Accolti, Benedetto, il Vecchio
Giureconsulto e lettore di diritto civile allo Studio fiorentino, A., nato ad Arezzo nel 1415, svolse una brillante carriera politica culminata con l’elezione nel 1458 a segretario della cancelleria in sostituzione di Poggio Bracciolini, carica che ricoprì fino al 1464, anno della morte. Fu poeta in volgare e storico della prima crociata (De bello a Christianis contra barbaros gesto, stampato a Venezia solo nel 1532), anche se di maggiore interesse è senz’altro il Dialogus (1462 circa) – questo il titolo che riporta il ms. Plut. 54 8 della Biblioteca Laurenziana, codice di dedica per Cosimo de’ Medici e unico testimone coevo del testo –, scritto per confutare la convinzione del divario insanabile tra la perfezione dell’antichità e la miseria dei tempi moderni. Molteplici sono gli spunti che quest’opera, uscita dall’ambiente della cancelleria fiorentina, offre in relazione al complesso problema posto dai Discorsi machiavelliani sull’imitabilità degli antichi.
Seguendo il De varietate fortunae di Poggio Bracciolini, l’A. individua la causa della nascita del sentimento d’inferiorità dei moderni nella mancanza, in età tardoantica e nel Medioevo, di storici in grado di raccontare in modo letterariamente adeguato le conquiste militari e civili del mondo cristiano. Rispetto a Poggio però l’A. fornisce un’ulteriore spiegazione, vicina a quella proposta da M. in Discorsi II proemio 3-4, secondo cui il passato è inevitabilmente alterato dall’intrinseca parzialità che soggiace a qualsiasi racconto storico:
Prout enim quisque vel amabat vel oderat, ita in historiis laudat vel insectatur, seu veritati rerum addit aut detrahit
A seconda di ciò che ciascuno ha amato o odiato, così nelle storie elogia o riprova, aggiunge o sottrae alla verità degli eventi (Dialogus, 1847, p. 111).
Di non minore interesse è il fatto che per l’A. la decadenza della storiografia sia stata una conseguenza dell’affermarsi del cristianesimo, colpevole di aver incentivato l’agiografia piuttosto che la storia. Ed è proprio riguardo al cristianesimo che si segnalano almeno altri due punti di contatto tra il Dialogus e l’opera di Machiavelli. Come notato da Riccardo Fubini (2001), l’A. difende lo stato disciplinare e istituzionale della Chiesa moderna a partire dall’opera riformatrice di san Francesco e san Domenico, promotori di un necessario rinnovamento della fede (Christiana fides usque adeo adiuta est atque amplificata, ut per illos christiano more vivere longe melius didicerimus, «la fede cristiana è stata accresciuta e rafforzata a tal punto che grazie a loro abbiamo appreso a vivere molto più cristianamente», Dialogus, 1847, p. 125) attraverso i loro ordini nuovi (Ab his novae religionis regulae tales emanarunt, quales nulla vidit antiquitas; «l’antichità non conobbe mai delle Regole religiose, come quelle da loro fondate», p. 125), «con uno spunto che assai verosimilmente ha direttamente influenzato Machiavelli» (Fubini 2001, p. 126), anche se poi M., in Discorsi III i 32-34, inserirà questi esempi entro un disegno del corso storico di intonazione naturalistica.
Infine nel Dialogus si coglie la preoccupazione morale e apologetica, da parte di un laico, di calare la religione cristiana nella storia cercando di isolare, per farli comparativamente risaltare, i caratteri che la distinsero dalle altre religioni, con l’intento di mostrarne l’utilità all’interno della compagine civile. Così, rispetto all’esaltazione della violenza propria delle religioni pagane, quel progresso in senso etico-morale che la fede in Cristo ha fatto compiere all’umanità e di cui Francesco e Domenico si sono fatti rinnovatori è proprio ciò che, rovesciando i termini, M. condannerà in quella religione che ha reso gli uomini atti a «patire più che a fare una cosa forte» (Discorsi II ii 33), indicando come intrinseca debolezza quello che l’A. aveva visto come segno di incivilimento: Et omnes fere quibus Christi placet religio timidiores ad nocendum facti («quasi tutti coloro che seguono la religione di Cristo sono stati resi più timorosi di nuocere», Dialogus, 1847, p. 127). In conclusione, se è difficile appurare un’effettiva lettura da parte di M. del Dialogus dell’A., considerata la sua limitatissima circolazione, tuttavia non è da escludere che «esso fosse stato accessibile a Machiavelli attraverso tradizioni interne alla cancelleria» (Fubini 2001, p. 127, nota 84).
Bibliografia: Dialogus, in Philippi Villani liber de civitatis Florentiae famosis civibus, ex codice mediceo laurentiano, et de florentinorum litteratura principes fere synchroni scriptores, a cura di G.C. Galletti, Firenze 1847, pp. 105-28.
Per gli studi critici si veda: R. Fubini, L’umanesimo italiano e i suoi storici. Origini rinascimentali, critica moderna, Milano 2001, pp. 104-35.