ACCLAMAZIONE
. Dicevasi acclamatio, presso i Romani, ogni manifestazione verbale di gioia, di augurio, di approvazione e simili, accompagnata da clamore e talora da schiamazzo smodato. Poteva essere collettiva o individuale, fatta nelle pubbliche adunanze come nelle private. Si riferivano le acclamazioni alle diverse circostanze della vita pubblica, prima fra tutte l'ascesa al trono di un imperatore ed il suo apparire nei pubblici spettacoli, il trionfo di un condottiero di eserciti, accompagnato dall'acclamazione: Io triumphe! od anche il buon esito di un pubblico spettacolo ed il successo di un oratore (acclamazione: bene et praeclare!). Durante le cerimonie nuziali si usavano le acclamazioni speciali: Talassio! o Io Hymen Hymenaee! Acclamazioni di carattere ufficiale erano quelle proprie dell'esercito nella proclamazione del nuovo imperatore, e quella del Senato per esprimere felicitazioni all'imperatore, per decretargli onoranze e per approvare le sue proposte. In questo ultimo caso l'acclamatio equivaleva al voto unanime. Le formule più comuni erano: omnes, omnes! o placet universis! Altre acclamazioni indirizzate all'imperatore ci sono tramandate dagli Atti del collegio dei fratelli Arvali (felicissima! felicissime! te salvo et victore felicissime!). Nell'antichità cristiana, e talora nel Medioevo, l'acclamazione, oltre che essere manifestazione di gioia o di dolore e trovar luogo in particolari cerimonie (vivatis in Deo, nel matrimonio; ΠΙΕ ΖΗΣΑΙΣ "bevi, vivi", nell'agape), teneva luogo della votazione nella nomina di vescovi e di papi. Nella metà del sec. III Fabiano, secondo il racconto di Eusebio, fu preso dal popolo e fra acclamazioni messo in cattedra. Così anche Eraclio, designato da sant'Agostino come suo successore, fu salutato vescovo fra ripetute acclamazioni. Allo stesso modo avvenne la nomina di sant'Ambrogio a vescovo di Milano, e di Gregorio VII a papa. Nell'età bizantina continuano (anzi amplificandosi) le acclamazioni alla maestà imperiale. Nel sec. VI hanno ancora la concisione romana (es.: Tu bene vincas: Chron. pasch. ad a. 532), e l'acclamazione del concilio di Calcedonia (Sanctus Deus, Sanctus immortalis, miserere nobis; multos annos imperatoribus) è ancora la preghiera per gli imperatori non disdegnata dai Cristiani (di cui è testimonianza in Tertulliano) anche nel tempo delle persecuzioni. Ma col tempo questa concisione si perde e subentra una fioritura di frasi tutta orientale. I libri cerimoniali del Porfirogenito e di Codino ci fan sentire l'eco delle acclamazioni al βασιλεύς di Bisanzio. Consueta quella che ha pure un valore giuridico perché la riconosce come erede dei Cesari: πολλοὶ ὑμῖν χρόνοι (nomi dell'imperatore e della imperatrice) αὐτοκράτορες ‛Ρωμαίων. Nei ricevimenti di Pentecoste e di Natale si fanno le acclamazioni addirittura in latino; Vivas multos annos, felicissime. E si tace di tutte le altre che si fondono con inni e vengono usate specie nel solenne ingresso (δέξιμον) dell'imperatore in città. Una figurazione di acclamatio del sec. V è in un pannello della porta della basilica di S. Sabina in Roma dove è raffigurata la presentazione di un sovrano al popolo.
Nell'alto e basso Medioevo, presso le monarchie dei Popoli germanici, l'acclamazione era la maniera con cui le assemblee radunate nel campo di Marte e nelle Diete approvavano le leggi proposte dal sovrano. Anche l'incoronazione di Carlo Magno avvenuta in S. Pietro (Natale dell'a. 800) suscitò una grande acclamazione da parte della folla, che ripeté le parole del pontefice. È nota la formula acclamatoria per la esplicita menzione del Liber pontificalis romano (Vita Leonis III): "A Carlo... Augusto, coronato da Dio, grande e pacifico imperatore dei Romani, vita e vittoria". Altrove se ne rileva la grande portata politica (v. carlomagno): qui basti notare che nella formula è l'idea della continuazione dell'antico imperium Romanorum nella persona del nuovo eletto che viene così se non a sostituirsi al sire di Bisanzio, per lo meno a ripristinare l'unanimitas imperii. Come manifestazione di volontà popolare, l'acclamazione si trova nel Medioevo, specialmente nei torbidi rivoluzionarî, in cui la folla acclamava colui che solleticava il suo istinto. Anche nei tempi moderni, l'acclamazione molte volte sostituisce la votazione sia per le leggi fatte in parlamento sia per proposte di altro genere fatte in altre assemblee. Così per acclamazione fu votata dal parlamento italiano la dichiarazione di guerra all'impero austro-ungarico (maggio 1918).
Bibl.: Friedländer, Darstell. aus der Sittengesch. Roms, III, p. 317 seg. e passim; J. Schmidt, in Pauly-Wissowa, Real-Encyckl., I, col. 147 segg.; Marténe, De antiquis Ecclesiae ritibus, Bassano 1788; II; Mansi, Sacrorum conciliorum amplissima collectio, Firenze 1765, VI, passim; H. Leclercq, in Cabrol, Dictionnaire d'arch. chrét., I, s. v. Acclamations; L. Halphen, Les Barbares, Parigi 1926, p. 213 segg.; F. Grossi Gondi, Trattato di epigrafia cristiana, Roma 1920, p. 224.