accidente
Termine usato nella filosofia aristotelico-scolastica per indicare una determinazione o qualità che non appartiene all’essenza di un oggetto. Si distingue in a. casuale, se il suo rapporto con l’oggetto è fortuito (secondo la definizione che ne dà Aristotele, Topici, I, 5, 102 b 6-7, esso è ciò che può appartenere o non appartenere a un solo e medesimo oggetto), e a. per sé, se, pur non appartenendo all’essenza di un oggetto e non rientrando perciò nella sua definizione, deriva necessariamente da questa. Per es. – dice Aristotele (Metafisica, V, 30, 1025 a 30-34) – appartiene al triangolo di avere gli angoli uguali a due retti. Sotto l’aspetto logico, l’a. è un «predicabile», cioè uno dei quattro modi (oltre genere, differenza e proprio) in cui possono essere predicate le dieci categorie, i dieci predicati possibili di qualsiasi soggetto (sostanza, quantità, qualità, relazione, luogo, tempo, situazione, stato, azione e passione). Infatti l’a., il genere, il proprio e la definizione, dice Aristotele, saranno sempre in una di queste categorie (Topici, I, 8, 103 b 24-25). Per es. la ‘situazione’, cioè essere in piedi o seduto, si può predicare in modo accidentale: ora sono seduto, ma tra un minuto mi alzerò in piedi. In Aristotele la teoria logica dei predicabili, così come quella dei predicati, è strettamente ancorata a un principio metafisico, quello della sostanza: non esistono a., o predicazioni accidentali, che non siano predicazioni relative alla sostanza prima, la sostanza individuale. Se la nozione di animale non si predicasse dei singoli uomini, non si potrebbe predicare neppure dell’uomo in generale. Infatti in assenza di sostanze prime non vi sarebbe più nulla di cui predicare qualcosa (Categorie, V, 2 a 37 segg.). Tra gli sviluppi del pensiero aristotelico merita attenzione quello di Porfirio, la principale fonte, attraverso Boezio, della logica aristotelica in età medievale. Porfirio nell’Isagoge o introduzione alle categorie di Aristotele aggiunse un nuovo predicabile ai quattro di Aristotele, la specie, portando così i predicabili da quattro a cinque: innovazione, questa, che originò la dottrina medievale delle quinque voces (specie, genere, differenza, proprietà, a.). Per quanto riguarda più specificamente l’a., Porfirio lo definisce ciò che può essere presente o assente, senza comportare la distruzione del soggetto, e distingue gli a. in separabili e inseparabili dal soggetto. Dopo Porfirio Tommaso offrì una classificazione pressoché completa dei vari modi in cui l’a. si può predicare delle categorie, distinguendo gli a. in assoluti, relativi, modali, del genere e della specie, dell’individuo, propri e comuni, intrinseci ed estrinseci, inseparabili e separabili, necessari e non necessari.