ACCOLTI, Bernardo, detto l'Unico Aretino
Nacque l'11 settembre 1458, da Benedetto e da Lauta Federighi, forse in Arezzo (donde erano originari gli Accolti, ma trasferitisi già in parte a Firenze fin dal sec. XIII).
Passò la giovinezza in Firenze, per recarsi poi a Roma, dove nel 1489 si fece notare, come dice un documento mediceo, per atti molesti compiuti ai danni di un fiorentino. Forse è di questo periodo, e suo, un carme latino che va sotto il nome di "Bernardus Maria Aretinus". Sicura è invece la data della commedia intitolata Virginia dal nome della figlia e dedicata ad Antonio Spannocchi in occasione delle sue nozze avvenute a Siena il 17 genn. 1494. È una commedia in ottave ripartita in cinque atti, la cui trama è tolta di peso da una novella del Decameron (giorn. IX, nov. 3) e la cui costruzione formale è del tipo delle sacre rappresentazioni.
Documenti del 1494 ci attestano che l'A. era già stato nominato scrittore ed abbreviatore apostolico e, per colpe non bene spiegate, era esiliato da Firenze. Perdonato, perdette di nuovo il favore della Signoria nell'estate 1497, prestando a Piero de' Medici 200 fiorini per aiutarlo nel tentativo di rientrare in Firenze. I congiurati più in vista, tra cui Lorenzo Tornabuoni, da lui pianto in versi, furono decapitati. Egli fu solamente esiliato e rimase in Roma. Di li si recò spesso alle corti di Milano, Urbino, Mantova e forse Napoli, improvvisatore desiderato ed acclamato, spasimante di principesse, gradito come spirito eccentrico ai signori ed agli altri poeti. Ebbe una nutrita corrispondenza epistolare con la marchesa Isabella di Mantova, che, con la cognata Emilia Pio, si divertiva del suo pazzo amore per l'altra cognata Elisabetta, duchessa di Urbino.
Nel Cortegiano del Castiglione campeggia un breve e scherzoso episodio dell'amore dell'A, per la bella "traditrice". Forse però, contrariamente a quel che si è creduto e detto, non fu tutto e solo spasimo di giullare il suo, perché troppo a lungo gliene durò la fantasia tanto nelle rime, cortigiane sì, ma qualche volta indispettite, che le dedicò chiamandola Julia, quanto in diverse circostanze della sua vita, in cui veramente si illuse e ambì di ottenere quell'amore.
Cantò anche altre donne. Gli fu attribuito un amore non platonico con Lucrezia Borgia, ma due sonetti a lei dedicati non ce ne danno indizio. Altri due sonetti dedicò a una Lidia, di certo fiorentina. Le rime a Julia sono sessantasei. Uno strambotto a Isabella d'Aragona, un sonetto a Dorotea Spannocchi, un sonetto e uno strambotto a Giovanna Spannocchi, tre sonetti alla contessa Costanza Vittoria d'Avalos non sono di argomento amoroso. Rime cortigiane dedicò al pontefice Alessandro VI, al duca Valentino, a Ludovico Sforza, al cardinale Farnese, futuro Paolo III, e ad altri personaggi. Scrisse anche un Ternale a Maria Vergine.Alla morte di Giulio II (1513) agognò per il fratello Pietro, ormai cardinale di Ancona, la tiara papale sperando forse di elevarsi così all'altezza della duchessa d'Urbino, rimasta intanto vedova. Ma fu eletto Leone X, che del resto protesse sempre gli Accolti, facendo loro larghi donativi e dando incarichi onorifici a Bernardo.
Varie testimonianze del tempo lo accusano di stoltezza e di stravaganza e il silenzio dei documenti per alcuni anni intorno alla sua persona, unito alle parole "malattia e grave parossismo" di un contemporaneo, fa pensare ad una sua crisi di follia e ad un suo probabilissimo allontanamento dalla società. Ma, superati questi periodi di eclissi, egli si ripresentò nelle sale vaticane a declamare e a farsi applaudire.
Importante nella sua vita fu l'intricata e dolorosa vicenda del ducato di Nepi, presso Roma, da lui acquistato per 5000 ducati nel 1520 o '21, poi perduto a causa di alcune sue violenze (1522-23 e 1528-29), riconquistato a stento e in fine perduto di nuovo definitivamente e senza risarcimento (1534): sogno principesco andato in fumo. Egli ne mori disperato.
Fu sepolto il 1 marzo 1535. Aveva avuto due figli naturali: Alfonso Maria e Virginia.
Amico di Serafino de' Ciminelli Aquilano, gli dedicò un sonetto e un epitafio alla morte (1500). E, col Cariteo, il Tebaldeo e l'Aquilano, egli, toscano di nascita, ma non di modi né di gusti, è quarto tra i poeti presecentisti di quell'età che, ambiziosi di innovare, pur imitando il Petrarca, ne assunsero e portarono all'esagerazione gli espedienti retorici, sfidando il grottesco, sforzando l'immaginazione e alzando inverosimilmente i toni della declamazione, senza più ricordo alcuno della meditativa dolcezza del modello.
Le stampe ci tramandarono di lui quarantatrè liriche, ma l'edizione critica in preparazione a cura di L. Mantovani ne conterrà centodiciotto: certamente meno di quante ne improvvisò se non di quante ne scrisse.
Fonti e Bibl.: Mss. principali: Magl. VII 1184 e, con la commedia, il Palat. 277 della Biblioteca nazionale di Firenze; Laur.XLI 33 e Barb. Lat.3945. Due lettere dell'A. sono a stampa tra quelle indirizzate a Pietro Aretino. Edizioni: Comedia del preclarissimo messer B. A. Aretino Scriptore Apostolico e Abreuiatore..., Firenze, Rossegli, 1513, da cui discesero altre dieci edizioni fino al 1565. Per la biografia v.: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia,I, 1, Brescia 1753, pp. 66-76; A. Luzio-R. Renier, Mantova e Urbino, Torino 1893, pp. 109-110 e 259-270; E. Guarnera, B. A., Saggio biografico critico, Palermo 1901; F. Gavagni, L'Unico Aretino e la Corte dei Duchi d'Urbino, Arezzo 1906; F. Corsi, Un superuomo della Rinascenza, in Riv. di Roma, III (1913), pp. 165-172; D. Gnoli, La Roma di Leone X, Milano 1938, pp. 266-299. Per la critica v.: A. D'Ancona, Studi sulla letteratura italiana dei primi secoli, Milano 1881, pp. 174-190. Per un ritratto dell'A. in Palazzo Vecchio a Firenze (sala di Leone X) v.: G. Vasari, Ragionamenti, Pisa 1829, p. 160.