ACCOLITO (fr. acolyte; sp. acolito; ted. Akoluth; ingl. acolyte)
Dal greco ἀκόλουϑος (cfr. ἀκολουϑεω "ubbidire, servire, seguire"), indicava probabilmente, in origine, un assistente del vescovo: ma l'istituzione è ignota, nel periodo preniceno, all'Oriente e, anche in Occidente, ad altre chiese fuorché a quelle di Cartagine (dove si chiamarono ceroferarii: cfr. Isidoro, Etymol., VII, 12, 29) e di Roma, dove probabilmente furono istituiti, come una delle innovazioni introdotte nel governo della Chiesa da papa Vittore (186-197) (cfr. la notizia del Liber pontificalis: hic fecit sequentes - da rilevare l'equivalenza etimologica - cleros), e, stando ad una suggestiva ipotesi, in relazione alle discussioni relative alla celebrazione della Pasqua. Al tempo di papa Cornelio (251) troviamo infatti a Roma sette diaconi, sette suddiaconi e quarantadue accoliti, corrispondenti alle sette regioni ecclesiastiche attestate al tempo di papa Fabiano; gli accoliti (si è quindi pensato) avrebbero avuto fin da allora per funzione di recare il fermentum eucaristico alle varie chiese della città, come poi al tempo d' Innocenzo I. In Cartagine, la loro esistenza è attestata al tempo di S. Cipriano (epp. L e LXXVIII). Dopo il sec. IV la loro menzione si fa frequente in documenti letterarî e in epigrafi, sebbene l'Oriente, ad eccezione degli Armeni, che li avrebbero adottati abbastanza tardi, continui ad ignorarli. Venendo dopo i suddiaconi, essi costituiscono, ancor oggi, il quarto grado della gerarchia d'ordine, il più elevato degli ordini minori nella Chiesa latina. Nella disciplina liturgica odierna quest'ordine si conferisce facendo toccare all'ordinando un candelabro con candela estinta e un'ampollina vuota, strumenti e simboli dell'ufficio: accendere e portare i lumi liturgici, preparare e porgere al suddiacono il vino e l'acqua per il sacrificio della Messa. In antico si dava il sacchetto di lino, nel quale gli accoliti portavano in determinate circostanze le Sacre Specie (l'ultimo che allude a tale ufficio è papa Innocenzo I).