era stato citato in giudizio. Le accuse del cronista ritornano anche nella Commedia (Pg XII 105)là dove D. accenna indirettamente a Niccola e ai suoi brogli amministrativi come a un esempio delle tristi condizioni in cui era stata ridotta la burocrazia fiorentina del suo tempo (v. ACCIAIUOLI, NICCOLA).
Il cedimento della banca e della consorteria si fece ancora più evidente quando si profilò la crisi finanziaria dei Bardi e dei Peruzzi. Un estremo tentativo di salvezza - risoltosi, però, in danno maggiore - fu organizzato da Banco di Dardano di Lotteringo inducendo i suoi a favorire il tentativo signorile di Gualtiero di Brienne, per ottenere in ricompensa dal nuovo protettore decreti sospensivi dei pagamenti richiesti dai creditori. L'impopolarità e la caduta del Brienne aprirono la strada alla definitiva crisi degli A.; tuttavia, quantunque costretti al fallimento nel 1345, essi poterono salvare buona parte dell'ingente patrimonio. Le ripercussioni della crisi si fecero sentire anche sul piano delle relazioni tra la Chiesa e il comune fiorentino, a causa delle grosse somme prestate ai prelati, i cui interessi furono difesi in Firenze dall'inquisitore con tale energia da suscitare vivaci contrasti col potere civile. L'autorità ecclesiastica lanciò scomuniche e interdetti, ma il conflitto, in definitiva, si risolse con la limitazione dei poteri degl'inquisitori. Tipico sintomo del contrasto di interessi che ormai divideva anche i membri della famiglia e del conseguente indebolimento della loro forza politica fu l'atteggiamento del vescovo Angelo di Monte di Mannino A., il quale in un primo tempo si mostrò fautore del Brienne e poi ne divenne avversario tenace, sostenendo un indirizzo politico popolare contro i Magnati.
Nei dintorni di Firenze, al Galluzzo, resta a ricordo della loro munificenza la Certosa fondata dal Gran Siniscalco Niccolò nel 1341, arricchita nei secoli seguenti da numerosi artisti chiamati a ornare l'edificio conventuale, la chiesa e il sepolcreto della famiglia.
Gli A. portarono costantemente un'arma d'argento al leone d'azzurro armato e lampassato di rosso. La discendenza del Gran Siniscalco portò, per concessione avutane dagli Angiò, uno stemma d'argento al leone d'azzurro armato e lampassato di rosso, tenente in palo nelle branche anteriori una bandiera di azzurro astata d'oro e seminata di gigli dello stesso.
Bibl. - Le carte dell'archivio domestico degli A. sono andate disperse negli archivi delle famiglie che raccolsero l'eredità dei vari rami. Nell'Arch. di Stato di Firenze si conservano documenti del vescovo Lorenzo, del Gran Siniscalco Niccolò e di Donato A. venute all'Archivio con quelli della Certosa (Corporazioni religiose soppresse, archivio n. 51, nn. 214-216); nella Biblioteca Medicea Laurenziana si conservano carte del Gran Siniscalco; altra documentazione indiretta dell'attività dei membri di questa famiglia va cercata, naturalmente, negli archivi delle istituzioni, delle magistrature, dei gdverni, al cui servizio essi operarono a Firenze, a Napoli, e altrove (importanti, fra le altre, le fonti angioine e aragonesi conservate nell'Archivio di Stato di Napoli, e gli atti degli arcivescovi fiorentini). Alcune fonti fiorentine sono edite nei volumi delle Delizie degli eruditi toscani (per cui si veda l'indice generale). Notizie complessive sulla consorteria o su alcuni rami di essa furono date da G. B. Ubaldini, Origine della famiglia degli A. e degli uomini famosi di essa, nel vol. Storia della casa degli Ubaldini, Firenze 1588; da S. Ammirato, Famiglie nobili fiorentine, ibid. 1615; da E. Gamurrini, Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane et umbre, ibid. 1668-1685. Le fonti documentarie (fra le altre, hanno grande importanza quelle conservate nell'Arch. di Stato di Firenze., Carte Pucci, I, 1; XIII, 1; Carte dell'Ancisa, AA, 1; GG, 11, 121; KK, 5, 148; LL, 344; Carte Dei, I, 1; Priorista fiorentino Mariani, I, cc. 25v-28; etc.) e cronistiche (un indice accuratissimo dei manoscritti e delle opere a stampa pubblicate fino a tutto il secolo XVII a proposito degli A. è conservato nell'Arch. di Stato di Fiume, Biblioteca manoscritti 322, " Indice generale delle famiglie fiorentine di cui ragionano o fanno menzione autori diversi, e stampati e manuscritti ", 4-6, le cui citazioni vanno, naturalmente, aggiornate con la segnalazione delle edizioni successive) furono ampiamente consultate per gli studi genealogici di P. Litta, Famiglie celebri italiene, A. di Firenze, tavv. I-VIII, Milano 1844; di
B. Candida Gonzaga, Memorie delle famiglie delle provincie meridionali d'Italia, I, Napoli 1875, 54-56; e - più recentemente - di C. Sebregondi, Repertorio delle famiglie patrizie e nobili fiorentine, fasc. III, V, VI, VIII, Firenze 1951-1952; C. Ugurgieri della Berardenga, Gli A. di Firenze nella luce dei loro tempi (1160-1834), voll. 2, ibid. 1962, offre uno sguardo d'insieme sulla storia degli A. considerata in rapporto con quella politica ed economica della città, del regno meridionale e dell'Italia, ed elenca la bibliografia. Importante, per l'accento posto sugli aspetti economici della storia degli A., la voce che li riguarda nella Enciclopedia italiana, I, 259-260, di A. Sapori. Sulla compagnia commerciale e sulla banca, v. G. Yver, Le commerce et les marchands dans l'Italie méridionale, ecc., Parigi 1903; sul ramo dei duchi di Atene, J. A. Buchon, Recherches historiques sur la principauté française de Morée, ibid. 1845; G. Andreini, Gli A. in Grecia, nel vol. Studi, pubblicato dall'Istituto Tecnico Commerciale Emanuele Filiberto di Firenze, Firenze 1940.